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Autore: GoatLord    06/08/2017    2 recensioni
Nelle rovine della città nanica di Arkngthamz uno spirito solo e abbandonato si aggira, infestando ciò che rimane del una volta glorioso luogo e viaggiando nel passato.
One shot su un personaggio che subito mi aveva colpito per la sua particolare storia e il suo ruolo, fatemi sapere cosa ne pensate. :)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- “Che giorno è? Che ora è? Che anno è?
Ormai non ne ho la più pallida idea.”


Così sospirò il fantasma, mentre ponderava osservando la voragine che anni prima le si era aperta sotto ai piedi, la stessa voragine che si era divorata la sua vita.
Quante ne aveva viste, nei suoi viaggi passati?
Katria aveva viaggiato in lungo e in largo per Skyrim, Hammerfell, persino Morrowind, attratta da ciò che i Dwemer si erano lasciati alle spalle, come una falena lo è alla luna: la sua luna era l'Eterio.
Il minerale su cui aveva passato venti anni del suo tempo mortale, vent'anni alla ricerca di questo tesoro mai visto da occhio umano o elfico, per secoli.
Il fantasma si aggirava silenziosamente e malinconicamente attraverso le stanze della gloriosa – almeno un tempo – città nanica di Arkngthamz. Tanti erano i suoi cuniculi, poiché la struttura si espandeva su differenti livelli, come ogni città nanica del resto, e lo spirito era stato maledetto a rimanervici intrappolato, incapace di fuggire o di interagire col mondo esterno: di esso, rimaneva solo uno sbiadito ricordo...
E mentre passeggiava sui sottili strati di terra che torreggiavano le cascate del luogo, la sua mente vagava, e nei suoi viaggi rivedeva Morrowind: un tempo gloriosa regione, ora nient'altro che una landa di cenere e desolazione.
Proprio in quella desolazione era stata condotta, tempo prima, dalla sua brama di successo e la sua ossessione per i Dwemer.
Una rovina nanica situata dall'altro lato delle montagne Velothi, un posto che ormai era stato eliminato da ogni ricordo mortale, un posto così isolato che ormai era senza tempo. Quanto ne era passato? Il posto giaceva immobile, sepolto sotto ad uno spesso strato di neve che richiese settimane di lavoro per essere rimosso, dalla spedizione organizzata proprio da lei, quando ancora era velata dalla carne, e un elfo scuro di nome Taron Dreth.

- “Taron Dreth...”

Quel nome le risvegliava una rabbia incandescente che covava ancora ora, dopo aver superato il sottile velo che divide vita e morte.
Dopo che finalmente erano riusciti a penetrare all'interno di quel letale luogo, uno spettacolo magnifico si mostrò d'innanzi ai loro occhi: una biblioteca Dwemer perfettamente conservata, che un tempo apparteneva al grande scienziato Mzund, inventore dell'elmo che porta il suo stesso nome, una reliquia che stando alle sue parole era in grado di consentire a chi la indossava di trasformare il respiro in letale vapore. Dove adesso alberghi questo elmo è però un mistero, un mistero che non aveva scelto gli occhi della donna per denudarsi delle sue vesti di incomprensione.
Il suo destino era inevitabilmente ancorato a ciò che venne a sapere fra quegli indecifrabili tomi, la scoperta che avrebbe consacrato il suo nome e l'avrebbe consegnato alla storia, possibilmente come fondamentale per lo sviluppo della tecnologia, o almeno sullo studio della tecnologia Dwemer.
Altri giorni di duro lavoro, non più fisico, ma intellettuale attesero lei e l'elfo all'interno di quel pericoloso ma affascinante covo di conoscenza perduta e ritrovata. Parte della spedizione li aveva momentaneamente abbandonati per portare provviste, da tanto erano stati coinvolti nella traduzione di un paio di volumi che se ne stavano lì, in bella vista, quasi comunicassero una conoscenza superiore agli altri.
Ovviamente tutti ciò non arrivò senza un caro prezzo; alcuni mercenari persero la vita a causa delle mortali macchine e gli altri erano ormai demoralizzati.

- “Già allora avrei dovuto capirlo...” – sussurra con voce di chi ormai è privo di ogni potere, mentre alza lo sguardo e osserva l'imponente struttura che in vita non era riuscita ad aprire, con uno sguardo di dolcezza rivolto a coloro che come lei erano morti provandoci. Ma loro, loro non erano tornati indietro...

