Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Happy_Pumpkin    10/08/2017    2 recensioni
E' l'ultimo anno delle superiori. Akashi sa che presto lui e gli altri ragazzi della Generazione dei Miracoli dovranno scegliere l'università e, forse, contemplare la possibilità di ritrovarsi di nuovo assieme. Quindi perché non cominciare a fortificare i legami giocando online? E infine... il mare, assieme. Prima degli esami, prima di decidere delle loro rispettive vite.
[AoKuro; shonen-ai fluff e nostalgico]
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Satsuki Momoi, Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre.



L’alba dell’ultimo giorno di vacanza era infine giunta: il trentun agosto, compleanno di Aomine. Tutti, con telefoni sotto il cuscino e vibrazione inserita, avevano messo la sveglia alle sei in punto del mattino, consapevoli che tanto l’asso della Too difficilmente avrebbe sentito qualcosa dei loro spostamenti o rischiato di perdere ore di sonno prezioso per alzarsi, disturbato da rumori inconsueti.
Con splendida destrezza e ancora più talentuoso silenzio, anche per uno tendenzialmente ingombrante come Murasakibara, i ragazzi si erano ritrovati presso uno dei tavolini dove si faceva colazione, illuminati dalle prime luci del giorno che filtravano attraverso le finestre con le tende leggere.
Akashi aveva personalmente coordinato ed elaborato il piano per la giornata, fino a esporre l’unica problematica presente:
“Aomine.”
“Dobbiamo levarcelo dalle scatole.” Concordò immediatamente Kagami, con lo sguardo meditabondo e le braccia incrociate.
“Kagamicchi, detta così sembra che lo devi uccidere e sbarazzarti del cadavere.” Fece presente Kise.
“Se solo non ti servissimo tutti potremmo fare una partita a basket. Aomine tende a perdere la concezione del tempo, un po’ come quando fa dps assieme a Kagami uccidendo gli ally online.”
Osservò Midorima, lanciando un’occhiata altera all’altro preso in causa, il quale borbottò qualcosa sul fatto che se c’era pvp nel gioco non vedeva perché non approfittarne.
Ci fu qualche ulteriore scambio di pareri, infine Akashi, con a fianco Momoi che prendeva appunti e disponeva ordinatamente le idee, guardò Kuroko che era rimasto in silenzio e gli disse:
“Portalo da qualche parte, Tetsuya.”
Numero 2 scodinzolò, allegro, mentre Kuroko senza battere ciglio fissò il capitano della Rakuzen, anche se in realtà era parecchio confuso:
“E dove dovremmo andare?”
“Ma perché proprio Kuroko? – domandò Kagami – se quello stupido di Aomine decide di andarsene, Tetsuya come lo trattiene? A questo punto manda Murasakibara.”
“Lo schiaccio – convenne – basta che non andiamo lontano e si mangi.” Poi inghiottì un biscotto, guardando Akashi con la certezza che tanto in realtà il ragazzo avesse già fatto la sua scelta.
“Non se ne andrà. Kuroko lo porterà in giro nel pomeriggio, qualche ora è sufficiente. Stamattina presto sbrigheremo commissioni impellenti, poi spiaggia. Daiki non deve insospettirsi.”
“Per la serie: è stupido ma non così tanto.” Fece presente Kagami, Kise ridacchiò con espressione furba.
Stesero il loro piano, coordinati da Akashi, il generale che pianificava la battaglia del secolo. Quando ogni cosa fu chiara e organizzata i ragazzi si alzarono, chi pronto per fare la spesa e ordinare la torta, chi per andare a chiedere in prestito a qualche nonnetto le decorazioni, altri ancora pensarono a come sistemare il tutto per la sera. Il regalo, invece, era già pronto.
Quando Aomine si svegliò, stropicciando gli occhi, vide la stanza vuota e stranamente silenziosa. Si sollevò a sedere di scatto, convinto di aver dormito magari fino all’ora di pranzo, mentre quegli altri sicuramente erano andati in spiaggia a divertirsi. Scrollò le spalle; d’altronde era una vacanza, normalmente non si faceva tutti quei problemi a stare a letto più del dovuto, perché la cosa rappresentava uno spreco proprio quel giorno?
