Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Arydubhe    09/08/2017    1 recensioni
Schesta, una recluta del 100° corpo di addestramento, non sapeva che il suo peggior problema stava per trasformarsi nella sua più grande fortuna. Ma perchè stupirsi sapendo che da mezzo c'è lo zampino di Hanji Zoe? Quali altarini permetterà di scoprire l'incontro tra le due? Quali magnifiche storie la pazza studiosa saprà raccontare?
-----------Dal testo:
Vista da vicino, la pelle di quella ragazza metteva davvero i brividi. Liberando la presa, aiutandola a mettersi seduta, Hanji la squadrò con occhio clinico.
«Come ti chiami?»
Per tutta risposta, la ragazzina abbassò gli occhi, mordendosi le labbra.
Con un sospiro, Hanji le si fece ancora più vicina.
«Ascolta, lascia che ti aiuti. Come ti ho detto, non dovrei essere nemmeno qui, io. Quando sarò uscita da quella porta, potremo tranquillamente fingere che tu non abbia detto niente a nessuno. Ma adesso fatti vedere: per tua fortuna sono la cosa più simile a un medico che potresti desiderare in questo momento…e decisamente ne hai bisogno…»
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio, Rico Brzenska
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Cure

 
«SONO SPACCIATA.»
La consapevolezza che fosse oramai troppo tardi per fare alcunché si era fatta strada in Schesta non appena aveva sentito il rumore della porta che sbatteva violentemente contro gli stipiti.
Lì per lì non aveva dato peso al vociare che aveva sentito fuori dalla capannina, troppo distante, a suo avviso, per costituire un pericolo o avere davvero un senso – poco si capiva oltre all’identità dei possessori, un uomo e una donna; nessuno che conoscesse, comunque.
Per Schesta era giunto il momento di mettere mano ai due enormi tagli sulla schiena, la parte più dolorante di tutte. Quando il cotone aveva sfiorato la ferita i suoi sensi avevano semplicemente smesso di funzionare, lasciandola a boccheggiare nel nulla più totale. Nessun suono, nessuna immagine se non un flash bianco. Aveva sentito solo dolore.
Così, troppo intenta a non urlare nuovamente mentre si tamponava dolorosamente le ferite con abbondante disinfettante, non si era accorta che le voci, in particolare una, si erano fatte sempre più vicine.
Poi quella porta si era aperta e lì Schesta aveva capito che era troppo tardi per scappare, nascondere alcunché, inventare qualunque scusa.
L’urlo le era scappato involontariamente nel tornare alla realtà troppo bruscamente.
Aveva avuto appena la prontezza di afferrare un asciugamano e avvolgerselo intorno alla bell’e meglio, nient’altro.
Era stata scoperta. E in una maniera piuttosto imbarazzante. Nuda, al centro dell’edificio, robe sparse tutto attorno, medicamenti, vesti insanguinate. Non aveva alcuna speranza di far sparire tutto in una manciata di secondi.
Quel secondo in cui la donna davanti a lei l’aveva squadrata da capo a piedi palesemente sorpresa di trovare qualcuno lì, in quelle docce, le era sembrato lungo un’eternità.
Chi diavolo era?
Non lo sapeva, non si era presentata con altro se non un nome e un cognome, che però non le dicevano niente; eppure adesso, seduta cavalcioni sulla panca davanti a lei, nella sua stessa posizione, Schesta non poteva che benedirne l’esistenza mentre procedeva a medicarla.
Nonostante l’atteggiamento sgraziato e i modi un po’ bruschi, il suo tocco era delicatissimo. Certo, quella che le stava facendo era tutto meno che una medicazione indolore, ma non per sua colpa.
Procedeva veloce, ma non sbrigativa.
Aveva disinfettato i bordi delle ferite con precisione chirurgica, pescando di volta in volta ora un unguento, ora una garza, ora una bomboletta, ora un botticino di liquido giudicati più adatti alla situazione. Ci sapeva davvero fare. Era evidente che non stesse per nulla andando a caso nelle sue scelte.
Da quando aveva cominciato, il suo volto si era fatto serio, il suo sguardo penetrante, il suo tono pacato. Professionale.