Lei bramava gloria e successo, e questa sua sete le impediva di vedere chi aveva intorno; tuttavia, aveva anche un animo gentile per natura, e come ogni nord che si rispetti, si prendeva cura dei suoi compagni.
Lui no. A lui non interessavano. Altre pedine da sacrificare per la sua ricerca.
Dopo giorni passati con la schiena china sui libri, riuscirono ad estrarre alcuni nomi, alcune frasi che raccontavano una storia, nomi che parlavano di possibili rovine.
Una breve discussione, la conferma di una teoria.
Si salutarono per la notte ma lei continuò a scrivere tutto in alcuni suoi diari, e segnò posti sulla sua mappa.
I tomi parlavano di una guerra, una guerra fra quattro grandi città che aveva indebolito la popolazione nanica, una guerra scaturita da una brama di potere simile a quella che lei ha per la fama, una guerra per l'eterio, minerale che tuttora è un mistero persino per le più acute menti mortali. Non si sa come fonderlo, come usarlo nei processi alchemici, come romperlo, come incantarlo.
E' lì, la sua potenza non è un mistero e ogni anima che si avvicina la percepisce, tuttavia è lì e rimane lì come il mistero che è.
Si parlava di una Forgia, un luogo dove lavorare l'eterio preso dagli abissi di Skyrim, e di come queste quattro città coinvolte nella forgiatura di armi con questo materiale, armi di cui si parla nelle leggende come in grado di rendere invincibili coloro che le impugnano, si diedero la guerra per conquistarla, indebolendosi con il passare del tempo.
Le teorie che all'epoca circolavano attribuivano la sconfitta di queste città al re nordico Gellir, benedetto da Shor, ma tuttavia rimanevano parecchi dubbi. Come poteva un umano, sebbene genio tattico, riuscire a tirare giù quattro delle più gloriose città naniche?
Aveva trovato il suo passaggio per entrare dritta nella storia, per essere unta dal prestigio e dalla stima di una legione intera di studiosi. O così credeva...

- “Sono stata una folle a credere di esserci riuscita...”

Nel sonno venne accoltellata dall'elfo, che eliminò tutto il resto della spedizione e fuggì con i suoi appunti, lasciando a lei soltanto la mappa.
Tuttavia, egli fallì nel toglierle la vita. Appena ripresa conoscenza, cerco di rimediare alla ferita bevendo una pozione e riuscì a ricongiungersi con un altro sopravvissuto: assieme, iniziarono ad inseguire Taron.
A cavallo seguì le tracce dell'elfo fino a Skyrim, convinta che si stesse dirigendo dallo studioso Cancelmo per proclamare la sua scoperta, ma la ferita era troppo profonda e necessitava di una medicazione più consistente. Fuori da Windhelm svenne e fu ritrovata da alcuni contadini che prontamente la portarono alla Fiala Bianca, per essere medicata. La sua convalescenza durò due settimane, e intanto il suo compagno, scoraggiato l'aveva abbandonata perché ormai convinto che non ce l'avrebbero fatta.
Priva di una quantità sufficiente di denaro per organizzare un'altra spedizione, e ormai senza il supporto di nessun benefattore, decise di rimanere a Windhelm. La motivazione mancava e fu dunque una lunga permanenza di sei mesi nel feudo dell'Eastmarch, cercando di risvegliare l'interesse del mago di corte e di Ulfric, quest'ultimo sempre più preso dalla guerra civile.
Nessuno era interessato alle sue scoperte, e Cancelmo nemmeno rispondeva più alle sue lettere tale era ormai il suo disinteresse.
Sei mesi passati nell'assenza di speranze più totale, finché un giorno non trovò un libro.

“Le guerre dell'Eterio”, e con una paura profonda mescolata ad un'enorme incredulità, aprì la prima pagina.
“di Taron Dreth,
dedicato a Katria, mia confidente e collega.”

- “No. Non può essere vero” – scagliò con forza il libro lontano da sé, quasi fosse maledetto – “Quel maledetto elfo... Quel viscido pelle grigia...” - le aveva rubato la scoperta.
Più decisa che mai e con il poco denaro che aveva accumulato, tirò fuori la mappa che per sei mesi marciva in qualche angolo della sua camera nella locanda e subito si ricordò di tutto, dei tomi, della guerra, della SUA scoperta.
- “Lui ha solo una teoria” – cercava di rassicurarsi, parlando con tono rabbioso a sé – “Lui ha solo una teoria ma non ha una prova, non ha niente che dimostri che ciò che dice sia vero.”
Cinque posti erano stati segnati, sparsi per tutta Skyrim e numerati sei mesi prima. Decise di partire dal primo, le rovine della città di Arkngthamz, situate in una zona sperduta e pericolosa del Reach.
Partì da sola questa volta, tale era la sua paura di essere tradita ancora.
In viaggio per il Reach, si accampò per la notte e ne approfittò per sfogarsi della sua rabbia, per liberare la mente. Dopotutto, un guerriero arrabbiato commette più errori di un combattente freddo.
Prese un diario vuoto, e incominciò a scrivere:
- “17, luce del cielo
Che quel meschino elfo sia maledetto! Ha rubato i miei appunti, le mie scoperte, e le ha pubblicate a suo nome! Vent'anni della mia vita trascorsi a scavare in quelle rovine e cosa ho ottenuto? Una dedica? Un ringraziamento? 'Confidente e collega' un corno! Si è preso gioco di me!