Si alzò, grattandosi un braccio, con i capelli corti che avevano dei ciuffi sparati a caso e le labbra asciutte. Guardò il telefono; i suoi, da qualche parte in giro per lavoro, gli avevano mandato una foto e scritto un messaggio di auguri. Roteò gli occhi, evidentemente telefonare costava troppo. Meglio così, non è che fosse mai stato tanto bendisposto nei confronti del suo compleanno, semplicemente perché era un giorno come tanti, per quanto altra gente si ostinasse a volerlo per forza rendere speciale, come se in quell’occasione i festeggiati contassero qualcosa di più per il mondo.
Si lavò la faccia per poi guardarsi allo specchio e sussultò quando vide riflesso alle sue spalle Kuroko, con in braccio Numero 2.
“Tetsu, non sei capace di entrare come tutte le persone normali?” fece presente, asciugandosi.
Kuroko si voltò un istante per controllare la stanza, infine replicò:
“Io sono entrato come tutte le persone normali, Aomine-kun. Dalla porta. Tanti auguri.”
Gli sorrise, all’improvviso. Numero 2 scodinzolò e, lasciato libero, fece le feste ad Aomine che, imbarazzato, si passò una mano dietro la testa.
“Eh… grazie, Tetsu. Quando mi sono svegliato pensavo fosse più tardi.”
Gli rivelò, senza sapere bene nemmeno perché. Voleva forse fargli intendere che credeva di aver perso del tempo importante, quel giorno, quando guardando il cellulare si era invece reso conto che erano appena le nove.
“Beh, mi sembra già abbastanza tardi, comunque – notò Kuroko diretto come al solito, per poi aggiungere – oggi pomeriggio andiamo da qualche parte?”
Domandò, senza troppi giri di parole. Sperò che Aomine non si insospettisse ma, sinceramente, non sapeva di preciso cosa proporre senza rischiare di sembrare forzato, per quanto in realtà gli piacesse l’idea di far qualcosa assieme a Daiki.
Quest’ultimo, comunque, forse perché insofferente al compleanno, forse perché di per sé Kuroko aveva sempre delle uscite strane, si limitò a riflettere qualche istante, infine annuì:
“Perché no? Passeggiando ho visto una scogliera con una rientranza. Possiamo esplorarla. Che ne dici?”
Kuroko annuì, con un leggero sorriso: “Ci sto.”
“Hai un costume con le tasche?” domandò Aomine, subito dopo.
Tetsuya annuì: “Sì, perché?”
“Per raccogliere le conchiglie, ovvio. Che razza di esplorazione sarebbe, altrimenti, Testu?”
Passarono un bel resto di mattinata, nuotando, ridendo come sempre oppure litigando, nel caso di Kagami e Aomine, il primo dei quali gli aveva fatto gli auguri sostenendo che era un anno di più che rompeva le scatole su questo mondo. Avevano finito per fare a gara a chi arrivava primo alla boa più lontana, con il risultato che ciascuno riteneva di aver anticipato l’altro.
Mangiarono in spiaggia, con la signora Wakabayana che aveva portato loro qualche onigiri, finendo per essersi affezionata a quei ragazzi allegri che avevano portato una ventata d’allegria e vitalità al suo ryokan. Poi, Kuroko guardò Aomine e gli disse:
“Vado a prendere una cosa e andiamo.”
Daiki annuì, per aggiungere: “Anch’io. Devo cambiarmi.”
Gli disse, senza che ci fosse una reale logica. Gli altri non commentarono, scambiandosi qualche rapida occhiata tra di loro. Se Aomine fosse stato meno distratto a pensare alle sue personali cose da dire, avrebbe sicuramente notato quegli scambi sospetti. Anche se Akashi li monitorava, dando un colpo di tosse secco.
Quando alla fine nel giro di breve entrambi gli avventurieri furono pronti, Kise li salutò allegro:
“Divertitevi nel vostro giro! Non fate tardi!”
Fece l’occhiolino a Kuroko, che sospirò, mentre Kagami gli portò un braccio sopra la spalla:
“Sempre così premurosi questi amici, eh? – ridacchiarono – a dopo.”
Aomine assottigliò gli occhi: “Kagami? Stai bene? Sei posseduto?”
“Che intendi dire?”
“Cos’è che mi stai nascondendo?” replicò, fissando quel volto troppo amichevole.
“Io? – domandò Taiga offeso – tra tutti vieni a rompere le scatole…”
Stava per dire altro, Akashi era sul punto di intervenire con una qualche forma d’ipotesi, quando Kuroko replicò:
“Smettila di essere invadente, Aomine-kun. Andiamo o no?”
