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Autore: fran79    03/08/2017    5 recensioni
Stagione 2, episodio 3.
«Lo sai che anni fa l’ho fatta anch’io la tua operazione?»
«Veramente?»
La dottoressa Lisandri confida a Nina di aver avuto il cancro. Ma questa conversazione ha un ascoltatore inaspettato.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dottoressa Lisandri, Leo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. I personaggi appartengono alla Palomar Television & Film Production.


I pensieri vorticano incessanti nella mente di Leo. Bisogna che vada da Nina, che le dica che il bacio di ieri è stato una colossale scemenza. Non l’ha più vista, è scappato via talmente di corsa che, se ne è reso conto dopo, deve anche aver lasciato il cellulare in camera sua, ma non è più andato a riprenderlo. È abbastanza sicuro che anche Nina la pensi come lui, tanto è vero che è stata lei ad allontanarsi quasi subito e piuttosto bruscamente, però… però, cavolo, è stato bello. Brevissimo, ma bello. Ed è proprio per questo che non è tornato, anche se le ha detto «ci vediamo dopo». Non sarebbe riuscito a guardarla negli occhi.

Adesso però deve andarci per forza. A parte che il telefono gli serve… ma questo è l’ultimo dei problemi. Lui ama Cris. Sorride amaro, pensandolo, visto che, nel fugace incontro che il dottor Carlo ha procurato loro nei bagni, le ha appena ribadito di essersi messo proprio con Nina. Ma è così, e Nina deve saperlo. Bisogna che le spieghi la folle confusione che ha nella testa e nel cuore. In pochi giorni sono successe decisamente troppe cose: è tornata la malattia, ha deciso di lasciare Cris per tenerla lontana da tutta la sofferenza che sicuramente verrà, ha litigato e poi fatto pace con Vale, Nicola se n’è andato… Qualcos’altro, mondo? Accidenti, è normale che uno sbarelli, giusto? E non importa quanto bello sia stato, quanta indiscutibile attrazione ci sia tra loro: Nina è una persona speciale, è forse quella che meglio di tutti può capirlo in questo momento… ma niente altro. E questo dev’essere chiaro, non vale la pena di rovinare un rapporto – un altro! – per una sciocchezza.

Basta, ha deciso. C’è di buono che Nina non ha compagne di stanza, potrà entrare subito in argomento senza preoccuparsi di orecchie indiscrete. La porta è pure aperta, si risparmierà persino di bussare. Ma… chi è che parla? Porca miseria, la Lisandri. Ci mancava anche lei. Nel tempo in cui rimarrà lì, capace che a Leo scappi tutto il coraggio che ha messo insieme nella notte in bianco che ha passato. Ma non ci si fermerà mica un secolo quella benedetta donna, no?

Leo aspetta fuori, abbastanza lontano da non essere visto attraverso l’esile veneziana della parete a vetri, ma sufficientemente vicino perché, anche senza voler origliare, gli giungano chiare le parole della conversazione.

«Lo sai che anni fa l’ho fatta anch’io la tua operazione?»
«Veramente?»
«Ero un po’ più grande di te. Facevo l’università, mi ero appena laureata… e mi ricordo molto bene come ci si sente in quei momenti…»

COSA?

Non è possibile, deve aver capito male per forza. Figuriamoci se la Lisandri… Ma le frasi che gli arrivano – a tratti, ora, perché lo sconcerto gli ha fatto perdere il filo del dialogo – sono inequivocabili.

«… senza un seno, senza capelli…»
«… avevo molta paura…»
«… la cicatrice…»

In punta di piedi, Leo si allontana. Sono passati solo pochi minuti, ma niente è più come prima.
 

 
***
 

Meno di quarantotto ore dopo.

