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Autore: body_ko    16/06/2009    3 recensioni
Il parco giochi di Justin Taylor e la tribù di Brian Kinney.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il Signore dei Sogni Brian Kinney era appoggiato alla balaustra di un piccolo ponte di pietra, guardava lo scorrere del canale sotto di sé, poi alzò lo sguardo al labirinto di vicoli, anfratti, scale e rialzi che lo circondava.
Era a Venezia, concluse. E non aveva la più pallida idea di come diavolo aveva fatto ad arrivare fin lì.
Si grattò la testa, indeciso, e notò i pantaloni di pelle nera che indossava e la camicia tigrata che gli fasciava il busto. Niente male, pensò. Aveva visto qualcosa del genere nell’ultima collezione di Roberto Cavalli... peccato che, con quella miseria che lo pagavano nell’agenzia pubblicitaria doveva faceva tirocinio, non poteva permettersi neanche un polsino di quella favolosa camicia.
Lo splendore di quel costoso straccetto illuminò la sua mente.
Vide uscire da una porticina minuscola un ragazzo che correva. Brian lo chiamò, ma questi non si fermò ne rallentò, quindi l’uomo lo rincorse per le calli veneziane. Lo raggiunse, lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi. Indossava una maschera, che gli copriva la parte superiore del volto, lasciando scoperta la bocca. La bocca più bella che Brian avesse mai visto. Prima ancora di pensare di farlo, lo stava già stringendo a sé e lo divorava in un bacio appassionato. Dopo un attimo di sorpresa, la sua giovane preda rispose al suo bacio, buttandogli le braccia al collo.
"Chi sei?”, chiese il giovane.
“Sono il Cattivo”, rispose Brian e riprese a baciarlo. Quando gli tolse la maschera, chiarissimi occhi incazzati si levarono su di lui, e il ragazzino si liberò dal suo abbraccio, fremente di rabbia.
“Tu non sei tra gli invitati alla festa…” disse il ragazzo piccato, “perché sei qui? Come puoi essere qui?”
“Questo è esattamente il mio punto”, concesse Brian magnanimo, “non che questo posto non abbia qualche attrattiva…” e dicendolo accarezzò collo sguardo il corpo glabro e molto poco vestito del suo nuovo incontro, “ma Venezia è ormai inflazionata come meta turistica.. anche se onirica”.
Il ragazzo gli voltò la schiena e se ne andò tutto impettito.
“Tornatene da dove sei venuto”, gli urlò poi, “questo posto non è per te!”
Brian gli rispose col suo bel sorriso, e poi lo seguì nel palazzo illuminato in cui l’aveva visto entrare.

Era una festa in maschera. Sembrava il set di un film tanto ogni particolare era decadente e ricercato, dalle maschere e i costumi all’architettura dell’immenso salone, gocce di luce pendevano dal soffitto e il flebile tremolio di mille candele dominava la stanza, inebriata nella musica di Mozart: chi aveva messo su quel teatrino aveva senza dubbio un certo senso estetico ma… era ordinario. Non originale, l’imitazione di buoni maestri, ma non espressione di una personalità definita o completamente formata.
Brian decise però che il ragazzino aveva gusto, poteva migliorare, così come poteva involvere nello scontato ovviamente. Vagò collo sguardo alla ricerca di una zazzera bionda e lo vide dall’altra parte della sala, circondato da una piccola corte, mentre Casanova gli porgeva da bere.
Attraversò la sala per raggiungerlo, il suo abbigliamento era decisamente fuori tema, ma non lo sarebbe stato per molto.
“Questo parco giochi è piuttosto dozzinale”, gli disse sorridendo. Il volto del ragazzo si congelò, la musica cessò, decine e decine di occhi puntarono Brian.
“Ma infondo non è che la fantasia di un bambino”.
Il ragazzo si alzò dalla sua poltrona di velluto rosso e infuriato si piazzò di fronte a Brian.
“Io non sono un bambino!”, disse. “Ho 13 anni”.
