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Autore: Killu93    08/08/2017    1 recensioni
Questa storia narra le vicende dell'eroe del Kazakhstan, Otabek, che intraprende un viaggio in Russia per salvare il proprio Paese. Da sempre ligio ai suoi doveri, pronto a seguire la strada segnata da altri per lui, cambierà il suo modo di essere e di pensare dopo l'incontro con la fata Yurio che gli insegnerà a credere nella magia e nel destino.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 8 – Attacco.

Otabek non sapeva quanto tempo fosse passato dal suo colloquio con Yakov. Era stato scortato dalle sue guardie in una cella vuota e fredda. Non provava fastidio in quel luogo, anzi, avrebbe preferito passare il resto della sua esistenza chiuso in quelle quattro mura così anguste. Il destino, però, non gli era stato così favorevole, doveva compiere ancora un’altra missione, forse l’ultima, o almeno così sperava. Cercava di convincere se stesso di non aver altre possibilità, che tutto quel dolore e quell’angoscia che adesso provava nel petto non fossero altro che la giusta punizione per il crimine commesso, eppure continuava ancora a pensare a come poter uscire da quella tremenda situazione. Non voleva per alcuna ragione ferire quella creatura così pura ed innocente, ma allo stesso tempo sentiva di dover proteggere la sua adorata patria. La morsa in cui il sovrano crudele lo aveva stretto lo aveva privato della sua celebre dote di previsione con cui era solito risolvere ogni circostanza sfavorevole; adesso, i suoi occhi non riuscivano a vedere alcuna soluzione in quell’oscurità che lo aveva inglobato.

 

Una luce improvvisa lo abbagliò. La porta di legno si era spalancata repentinamente permettendo a due guardie di interrompere i suoi pensieri. Il brusco ritorno alla realtà lo colpì violentemente lasciandolo senza fiato: era giunta l’ora.

Venne scortato fino all’esterno, nell’immensa piana desolata e brulla sulla quale si stagliava il nero castello di Yakov e che ora brulicava di persone. L’intero esercito schierato lo stava aspettando. Gli venne riconsegnata la sua fida compagna, la spada che aveva consacrato al Kazakhstan, e il suo destriero che lo aveva accompagnato in tutte le sue imprese.

Uno squillo di trombe improvviso annunciò la comparsa del sovrano a cavallo di un possente Shire, nero come la pece, armato come il padrone per andare in battaglia. Si posizionò di fronte ai suoi generali, ma a differenza di quanto Otabek si aspettasse non dette alcuna disposizione, si limitò a sbraitare un ordine fin troppo semplice: “Distruggete tutto e portatemi la Fata!”.

Il ragazzo, udite quelle parole, serrò la mandibola per contenere la rabbia e la nausea che lo avevano assalito. Gli parvero come una terribile bestemmia sputata da un essere inferiore, perché ogni umano, davanti a quelle due creature che lui stesso aveva incontrato, non poteva che essere inferiore. La loro maestosità ed eleganza era ultraterrena, pertinenti solo a delle divinità. Quanto poteva essere sciocco Yakov a voler sfidare la Perfezione incarnata? Non si era reso conto dell’inutilità di quell’impresa? Cosa avrebbero potuto fare dei semplici umani di fronte a Loro? Come poteva, poi, essere lui stesso la chiave di questa guerra insensata? Perché lo aveva voluto così ardentemente tra le sue file? La sua abilità, la sua potenza, il suo intuito, non avrebbero mai potuto sopraffare un avversario del genere, sarebbe sicuramente stato ucciso non appena gli si fosse avvicinato. Fu allora che riuscì ad intravedere un piccolo spiraglio di luce: quella sarebbe stata davvero la sua ultima battaglia! Sorrise all’idea di poter concludere la sua vita vedendo un’ultima volta gli occhi della Fata, annegare in quel mare verde sarebbe stato dolcissimo.

Montò a cavallo, accarezzò delicatamente la criniera del suo leale compagno e andò ad allinearsi col resto dell’esercito.