Oggi non è esattamente un giorno qualsiasi: questa notte Leo sarà maggiorenne. Anche se la Lisandri non lo avesse saputo, ci avrebbero pensato i Braccialetti a ricordarglielo: poco fa si è vista piombare in ufficio Vale, Toni e Rocco a chiederle il permesso di festeggiare, stasera. Ha finto di cadere dalle nuvole e ha nicchiato un po’, giusto per tener fede al proprio ruolo… ma aveva capito fin da quando sono arrivati e aveva già un “sì” sulle labbra. Non negherebbe mai a Leo la festa dei diciotto anni, tantomeno in un momento come questo: il “suo” ragazzo un po’ di normalità e spensieratezza se le merita tutte. Naturalmente, prima di lasciarli andare da lui per dargli la grande notizia, li ha doverosamente intrattenuti con le regole su orari, volume della musica, gradazione alcolica delle bevande: siamo pur sempre in ospedale, che diamine! Ma teme che ormai la sua fama da “strega” – oh sì, lo sa eccome che la chiamavano così – sia definitivamente evaporata: benché continuino a considerarla una specie di carabiniere, i ragazzi sono troppo intelligenti e sensibili per non aver capito che Leo, e tutti loro di riflesso, sono il suo punto debole. Un anno fa non lo avrebbe mai immaginato, ma ciò che li riguarda ha il potere di toccare delle corde di se stessa di cui non avrebbe neppure sospettato l’esistenza. Stasera Leo avrà la sua festa con tutti i suoi amici e sarà contento… e lei con lui.

In realtà da un paio di giorni la Lisandri lo sta osservando con ancora più attenzione del solito. Lo vede diverso. Naturalmente ha ben presente il guazzabuglio di eventi ed emozioni che Leo ha dovuto affrontare e gestire in pochissimo tempo, ma non crede che sia solo quello: dev’esserci qualcos’altro, qualcosa che per il momento le sfugge. Il fatto è che soprattutto lo vede diverso con lei. Ogni volta che lo incontra, nella consueta visita mattutina piuttosto che durante la giornata, si accorge che è come se, vedendola, si impensierisse. Non sembra arrabbiato o triste, solo, come dire… compunto. Un aggettivo che a Leo proprio non si addice. Con gli altri è sempre lo stesso, ma con lei è diventato improvvisamente serio, calmo, quasi remissivo: e deve per forza essere successo qualcosa, perché non è da lui comportarsi così. Addirittura ha l’impressione che, se appena gli è possibile, eviti il suo sguardo. Mille volte si è lamentata delle sue intemperanze e del suo infinito battibeccare, ma ora, anche se non lo confesserebbe nemmeno sotto tortura, il Leo guascone e irriverente le manca.

Uscendo dallo studio, si imbatte nuovamente nei Braccialetti che corrono verso il locale della scuola.

«Piano, ragazzi, per favore!»
«Ci scusi, dottoressa – risponde Vale, gli occhi che brillano – ma abbiamo una festa da organizzare!»
«Non è il caso di organizzarla correndo – replica lei, ma senza riuscire a trattenere un sorriso. – Siete stati da Leo?»
«Sì, certo. Subito non voleva, ma lo sa che le feste gli piacciono!»
«Dov’è?» chiede, ritrovandosi ad alzare lei stessa la voce perché i ragazzi sono già lontani.
«In terrazza!» grida Vale, prima di sparire con gli altri dietro la curva del corridoio.
 

 
***
 

«Ciao, Leo.»

Seduto su una delle sedie da giardino, le gambe allungate con i piedi appoggiati al parapetto, gli occhiali da sole gialli sul naso, Leo sobbalza: si stava appisolando al sole. Si volta.

«Oh… buongiorno.»
«Scusami, non volevo spaventarti… e neanche disturbarti.»
«No, no… non fa niente.»

La Lisandri lo raggiunge e gli si siede vicino.

«I tuoi amici sono già in fermento per la festa di stasera» sorride.
«Avevo detto che non importava, che ho altro per la testa, ma non c’è stato verso. Meno male che sono il leader, eh?»

Si è tolto gli occhiali e l’ha guardata con un guizzo allegro negli occhi, ma solo per un attimo.

«Hanno ragione – replica lei, sempre sorridendo. – I diciotto anni sono importanti, vanno festeggiati.»
«Quindi lei… è d’accordo? – È una strana domanda, quasi timorosa. – Sicura che si può fare?»
«Certo che lo sono. Senza che l’ospedale diventi una discoteca, va benissimo.»

Rimangono per qualche istante in silenzio. Ma la Lisandri ha intenzione di andare a fondo dei propri interrogativi e decide di cogliere l’occasione.

