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Autore: rocchi68    04/08/2017    7 recensioni
“La giovinezza è sia una bugia, che un male. Quelli che elogiano la giovinezza stanno solo ingannando se stessi e chi gli sta vicino. Credono che quelli che gli stanno attorno approvino sempre gli atti che compiono.
Usando la parola giovinezza, loro alterano e stravolgono il buonsenso e qualsiasi cosa ci sia di logico.
Per loro bugie, segreti, peccati e insuccessi non fanno altro che aggiungere pepe alla loro giovinezza.
Se il fallimento è il simbolo dell’essere giovani come dicono, allora qualcuno che non è riuscito a farsi degli amici dovrebbe essere all’apice della sua giovinezza, giusto?
Ma di certo, nessuno di loro lo ammetterebbe mai perché tutto deve andare come più gli torna comodo.
Per concludere: gli idioti che si godono la loro gioventù dovrebbero suicidarsi”.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Scott, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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La biblioteca della scuola era il luogo perfetto per scrivere e per allontanarsi dal mondo che lo circondava.
In quegli anni aveva sempre scelto il tavolo più separato dagli altri e quello che gli permetteva di scrutare le persone con la sua solita aria apatica e di sufficienza.
“Parla del periodo delle superiori.”
Era questo il tema che il professore di letteratura moderna gli aveva assegnato.
Se paragonati ai temi che i suoi compagni presentavano con orgoglio, la sua opera era di una scarsità estrema.
Non lo aveva neppure riletto e percorse i pochi metri che lo separavano dallo studio, pensando a tutt’altro.
Era entrato nella sala muovendosi come un automa e aveva appoggiato il foglio su una serie di compiti.
Il suo, rispetto agli altri, era l’elaborato che giungeva sempre in ritardo e che rappresentava solo un contentino per tutti i suoi sforzi.
Perfino all’unico esame sostenuto, gli era risultato difficile far scorrere la penna sul foglio e questo perché ogni cosa tendeva ad annoiarlo.
Comunque non dovette perdersi troppo nei ricordi, dato che il vecchio prof prese subito tra le mani il suo compito e iniziò a studiarlo con attenzione.
“La giovinezza è sia una bugia, che un male. Quelli che elogiano la giovinezza stanno solo ingannando se stessi e chi gli sta vicino. Credono che quelli che gli stanno attorno approvino sempre gli atti che compiono.
Usando la parola giovinezza, loro alterano e stravolgono il buonsenso e qualsiasi cosa ci sia di logico.
Per loro bugie, segreti, peccati e insuccessi non fanno altro che aggiungere pepe alla loro giovinezza.
Se il fallimento è il simbolo dell’essere giovani come dicono, allora qualcuno che non è riuscito a farsi degli amici dovrebbe essere all’apice della sua giovinezza, giusto?
Ma di certo, nessuno di loro lo ammetterebbe mai perché tutto deve andare come più gli torna comodo.
Per concludere: gli idioti che si godono la loro gioventù dovrebbero suicidarsi”.
 