Era quasi impossibile credere che stesse sbraitando e snocciolando battute caustiche fino a qualche secondo prima.
«Rilassati.»
«Trattieni il respiro»
«Questo farà male…»
Forse era davvero un’infermiera o qualcosa di simile – anche se a giudicare dalla presenza delle cinghie del 3DMG Schesta si sentiva di escluderlo. Sicuramente era un militare regolarmente inquadrato. Più ci rimuginava su, più cresceva seriamente in lei la paura di scoprire a quale ufficiale e di che grado aveva mancato di rispondere immediatamente con un saluto, poco prima…anche se la donna sembrava non curarsi affatto della cosa.
Hanji – che poi qual era il nome, Hanji o Zoe?- le restava un mistero, ma il fatto stesso di riuscire a formulare ipotesi sulla sua identità anziché essere ancora in un angolo a piangere la rassicurava sul fatto che quelle medicazioni stavano già funzionando. Almeno, tra una fitta e l’altra, le rimaneva la lucidità di pensare a qualcosa di diverso dal dolore.
La domanda fatidica era arrivata a bruciapelo, asettica, puramente a scopo informativo: «È il 3DMG ad averti conciato così?»
«…Sì, signora…Io…»
«Come pensavo.»
Sembrava non avesse bisogno che aggiungesse altro.
Hanji continuava a muoversi con gentilezza sulla sua pelle e sulle sue ferite. Quella stessa gentilezza che aveva nella voce.  Schesta l’aveva capita subito: non le avrebbe estorto nulla a forza se non il necessario per aiutarla al meglio.
Rimase un secondo ancora in silenzio, meditativa.
Forse avrebbe fatto meglio a raccontare tutto a quella donna. Forse avrebbe potuto fornirle quell’aiuto di cui aveva bisogno e che non aveva avuto…modo, forza, coraggio, tempo, voglia, possibilità di chiedere. Quella Hanji Zoe era semplicemente capitata in quel bagno in maniera provvidenziale.  E per qualche ragione…sentiva di potersi fidare.
Incominciò a parlare quasi senza rendersene conto e le frasi vennero fuori da sole, raccontando una storia forse più lunga del necessario. Non sapeva neppure bene quando né perché aveva spontaneamente deciso di raccontarle tutto.
«Sono nel 100° corpo reclute da 98 giorni ormai. Mi sono arruolata per mia volontà, dopo averci pensato abbastanza a lungo… anche se non credo di essere stata troppo originale nelle mie motivazioni. Ero a Shiganshina quattro anni fa. E credo non dimenticherò mai più quel giorno. Avevo 11 anni.»
Schesta sentì la mano di Hanji esitare un secondo appena a quella rivelazione, prima di riprendere con lo stesso ritmo di prima. Shiganshina. Un nome troppo infausto per non rievocare ataviche paure in chiunque.
Hanji non poteva che darle ragione. Era vero, era un classico. Non si contavano i giovani e giovanissimi che, in quei quattro anni, si erano arruolati a seguito degli avvenimenti di quel maledetto giorno in cui, dopo secoli, le mura dell’umanità per la prima avevano volta ceduto. Il desiderio di vendetta era sorto spontaneo nella maggior parte di loro, assieme al bisogno di una rivincita su quegli esseri che così impunemente avevano calpestato la vita di tanti uomini, donne e bambini…Sempre che non li avessero sbranati davanti ai loro occhi. Genitori, parenti, amici; conoscenti come sconosciuti. Un trauma impossibile da superare, che aveva condotto i sopravvissuti a due scelte di vita: allontanarsi per sempre il più possibile dalle aree perimetrali, in barba al titolo onorario di “guerriero impavido”*, oppure dedicare la vita alla difesa degli altri e di quelle mura, nella lotta contro i giganti.