“Invadente? Questo…”
Ma non gli dette modo di parlare, sospingendolo per farlo muovere. Gli altri li salutarono con un gesto della mano, mentre Kagami si beccò gli insulti di Kise che alla fine tacque, rendendosi conto di essere stato a sua volta poco accorto.
“Andrà tutto bene.” Constatò Momoi in un sospiro, sorridendo quando vide i due allontanarsi, Aomine con quel suo passo scattante, Kuroko tanto più fluido. Ogni tanto si voltavano l’uno verso l’altro, quasi per assicurarsi che fossero ancora lì.

***

La scogliera emergeva dal mare cristallino, come un gigante che metta a mollo l’enorme piede in un’altrettanto immensa bacinella d’acqua. Le rocce erano a tratti scivolose, a tratti scolpite dal mare che finiva per dormire placido nelle pozze create dall’usura del tempo.
Aomine e Kuroko avevano finito per andare proprio su quelle rocce, con in mano un secchiello pieno d’acqua nel quale erano stati messi dei granchietti catturati da Daiki, che si era vantato neanche troppo modestamente di essere un mito in faccende come quelle.
Le onde ogni tanto bagnavano i piedi, mentre il sole splendeva sui riflessi spumosi per coronare quell’ultima giornata della loro estate.
Quando furono soddisfatti dell’esplorazione degli scogli, i due scesero e andarono a sedersi nell’insenatura naturale, dove grazie alla conformazione rocciosa si era venuta a creare un’ombra piacevole, che rendeva fresca persino la sabbia. Per qualche istante i ragazzi osservarono i tre granchi camminare sulla superficie in plastica del secchiello, poi li videro rimanere immobili e infine ripartire alla carica.
“Sono incredibili, questi granchi. Lottano così tanto per qualcosa di irraggiungibile che, anche quando sembrano essersi arresi, alla fin fine tornano a combattere.”
Osservò all’improvviso Aomine. Aveva le gambe incrociate e un gomito sulla coscia atletica, mentre la testa come sempre era pigramente appoggiata alla mano.
Kuroko, stretto nelle spalle e con le ginocchia portate al petto, lo guardò ma non disse nulla. Non constatò nemmeno che anche loro alla fine erano così; perché, ne era convinto, Aomine pensava di non essere del tutto riuscito a ripartire.
Poi, all’improvviso, l’asso della Too sbottò, disilluso:
“Bah, in fondo sono stupidi. Continuano a girare attorno agli stessi problemi e non si rendono conto di essere chiusi in un secchiello di plastica dal quale non usciranno mai.”
Riprese a guardare gli scogli e, oltre, il mare.
Senza dire una parola, Kuroko si alzò in piedi e afferrò il secchiello.
Sotto lo sguardo stupito di Aomine, il ragazzo fece pochi passi più avanti, fino a raggiungere la superficie rocciosa lambita dalle onde; lì, con la solita calma che lo contraddistingueva, inclinò il contenitore di plastica, dal quale cominciarono ad uscire i granchi che, liberi, si lasciarono trasportare dalle onde, per poi sparire tra le insenature, la schiuma e la loro sabbia.
Kuroko si voltò verso Daiki, i suoi capelli umidi di salsedine erano rilucenti al sole:
“Non possiamo fare tutto da soli, Aomine-kun. A volte c’è bisogno di qualcuno che rovesci il secchiello per noi, se le cose sono troppo grandi e ci sopraffanno.”
“Testu…”
Si morse un labbro.
Kuroko gli fu davanti e si piegò sulle ginocchia, per poi guardarlo negli occhi.
“Devo dirti una cosa, Aomine-kun.”
Gli disse, con quella sua tipica serietà nonostante il volto dallo sguardo morbido.
Ora o mai più.
“Aspetta – lo bloccò l’altro, portandogli una mano sul petto, mano che entrambi guardarono, per pochi assurdi istanti – anch’io una cosa da dirti. Se non lo faccio ora, me ne pentirò per sempre.”
Kuroko gli aveva rovesciato il secchiello in cui anni fa era caduto. Ora toccava a lui, finalmente, nuotare fuori e guadagnarsi la sua libertà.
Si mise una mano in tasca e, prima che Testsuya potesse dire altro, gli schiaffò sul petto, esattamente dove prima c’erano le sue dita, il volantino dell’università. La stessa che gli aveva suggerito Akashi, a lui, forse soltanto a lui, ma non gli interessava. Voleva che ci fosse Kuroko, nel suo futuro, e quel futuro non era certo scritto su un foglio di carta.
