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Autore: FlyingBird_3    09/08/2017    0 recensioni
Dopo la storia finita male con il suo ex, Giulia piomba in uno stato depressivo: niente sembra farla stare meglio, e ogni passo che compie alla riconquista di sé stessa sembrano due passi indietro verso l’abisso.
Studentessa di belle arti, ha sempre trovato nell’arte una fuga dalla realtà, dalle sue paure più nascoste.
Lo stesso fa Luca, ragazzo di borgata poco più grande di lei con la passione per il rap, andato via di casa troppo presto; testardo e all’apparenza freddo, all’interno nasconde un animo sensibile e riflessivo.
Due ragazzi diversi che si incontreranno aiutandosi l’un l’altro, accettando i loro demoni e trasformandoli in un talismano che cura le proprie anime.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Eccola che arrivava. La sentiva. La percepiva strisciare accanto a lei. La sensazione della paura, della morte, della fine.
Era la sua fine.
C’era già stata in quel posto, era familiare… ma quella sensazione che vibrava nell’aria era strana, diversa.
Era li, la stava per prendere. Voleva alzarsi ma non poteva. Voleva urlare e chiedere aiuto, ma non poteva.
Era tutto relegato nella sua testa.
Un peso che non riusciva a scorgere calò dall’alto senza preavviso, stringendo il suo corpo senza possibilità di liberarsene.
No! Non ancora!
Il fiato le mancò, respirare non le era più possibile; si dimenava da un lato all’altro, la vista ormai completamente annebbiata. Percepiva il suo torace alzarsi ed abbassarsi a ritmi velocissimi. Un fischio sonoro le impediva di sentire qualsiasi suono nella stanza, eccetto il suo annaspare.
No!! Non voglio morire così! Aiuto… aiu..
 
Gli occhi mi si aprirono di scatto, la sensazione di cadere mi fece fare un balzo sul letto.
Stavo ancora annaspando, il respiro più veloce di una macchina da corsa. Misi a fuoco per quanto mi fosse possibile al buio, e riconobbi dei tratti familiari intorno a me.
Ah… camera mia. Un altro di quegl’incubi.
Erano così spaventosi che ogni volta mi ci volevano parecchi minuti per riprendermi.
Feci un respiro profondo, mi girai su un fianco; presi il telefono e vidi che non c’era nessun messaggio.
Erano le quattro di notte e sapevo non mi sarei riaddormentata facilmente… che potevo fare?
“Già sveglia?”
Il respiro mi si mozzò in gola.
“Non pensavo ci saremmo rivisti così presto oggi”
Decisi di ignorare quella voce, mi alzai e andai in bagno.
“Non c’è da stupirsi se fai sogni del genere. Quella con cui era ieri sera era davvero una bella ragazza. E pure simpatica”
Digrignai i denti, sentendo un brivido di fastidio percorrermi lo stomaco.
Era solo un’amica.
“Quale uomo sarebbe solo amico di una del genere?”
Aprii il rubinetto e feci scorrere l’acqua, bagnandomi il viso per riacquistare un po’ di chiarezza.
“Insomma dai… hai visto che sorriso… che denti, che corpo? Puoi competere tu con una così? Tu, timida, insicura, che sogna ancora ad occhi aperti come un adolescente…”
Io ho altri pregi. Basta.
“Oh certo, ma non è con quelli che si va avanti ormai. Non è con la dolcezza e con l’arte che riuscirai a tenere un uomo a te. Tu non sei sicura di te, non sei sexy e non sei abbastanza alla moda”
Io non sono così. Non lo sono stata e non lo sarò mai.
Sentii un bruciore al petto; aprii lo sportello vicino alla doccia e presi una boccetta.
“Non è prendendo quelle gocce che cambierai la situazione. Lui non ti vuole, punto. Sei stata lasciata di nuovo, fattene una ragione. Non sei stata abbastanza nemmeno stavolta”
Mandai giù un sorso, stringendo gli occhi per non far scendere le lacrime.
“Non ti vuole. Forse non ti ha mai voluta, e di certo se non ti sta cercando vuol dire che sta meglio senza di te”
Basta.
“Ma è la verità. Lui vive benissimo senza di te, ma tu non senza di lui. Sei tu il problema, capisci?”
 Basta ti ho detto.
“Non sei abbastanza…”
BASTA!!!!
Lanciai la bottiglietta contro il muro di fronte a me, e andò a finire in mille pezzi.
Rimasi accoccolata a terra, piangendo con la testa tra le gambe per non so quanto tempo… e alla fine mi addormentai.
Era una fortuna essere a casa da sola.
Non so se sarei mai riuscita a superare la storia con Giò. Da quando se n’era andato mi aveva lasciato in un mare di tristezza: vivevo in mezzo agli squali… e quegli squali erano i miei mostri.
Erano la mia insicurezza, la mia solitudine, la mia paura.
Erano sempre li a ricordarmi il passato, a far affiorare il mio panico.
Vivevano con me, respiravano con me.
Venivano a terrorizzarmi in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo.
E fu così che imparai a riconoscerli… e cercai di fare quello che mi riusciva meglio con loro. Li dipinsi.
 
