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Autore: Elendil    04/08/2017    0 recensioni
Sequel del primo libro della saga "Nihaar'ì".
Le vicende di Harryan continuano ma i punti di vista ancora una volta cambiano. Il destino della Veggente prosegue con nuovi e improbabili risvolti!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’indomani Matnery accolse con gioia il suo risveglio, un genuino sollievo a sommarsi all’eguale fretta di rimettersi in viaggio.

I loro inseguitori, le disse, non si erano in effetti arresi e temeva che ulteriori rallentamenti non potessero far altro che esporli a inutili rischi.

Il che, proprio ora che ella stava nuovamente bene, sarebbe stato davvero un peccato.

Mentre caricavano gli ultimi bagagli lui aggiunse che già da qualche giorno avevano cominciato la risalita dei promontori in vista della Città del Cielo, motivo per cui l’averla nuovamente viva e agente avrebbe facilitato assai la loro possibilità di sostenere l’avanzata malgrado i pendii sempre più ripidi.

Guardandosi attorno, fu impossibile non dare ragione a Matnery: in qualche modo la piana del deserto pareva ora aver ceduto il passo a rocce e roccerelle che spinose di vento e bernoccoli risalivano da un terreno ora punteggiato di pietre brunite. Morbidi avvallamenti e conche disegnavano quella che inequivocabilmente pareva una risalita dolce ma costante.

La Nihaar’ì non potè che osservare ammirata quella sconosciuta difformità prima che il pratico Matnery le chiedesse gentilmente di collocarsi dinanzi a Hiras. Questi la accolse con un gesto sommesso, affatto familiare per la sua personalità.

Strano...

E così riprese il viaggio per quelli che - si sperava - sarebbero stati gli ultimi faticosi giorni prima di un assai meritato ristoro alla Città del Cielo.

Incerta, la Nihaar’ì si passò una mano dietro al collo. Fece una smorfia contrita quando le sue dita sfiorarono i morbidi bassorilievi sulla pelle. E rabbrividì, una fitta di bruciore e vertigine assieme che le facevano immediatamente girare la testa.

Dannazione.

Qualunque cosa fosse successa al suo corpo, non le piaceva. Non le piaceva sentirsi incredibilmente debole. Non le piaceva la sensazione di essere in qualche modo convalescente, come se nei giorni precedenti ella non avesse smaltito gli effetti negativi del marchio bensì una vera e propria malattia dagli effetti consuntivi.

Si passò la lingua sulle labbra inaridite.

Era smagrita. Quella la prima cosa che aveva notato mentre si massaggiava lo stomaco vuoto. E per qualche ragione la pelle delle sue braccia aveva assunto un che di grigiastro e malsano.

Improvvisamente si ritrovò a desiderare disperatamente uno specchio.

Lenta, l’avanzata dello Yenavo’r procedeva a ritmo regolare, la testa dell’animale china sulle rocce che man mano avevano preso a ingombrare il paesaggio tinteggiando di nero e bruno l’intero suolo.

Meraviglioso. Aveva pensato in un primo momento.

Più avanti, capendo che con simili asperità le loro cavalcature presto non sarebbero più state capaci di trasportarli, la sua meraviglia era scemata in una cupa preoccupazione.

Infine, dopo l’ennesimo attraversamento periglioso, Matnery si era voltato verso di loro.

“Dovremo procedere a piedi”.

Ma che bella notizia.

“Pensate di farcela?” sentì sussurrarle Hiras all’orecchio. Lei si irrigidì per poi annuire e smontare.

Dei giorni passati in dormiveglia la Nihaar’ì ricordava ben poco. Alcune frasi sconnesse. Altre parole ancor meno comprensibili. Eppure in qualche modo era certa che Hiras si sentisse in colpa per la sua situazione. E che Matnery fosse semplicemente a un passo dal perdere il controllo sull’intera faccenda.

In silenzio i due presero a camminare dinanzi a lei, il passo spedito mediato dalla rigidità di lunghe ore di cavalcata. Le vesti scure parevano in qualche modo confondersi nella sfumatura grigia circostante. In silenzio, un dolore vago in tutto il petto a minacciare di intensificarsi a ogni passo, la Nihaar’ì si rassegnò ad andar loro dietro.