Del resto, molti - in pratica tutti- coloro che erano al di fuori dei ranghi militari, all’epoca dell’attacco avevano ormai scordato quanto reale fosse la minaccia di quei mostri che assediavano gli esseri umani. Quell’infausto giorno aveva risvegliato in loro un istinto di sopravvivenza da tempo dimenticato, come individui e come esemplari di una specie. I vari Corpi Militari avrebbero quasi dovuto ringraziare il Gigante Corazzato e quello Colossale per aver contribuito spontaneamente a rimpinguare i ranghi di un esercito i cui numeri, anno dopo anno, erano scesi drasticamente a fronte di una minaccia avvertita come sempre meno reale ma non per questo tale davvero. E difatti: il destino aveva provveduto a risolvere provvidenzialmente quel problema con una tragedia forse ancora più grande, così che la perdita di un intero recinto di mura, in una specie di circolo vizioso, aveva finito per divenire carburante, se non di speranza, almeno di rinnovata ostinazione a voler sopravvivere.
Anche Schesta, scopriva ora Hanji, era una sopravvissuta. Era anche lei il prodotto di uno di questi due miracoli.
«Hai perso qualcuno a te caro, immagino…?» chiese la donna, riprendendo a tamponare una ferita. Era quasi una cosa scontata, una domanda retorica.
Perdevi qualcuno, giuravi vendetta, ti arruolavi. Un classico.
«No.- la voce di Schesta suonò strana, stonata nel pronunciare quella semplice sillaba e sorprese Hanji quanto la risposta; sembrava…rammaricata? – no, signora, e pure per certi versi sì. Per la verità quel giorno la mia famiglia si salvò tutta: i miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle. Salimmo sui primi traghetti di soccorso appena il Titano colossale comparve oltre le mura. Non avevo mai visto un gigante in vita mia, prima. Ricordo che rimasi immobile, attonita, per parecchio tempo, finché mia madre non prese a trascinarmi via a strattoni. Avevamo la fortuna di alloggiare poco distante dai portoni d’accesso alle cerchie interne: mio padre, un mercante, aveva deciso di coniugare un viaggio di lavoro con la visita ad alcuni parenti di Shiganshina e così si era portato dietro da Throst tutti noi. Ecco perché eravamo a Shiganshina quando nelle mura fu aperta la breccia. Sentii il boato, le urla, l’allarme suonato dalle campane. Ma mi trovai dall’altro lato di Wall Maria, in fuga verso Wall Rose, prima ancora di aver capito davvero cosa stava succedendo. Eravamo persino riusciti a radunare parecchie cose e fare le valigie. Eravamo sani e salvi quando per gli altri nel distretto l’incubo era appena cominciato. E fondamentalmente è stata questa la ragione a spingermi ad entrare nell’esercito. Non ho mai capito perché noi ci siamo salvati…e altri no. O meglio, l’ho sempre saputo benissimo e fino al giorno dell’arruolamento questa consapevolezza mi ha sempre impedito di essere in pace con la mia coscienza. Non passa giorno che non me lo chieda: «Perché tra tanti altri abbiamo meritato di sopravvivere noi
Faceva quasi male intuire quanta amarezza si celava dietro le sue parole. Soprattutto considerando che quella domanda, Hanji, decine e centinaia di compagni caduti sulle spalle, sapeva fin troppo bene cosa si provava a porsela. E purtroppo sapeva anche che era destinata a non avere mai risposta.
Solo che in genere ci volevano anni, una volta entrati nell’esercito, per cominciare a convivere con quel dubbio - eccetto chi si arruolava nella Legione, a loro bastava qualche mese: all’inizio pensavi che la sopravvivenza fosse merito del fatto di essere bravo. Col tempo capivi invece l’estremo capriccio del caso…
«Be’ quel giorno avesti semplicemente fortuna. Non credo ci sia nulla di male…»
Ma Schesta replicò con una scrollata di testa. «Non fu una buona stella a salvarmi…ma la ricchezza.»
Come rapita da un ricordo troppo doloroso, Schesta tornò a esitare un attimo. Stringeva i pugni, lo sguardo perso nel vuoto, a rivivere alcuni momenti che dovevano essere statti tutto meno che pieni di gioia. Momenti che la tormentavano ancora, a distanza di anni e a cui era bastato far cenno per riportarne a galla il dolore, forse non fisico, forse non paragonabile a quello, lancinante, che le perforava ora la schiena, ma che anno dopo anno aveva continuato a martoriarle la mente e il cuore, scavando dentro di lei come un tarlo..