Sapeva bene che il professore non ne sarebbe stato soddisfatto e infatti quando alzò lo sguardo dal foglio, gli piantò uno sguardo demoniaco.
“Sei tu quello che dovrebbe uccidersi.” Borbottò l’uomo, scontrandosi con il silenzio dell’allievo.
“Qual era il compito che vi ho assegnato, lo ricordi?”
“Le nostre riflessioni sulle superiori.”
“E questo cosa centrerebbe con il compito?” Chiese l’uomo, appoggiando il foglio sulla cattedra.
“La mano si è mossa da sola.”
“E il cervello dov’era?”
“Non sono tutti così i liceali della mia età?” Soffiò, senza rispondere alla provocazione del professore.
L’uomo, quindi, allungò una sedia verso l’allievo e lo invitò a sedersi per parlare con calma.
Passi per il compito penoso che aveva portato, ma c’era ancora qualcosa di cui doveva essere a conoscenza. Una cosa che avrebbe notato se non fosse rimasto scazzato e disinteressato per tutte quelle settimane.
“E cosa ne pensi della gita?”
“Siamo già in settembre?” Chiese il giovane, gettando la cartella al suolo senza preoccuparsi di distruggere qualcosa.
“Siamo quasi in ottobre.” Lo corresse l’uomo, sistemando la sua amata e folta chioma.
“Non me ne sono nemmeno accorto.”
“Ne sono convinto.” Sbuffò il professore.
“È tutto così noioso.”
“Anche la gita?”
“Tutti decidono cosa sia meglio per i loro amici e per loro stessi, ma non avendo nessuno da considerare perché dovrei preoccuparmi?”
“Perché è la tua classe.” Gli rispose l’uomo.
“Non sono stato io a chiedere una classe simile.”
“Che moccioso insolente.”
“Moccioso?” Chiese infastidito, contorcendo le labbra a formare un ghigno poco rassicurante.
“Uno che parla così è solo un bambino.”
“Chi ha vinto infine?”
“Le ragazze.”
“Di andarsi a impiccare o di farsi una nuotata con i piranha?” Borbottò serafico senza aspettarsi una reazione dall’uomo.
“In montagna ovviamente.”
“Quindi il congelamento…come sospettavo.”
“Lo sai che sei un moccioso interessante?” Gli chiese il professore, facendogli scrollare le spalle.
Di quello che pensava, gl’importava relativamente e anzi a dirla tutta non era nemmeno una voce da considerare troppo.
Infatti era tornato quasi subito a ignorarlo.
Non aveva nemmeno ascoltato il resto delle sue parole che spingevano la sua bocca a muoversi freneticamente. Il giovane si chiedeva cosa ci fosse di così importante in tutto quel ciarlare inutile.
In fin dei conti si trattava solo di una stupida gita a cui era obbligato partecipare.
Tutta colpa della vecchia iena con cui divideva la casa e che l’aveva convinto a smuovere il culo per fare nuove esperienze di vita.
A tal riguardo non aveva nulla da ridire, o meglio aveva altro su cui ridire.
Per esempio il periodo scelto per andare in montagna: gennaio non era e non sarebbe mai stato il mese adatto a lui. Troppo freddo e noioso per prendere in mano un paio di sci in affitto con cui sbattere contro qualcosa.
Però nemmeno il mare, con la remota possibilità di un bagno ghiacciato da polmonite, lo attirava poi molto.
Esclusi questi elementi su cui poteva anche sorvolare, c’era un’altra cosa che lo seccava e che faceva rima con compagni di classe.
Alcuni sarebbero stati da uccidere fin dalla nascita, mentre altri sarebbero stati da imprigionare solo per il fatto di respirare.
Era per questo che tra mare e montagna non vedeva nulla di buono. Entrambi erano dei mali che non lo avrebbero guarito.
Questa era la cosa peggiore, insieme al viaggiare con dei tizi con cui aveva scambiato ben poche parole in quei 4 anni di scuola.
Un’eternità che l’aveva sempre visto indossare i panni dell’emarginato senza speranze e abulicamente annoiato.
“In ogni classe c’è un fantasma di cui nessuno si ricorderà mai e che vorrebbe solo svanire nel nulla.”
Era questo il suo credo e non lo avrebbe mai rinnegato.
 