Spiegazzato, chiazzato dall’umidità, così malconcio, ma quello era il volantino dell’università che forse avrebbe fatto Daiki Aomine. Kuroko guardò dunque quel foglio, lo guardò bene, e lesse il nome del luogo che in futuro avrebbe avuto l’onore di accogliere un genio del basket.
“Mi iscriverò qui. Solo se ti iscriverai anche tu.”
Dichiarò Aomine. Poco lontano, la risacca del mare copriva la sabbia ma non la sua voce.
Kuroko sentì un labbro tremargli. Accidenti, era sempre stato così controllato, pacato, incapace di arrabbiarsi come faceva Kagami, di scherzare come Kise, di essere carismatico come Akashi o attaccabrighe come Aomine, persino Murasakibara sapeva essere più distruttivo di lui nel parlare e nel mostrare i sentimenti.
Con un nodo alla gola, tenendo gli occhi abbassati su quel pezzo di carta apparentemente insignificante, Kuroko affondò a sua volta la mano in tasca e voltando il palmo verso l’altro, stretto nel pugno mostrò… un volantino altrettanto spiegazzato.
Aomine spalancò gli occhi, fissandolo, mentre Tetsuya aveva i capelli davanti agli occhi.
“A quanto pare mi stavi copiando, Aomine-kun.”
Usando anche l’altra mano, Kuroko distese meglio la carta e gli mostrò il pieghevole di un’università. Non una qualsiasi: la Joochi.
Daiki, con la bocca appena aperta e gli occhi che proprio non volevano saperne di chiudersi, lesse più volte quel nome, poi spostò lo sguardo incredulo sul proprio volantino, sullo stesso su cui si era arrovellato quel mese, con addosso la voglia di chiedere a Kuroko dove avrebbe studiato in futuro e, sì, cosa sarebbe stato di loro, se potevano avere un’altra possibilità.
“E’… le la mia stessa università, Tetsu.”
Lo constatò. E non credette alle sue stesse parole.
Scoppiò a ridere e, inaspettatamente, Kuroko dopo qualche istante lo imitò. Risero talmente tanto che si ritrovarono a piangere, seduti uno di fronte all’altro, con dei volantini stropicciati in mano e gli occhi coperti di lacrime, in un contradditorio insieme di sentimenti.
“Stai piangendo.” Gli disse all’improvviso Aomine, pur sentendo le proprie guance bagnate, ma guardando Kuroko non riuscì a tacere.
“Anche tu, Aomine-kun.”
Questi si portò una mano sul volto. La lasciò un istante lì, sulla pelle umida, poi abbassò appena il capo, portandosi le dita sugli occhi chiusi.
“E’ che sono felice – gli rivelò – mi tenevo questa cosa dentro e…”
“L’abbiamo gettata fuori, come i granchi sulla scogliera.”
Si guardarono, ripensando ad Akashi, a come li aveva spinti a credere che prima di tutto meritassero di andare in quella scuola per loro stessi e solo successivamente per i legami. Perché i legami erano un’arma a doppio taglio e potevano fortificare come far perdere. Tutti loro della Generazione dei Miracoli li avevano fortificati, quei legami, non solo tramite il basket, anche se in squadre diverse, ma grazie alla quotidianità della vita parte di ognuno: lo studio, il gioco online, le uscite e gli incontri.
“Direi proprio che andremo all’università assieme, Aomine-kun.”
Constatò Kuroko, sorridendo, come aveva sorriso alle medie, quando erano assieme, o quando aveva visto Aomine tornare ad amare il bakset e aver voglia di lottare, nel loro primo incontro delle superiori.
Si asciugò il volto con il dorso della mano.
E fu allora, quando la mano gli cadde a terra, che Daiki lo toccò con le dita, passandole sul collo, fino a lasciarle lì, per portare Kuroko più vicino, così vicino da baciarlo. Entrambi con le guance ancora umide, i capelli odorosi di mare, le labbra asciutte leggermente salate, forse proprio per quel mare, forse per le lacrime.
Voleva baciarlo, perché altrimenti non avrebbe saputo trovare le parole per dirgli tutto quello che sentiva, ciò che provava, l’euforia per sperimentare cosa volesse dire ripartire, ripartire davvero, e non fermarsi più a girare attorno alle pareti bianche di un secchiello. Per continuare a lottare in mare aperto, tra la sabbia e gli scogli, senza più barriere di plastica ma con un oceano intero di possibilità.

