L’indomani Matnery accolse
con gioia il suo risveglio, un genuino sollievo a sommarsi all’eguale fretta di
rimettersi in viaggio.
I loro inseguitori, le disse, non si erano in effetti
arresi e temeva che ulteriori rallentamenti non potessero far altro che esporli
a inutili rischi.
Il che, proprio ora che ella stava nuovamente bene,
sarebbe stato davvero un peccato.
Mentre caricavano gli ultimi bagagli lui aggiunse che
già da qualche giorno avevano cominciato la risalita dei promontori in vista
della Città del Cielo, motivo per cui l’averla nuovamente viva e agente
avrebbe facilitato assai la loro possibilità di sostenere l’avanzata malgrado
i pendii sempre più ripidi.
Guardandosi attorno, fu impossibile non dare ragione a
Matnery: in qualche modo la piana del deserto pareva
ora aver ceduto il passo a rocce e roccerelle che
spinose di vento e bernoccoli risalivano da un terreno ora punteggiato di
pietre brunite. Morbidi avvallamenti e conche disegnavano quella che
inequivocabilmente pareva una risalita dolce ma costante.
La Nihaar’ì non potè che osservare ammirata quella sconosciuta difformità
prima che il pratico Matnery le chiedesse gentilmente
di collocarsi dinanzi a Hiras. Questi la accolse con
un gesto sommesso, affatto familiare per la sua personalità.
Strano...
E così riprese il viaggio per quelli che - si sperava
- sarebbero stati gli ultimi faticosi giorni prima di un assai meritato ristoro
alla Città del Cielo.
Incerta, la Nihaar’ì si
passò una mano dietro al collo. Fece una smorfia contrita quando le sue dita
sfiorarono i morbidi bassorilievi sulla pelle. E rabbrividì, una fitta di
bruciore e vertigine assieme che le facevano immediatamente girare la testa.
Dannazione.
Qualunque cosa fosse successa al suo corpo, non le
piaceva. Non le piaceva sentirsi incredibilmente debole. Non le piaceva la
sensazione di essere in qualche modo convalescente, come se nei giorni
precedenti ella non avesse smaltito gli effetti negativi del marchio bensì
una vera e propria malattia dagli effetti consuntivi.
Si passò la lingua sulle labbra inaridite.
Era smagrita. Quella la prima cosa che aveva notato
mentre si massaggiava lo stomaco vuoto. E per qualche ragione la pelle delle
sue braccia aveva assunto un che di grigiastro e malsano.
Improvvisamente si ritrovò a desiderare disperatamente
uno specchio.
Lenta, l’avanzata dello Yenavo’r
procedeva a ritmo regolare, la testa dell’animale china sulle rocce che man
mano avevano preso a ingombrare il paesaggio tinteggiando di nero e bruno
l’intero suolo.
Meraviglioso. Aveva pensato in un primo
momento.
Più avanti, capendo che con simili asperità le loro
cavalcature presto non sarebbero più state capaci di trasportarli, la sua
meraviglia era scemata in una cupa preoccupazione.
Infine, dopo l’ennesimo attraversamento periglioso, Matnery si era voltato verso di loro.
“Dovremo procedere a piedi”.
Ma che bella notizia.
“Pensate di farcela?” sentì sussurrarle Hiras all’orecchio. Lei si irrigidì per poi annuire e
smontare.
Dei giorni passati in dormiveglia la Nihaar’ì ricordava ben poco. Alcune frasi sconnesse. Altre
parole ancor meno comprensibili. Eppure in qualche modo era certa che Hiras si sentisse in colpa per la sua situazione. E che Matnery fosse semplicemente a un passo dal perdere il
controllo sull’intera faccenda.
In silenzio i due presero a camminare dinanzi a lei,
il passo spedito mediato dalla rigidità di lunghe ore di cavalcata. Le vesti
scure parevano in qualche modo confondersi nella sfumatura grigia circostante.
In silenzio, un dolore vago in tutto il petto a minacciare di intensificarsi a
ogni passo, la Nihaar’ì si rassegnò ad andar loro
dietro.