Fu quando sentì una mano sulla spalla e notò un foglio che gli veniva sventolato a pochi centimetri dagli occhi che si ridestò.
Non durò molto e presto il suo sguardo ritornò ad essere grigio e vuoto come al solito.
Se qualcuno gli avesse chiesto perché era solo, lui avrebbe risposto che nella solitudine si sentiva perfettamente a suo agio.
Dopotutto anche a questo riguardo aveva qualche motto che sbuffava, di tanto in tanto, lungo i corridoi deserti della scuola.
“Se non facessi compagnia alla solitudine, essa si sentirebbe sola.”
Ciò però contrastava le intenzioni del professore che voleva che tutti avessero qualcuno cui fare affidamento.
Qualcuno a cui confessare qualche timore, segreto o difficoltà.
Come se per Scott questo fosse importante.
Il ragazzo era cresciuto con l’insegnamento, utile o dannoso, ancora non l’aveva capito, che per diventare qualcuno bisognava pur affrontare da solo i propri demoni.
E i demoni o problemi erano delle grandi difficoltà in teoria insormontabili, ma che all’atto pratico non valevano nulla.
Era questo il suo pensiero fisso e non sembrava nemmeno troppo lontano dalla realtà.
Queste riflessioni, però, tendevano a scontrarsi con il vecchio McLean che in questi casi si trasformava nella sua nemesi.
Chris voleva spingerlo verso una direzione diversa, senza considerare che proprio le diversità rendevano interessante quello scorbutico moccioso.
E con quel programma di cui era venuto a conoscenza sperava vivamente d’insegnare qualcosa al suo allievo.
Assunse infatti uno sguardo fiero e orgoglioso per quell’intuizione improvvisa, immaginando che lui non ne sapesse nulla.
Del resto se non ne era venuto a conoscenza durante i suoi riposini rilassanti, perché doveva saperne qualcosa?
“Credo che questa attività possa aiutarti.” Ammise, mentre il ragazzo imprecava mentalmente, rafforzando la sua teoria sulle delusioni.
“Non aspettarti qualcosa dal mondo, se ti ferisce e soffri, questo ti deluderà ancora.”
Il ragazzo annuì appena, mentre l’uomo si rimetteva in piedi.
Scott aveva intuito che doveva seguirlo, infatti si ritrovò a salire alcune rampe di scale e giunse davanti alla porta di uno strano club.
Da fuori sembrava noioso e assolutamente evitabile, ma la figura dinnanzi a sé non era dello stesso avviso.
“Questo è il club del Volontariato e da oggi ne sei membro.”
“Come?” Chiese semplicemente.
“Credo che questo club possa farti crescere e non accetterò un no come risposta, se prima non riuscirai ad aiutare almeno 3 persone.”
“Ci metterò un secolo.” Borbottò il ragazzo, cacciando le mani nelle tasche dei jeans e fissando il professore con sguardo scazzato.
Non c’era nemmeno bisogno che lo chiedesse, tanto quel maledetto avrebbe aperto la porta per lui e avrebbe fatto le dovute presentazioni con quelli presenti nel club.
 
La porta cigolò sui cardini e mostrò con orgoglio l’interno dell’aula.
Era spoglia e insignificante.
Un solo tavolo nel centro della sala con alcune sedie intorno e un mucchio di scatoloni nel fondo che contenevano cianfrusaglie da buttare.
Su una delle sedie era seduta una ragazzina intenta a leggere che si scompose solo nel sentir tossicchiare il professore.
Quella richiuse il libro e rialzò lo sguardo, sorprendendosi per quella visita insolita.
“Prof McLean.” Soffiò, alzandosi in piedi.
“Signorina Dawn come vanno le cose?”
“Quante volte le ho detto di bussare?”
“Non rispondi mai quando busso.” Brontolò il professore.
“Perché non aspetta una risposta prima di entrare.”
“Sono qui per affidarti un ragazzo che ti tornerà utile. Dovresti conoscerlo, vero?” Alzò leggermente la voce, indicando l’allievo.
“Certo.”
“Volevo avvertirti che, da oggi, il signor Scott farà parte del suo club.”
“Vecchiaccio.” Borbottò l’interessato, evitando di farsi sentire.
Scott inizialmente ascoltò la ragazza parlare con il professore e poi volse la sua attenzione altrove.
Non c’era nulla in quel club che attirasse la sua attenzione.
Tutto era dannatamente monotono.
La stessa Dawn era così.
Non aveva alcuna dote particolare.
Parlava a vanvera con le sue amiche, si chiudeva nel suo mondo fatto di menzogne, sorrideva e si faceva vedere di buonumore.
Come se gli importasse qualcosa della sua vita.
Eppure era la compagna di classe che, almeno in teoria, doveva conoscere meglio. La persecuzione a suo carico era iniziata alle elementari e alle superiori era ancora intatta.
Si risvegliò, per la seconda volta in quel pomeriggio, solo quando avvertì la mano del professore a stritolargli i nervi della spalla.
“Buona fortuna.” Disse, uscendo e sbattendo la porta, lasciando in Scott un piccolo dubbio.
A chi era rivolto quell’augurio?
Non si preoccupò troppo di formulare una risposta valida: gettò la cartella al suolo e si sedette tranquillamente.
Di certo non voleva fare conversazione e avrebbe aspettato pazientemente che le ultime 2 ore scivolassero via.
L’unica attività sensata era dormire ed estraniarsi dal mondo falso e malvagio che lo circondava.
 