Staremo a vedere chi riderà per ultimo... Taron avrà anche le mie ricerche, ma non ha prove, non ancora. Se riesco a trovare la Forgia prima di lui, potrò rivelare al mondo intero le mie scoperte, non le sue!”

- “Le mie, non le sue... Possibile che sia stato questo il mio peccato? Possibile che avrei dovuto semplicemente gioire perché questa conoscenza fosse stata donata al mondo, e non torturarmi perché non ero stata io la donatrice?” -
Mormorava il fantasma, con ancora più malinconia, osservando in lontananza il suo arco Zephyr. Un compagno di avventure che tuttavia era rimasto sempre fedele, e ancora adesso dopo tutto questo tempo stava lì, nel luogo dove la sua padrona l'aveva lasciato, penzolante da un ramo.

Nel diario annotò tutto ciò che sapeva: luoghi, descrizione dei luoghi e pensieri.
Giunta a destinazione, fece altrettanto.
- “22 di Ultimo Seme,
Arkngthamz. La mia mappa sarà anche stata approssimativa, ma mi ha condotto qui. Dopotutto, qualcosa deve pur esserci.”

Sebbene queste parole sembravano scritte da una mano guidata dalla speranza, nel suo cuore ella sapeva che era più disperazione, una disperazione tale da spingerla in una corsa contro il tempo per dimostrare al mondo che in qualche modo, lei c'era. Che lei aveva fatto la differenza.

E mentre lo spirito stava lentamente scendendo per la città, percorrendo con la memoria dei ricordi che erano un pochino più coloriti degli altri, la sua vista venne catturata dai falmer che abitavano il posto e tutte le altre trappole che era riuscita a superare. - “Dopotutto, qualcosa c'era davvero stato, e qualcosa io ero riuscita a sconfiggere.” - sospirò, in un vano tentativo di consolarsi.

Combatteva nemici viventi o meccanici senza battere ciglio, impavida, coraggiosa. Agitava i suoi due pugnali spargendo morte e sangue a destra e a manca, e con il suo arco sconfiggeva legioni di automi nanici. Nel suo cuore la paura del destino a cui sarebbe stata condannata era più grande di quella della morte, poiché tutti muoiono e inevitabilmente vengono dimenticati, ma a pochi è concessa l'opportunità di rimanere nella memoria, e quell'opportunità che le aveva riempito il cuore di gioia le era ora stata strappata dal petto. Una seconda morte.
I suoi appunti indicavano la posizione della Forgia, ma per accedervi necessitava di una chiave composta da quattro pezzi di eterio, di cui ormai non rimaneva traccia su tutto Mundus, tranne che forse nelle quattro città che erano state coinvolte nel piano di forgiatura.
- “Si, ogni città deve almeno contenere un frammento di eterio. Deve.”
E così era. Un frammento si trovava proprio lì, oltre quel cancello tenuto chiuso da una serratura tonale divisa in cinque parti, che avrebbe aperto le porte solo dopo la giusta combinazione. Il prezzo di un errore? Trappole mortali.

- “Trappole mortali... Chi poteva aspettarsi una cosa del genere, però.”

Provò a sperimentare col suo arco, dopo ogni combinazione errata annotava quali potevano essere i progressi, ovviamente dopo aver distrutto automi o aver salvato la pelle dalle mortali balestre naniche che difendevano il posto.
Poi ci riprovò ancora, una volta come le altre.
Accadde però l'inaspettato: la terra cominciò a tremare, il soffitto a crollare sulla sua testa e dovette tornare indietro, doveva scappare dal luogo per salvare la propria vita.
- “Fuggi oggi per combattere domani.”- La sua mente si ripeteva.
Nella sala precedente, la voragine si aprì sotto ai suoi piedi. Sopra di lei? Il cielo stellato e macigni. Sotto? La morte.