Il sole pallido e malato stava ormai declinando verso i monti ad ovest quando il Re ordinò la partenza; li guardò sfilare davanti a sé con un ghigno compiaciuto sul volto. Non li seguì, diversamente a quanto avrebbe lasciato presagire il suo aspetto, li avrebbe attesi in totale sicurezza, certo della vittoria.

L’armata procedeva in gran carriera, sperando di raggiungere la foresta in notte inoltrata. Nessuno sembrava mostrare in volto alcun segno di timore o incertezza, ma al contrario una furia ferina tingeva i loro occhi famelici. Otabek rabbrividì. Possibile che fossero certi di uscire vittoriosi da quell’impresa suicida? Scosse la testa cercando di cacciare quei terribili pensieri. Fu affiancato da un uomo con il volto interamente coperto dall’elmo: era uno dei generali di Yakov.

-Sarai tu a occuparti della Tigre, noi ti permetteremo di penetrare all’interno della foresta e ti spianeremo la strada da eventuali ostacoli.

Non aveva neppure alzato la visiera per parlare con lui, né aveva avuto la minima premura di presentarsi, tuttavia, il cavaliere aveva la sensazione di aver già incontrato quel soldato. Sparì prima che potesse formulare qualche domanda sul suo ruolo in quella guerra, ma quelle parole così fredde e metalliche non avevano nulla di incomprensibile, anzi erano chiare e spietate. La sua forza serviva ad un solo ed unico scopo: eliminare la Tigre. Le mani che tenevano strette le briglie iniziarono a tremargli. Non era paura quella che provava il giovane, ma solo semplice esitazione. Il suo compito era quello di assicurare protezione al suo adorato paese, ma sarebbe davvero riuscito ad alzare la spada contro quell’animale maestoso solo per difenderlo?

Alzò gli occhi al cielo, nuvoloni carichi di pioggia coprivano la volta celeste regalando alla loro impresa un buio perfetto; tutto sembrava benedire la loro missione di distruzione. Giunsero al luogo prestabilito, la luna non osava mostrare la sua candida faccia rendendosi un’alleata di quei criminali. Alti nitriti e grida di incitamento riempivano la gelida notte, nessuno si preoccupava di essere silenzioso. Una miriade di fiaccole si accese ed improvvisamente si fece giorno. Otabek poteva vedere i volti trasfigurati dalla luce delle fiamme, ghigni deformi e spaventosi, per nulla umani; tremò all’idea di quello che sarebbe successo di lì a poco. Le lingue di fuoco vennero riversate sulla foresta inerme, come se fosse l’atto più naturale al mondo, e questa stridendo, iniziò a bruciare. Lo strepitio delle cortecce e degli arbusti parevano grida strazianti che rimbombavano nelle suo orecchie; si rese conto che quello a cui stava partecipando non era una guerra come le altre già combattute, quello che aveva ora davanti agli occhi era un vero e proprio sterminio. Un fitta gli attraversò il cuore, ma non era solo per il terribile scenario, sentiva nel profondo un dolore sordo e martellante del quale non sapeva darsi una ragione. Venne riscosso dal grido del generale che gli ordinava di avanzare. Serrò i polpacci contro i fianchi del suo destriero e si inoltrò tra le fronde evitando abilmente il fuoco.

I rami arsi che durante la sua ultima visita cercavano di trattenerlo, adesso distendevano le loro dita legnose in cerca d’aiuto, le foglie si accartocciavano su loro stesse gemendo, i cespugli straziati esibivano i loro scheletri. Il cavaliere era inerme di fronte a tale scempio. Tutto ciò che riusciva a fare era proseguire la strada che lo avrebbe condotto all’interno della foresta, lasciandosi alle spalle i compagni che elargivano morte. Si rese conto allora dell’esistenza di un nuovo avversario che non era in grado di contrastare, un avversario completamente al di fuori della sua portata, un avversario che metteva in ombra la potenza sovrumana della Fata e della Tigre: la crudeltà umana.