Poteva ancora fidarsi?
Si chiese in un breve attimo di lucidità, il caldo
torrido che per un attimo si alienava dietro il profilo di una nuvola.
Di certo la situazione non le permetteva ampia scelta.
Ma se così non fosse stato, se davvero avesse potuto in qualche modo
scegliere....Prese fiato, si umettò le labbra, si passò il dorso
della mano sulla fronte...Era davvero saggio fidarsi di quei due?
Rabbrividì. Una sensazione di vuoto a darle quasi il
capogiro mentre suo malgrado si ritrovava a fermarsi.
Percepì Matnery arrestarsi
quasi nello stesso momento.
“State bene?”
Alzò lo sguardo su di lui per poi annuire titubante.
Poi annuì una seconda volta con più decisione.
“Volete fermarvi?” le chiese lui.
Scosse il capo.
No, sto bene. Avrebbe voluto dire. Ma
per qualche ragione non le riuscì di dirlo. Lui le rivolse una nuova occhiata
incerta, poi si strinse nelle spalle e riprese a camminare.
E infine venne la sera.
Preparata la parodia di un giaciglio, tutti e tre vi
crollarono dentro come sacchi vuoti, troppo stanchi persino per augurarsi un
buon sonno.
Il giorno dopo fu la prima a destarsi.
Aprì gli occhi e si tirò in fretta a sedere con la
medesima e improvvisa ansia di chi venga colto nell’atto di compiere una marachella.
Sbattè le
palpebre.
Non aveva sognato.
Si sorprese.
E pensò subito che fosse assai stupido che insieme al
senso di meraviglia e incredulità scaturite da quella constatazione vi fosse
anche una buona dose di tristezza e timore assieme.
Socchiuse le palpebre.
Non voleva pensare a quello ora.
Non in quel momento.
Ora l’unica cosa che davvero importava era giungere
alla città del cielo e tornare il più presto possibile da Zaphil.
Con lui, ne era certa, tutto sarebbe finalmente andato a posto.
La Città del Cielo non fu in vista se non dopo lunghi
e faticosi giorni di cammino.
Prima di quel momento il lento risalire di quota aveva
stemperato il caldo torrido e offerto di quando in quando la possibilità di
catturare qualche piccolo animale rintanato fra le rocce.
L’acqua continuava ovviamente a scarseggiare, ma già
poter mettere sotto i denti qualcosa che non fosse rancido o rinsecchito
contribuì a risollevare un poco l’animo generale.
In ogni caso, quando all’orizzonte si profilarono le
mura della città, il trio era ben più che esausto, il silenzio generale ad
accompagnare quella visione quasi che tutti e tre all’unisono avessero scorto
la loro fonte di salvezza.
La Città del Cielo, Vermayin nel
gergo di Arryan, era comunemente riconosciuta come la
più alta espressione architettonica di tutto il continente, celebrata come la
fortuita commistione di ingegneria ed espressione creativa.
Scavata nella roccia viva, si estendeva quasi a
precipizio per tutto il fianco orientale del Nemi ji
sah (Profilo del Vento), un monte celebre sia per
la forma verticale e aguzza ma anche per le sue pareti nere e solide. Le strade
e case erano state erette servendosi del medesimo materiale sottratto alla
montagna ma usando anche rocce di varia provenienza, motivo per cui in lontananza
Vermayin pareva quasi una mano grigiobianca
delicatamente poggiata a proteggere il Nemi ji sah dalle intemperie. Originariamente situata nella parte
più bassa dell’altopiano, si era col tempo innalzata per livelli (o gradoni)
indipendenti e collegati da strette scale in pietra facilmente distruttibili in
caso di assalto. La maggioranza degli spostamenti avvenivano tuttavia mediante
piattaforme a energia eolica: poste a intervalli regolari e su ogni livello,
immense Vele dalla forma elicoidale seguivano il costante sfilare del vento
lungo il bordo della montagna; convogliata la forza del loro moto vorticoso,
esso serviva per azionare gli ingranaggi degli “ascensori”.