***

La sala di solito pensata per ospitare le cene semplici del ryokan – creata più per dar modo agli anziani avventori di non doversi spostare troppo e mangiare salutari cibi tradizionali – era buia, con qualche leggero spiraglio di luce proveniente dalle imposte non del tutto chiuse, ma non esattamente silenziosa.
“Stanno per arrivare? Mi fanno male le gambe a stare piegato così.”
“Dai Kagamicchi, sempre a lamentarti, io sono esaltatissimo!”
“Io ho fame.”
“Non avevamo dubbi, Murasakibara. Takao, sei ingombrante, spostati più in là.”
“Ma Midorima! Sono già all’angolo, dove vuoi che mi sposti?”
“Non lo so, questo è un problema tuo.”
Con uno schiocco di dita Akashi chiamò il silenzio, che fu immediato.
“Basta con le chiacchiere. State respirando anche in maniera rumorosa. Calcolando l’orario dovrebbero essere sul punto di arrivare.”
“Respiriamo in maniera rumorosa? Mica possiamo stare in apn…”
Ma Kagami tacque, perché Murasakibara gli mise una mano sulla testa, stringendo convenientemente di più la presa dei polpastrelli. Sbuffò, un solo istante, poi smise definitivamente di essere rumoroso.
A pochi metri dall’ingresso, infatti, oltre la porta chiusa c’era Aomine, confuso e chiaramente imbarazzato, anche se aveva le sopracciglia leggermente corrugate che lasciavano trasparire più che altro un sentimento di disagio. Prima di entrare, Kuroko lo guardò, sospirò e gli tese il pugno in avanti:
“Mi sono divertito oggi, Aomine-kun. E non cambierei proprio nulla.”
“Sì, beh…” roteò gli occhi, più per cercare le parole che per un fastidio che non avvertiva, infine annuì, sempre mantenendo un’espressione splendidamente corrugata:
“Nemmeno io.” Aggiunse, battendo il pugno.
Insomma, aveva baciato Kuroko. Così, all’improvviso. Niente di quelle robe più complicate con la lingua e tutto il resto – si sentiva morire e stupido al solo pensarci – però le sue labbra si erano proprio posate su quelle di Kuroko, con decisione, non certo tanto per fare. Ma che gli era preso? Era su di giri, felice, persino esaltato e aveva fatto la prima cosa che gli era venuta in mente, quasi fosse un fatto naturale, e nell’istante immediatamente dopo si era sentito così bene, così libero, da pensare di poterlo fare ancora.
Poi, quando si erano guardati negli occhi, entrambi erano arrossiti, deviando gli sguardi e interessandosi a fare cose inutili tipo scrollare la sabbia dal costume o controllare l’integrità del secchiello. Si erano incamminati lungo la spiaggia per tornare indietro, silenziosi ma intimamente felici, nonostante l’imbarazzo e il timore di aver offeso l’altra persona.
Per questo Aomine si sentì sollevato, nel sentire Kuroko parlare in quel modo. Non avrebbe cambiato nulla, nemmeno il bacio. E per lui sarebbe stata la stessa identica cosa.
Dopo quei minuti di riflessione si guardò un istante attorno e domandò, appoggiando una mano sul fianco mentre si grattava un orecchio, con la finezza che lo caratterizzava:
“Cos’è tutto questo silenzio? Dove sono tutti?”
Kuroko scrollò le spalle: “Non lo so, Aomine-kun. Magari sono ancora in spiaggia.”
“Non mi è sembrato di averli visti.” Fece presente Daiki, in procinto di sbirciare oltre l’imposta della finestra. Kuroko assottigliò impercettibilmente gli occhi.
Per tutto ciò che non riguarda il basket ha l’intuito di una pietra, proprio stasera doveva riscoprirsi tanto osservatore?
“Andiamo a chiedere alla signora Wakabayashi.” Suggerì all’ultimo, battendogli una breve ma decisa pacca sulla spalla per costringerlo a bloccare ogni curiosità inopportuna.
“Va bene, va bene Tetsu.” Borbottò Aomine per poi mettere la mano sulla porta ed entrare, anche se dopo aver lanciato una breve occhiata a Kuroko.