Alzò gli occhi come in cerca di un qualche soccorso divino, ma il fumo nero e le cime non ancora strette dalle fiamme oscuravano la vista del cielo; davvero non vi era più speranza?

Una goccia fresca e silenziosa colpì la sua guancia destra, poi una seconda la fronte, una terza il labbro inferiore, infine un rombo di tuono sovrastò ogni altro rumore e un violento scroscio d’acqua si riversò sulle loro teste. Completamente fradicio arrestò la sua corsa. La benedizione della pioggia arrestò l’avanza dell’incendio e lentamente estinse ogni focolare. La terra aveva ricominciato a respirare e tutto intorno a lui sembrava rinascere; sorrise di fronte a quel miracolo.

Un calpestio irregolare e impetuoso ruppe la melodia delle nubi, i soldati stavano continuando a procedere con risolutezza. Non brandivano più le fiaccole ardenti, si erano riappropriati delle loro spade con cui tranciavano rami e rovi, ma la foresta, rinvigorita, opponeva una strenua resistenza. Il fango inglobava i calzari dei soldati rallentando la loro avanzata, le radici parevano emergere dalla terra stessa per farli inciampare, i rami mossi da un misterioso vento sferravano pugni contro gli avversari. Otabek rimase colpito da quello che stava accadendo intorno a lui e, se nelle sue visite precedenti aveva pensato che quel luogo fosse speciale o magico, adesso lo riteneva un essere animato vero e proprio.

Nascose un secondo sorriso di fronte a quei compagni che non si era scelto e che stavano per essere sconfitti da una forza maggiore, proprio come lui stesso aveva sperato. Nonostante la consapevolezza della disfatta, di nuovo gli venne intimato di avanzare dal generale e ancora una volta fu costretto ad eseguire quell’ordine. Riprese a galoppare tra quelle torri lignee con estrema semplicità, come se la foresta non avesse interesse ad intralciare il suo cammino o come se avesse percepito le sue reali intenzioni. A poco a poco il baccano della battaglia venne meno, si stava inoltrando sempre più nel fitto della boscaglia. Una nebbia improvvisa lo avvolse impedendogli la visuale e costringendolo a cavalcare alla cieca, seguendo solamente il puro istinto. Non aveva idea di dove fosse diretto, né se avrebbe mai raggiunto il luogo prestabilito, ma improvvisamente il suo fedele destriero arrestò la corsa, impennando in preda al terrore. Stupito, cercò di calmare l’animale accarezzando dolcemente la sua criniera; mai si era comportato in un modo così bizzarro. Affinò la vista tentando di scorgere una qualche sagoma tra la nebbia, quando proprio in quel momento iniziò a diradarsi. Fiera e nobile apparve la Tigre. Avrebbe dovuto ingaggiare un combattimento con lei, quello era il suo compito, ma proprio come in precedenza, il cavaliere non riuscì a muovere un singolo muscolo, era completamente rapito dalla sua maestosità. Neppure l’animale lo assalì, teneva i suoi occhi fissi dentro i suoi, proprio come al loro incontro, ma questa volta, quei due zaffiri lucenti erano carichi di disperazione. Una richiesta d’aiuto!

-È in pericolo? Dimmi dove si trova!

La Tigre lanciò un lungo sguardo verso il sentiero alla sua sinistra.

Otabek si diresse fulmineo verso quella direzione senza alcuna esitazione, dimenticando la sua missione e il patto con Yakov.






Note dell'autore:
Non posso che chiedere scusa a tutti quanti per questa assenza lunghissima, non voglio accampare scuse né tantomeno giustificarmi, semplicemente è stato un periodo no, senza ispirazione e con un grande caos in testa. Ho cambiato più e più volte la struttura di questo capitolo, non è stato semplice, ma alla fine eccoci qua. Chiedo ancora scusa per il ritardo e ringrazio tutti quelli che avranno ancora voglia di leggere questa storia dopo così tanto tempo. Grazie per il sostegno^^- Killu93

   
 
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