Poteva ancora fidarsi?

Si chiese in un breve attimo di lucidità, il caldo torrido che per un attimo si alienava dietro il profilo di una nuvola.

Di certo la situazione non le permetteva ampia scelta. Ma se così non fosse stato, se davvero avesse potuto in qualche modo scegliere....Prese fiato, si umettò le labbra, si passò il dorso della mano sulla fronte...Era davvero saggio fidarsi di quei due?

Rabbrividì. Una sensazione di vuoto a darle quasi il capogiro mentre suo malgrado si ritrovava a fermarsi.

Percepì Matnery arrestarsi quasi nello stesso momento.

“State bene?”

Alzò lo sguardo su di lui per poi annuire titubante. Poi annuì una seconda volta con più decisione.

“Volete fermarvi?” le chiese lui.

Scosse il capo.

No, sto bene. Avrebbe voluto dire. Ma per qualche ragione non le riuscì di dirlo. Lui le rivolse una nuova occhiata incerta, poi si strinse nelle spalle e riprese a camminare.

E infine venne la sera.

Preparata la parodia di un giaciglio, tutti e tre vi crollarono dentro come sacchi vuoti, troppo stanchi persino per augurarsi un buon sonno.

 

Il giorno dopo fu la prima a destarsi.

Aprì gli occhi e si tirò in fretta a sedere con la medesima e improvvisa ansia di chi venga colto nell’atto di compiere una marachella.

Sbattè le palpebre.

Non aveva sognato.

Si sorprese.

E pensò subito che fosse assai stupido che insieme al senso di meraviglia e incredulità scaturite da quella constatazione vi fosse anche una buona dose di tristezza e timore assieme.

Socchiuse le palpebre.

Non voleva pensare a quello ora.

Non in quel momento.

Ora l’unica cosa che davvero importava era giungere alla città del cielo e tornare il più presto possibile da Zaphil. Con lui, ne era certa, tutto sarebbe finalmente andato a posto.

La Città del Cielo non fu in vista se non dopo lunghi e faticosi giorni di cammino.

Prima di quel momento il lento risalire di quota aveva stemperato il caldo torrido e offerto di quando in quando la possibilità di catturare qualche piccolo animale rintanato fra le rocce.

L’acqua continuava ovviamente a scarseggiare, ma già poter mettere sotto i denti qualcosa che non fosse rancido o rinsecchito contribuì a risollevare un poco l’animo generale.

In ogni caso, quando all’orizzonte si profilarono le mura della città, il trio era ben più che esausto, il silenzio generale ad accompagnare quella visione quasi che tutti e tre all’unisono avessero scorto la loro fonte di salvezza.

La Città del Cielo, Vermayin nel gergo di Arryan, era comunemente riconosciuta come la più alta espressione architettonica di tutto il continente, celebrata come la fortuita commistione di ingegneria ed espressione creativa.

Scavata nella roccia viva, si estendeva quasi a precipizio per tutto il fianco orientale del Nemi ji sah (Profilo del Vento), un monte celebre sia per la forma verticale e aguzza ma anche per le sue pareti nere e solide. Le strade e case erano state erette servendosi del medesimo materiale sottratto alla montagna ma usando anche rocce di varia provenienza, motivo per cui in lontananza Vermayin pareva quasi una mano grigiobianca delicatamente poggiata a proteggere il Nemi ji sah dalle intemperie. Originariamente situata nella parte più bassa dell’altopiano, si era col tempo innalzata per livelli (o gradoni) indipendenti e collegati da strette scale in pietra facilmente distruttibili in caso di assalto. La maggioranza degli spostamenti avvenivano tuttavia mediante piattaforme a energia eolica: poste a intervalli regolari e su ogni livello, immense Vele dalla forma elicoidale seguivano il costante sfilare del vento lungo il bordo della montagna; convogliata la forza del loro moto vorticoso, esso serviva per azionare gli ingranaggi degli “ascensori”.