*
 
Un’altra serata di merda era appena finita. Per quale cazzo di motivo il Jack (Daniels) lo faceva stare così bene non lo sapeva nemmeno lui.
Ora però si sentiva uno schifo.
Accostò la macchina al marciapiede, e senza curarsi se qualcuno lo vedeva, aprì lo sportello e vomitò al di fuori.
Bello schifo. Bella vita di merda.
Sarebbe dovuto tornare in quel buco di appartamento da solo pure stasera. E domani. E dopodomani.
Per non dimenticarsi che dopo qualche ora avrebbe avuto il turno mattutino al lavoro.
Luca si sfregò il volto con le mani, assaporando uno strano gusto metallico sulla punta della lingua.
Tutto sembrava andare storto, e per ogni cosa bella ne accadevano dieci di brutte.
Alzati, si ripeteva, fallo per te. Tu sei diverso da tutta questa merda.
Accese la radio, e subito le note della sua canzone preferita lo fecero tornare coi piedi sul sentiero positivo.
Sarebbe tornato a casa e avrebbe scritto. Si, avrebbe fatto così.
Doveva buttare quelle emozioni da qualche parte, e avrebbe infilato parole come lame tra le barre quella notte.
Era il suo unico sfogo, la sua unica via d’uscita. I libri, lo scrivere… lo avevano sempre riportato a casa. E per casa non intendeva dov’era la sua famiglia, no quella non l’aveva più da anni, ma dov’era il suo cuore.
Un posto piccolo, raccolto e confortevole dove solo poche persone potevano entrare; si poteva dire che questo luogo fosse rinchiuso in un’alta montagna circondata da ghiaccio. E chi oserebbe oltrepassare un posto del genere?
Luca riprese a guidare, le strade deserte e poco illuminate sfrecciavano davanti ai suoi occhi; non si incrociava nessuno in quel quartiere a quell’ora, se non vagabondi e ubriachi stanchi della vita.
Trovò parcheggio vicino casa e si trascinò su per le scale dando una spallata alla porta; tirò fuori le chiavi dalla tasca e dio solo sa quante testate dette prima di indovinare il buco della serratura.
Dall’altra parte del pianerottolo uno spioncino si aprì, e un occhio curioso sondò la situazione; appena la luce a tempo del palazzo si spense, così fece anche l’impiccione.
Aprì la porta e si lasciò cadere sulla sedia della cucina, sospirando profondamente; un altro sforzo e ce l’avrebbe fatta ad accendere quelle dannatissime candele.
Frugò nella tasca destra dei jeans e vi trovò l’accendino; solo dopo numerosi tentativi riuscì ad accendere due piccole candele quasi consumate che riposavano sul tavolo. Ed ecco che in men che non si dica l’atmosfera era pronta: due piccole fiammelle danzavano davanti ai suoi occhi, facendo da cornice ad un foglio scarabocchiato ed una penna che non aspettavano altro che il loro padrone venisse a prenderli.
Era tutto lì quello che gli serviva. Un foglio, una penna ed il suo cuore.
Luca iniziò a scrivere, la biro che sembrava danzare sotto la sua mano, fermandosi di tanto in tanto per correggere qualcosa o per pensare.
Andò avanti per così tanto tempo che la luce dell’alba prese il posto di quella fioca delle candele; quando se ne rese conto digerì il fatto che quel giorno non avrebbe chiuso occhio.
Si alzò e si preparò un caffè, ma dentro di lui sapeva che era solo il primo di una lunga serie; nonostante la brutta serata si sentiva euforico, svuotato di una qualsiasi emozione negativa.
Una doccia calda lo aspettava, e lui era carico per affrontare quella giornata: nessuno si sarebbe però aspettato che quello sarebbe stato il giorno in cui la sua vita non sarebbe stata più la stessa.
  
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