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Autore: Mirajade_    09/08/2017    0 recensioni
Raccolta di one-shot, in ordine cronologico, che vede protagonisti Angela Ziegler e Genji Shimada (subito dopo essere diventato un cyborg).
Le storie racconteranno il percorso della relazione tra i due dal loro primo incontro.
[GenjixMercy]
***
[https://open.spotify.com/playlist/4I7LREMFsdWQRu0L9lJc86?si=IE1dbhjhT_i5pp3jX0KCHg]
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genji Shimada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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My heart's an artifice
We're North, we're South, I run my mouth
You have your doubts (I don't blame ya)
I'm weak, I'm tough, fuck up, make up
Then words get rough (that's my nature)

(Ain't That Why - R3HAB & KREWELLA)

-Sapevo sarebbe stata una pessima idea- fu un verso soffocato dalla stoffa della felpa quello di Genji. Sguardo basso e mani infilate nelle tasche, sembrava un bambino e non un ragazzo venticinquenne qual era. Al suo fianco Angela affondava il viso in una sciarpa di lana dai toni bluastri cercando di resistere all’aria fredda di Zurigo che dopo una delle poche nevicate sfoggiava giardinetti e auto ricoperte di neve -La gente non fa altro che guardarmi- continuò lo Shimada.
In effetti, la gente sembrava volgere loro sguardi straniti ma nulla che rasentasse la paura o il disgusto e se da un lato Angela avrebbe voluto che scambiassero Genji per un omnic e non fare domande dall’altro avrebbe voluto urlare contro chi l’avesse etichettato in quel modo.
-Non sono abituati a vedere uno splendore ogni giorno- volse lo sguardo altrove, percependo lava bollente sotto la pelle delle guance, mordendosi subito dopo la lingua per aver pronunciato quella frase tanto sfacciata.  Era stato alquanto difficile poter nuovamente riuscire a formulare un discorso sensato dopo gli avvenimenti nelle docce e adesso rischiava di rovinare tutto un’altra volta.
Che cosa le diceva la testa?
-Veramente?- la dottoressa fu spiazzata da quella domanda così esplicita, si sarebbe aspettata il solito mutismo imbarazzato da parte del ninja o peggio una risposta aspra.
-Si… insomma mi pare ovvio- disse, capendo il significato della frase subito dopo -no aspetta intendevo dire che…- ok no, stava entrando nel panico.
Come quando dimenticava di aver lasciato il rubinetto della vasca aperto, ritrovandosi poi la casa allagata. Insomma la sensazione era simile, solo molto più imbarazzante.
-Giovani non mi aspettavo di vedervi in giro!- una pacca sulle spalle fu in grado di farla barcollare, capì in un attimo di chi appartenesse l’enorme figura che incombeva su di lei.
-Reinhardt- la dottoressa, voltandosi, si ritrovò davanti all’enorme stazza dell’uomo tedesco, avvolto in un cappotto dai toni militari. A pochi passi di distanza il comandante Ana Amari sfoggiava il classico sorriso materno che tanto la caratterizzava –Cosa ci fate fuori dalla base?- chiese la svizzera.
Ana alzò in aria quello che sembrava un cesto di plastica –Rifornimenti- disse –Abbiamo terminato il caffè e il burro d’arachidi-.
-Winston non ne sarà contento-
-Oh ma Winston non ne sa nulla, ecco perché dovremmo sbrigarci- avvolse un braccio intorno a quello del soldato strattonandolo verso la via che portava al supermercato più vicino –Ci vediamo al quartiere generale, passate un buon pomeriggio ragazzi- li salutò con un gesto ammiccante.