Per un attimo la Nihaar’ì non potè che rimanere immobile ad ammirare quella gloriosa opera, incerta sul ricordare mai prima di quel momento eguale bellezza racchiusa in altrettanto coraggio architettonico.

Quando fu certa di non avere alcuna memoria di simili prodezze, volse lo sguardo ai suoi due accompagnatori trovandoli intenti nella medesima constatazione.

“Cosa ne pensate?” le chiese Hiras voltandosi verso di lei.

La Nihaar’ì si strinse nelle spalle.

“E’ tanto diverso dalla Torre del Tempo da stentare a credere che si tratti del medesimo mondo” replicò incerta.

Lui replicò il suo gesto.

“Questa è la seconda volta che percorro questa strada. Anche allora Vermayin mi sembrò la città più inquietante e bella che mi fosse capitato di vedere” lei alzò appena un angolo del labbro.

“Più bella di Chermak?” lo prese in giro.

“La loro bellezza è diversa. Per uno come me nato e vissuto nel deserto, il fascino di Vermayin rimane il più raro e sconosciuto di tutti”.

 

Non riuscirono a giungere alle porte della città lo stesso giorno. Decisero quindi di accamparsi per la notte scegliendo un luogo abbastanza distante dalla strada per evitare qualunque tipo di incontro.

A quell’altitudine il caldo del deserto aveva finalmente ceduto il posto a un freddo sottile e via via più intenso che le ore notturne li costrinse ad accendere un fuoco e scaldare su di esso qualche pezzo di carne dall’odore acre. Quando tutti ebbero mangiato, Matnery prese nuovamente parola.

“Domani giungeremo alla volta di Vermayin” esordì con tono severo “Quando arriveremo, vi chiedo di prestare la massima cautela a tutto ciò che direte o farete fino a quando non ci troveremo dinanzi alla Somma Sacerdotessa”

La Nihaar’ì si ritrovò ad aggrottare appena le sopracciglia.

“Pensavo ci saremmo trovati fra amici” replicò un po’ stupita.

L’altro annuì lentamente “E’ così infatti” convenne “Ma vi ricordo che in questo momento voi non siete la Nihaar’ì scortata dalla sua Corte e preceduta da stuoli di messaggeri. Siete la Nihaar’ì giunta da chissà dove e accompagnata da due -ma proprio due di numero- sconosciuti. Vestita di stracci e sporca al pari di una mendicante qualunque”

Improvvisamente consapevole dello sguardo dei due Danzatori su di sé, la Veggente non potè che muoversi a disagio. Per qualche ragione si era quasi dimenticata di quanto ora dovesse sembrare misera ai loro occhi...

“Capirete dunque che il vostro anonimato è fondamentale fino a quando non ci troveremo dinanzi a coloro che sapranno accogliervi e trattarvi come si conviene”

“La Somma Sacerdotessa” terminò per lui la Nihaar’ì

“La Somma Sacerdotessa” annuì Matnery.

Lei si morse il labbro, lo sguardo che calava sul piccolo fuocherello posto fra loro seguendone solo distrattamente l’ardente crepitare.

“Com’è la Somma Sacerdotessa?” chiese poi rivolgendosi a Hiras. Lui alzò lo sguardo su di lei poi si strinse nelle spalle.  

“Potente” fu il suo unico commento.

Più o meno di lei? Si ritrovò suo malgrado a domandarsi la Nihaar’ì prima di darsi mentalmente della sciocca. Da quando in qua la Divinità doveva preoccuparsi del suo primo sacerdote?

“La Somma Sacerdotessa è una donna influente” si inserì Matnery “Come prima rappresentante del Culto della Nihaar’ì raccoglie sotto il proprio dominio tutti coloro che la Torre del Tempo non può raggiungere”

“E sono molti?” obiettò lei

“Abbastanza”

Abbastanza da poter essere un problema. Si ritrovò a formulare la Nihaar’ì presagendo i difficili passaggi che sarebbero occorsi per ritrovarsi finalmente dinanzi a quella figura.

  
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