Era già quasi passato tutto quel pomeriggio, prima che lui si risvegliasse.
Quella, secondo Scott, era rimasta a leggere per tutto il tempo quel volumetto nero dal titolo argentato e con la figura di un salice piangente, mentre lui cercava di capire cosa centrasse lei con il club.
Era assurdo che una delle ragazze più popolari e apprezzate della scuola venisse costretta a partecipare a delle attività tanto inutili.
Un simile pensiero poteva sposarsi bene per lui che era l’antisocialità e misantropia fatta persona, ma non per lei.
“Da quanto?”
Scott non rispose e continuò a fissare il nulla della parete scrostata che aveva davanti a sé.
Non aveva mai fatto conversazione con nessuno e non voleva di certo iniziare ora.
“Quanti anni sono che non parli con una ragazza?”
Il giovane non considerò quella domanda come necessaria di spiegazioni e rimase fedele al suo silenzio.
“Questo club esiste per i ragazzi che ne hanno bisogno e dato che mi è stato chiesto di aiutarti, sei sotto la mia responsabilità.”
Scott non si scompose.
Continuò a fissare l’orologio sulla parete e solo quando l’ora scoccò, decise di rimettersi in piedi.
“Perché non parli? Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?”
Era convinto che non dovesse abbassarsi al suo livello e raccolta la borsa, se ne andò senza nemmeno salutarla.
Non aveva motivo d’odiarla, ma nemmeno d’apprezzarla se per questo.
Quello era semplicemente il suo carattere.
Se non parlava con nessuno era solo perché non aveva nulla d’importante da dire.
Non gl’importava se la conosceva da anni.
Lui non l’avrebbe mai sopportata.
Lei era troppo popolare per abbassarsi al livello di un fantasma insignificante.
Troppo intelligente per dibattere con un mediocre che usava il cervello solo quando voleva ottenere qualcosa.
Troppo furba per stare con uno scapestrato che causava solo problemi e che poteva manipolare anche i professori.
Dopotutto Scott sapeva di essere il peggiore della classe, se non della scuola, ma se a nessuno importava, perché doveva preoccuparsi lui per primo?
Se qualcuno avesse avuto a cuore il suo futuro, quel qualcuno avrebbe dovuto toglierlo dalla cattiva strada, ma essendo tutti dotati di una vista oscurata e che filtrava solo le persone comode alla loro reputazione, Scott diventava ingombrante e insignificante.
Nessuno mai avrebbe alzato un dito per aiutarlo.
Lo avrebbero sempre considerato un essere inferiore, talmente inferiore da essere in grado di studiare ogni cosa nel dettaglio e capace di evitare problemi che non lo avrebbero mai riguardato da vicino.
E così sarebbe stato per tutto il resto della sua vita.
Anche nel mondo del lavoro voleva usare la stessa tattica: sacrificare i colleghi stolti e parassiti per giungere in vetta.
La scalata avrebbe dimostrato quanto un essere insignificante non debba mai essere considerato stupido.
Perso nei suoi pensieri, percorse il lungo corridoio e varcò il cancello.
Per tutto il tragitto non fece nulla di particolare, se non osservare con sufficienza le persone che incrociava sul suo cammino.
Giunto ad una serie di palazzoni, girò a sinistra ed entrò per delle stradine poco raccomandabili. Si trattava solo di alcune scorciatoie che sfruttava da anni.
Nessuno mai lo aveva disturbato, tanto era insignificante per i criminali del posto.
Non aveva nulla da offrire, se non uno sguardo apatico che rovinava la giornata alle persone che lo circondavano. 
 