Espirò pesantemente: in un attimo Reinhardt l’aveva salvata da una situazione imbarazzante senza volerlo, catapultandola in un’altra il cui protagonista non era altro che il silenzio. Non era mai stata così timida in vita sua ma Genji sapeva ammorbidirla come argilla senza volerlo e senza dire nulla, colpa forse i loro trascorsi che tormentavano i pensieri della svizzera, invaghita di sorrisi e risate nascoste, specchio del Genji che era stato il ninja tra le strade di Hanamura.
-Ad Hanamura non nevica mai- quasi tremò al suono della sua voce – È sempre stato un luogo armonioso e vivace-
 Attraversarono la strada, diretti verso una meta prescritta da Angela -Sembra un bel posto-.
-Lo sarebbe veramente se non nascondesse il peggio- Genji la guardò un instante, il tempo di decifrarne l’espressione stranita, preferendo evitare un discorso dalle trame sporche, e Angela percepì chiaramente il suo cambio d’umore mentre sorpassava il cancello dalla vernice scrostata del parco.
-Puoi parlarmene se vuoi- disse –Di Hanamura, del tuo clan… di te-
Genji strinse la stoffa della felpa tra le mani, poco lontano visualizzò quello che poteva essere un piccolo laghetto dai toni scuri. Pochi erano quelli che si fermavano ad ammirarne lo strato sottile di ghiaccio, solo qualche anziano se ne stava seduto in una delle panchine semi distrutte osservando il tempo scorrere e chiudendo di tanto in tanto gli occhi in un riflesso di sonno.
Ripensò alle parole appena pronunciate dalla sua dottoressa.
Era stato un ragazzo dalla parlantina facile, quello che non aspettava altro che il permesso o la possibilità per parlare o esprimersi. Adesso quel ragazzo sembrava essere svanito, forse morto in quel tempio dall’odore del thè, lasciando quello che era diventato.
-Non credo siano fatti vostri, Dr. Ziegler- subito dopo si accorse dell’atteggiamento scontroso che aveva assunto, sentendosi trafitto allo stomaco dal senso di colpa –Scusa- dannazione a lui –Perdonami, veramente. Non reagisco molto bene quando se ne parla-
-Scusami tu, avrei dovuto sapere che è ancora una ferita fresca- il cielo nel frattempo stava iniziando a scurirsi rivelando una luna sbiadita –Ti va di sederti?- Angela indicò una delle panchine davanti al lago ghiacciato e senza aspettare un’affermazione si avviò per poterne prendere possesso.
Quella donna era così strana: alternava atteggiamenti bambineschi a quelli seri e caparbi di una scienziata in un perfetto mix, un po’ come lui, ma mentre in Angela i due comportamenti coesistevano in Genji sembravano guerreggiare. Da un lato c’era il cyborg, l’omnic, tenebroso e spietato dall’altro c’era semplicemente Genji, il passero, un ragazzino alla ricerca di divertimenti e piaceri.
E lui chi voleva essere in quel momento? Chi voleva essere davanti ad Angela Ziegler?
-Sai è molto difficile riuscire a capirti?- gli disse.
Genji arcuò un sopracciglio stranito –Che intendi dire?-
-Sei introverso e riluttante ma al contempo ami esprimerti; ami stare da solo eppure non puoi fare a meno di cercare compagnia; mi odi ma non rifiuti nessuna delle mie proposte… sei un mistero Genji, come se volessi frenare il tuo vero io-
Sbuffò divertito occupando posto vicino alla bionda – Non è vero che ti odio- lo sguardo di Mercy sembrò deriderlo –Non abbiamo avuto modo di presentarci meglio-
-Non abbiamo? Ho dovuto sudare per conquistarmi un minimo di fiducia- nonostante tutto sorrise voltandosi verso il cyborg e potendolo ammirare definitivamente senza imbarazzo o paura –Ma non importa, sono felice di essere tua amica-
Genji arrossì e un familiare fastidio allo stomaco si fece risentire; Angela Ziegler era proprio come diceva il suo nome, un angelo dalla corona luminosa e gli occhi così chiari da rasentare il cielo. Così bella e così buona, e lui era stato un idiota accecato dall’odio per averla trattata malamente.