Poi mise piede nell’oscurità e borbottò qualcosa sulla luce che faceva schifo, visto che si decideva a saltare proprio quando lui aveva più bisogno di vedere. Accennando a un sorriso per i suoi modi un po’ burberi e per il fatto che non si fosse nemmeno avvicinato all’interruttore, Kuroko gli suggerì:
“Magari puoi provare ad accenderla, la luce.”
Prima che Daiki potesse replicare, Tetsuya premette l’interruttore e i due ragazzi vennero illuminati dalle lampade della sala del ryokan ma non solo… c’erano appese per le travi in legno anche tante luci colorate, dal blu all’arancione, che fecero sembrare il luogo un ambiente in festa.
E poi… Kagami, Kise e Momoi che saltarono su da dietro dei tavolini, con le braccia spalancate e il sorriso allegro:
“Buon compleanno, Aomine!”
Lo dissero anche Midorima, che si era compostamente messo in piedi, imitato da un più entusiasta Takao, Murasakibara, che pure era salito a rallentatore, per finire anche Akashi, il quale non aveva urlato come gli altri ma sorrideva appena, con le braccia incrociate e lo sguardo fiero del capitano.
Fecero il loro ingresso dal retro la signora Wakabayashi, seguita da alcuni degli anziani avventori del ryokan, che nei giorni passati si erano tanto divertiti con quei giovani allegri e pieni di vita.
Applaudirono tutti e qualcuno fece volare delle stelle filanti.
Aomine era rimasto immobile per tutto quel tempo, con gli occhi incapaci di chiudersi, la salivazione ridotta a zero e lo sguardo che si spostava sui ragazzi che anni fa erano stati i suoi migliori amici, la sua squadra, poi i rivali e l’ispirazione per rimettersi in gioco e cambiare. Guardò Momoi, che l’aveva sempre supportato e sopportato, poi lentamente si voltò verso Kuroko.
“Tetsu.”
Gli disse. Ma richiuse la bocca.
“Auguri, Aomine-kun.”
Gli rispose applaudendo a sua volta, con quel sorriso accennato ma così vero e diretto da spiazzare. E Daiki, ragazzo egocentrico, introverso – nonostante in passato fosse stato tanto aperto e sorridente da non sembrare più lo stesso, capace in seguito di allontanare e disprezzare la gente – si ritrovò per la prima volta da quando tutto era cambiato davvero completo e felice. Così tanto da non desiderare di essere altrove o con altre persone.
“Grazie.”
Disse semplicemente. Si inchinò.
Gli astanti lo guardarono, qualcuno perplesso per quel gesto di profonda umiltà e sincero ringraziamento, proveniente proprio da uno che si era sempre creduto troppo superiore per quelle cose. Infine sorrisero e si avvicinarono, esultanti, Kagami battendo qualche sonora pacca sulla spalla, Kise andandolo ad abbracciare senza smetterla di inneggiare alla festa che avevano organizzato.
Si presero in giro, scherzarono, poi si sedettero tutti presso i tavolini bassi, uniti per l’occasione. C’era odore di cibo, di festa e di salsedine, portata da Aomine e Kuroko che non si erano cambiati, ma anche dal mare che risuonava oltre le mura e sulla spiaggia, con la grancassa della risacca.
Ci fu poi la torta e, siccome Aomine si rifiutava all’inizio di soffiare le candeline, Kagami e Kise si avvicinarono con l’intento di farlo al posto suo, convinti che l’inaffondabile competitività di Daiki si sarebbe rivelata in tutta la sua potenza. Infatti così fu e il ragazzo li spintonò, per anticiparli e non permettere loro che lo battessero sul tempo nel fare un gesto tanto semplice.
Ci furono ancora cori di auguri, poi Akashi domandò, guardando Kagami:
“Taiga, ci pensi tu?”
Questi annuì. Qualcuno sorrise, altri ridacchiarono compiaciuti.
“Anche se non mi piace ammetterlo – Momoi gli lanciò un’occhiataccia, Akashi fu semplicemente glaciale nel guardarlo, dunque il giocatore della Seirin dovette correggere il tiro, dando un colpo di tosse – dicevo… dopo tutti questi anni che ci conosciamo, di vittorie e di sconfitte, nonostante i nostri caratteri non propriamente pacati, ho da riconoscerti un grande merito.”
Aomine sollevò un sopracciglio, perplesso di fronte a quell’ammissione, ma non replicò.