Erano circa le 17, quando rientrò a casa.
Fissò con sufficienza la sorella che era tornata in mattinata dal viaggio in Cina, mentre questa lo abbracciava con forza.
Se non fossero stati parenti, nemmeno con lei avrebbe aperto bocca.
“Tutto bene fratellino?” Chiese la ragazza, invitandolo a sedersi sul divano.
“Sì.”
“Non sembra.”
“McLean e il suo club.”
“Ti sei fatto fregare da quel prof psicopatico?” Domandò lei con il sorriso tra le labbra.
“Già.”
“E dimmi, c’è qualche bella ragazza nel club?”
“Non so.”
“Ma hai dormito per tutto il tempo?” Chiese perplessa la giovane.
“Con Dawn è normale.”
“Quindi una ragazza c’è.” Constatò la sorella.
“La odio.”
“Finché consideri tutte le persone del mondo come delle perdite di tempo è normale non trovare nulla d’interessante.”
“Che noia.” Sbottò il ragazzo.
“Non hai prestato attenzione, vero?” Sbuffò, ben sapendo che lui era troppo preso dai suoi complicati pensieri per ascoltarla.
Alberta avrebbe tanto voluto sapere il motivo che teneva il fratellino sempre sotto pressione.
C’era sempre qualcosa che ronzava nella sua testa, ma il non conoscere se queste sue idee fossero positive o negative la faceva impazzire.
Nemmeno la madre, spesso assente per motivi di lavoro, poteva essere di molto aiuto.
Quando tornava, lei si chiudeva in camera per dormire e il dialogo si concludeva con poche battute.
Alberta non voleva essere al posto di Scott. Restare con una persona che ti fa sentire ancora più solo sarebbe stato parecchio demoralizzante.
La ragazza si era preparata ad una certa risposta, ma non immaginava che essa potesse essere così tagliente e disinteressata.
“Sei noiosa Alberta. Perché non esci con il tuo ragazzo?”
Quella semplice domanda l’aveva ferita.
Scott riusciva sempre a farla arrabbiare e se ne fregava altamente della sua vita, anche se per un breve periodo non era stato così.
Aveva provato ad essere normale, ma gli era sembrato d’essere alquanto ridicolo in quei panni insoliti.
“Sono tornata dopo 5 mesi e quello che mi consigli è di andarmene?” Domandò alterata, scontrando i suoi occhi fiammeggianti con quelli apatici del fratello.
“Non sono stato io a chiederti di tornare. Potevi anche rimanere in Cina…per quello che m’importa.”
“Sei solo un ingrato.”
“Forse.” Borbottò il ragazzo, facendole intuire che era molto meglio accontentarlo.
Quando era in quegli stati era saggio scappare lontani, giusto per non litigare e per non avere la reputazione compromessa per un eventuale omicidio.
Alberta aveva, quindi, deciso di accontentarlo e di tornare dal suo Lucas.
Presa la borsa, raccolto il cellulare e le chiavi che aveva sul tavolino, si fermò per osservare il fratello che era disteso sul divano.
“Prima che tu esca…”
“Sì?” Domandò la giovane, sperando che chiedesse scusa.
“Passa per il centro e prendi un paio di ciambelle.”
“Stronzo!” Urlò lei, sbattendo la porta con rabbia e facendolo sorridere appena.
 



Angolo autore:

Ryuk: Come promesso eccoci con una nuova storia.

Ci accompagnerà per un po' di tempo.

Ryuk: Nelle indicazioni è riportata la presenza di quasi tutti i personaggi, anche se non è così.

La loro presenza è legata al club.

Ryuk: Ci scusiamo per eventuali errori e vi confermiamo l'aggiornamento per martedì.

A differenza di Moments non ci saranno molti momenti romantici.

Ryuk: Ma ci saranno.

Rari e molto in là con il tempo.
Non ho nulla da aggiungere (il rischio spoiler è elevato) e spero che la storia vi piaccia e che vi spinga a recensire/seguire il tutto.
Alla prossima!
   
 
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