Ebbe come l’impressione di sentire nuovamente le sue labbra sulle sue, morbide, mangiate in alcuni punti simbolo dello stress cui era abitualmente sottoposta.
Il sorriso svanì dal viso della scienziata quando il suono di quel “Vorrei baciarti” le arrivò forte e chiaro. Genji sembrava in qualche modo ipnotizzato.
-C… come?- balbettò eppure in cuor suo non aveva aspettato altro, desiderava quelle labbra sulle sue, sul suo viso, sul suo corpo e odiava quella stessa situazione in cui si era ritrovata: Genji era un suo paziente e un assassino della Blackwatch; il suo cuore era ricoperto da un ammasso di ombre, la sua mente instabile forse pericolosa ciò nonostante lei aveva osato dal primo giorno in cui lo aveva visto, disteso su una barella, ricoperto di sangue, pallido come un cadavere.
Il ninja sbatté le palpebre più volte fingendo un colpo di tosse –Ehm, scusa mi era venuto in mente un ricordo non accorgendomi di stare pensando ad alta voce- disse su due piedi fissando un punto davanti a lui. Un anziano sembrava fissarlo divertito come se da quella lontananza riuscisse a sentire la discussione in corso.
-Un ricordo?-
-Si, un ricordo- si disse di rallentare il respiro, magari il sangue avrebbe circolato di meno verso le sue guance ormai bollenti come pietre focaie.
-Immagino con quante ragazze avrai fatto colpo usando solo questa frase- rise a bassa voce la ragazza convincendosi che in fondo doveva aspettarselo da Genji; era solito perdersi in ricordi e pensieri a volte senza accorgersene.
“Nessuna” ma fortunatamente quella parola non era uscita dalla bocca del cyborg. Per quanto avesse potuto avere decine di ragazze non aveva mai chiesto a nessuna di loro un bacio, semplicemente agiva anzi spesso erano state proprio loro a reclamarli, lui semplicemente accordava.
Gli piacevano i baci.
Fin da piccolo amava quanto mistero, segreto, passione e sentimento si celasse in un tocco di sole labbra
-Dr. Ziegler…-
-Ti ho detto di chiamarmi Angela, veramente lo preferisco- strinse le spalle aspettando che il giapponese finisse la frase magari correggendo l’inizio.
-In Giappone chiamare qualcuno per nome è un gesto molto intimo- spiegò lui –Non mi è mai capitato chiamare qualcuno senza usare suffissi adeguati-
Angela rimase un attimo spiazzato –Non sapevo, scusami se ti ho messo in qualche modo a disagio- ma lo sguardo che gli rivolse Genji fu di fuoco, liquido come se stesse tramando un’idea insana.
-Forse so come rimediare- ghignò e in pochi secondi aveva saggiato nuovamente il sapore delle labbra della svizzera, deciso ad approfondire fino in fondo quel contatto sino a quando una sensazione bruciante non gli avrebbe invaso i polmoni. Sentì il pizzicore dei guanti di lana di Angela sulla nuca e un fastidio al basso ventre capace di risvegliarlo dalla sensazione di trance in cui era caduto.
Mani e corpo fremettero aprendosi nuovamente alla sensazione d’estasi che stavano rivivendo. Lui voleva Angela; insomma lo attraeva, cyborg o non cyborg rimaneva pur sempre umano fatto di carne, sangue e nel suo caso metallo e il suo corpo voleva Angela Ziegler.
Respiri caldi si condensarono nell’aria gelida, quando ebbero nuovamente la possibilità di immagazzinare aria. Le labbra color sangue della dottoressa sembravano richiamarlo.
-Confermo- ansimò la donna –E’ molto difficile capirti- e sorrisero divertiti dalla situazione che si stava man mano andando a creare –Ti va una cioccolata calda?- continuò poi con nonchalance, come se quel bacio ruba fiato non fosse mai avvenuto.
-Con piacere… Angela-
   
 
 
   
 
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