Per un attimo la Nihaar’ì
non potè che rimanere immobile ad ammirare quella
gloriosa opera, incerta sul ricordare mai prima di quel momento eguale bellezza
racchiusa in altrettanto coraggio architettonico.
Quando fu certa di non avere alcuna memoria di simili
prodezze, volse lo sguardo ai suoi due accompagnatori trovandoli intenti nella
medesima constatazione.
“Cosa ne pensate?” le chiese Hiras
voltandosi verso di lei.
La Nihaar’ì si strinse nelle
spalle.
“E’ tanto diverso dalla Torre del Tempo da stentare a
credere che si tratti del medesimo mondo” replicò incerta.
Lui replicò il suo gesto.
“Questa è la seconda volta che percorro questa strada.
Anche allora Vermayin mi
sembrò la città più inquietante e bella che mi fosse capitato di vedere” lei
alzò appena un angolo del labbro.
“Più bella di Chermak?” lo
prese in giro.
“La loro bellezza è diversa. Per uno come me nato e
vissuto nel deserto, il fascino di Vermayin rimane
il più raro e sconosciuto di tutti”.
Non riuscirono a giungere alle porte della città lo
stesso giorno. Decisero quindi di accamparsi per la notte scegliendo un luogo
abbastanza distante dalla strada per evitare qualunque tipo di incontro.
A quell’altitudine il caldo del deserto aveva
finalmente ceduto il posto a un freddo sottile e via via più intenso che le ore
notturne li costrinse ad accendere un fuoco e scaldare su di esso qualche pezzo
di carne dall’odore acre. Quando tutti ebbero mangiato, Matnery
prese nuovamente parola.
“Domani giungeremo alla volta di Vermayin” esordì con tono severo “Quando arriveremo, vi chiedo
di prestare la massima cautela a tutto ciò che direte o farete fino a quando
non ci troveremo dinanzi alla Somma Sacerdotessa”
La Nihaar’ì si ritrovò ad
aggrottare appena le sopracciglia.
“Pensavo ci saremmo trovati fra amici” replicò un po’
stupita.
L’altro annuì lentamente “E’ così infatti” convenne
“Ma vi ricordo che in questo momento voi non siete la Nihaar’ì
scortata dalla sua Corte e preceduta da stuoli di messaggeri. Siete la Nihaar’ì giunta da chissà dove e accompagnata da due -ma
proprio due di numero- sconosciuti. Vestita di stracci e sporca al pari di una
mendicante qualunque”
Improvvisamente consapevole dello sguardo dei due
Danzatori su di sé, la Veggente non potè che muoversi
a disagio. Per qualche ragione si era quasi dimenticata di quanto ora dovesse
sembrare misera ai loro occhi...
“Capirete dunque che il vostro anonimato è
fondamentale fino a quando non ci troveremo dinanzi a coloro che sapranno
accogliervi e trattarvi come si conviene”
“La Somma Sacerdotessa” terminò per lui la Nihaar’ì
“La Somma Sacerdotessa” annuì Matnery.
Lei si morse il labbro, lo sguardo che calava sul
piccolo fuocherello posto fra loro seguendone solo distrattamente l’ardente
crepitare.
“Com’è la Somma Sacerdotessa?” chiese poi rivolgendosi
a Hiras. Lui alzò lo sguardo su di lei poi si strinse
nelle spalle.
“Potente” fu il suo unico commento.
Più o meno di lei? Si ritrovò suo malgrado a
domandarsi la Nihaar’ì prima di darsi mentalmente
della sciocca. Da quando in qua la Divinità doveva preoccuparsi del suo
primo sacerdote?
“La Somma Sacerdotessa è una donna influente” si
inserì Matnery “Come prima rappresentante del Culto
della Nihaar’ì raccoglie sotto il proprio dominio
tutti coloro che la Torre del Tempo non può raggiungere”
“E sono molti?” obiettò lei
“Abbastanza”
Abbastanza da poter essere un problema. Si ritrovò a formulare la Nihaar’ì presagendo i difficili passaggi che sarebbero occorsi per ritrovarsi finalmente dinanzi a quella figura.