Era vero senso di colpa quello Hanji che leggeva negli occhi della ragazza.
«Quel giorno vidi…cose e fui partecipe di azioni che…non potrò mai dimenticare…figurarsi perdonare…a me stessa in prima di tutto. Non persi “qualcuno”, quel giorno, bensì “qualcosa”: il diritto a starmene con le mani in mano, lasciando agli altri il compito di preoccuparsi di tutto questo. Non potevo più vivere come se i giganti, le mura, i pericoli dell’umanità non fossero affar mio…come se potessi vivere la mia vita a dispetto di tutto. mi sarei sentita troppo ipocrita. Arruolarmi è stato il mio modo di fare ammenda e cercare di migliorare qualcosa...e forse il mio apporto alla lotta contro i giganti non sarà che una briciola insignificante...assolutamente incapace di raggiungere un vero risultato... ma di sicuro è l'unica cura che conosco ai mali del mio spirito.»
Hanji la squadrò un secondo mentre la voce le si spezzava in gola. Quei generi di discorsi erano tutt’altro che comuni nel mondo in cui vivevano. C’era molto più in quella ragazzina di ciò che l’apparenza lasciava trasparire. Era stata frettolosa nel giudicarla. Meritava tutta la sua stima.
«Be’ Schesta – le disse Hanji, accennando un sorriso bonario, posandole una mano sulla spalla nell’unico punto dove sapeva non le avrebbe fatto male - per quanto può valere, posso dirti che per una matricola, da quello che ho sentito, le tue motivazioni sono più originali di tante altre…»

Nota:
* IMPORTANTE! (tenete presente questa informazione perché si rivelerà utile). L'intera muraglia è troppo lunga per poter essere protetta lungo tutta la sua estensione, quindi per ogni muro ci sono quattro distretti posizionati nelle periferie Nord, Est, Sud ed Ovest, protetti anch'essi dalle Mura. Poiché i Giganti sono istintivamente attratti da grossi raggruppamenti di persone, questi distretti fungono da esche in modo che i militari possano limitarsi a proteggere solamente quelle zone specifiche del muro, riducendo quindi i costi per il pattugliamento della cinta muraria. Questa posizione rende però i distretti a rischio di un'invasione dei Giganti, e sono quindi considerati i posti peggiori e meno desiderabili per vivere. Per questo motivo, il Governo Reale ha pensato di donare a coloro che decidono di abitare queste città il titolo di "Guerriero Impavido", sperando così di indurre più gente possibile a scegliere di vivere nei distretti esterni. Insomma…un contentino per compensare il maggior mischio di rimetterci le piume. Se per disgrazia le mura dovessero cadere queste sarebbero le aree che riceverebbero l’attacco…e difatti così fu con Shiganshina. Di tutti i distretti, ovviamente, i peggiori sono quelli di Wall Maria…e Shiganshina è uno di questi.

____________-Author's corner________________
...Sì, ci ho messo una vita e quello che leggete è poco; mea culpa. Sono impelagata nel capitoli successivi che continuo a rileggere non convinta. Ma, a questo punto, questo capitolo ve lo ho fatto attendere fin troppo....quindi ecco a voi.
La presenza di Hanji smuove qualcosa in Schesta che non ha avuto il coraggio di parlare con le compagne...eppure decide di spiattellare tutto all'ufficiale, pur non avendo la più pallida idea di chi essa sia. E come vedrete nei prossimi capitoli si tratterà veramente di spiattellare tutto. Per ora abbiamo scoperto che c'è un perchè preciso se Schesta ci tiene ad essere nell'esercito...è la sua "cura" al senso di colpa che prova nei confronti del passato. Riprenderò questo discorso. Comunque ecco spiegato perchè il titolo del capito, "Cure" al plurale: cure sono quelle che Hanji presta a Schesta a livello fisico, ma una "cura" è ciò che Schesta stessa ha cercato entrando nell'esercito. Ah, e tenete a mente la nota. 
Grazie per la pazienza che portate, o voi che leggete X°D 
  
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