Così Kagami proseguì, guardandolo negli occhi: “Oltre a essere un giocatore che, francamente, ancora non riesco a prevedere e, dannato, prima o poi riuscirò a capire e ostacolare i tuoi movimenti, specie da quando ti sei finalmente allenato come si deve…”
“Kagami-kun, stai divagando.” Intervenne Kuroko.
“Ok, vero, comunque un tuo merito è stato cominciare a credere negli altri. Hai creduto in me, quando mi hai dato le tue scarpe prima della partita, ma anche in Kuroko e in tutti noi. E’ per quello che sei migliorato tanto, che hai ripreso a giocare con entusiasmo e amare veramente il basket. Perché hai creduto che noi tutti potessimo essere degni avversari ma, soprattutto, amici.
Non è forse molto ma ci tenevamo a darti questo, da parte di tutti noi.”
Gli porse un pacchetto regalo rettangolare.
Con l’espressione a metà tra lo stupito e l’emozionato, Aomine aprì l’incarto e scoprì che conteneva una scatola con dentro… delle scarpe da basket.
Nere, come piacevano a lui, e di un modello così simile a quello che anni fa aveva dato a Kagami e che con il tempo si era consumato.
Per giocare ancora. Assieme.

***

Akashi era seduto sul porticato, fuori dal ryokan. Avevano tutti finito di risistemare la sala e ormai la luna era alta nel cielo, con le sue stelle, capaci di rendere il mare una calma superficie oscura, lucente come se fosse stata uno specchio.
Kuroko si sedette al suo fianco e per qualche minuto rimasero entrambi, silenziosi, a guardare il cielo e il mare di fronte a loro.
“Grazie, Akashi-kun.”
Disse all’improvviso il ragazzo.
Akashi voltò lo sguardo verso di lui, per poi tornare a guardare le stelle con un accenno di sorriso:
“Non ho fatto niente.”
“Hai sempre cercato di tenere uniti tutti noi.”
Il Capitano della Rakuzan non replicò, rimanendo silenzioso. Sapeva che dopo l’estate le cose sarebbero state più difficili, con gli esami, il suo obbligo a dedicare meno tempo al basket e la prospettiva in testa degli studi futuri, scelti per poter continuare a giocare. Quante situazioni sarebbero cambiate nel frattempo, quanti rapporti persi e amicizie dimenticate.
Man mano li raggiunsero gli altri. Qualcuno si sedette di fianco a lui e Kuroko, come Aomine e Momoi, altri sulla sabbia o sulle scale.
Ci fu qualche ulteriore chiacchiera e risata. Infine Akashi disse, alzandosi in piedi:
“Devo farvi un annuncio. Da dopo l’estate dovrò ridurre il mio impegno con la squadra di basket. E’ probabile che partecipi ancora a qualche partita ma cederò il mio ruolo di capitano. I ragazzi del secondo anno dovranno cominciare a sostituirsi a noi del terzo, com’è giusto che sia. Di conseguenza… potrò giocare poco o niente anche con voi. Scusatemi sin da ora.”
Tutti lo guardarono, esterrefatti. Ma intimamente era ragionevole che uno come Akashi dovesse fare delle scelte importanti a beneficio dello studio, visto le mire ambiziose che la sua famiglia aveva sempre coltivato per lui.
Dopo un istante, Aomine si alzò a sua volta:
“Beh, dobbiamo guardare al futuro, allora. Tetsu e io abbiamo scelto l’università.”
Akashi lo fissò, senza però far trapelare nulla, eccetto un lieve stupore.
“Oh, finalmente, ti sei deciso Ahomine! Comunque sappi che ti batterò anche se saremo nella stessa squadra. L’asso sarò io.”
Disse Kagami, puntandosi il pollice contro il petto.
“Scordatelo, Bakagami – poi si voltò verso Kuroko – lui lo sapeva?”
“Aomine-kun, ti ricordo che siamo in squadra assieme, nella stessa scuola. Ovvio che ci siamo confrontati.”
Ma con te, Aomine-kun, è stato decisamente più difficile. Perché credevo che saresti andato altrove e non ti sarebbe più importato di nient’altro.
“Ehi, ho scelto anch’io l’università. Sarà la stessa?” investigò Kise.
“Spero di no.” Sbottò Midorima.
Takao gli dette una manata sulla spalla: “Ma dai, che ti sei fatto subito convincere da Akashi. E so che ti sei informato da Momoi per sapere che avessero deciso gli altri.”
“Sta’ zitto.” Gli ordinò il tiratore da tre punti, lapidario e imbarazzato.