«Mi preoccupi, Leo. Ti senti bene? – Si è sforzata di usare un tono leggero, scherzoso. – Da quando sei così attento e rispettoso delle regole? Mi pare di ricordare che non siano mai state esattamente il tuo forte.»
«No, è vero. Ma si cresce. Servirà pure a qualcosa diventare maggiorenni, no?»

Ha sorriso, ma senza guardarla. Si vede che è pensieroso. È come se si trattenesse. Tanto vale giocare a carte scoperte, pensa lei.

«Seriamente, Leo. È un paio di giorni che ti comporti diversamente dal solito. – Fa una brevissima pausa, giusto per dare più forza a quello che segue. – Soprattutto con me.»

Lo vede irrigidirsi: non come se si stesse arrabbiando, piuttosto come uno che è colto in fallo. Le lancia un rapido sguardo obliquo.

«Si vede, eh?»
«Eh, sì» sorride lei.

Lui sospira. Le sue labbra cercano a loro volta un sorriso, che però non viene.

«È successo qualcosa, Leo?»
«Oltre a tutto il resto, intende?»

Eccola, l’ironia di Leo. Venata di amarezza, come è logico che sia. Di cose ne sono successe anche troppe in questi pochi giorni.

«Effettivamente non è stata una gran domanda. Intendevo oltre a tutto il resto, comunque, sì.»

Stavolta lui la guarda davvero negli occhi. Annuisce, ma farlo sembra costargli un’enorme fatica.

«E c’entro io?» incalza quietamente la Lisandri.
«Sì.»
«Pensi di volerne parlare?»

Leo non risponde subito: guarda lontano, verso il mare, come cercando lì la risposta migliore. Passa un minuto abbondante, e già la Lisandri pensa che la conversazione sia terminata, quando inaspettatamente lui si volta.

«Sì, forse è meglio.»

Non è da Leo cedere così facilmente, né mostrarsi tanto vulnerabile. Qualsiasi cosa sia accaduta, deve averlo davvero colpito.

«Andiamo a sederci laggiù, vuoi? Qui sta cominciando a fare veramente troppo caldo.»

Dall’altra parte della terrazza c’è un tavolino con qualche sedia, all’ombra di un piccolo giardino di piante in vaso. Si siedono l’una di fronte all’altro.

«Ti ascolto» lo esorta con dolcezza.
«No, è che… – Leo esita, come cercando le parole, e se le parole gli mancano dev’essere veramente a disagio. – L’altro giorno sono andato da Nina, avevo bisogno di parlarle… e quando sono arrivato vicino alla sua stanza, la porta era aperta… e ho sentito che stavate parlando.»
«Io ero lì e stavo parlando con Nina?»
«Sì. Diciamo che… la cosa di cui dovevo parlare con Nina era piuttosto personale. Ho pensato di fermarmi a distanza e aspettare che lei se ne andasse. Solo che in questo cavolo di ospedale le pareti sono di carta velina e così…»
«Hai sentito quello che stavamo dicendo.»
«Esatto. Soprattutto ho sentito… quello che lei stava dicendo.»
«E che cosa posso aver detto per impensierirti tanto?»

Sorride, la Lisandri, ma nella sua domanda non c’è traccia di ironia, neppure bonaria. Cerca semplicemente di fare in modo che Leo si rilassi, perché percepisce che sta facendo sempre più fatica. E del resto, sul momento, non ricorda davvero che cosa ha detto a Nina.

«Le stava raccontando che anche lei… – Leo si ferma, fa un lungo respiro, sembra raccogliere tutto il suo coraggio – che anche lei ha fatto… la sua operazione.»

Adesso la Lisandri ricorda. È vero, ha confidato a Nina una cosa che solo pochissimi in ospedale sanno: anzi, ora che ci pensa, lo sa soltanto il dottor Alfredi. Le è venuto spontaneo, proprio lei che è sempre stata così riservata sulla sua vita fuori da lì. Sarà forse perché, in qualche strano modo, a Nina si è affezionata subito: ha sentito immediatamente un’affinità profonda con questa ragazza così forte e volitiva, eppure in fondo, ne è sicura, anche così fragile. Lei non era poi molto diversa, alla sua età.

Ma adesso qui di fronte c’è Leo, evidentemente turbato. Lei sa che è un ragazzo sensibilissimo, che è sempre attento a tutte le persone che lo circondano, ma è colpita dal fatto che una conversazione ascoltata per caso lo abbia toccato così profondamente. Ha già il suo bel carico di pensieri e di sofferenza, ci manca solo che se ne procuri altri.