Lo spirito si sedette sul ciglio del precipizio, quello più in basso e vicino all'entrata. La terra tremò ancora, dopo tutto quel tempo. - “Chissà cosa penseranno quelli che passando vicino sentiranno questo scuotere...” - Un sospiro di malinconia, poi la sua vista si spostò in basso – “Sarebbero bastati solo un altro paio di metri, due o tre, e avrei avuto un'altra possibilità. Ormai è andata.” - il corpo giaceva su un pezzo di roccia che ancora non si era staccato. I segni del tempo cominciavano a vedersi, e forse quella era l'unica prova che il mondo là fuori esisteva ancora. Una dose maggiore di malinconia la assalì alla vista di ciò che un tempo era lei, bellissima a detta di altri, e intelligente, a detta dei pochi che potevano comprenderlo.

Fu un attimo.
La terrà si aprì e lei provò a gettarsi indietro; il suo arco finì appeso ad un tronco nella sezione superiore e lei per scampare ai macigni che cadevano da sopra intraprese una folle danza sul terreno ormai spaccato.
Fu un attimo.
La caduta, il rumore delle ossa che si schiantano contro al terreno. Sangue ovunque e dolore per tutto il corpo, macigni che continuavano a schiacciarle tutto il suo fragile e spezzato involucro mortale, poi il buio.

Una ricerca di venti anni, una corsa contro il tempo e un cuore così pieno di rabbia in grado ti incatenare il suo spirito a quel luogo, in grado di concederle la grazia di poter vivere oltre la degradazione della carne. Grazia, ma che per lei era una tortura. Una tortura senza tempo, una dannazione senza fine, un destino che non era nemmeno più un destino, staticità, impotenza, la terza morte.
La terza morte.

E mentre il fantasma stava ponderando, silenzioso e malinconico, l'assordante suono delle porte che si chiudevano con forza ruppe quell'atmosfera introversa che si era venuta a creare: il silenzio venne spezzato dal rumore dei passi.
Ogni tanto accadeva, in passato, che qualche ignaro e un po' folle avventuriero non degno si addentrasse in quelle rovine dimenticate da tutti, per il patetico desiderio di portare fama e illusioni di importanza solo a se stessi, o forse per l'ancora più patetico desiderio di poter ottenere ricchezze.
Sicuramente non era il suo nobile intento di trovare l'eterio, ormai dall'oltre tomba aveva capito la futilità della ricerca della gloria personale, e di quanto essa richieda un sacrificio, spesso enorme tanto quanto la vita e il bene comune. Dopotutto, a lei era costato la vita, e il mondo non aveva beneficiato un briciolo di più rispetto a prima...
L'eco dei passi si faceva meno prolungato e essi divenivano man mano più forti.

- “Per favore, torna indietro...” - Il suggerimento dello spirito pareva un lamento - “prima che sia troppo tardi.”

Il povero sventurato, tuttavia, non sembrava ascoltarla. Un altro essere deciso ad ignorare la sua voce. Non le rimaneva che lasciare la rabbia alle spalle, soffocare il suo orgoglio e approcciarsi a lui, che in quel momento stava osservando le rovine di quella che una volta era una gloriosa città.
Silenziosamente, si avvicinò a lui e da dietro gli domandò, con voce dolce e malinconica:
- “Che cosa ci fai qui?” - il viaggiatore si girò, non spaventato dalla vista di un fantasma. I suoi occhi erano gli occhi di chi ne aveva già viste tante, un alone speciale lo circondava, probabilmente lei lo aveva percepito e per questo decise di tentare di conoscerlo. - “Fammi indovinare. Sei qui per il tesoro, vero? Come tutti gli altri.”
- “Chi sei?” -
Domandò lui con voce distaccata.
- “Mi chiamo Katria. Sono, o meglio, ero un'avventuriera. Ho esplorato rovine come questa per quasi vent'anni. Ero sulle tracce di qualcosa di grosso. Sono arrivata qui e... non ce l'ho fatta.”

- “Mi chiamo Katria, mi chiamo Katria, mi chiamo Katria...” -
In quel momento il suo pensiero aveva ripreso a vagare – “Io sono Katria, sono colei che ha svelato il mistero dell'eterio. La sua gloria spetta a me, non ad uno stupido approfittatore. Katria è il mio nome e tanto era il tempo passatp che persino io stavo cominciando a dimenticarlo, ma no. Ho strappato il mio nome dalle grinfie dell'abisso dei ricordi dimenticati e lo strapperò da quello dei ricordi dimenticati da tutti. Katria sarà il nome che i libri celebreranno come colei che ha scoperto. Non sarò dimenticata, io, a modo mio, ho fatto la differenza. Sono un'avventuriera, è nella mia natura esplorare, interrogarmi, ed essere forte. Ed io sono forte.
Io non lascerò andare tutto, assieme riusciremo a donare al mondo la verità.
Non morirò ancora.
Io sconfiggerò la morte.
A costo di morire ancora un migliaio di volte, Io sconfiggerò la morte.”

  
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