Murasakibara guardò Akashi, infine dopo un attimo di silenzio gli disse:
“Joochi. L’hai suggerita a tutti noi, no?”
Gli altri guardarono Murasakibara, che però fissava Akashi. Fu allora che si voltarono verso quest’ultimo e lo videro per quello che egli era: non solo una divinità, un genio assoluto in qualunque cosa facesse, un capitano venerato e amato dai propri compagni che esigeva sempre il massimo, soprattutto da se stesso. Ma anche un ragazzo, legato come tutti loro dagli obblighi della vita e dai sacrifici, che aveva infine disteso il volto in un sorriso, nonostante lo sguardo stupito, di chi non era abituato a essere confuso e capito, fino in fondo.
Aveva parlato a ciascuno di loro dell’università, proprio perché voleva che in futuro non ci fossero rimpianti, che ognuno costruisse la sua scelta poiché credeva davvero che quel luogo fosse adatto per vederli crescere, nel basket, nello studio, in qualsiasi cosa avrebbero voluto intraprendere nella vita.
Si aspettava riflessioni in merito da parte degli altri ma…
“Mi state dicendo che tutti avete scelto la Joochi?”
Domandò, guardandoli uno ad uno. E ognuno annuì.
Seijuro si sedette.
Kuroko lo guardò: “E’ tempo che anche noi, in fondo, contribuiamo a tenerci uniti, Akashi-kun.”
L’imperatore sorrise. Pensò che quell’estate era stata la più splendida e perfetta della sua vita.

***

“Sai cosa mi fa venire in mente l’estate, Tetsu?”
“Cosa, Aomine-kun?”
“Le cicale. Un tempo pensavo fosse il mare. Ma… il mare non è ovunque. Invece d’estate, in qualsiasi luogo tu sia, la sera affacciandoti alla finestra sentirai sempre le cicale frinire.”
Si guardarono, prima di andare a dormire e l’indomani ripartire.
Ovunque io sarò, con gli anni a venire, mi ricorderò per sempre di questi giorni. Come se quel frinire, la risacca e il mare sugli scogli, li avessi dentro di me, assieme a tutto ciò che ho provato.






Sproloqui di una zucca

Ebbene sì, eccoci all'ultimo capitolo. Quanto mi mancheranno questi ragazzi, davvero. Dopo aver concluso in una lettura pazza e disperatissima il manga e l'anime avevo un vuoto dentro, misto ad esaltazione (dopo un breve assaggio di fangirlismo con lo speciale Extra Game del quale attendo a settembre il film subbato), perché avevo bisogno di capire che accidenti accadesse a questi ragazzi in futuro. Hanno tutto il liceo davanti e poi la vita... sta situazione s'ha da proseguire. Quindi meno male che ci sono le fanfiction e la scrittura, per colmare tali necessità.
Questo è il risultato del mio desiderio di immaginare la generazione dei miracoli et aggregati assieme, ancora, nella loro quotidianità. Tirando le somme è una storia semplice, proprio perché è pensata in quest'ottica di normalità e affetto - posso arrivare a standard molto crudi e brutali, segno che ho un bel bipolarismo da curare XD
E' irreale che davvero, alla fine, tutti i ragazzi decidano di andare alla stessa università, per quanto in Giappone il sistema universitario sia molto diverso dal nostro ed, effettivamente, una struttura complessa possa racchiudere numerose facoltà ed esistano club importanti per gli sbocchi nel mondo sportivo/agonistico. Maaaaa.... tant'è, avevo voglia di sognare e di immaginare ancora i nostri ragazzi assieme, in una vera squadra.
Kagami, Kise e Aomine faranno a botte per il titolo di asso, Akashi calcioroterà il capitano prendendo automaticamente il suo posto, Midorima e Murasakibara saranno titolari appena messo piede in palestra e Kuroko... verrà scartato XD Per poi venire riammesso dopo le minacce/preghiere degli altri. Oh, ovviamente Tetsu e Deiki staranno assieme <3 In un modo o nell'altro XD
Wow, c'è materiale per una nuova storia! Olé!
Scherzi a parte, grazie davvero ha quanti hanno letto. Se voleste esprimere la vostra opinione generale in merito, risponderò con giuoia.
Nuovamente grazie e alla prossima storia!
Più Aomine e Kuroko per tutti :3





Se Aomine li avesse scoperti organizzare il suo compleanno sarebbe morto XD

   
 
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