«Sì, ora mi ricordo. – Parla con tono volutamente leggero, sorridendo. – È questo che ti ha preoccupato? Non devi, Leo. Non mi dà fastidio che tu abbia sentito, non l’hai fatto apposta e comunque non c’è niente di male, né di strano. Anche i medici si ammalano. Siamo persone come tutte le altre, sai!»

Ha finito l’ultima frase con una breve, quieta risata. Ma Leo resta serio, con gli occhi bassi.

«Sì, lo so. Ma… non è questo.»
«E che cosa, allora?»
«Il fatto è che, sentendola… ho ripensato a quando mi avete detto che sono di nuovo malato.»

No, questo la Lisandri proprio non se lo aspettava. Che cosa sta passando nella mente di Leo? Intuisce confusamente che, come è già successo innumerevoli volte, finirà per rimanere spiazzata. Si fa seria.

«In che senso, Leo?»
«Si ricorda? Io… beh, ho dato abbastanza di matto. Lei mi ha detto che sapeva come mi sentivo e io ho detto di no, che nessuno sa come mi sento, che per voi è facile perché il cancro sono io che ce l’ho. – Leo inspira come se dovesse prendere fiato per un’immersione in apnea. – Non è vero. Mi sbagliavo. Lei ha detto la verità, aveva ragione. Lei… lo sa davvero come ci si sente. – L’apnea è finita, Leo espira. Ansima, più che altro. – Mi dispiace. Ero arrabbiato.»

Ha parlato tenendo sempre gli occhi a terra. Quando sente che la risposta non viene, alza lo sguardo. Vede che la sua dottoressa ha le mani appoggiate sul tavolino, una sull’altra; ha chinato leggermente la testa e tiene le palpebre un po’ abbassate, come se fosse concentrata e stesse riflettendo. Aspetta, paziente.

In realtà Maria Pia Lisandri non sta affatto pensando a cosa rispondere. Solo il ferreo dominio che sa esercitare su se stessa fa da argine al tumulto che le parole di Leo hanno provocato in lei. Sta lottando contro un impeto di commozione che di colpo le ha tolto la voce e il respiro, che le ha serrato la gola con un nodo che non si scioglie; ha chiuso gli occhi perché Leo non si accorga che sono pieni di lacrime. Con una sentenza di morte quasi certa che gli pende sul capo, questo ragazzo si preoccupa per lei e si scusa per non aver trattenuto il proprio dolore alla notizia della malattia. Ma come è possibile?

Attimi che le sembrano eterni. Deve fare appello a tutte le sue energie per riprendere il controllo. Quando ritrova la forza di parlare, l’unica traccia del suo stato d’animo – che peraltro, con suo sollievo, Leo sembra non aver colto – è nella voce leggermente velata.

«Non credi di… aver avuto ragione di essere arrabbiato?»

Leo la guarda. Non ha idea della tempesta che ha scatenato, ma si è accorto della voce diversa.

«Sì… immagino di sì. Però, ecco, volevo dirle… questo, insomma. Che mi dispiace. Mi dispiace lo stesso. Per lei e… per come sono andate le cose.»
«Grazie» risponde semplicemente lei, con tenerezza.

La conversazione sembrerebbe finita, ma qualcosa le dice che non è ancora così e decide di aspettare. Leo non si è mosso, ha riabbassato gli occhi e giocherella distrattamente con gli occhiali da sole: come se, di nuovo, stesse cercando le parole. E infatti, dopo una manciata di secondi di silenzio, riecco la sua voce.

«Posso farle una domanda?»
«Certo.»
«Non so se…»
«Tu fammela, vediamo se posso risponderti» lo anticipa lei con un sorriso.

Ora Leo la guarda diritto negli occhi, senza esitare.

«Lei come lo ha scoperto?»

Non c’è bisogno che specifichi di che cosa sta parlando. E d’un tratto alla Lisandri, che un anno fa mai e poi mai avrebbe accettato una simile intromissione nella sua vita privata, questo sembra il dialogo più naturale del mondo. Sono due persone che condividono il fatto di aver conosciuto lo stesso incubo. È questo che Leo sta cercando, è questo di cui ha bisogno. Da lei, adesso. Da lei, che può capirlo più di ogni altro perché questo incubo lo conosce due volte, come paziente e come medico. Da lei, che da questo incubo è uscita. E che ora si ritrova a parlarne serenamente.

«Come lo scopre la maggior parte delle donne: facendo la doccia. Passando la mano, senti “qualcosa” che prima non c’era.»
«Era già medico?»
«Sì. Dovevo iniziare la specializzazione.»
«Quindi ha capito subito.»

Lei sorride.

«Avrei dovuto.»

Leo la guarda interdetto.

«Che vuol dire? Che non ha capito?»
«Tu sai che la natura della massa, se benigna o maligna, si scopre solo attraverso gli esami. Questo non potevo saperlo. Ma che cosa fosse, quello sì. Che fosse un tumore dovevo capirlo. E non l’ho fatto.»
«Ha sbagliato una diagnosi? Incredibile!»

La Lisandri quasi ride, sia per il tono con cui la frase è stata pronunciata e che ha reso Leo molto più simile a se stesso di quanto lei lo abbia visto negli ultimi giorni, sia per l’apprezzamento che queste parole rivelano.

«Non proprio. È più esatto dire che ho fatto finta di non vedere.»
«Cioè… non ha fatto accertamenti?»
«No, non subito. I medici possono essere molto stupidi, sai. Presuntuosi, anche. Credere che, siccome le hanno studiate e le curano, le malattie abbiano paura di loro.»

Leo si è fatto serio.

«È una cosa che ho sempre pensato anch’io, veramente.»
«Cosa? Che i medici sono stupidi e presuntuosi?» scherza lei, per alleggerire la tensione che, avverte, sta salendo.
«No – risponde lui, cupo. – Che a me questo non sarebbe mai successo. Che certe cose succedono solo agli altri.»
«È normale pensarlo alla tua età, Leo» mormora la Lisandri, con dolcezza.
«Perché, lei quanti anni aveva?» chiede lui, brusco.
«Quasi ventisette.»
«E a quell’età invece è normale pensare che succeda? O a quarant’anni, o a cinquanta? La verità è che non è mai normale, e che non dovrebbe succedere a nessuno, mai!»

Leo ha alzato la voce, ha battuto il pugno sul tavolo, ha negli occhi la luce fredda dei suoi scatti d’ira. Lei prova l’impulso di prendergli quella mano ancora serrata, di stringergliela, ma si trattiene.

«È vero» sussurra.

Basta quell’ammissione, fatta con voce appena percettibile, a calmare Leo. Che ora la guarda con una consapevolezza, con una comprensione che le stringe il cuore.

«Ha fatto tutta la trafila, vero? Operazione, chemio, radio… i vari effetti collaterali…»
«Tutto.»
«Per quanto tempo?»
«Due anni, più o meno.»
«Allora sì. – Leo ha distolto lo sguardo e parla piano, come a se stesso. – Allora è proprio vero che sa come ci si sente.»
«Sì, Leo, lo so. – Ora la Lisandri deve fare uno sforzo sovrumano per impedire che la voce le tremi, che si spezzi. – Lo so. Ma non mi importa di saperlo. Mi basterebbe che non lo sapessi tu. Che non lo sapesse nessuno di voi.»

Leo alza gli occhi di scatto.

«Ma lei se lo è mai chiesto il perché? – esclama. – Perché lei, perché io, perché Vale, perché Nina? – Stavolta è lui ad avere improvvisamente gli occhi pieni di lacrime, e non le nasconde. – Perché mia mamma?»

«Infinite volte, Leo. Sia quando è toccato a me, sia dopo, da medico, quando ho cominciato a incontrare i pazienti. Ma poi ho smesso. È meglio smettere. È una domanda che non ha risposta. E meno male che non ce l’ha: pensa che cosa significherebbe se l’avesse. Vorrebbe dire che è una punizione, o una ripicca, o il gioco perverso di un’entità malvagia. E invece no, non è niente di tutto questo. Succede e basta. La natura è imperfetta, noi siamo imperfetti. Possiamo solo scegliere come affrontare questa cosa: e tante volte sta lì tutta la differenza. Io – sorride, commossa – la vedo in te e nei tuoi amici, la differenza che può fare.»

«Mi dica ancora una cosa. – Leo ha di nuovo smesso di guardarla: un lampo metallico gli ha attraversato lo sguardo e per una frazione di secondo la voce gli si è incrinata. – Come fa… lei che ce l’ha fatta, che potrebbe dimenticare… a stare tutto il giorno, tutti i giorni, davanti a gente come me, con la morte addosso? Come fa a non aver voglia di scappare… a non detestarci perché le ricordiamo quello che ha passato?»

Un pugno allo stomaco. Il fiato mozzo e il desiderio disperato di alzarsi e stringerlo a sé. Ma questa è solo una delle innumerevoli cose che in un tempo non lontano non avrebbe mai immaginato di fare e che ora sa di non poter e non dover fare. Può solo respirare a fondo per impedire che, al posto della voce, esca un singhiozzo.

«È una domanda che non mi ha mai neanche sfiorato la mente, Leo. Davvero. Questa è la mia vita. L’ho scelta tanti anni fa e non me ne sono mai pentita. Anzi, ora che mi ci fai pensare… ti dirò che non potrei desiderare nient’altro che stare qui, davanti a voi. Proprio perché mi ricordate tutti i giorni quello che mi è successo. Un medico dovrebbe sempre fare esperienza della malattia. Per ricordarsi che non è invincibile, per esempio. Ma soprattutto per imparare a tenere sempre presente che non ha davanti le malattie che ha studiato sui libri, ma persone che soffrono. – Ormai le lacrime le pungono gli occhi. – Non solo io non ho alcuna voglia di scappare e non vi detesto… ma siete senza dubbio la cosa migliore che potesse capitarmi.»

Il silenzio accoglie queste ultime parole, percorse da un tremito che lei non è riuscita a dominare del tutto. Per tutto il tempo in cui la Lisandri ha parlato, le dita di Leo hanno continuato a intrecciarsi con le stanghette degli occhiali da sole: i suoi occhi sembrano così concentrati a seguire questa sorta di gioco che si potrebbe pensare che, assorto nei propri pensieri, non abbia ascoltato nulla. Ma d’un tratto le sue mani allontanano gli occhiali e si allungano a stringere quelle di lei, ferme sul piano del tavolo. È una stretta forte, decisa e insieme gentile. La Lisandri è colta di sorpresa, ma solo per un istante: ricambia il gesto, e le sembra intenso come un abbraccio. E quando lo sente mormorare un “grazie”, non riesce a rispondergli che in un soffio.

«Grazie a te, Leo.»

Lui non le lascia le mani e non accenna ad alzarsi. È come se ci fosse ancora una cosa da dire e lui se la fosse dimenticata e stesse cercando di ricordarla. Improvvisamente alza gli occhi e la guarda sorridendo. È il “suo” sorriso, finalmente.

«Venga anche lei alla festa, stasera.»

Leo è decisamente una continua sorpresa. La Lisandri, stupita, si ritrova ad aprire e chiudere la bocca in un’espressione piuttosto sciocca, prima di riprendersi.

«Io…? Ma no, Leo, figurati. Grazie del pensiero, ma… insomma, tu e i tuoi amici avrete voglia di starvene per conto vostro, direi!»
«Ma no, vengono anche il dottor Carlo e gli infermieri. Dai, su, venga. Davvero, mi fa piacere!»
«Beh, se è così… d’accordo, grazie, verrò – sorride. – Fa piacere anche a me. Ma sei sicuro che…»
«E andiamo, dottoressa, su! Ormai qui è un po’ come se fosse casa mia, no? E vuole che non inviti la mia famiglia? – Si alza, il sorriso anche negli occhi. – Vado a vedere che combinano i Braccialetti, sia mai che si inventino qualche diavoleria. A più tardi!»

La Lisandri è rimasta immobile dov’era, e non si riscuote neanche al tonfo della porta antipanico che Leo ha naturalmente sbattuto uscendo.

La mia famiglia.

Chiude gli occhi, congiunge le mani sul viso. Non c’è nessuno, nessuno può sentirla comunque, ma le sembra che così le parole che le premono sulle labbra possano davvero rimanere soltanto sue.

«Figlio mio…»


Grazie a chi leggerà e vorrà lasciare un pensiero.
   
 
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