In precedenza gli aveva intimato di andarsene, ma adesso Justin era roso dal tarlo del dubbio. Si guardò intorno, cercò di vedere le sue immagini cogli occhi di un estraneo… ed effettivamente un po’ scontate lo erano. Del resto, non era mai stato a Venezia e tutto quello che sapeva della laguna e delle feste in maschera era dovuto ai film. Guardò quello straniero che non avrebbe dovuto essere lì, era più grande di lui, aveva sicuramente visto più cose, fatto più cose: agli occhi di un adulto, il suo mondo doveva apparire stupido, superficiale, vuoto.
Justin si rabbuiò: il suo universo fantastico era l’unica cosa che rendeva la sua vita sopportabile, era l’unica cosa che lo rendeva speciale, se la sua fantasia era soltanto pattume, allora che restava di lui? Sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma si sforzò di trattenerle: non voleva farsi veder piangere dal quel brutto e cattivo signor Disdegno.
“Non piangere bambino”, gli disse Brian, poi lo prese per mano e lo scenario cambiò.
Justin si guardò intorno, l’oscurità era predominante, odore di fumo, alcol e umanità, pullulare di corpi invasati e posseduti dalla musica tecno.
“Benvenuto nel mio regno”, gli disse Brian, sorridendo senza allegria.

Brian sparì in una stanza laterale, Justin vide che c’era un cartello con scritto Backroom e, per quanto non sapesse cosa fosse una Backroom, il buon senso gli suggerì di non seguirlo là dentro. Deglutendo nervosamente, si guardò intorno. In mezzo alla sala da ballo, colla moltitudine intorno che lo confondeva, si sentì terribilmente solo.
Avanzava tra le ombre, travolto dalle immagini mai sognate di tutti quei corpi di uomini mezzi nudi, impegnati in una danza scatenata, come quella di un’antica tribù, che pur mescolata all’interno della società, resta comunque straniera, identificata ed identificante, furiosa di passioni brucianti, pericolosa, forte.
Justin si rese conto che il suo cuore aveva aumentato i battiti, si sentiva pulsare la vena del collo, e si allentò il colletto della camicia, in cerca d’aria. Non respirava bene, aveva un macigno nel petto che gli bloccava il respiro, non aveva mai provato prima quella sensazione, e solo quando vide le sue mani tremare capì cos’era.
Justin Taylor, che nella realtà non l’aveva ma sperimentata, scoprì nel mondo del sogno cos’era la paura.
Si appoggiò stremato ad una colonna mentre, ad occhi spalancati e ansante, guardava quegli uomini immensi ballare sul cubo, il loro corpo perfetto completamente esposto, lucidi muscoli gonfi, e le mani nervose e la piega del collo, invitante, e la pelle glabra da baciare, da mordere, da succhiare e quell’odore che lo invadeva, era forse quello che gli chiudeva la gola, era l’odore del sesso, caldo, pulsante, vischioso, avido.
Fece l’unica cosa che poteva per non essere sopraffatto: scappò.
Brian lo ritrovò, dopo parecchio tempo, nel vicolo dietro il locale, seduto per terra, solitario ed imbronciato. Justin lo guardò pieno di rancore, gli occhi bagnati di lacrime eppure deciso a non arrendersi.
“Un giorno…” gli disse”… un giorno tu e io c’incontreremo ancora”.
Brian si mise seduto di fianco a lui, la testa pigramente appoggiata alla saracinesca abbassata del negozio alle loro spalle, e in bocca una sigaretta dall’odore particolarmente acre.
“Tu credi che c’incontreremo ancora? Già è un’anomalia che ci siamo incontrati adesso. Non ho ancora capito chi dei due abbia invaso i sogni dell’altro”.
Justin parve allarmato, non aveva pensato che nella realtà loro due potevano vivere ai capi opposti del globo, e poi la memoria dei suoi viaggi era sempre incompleta: anche incontrando quell’uomo nella realtà, avrebbe potuto non riconoscerlo.
Calde lacrime cominciarono a segnargli le guance.
“Potrei non riconoscerti”, disse, cercando di mantenere il controllo e fallendo miseramente.
Brian guardò quel dolce volto infantile, la zazzera bionda e l’unica parola che gli venne in mente era “adorabile”. Gli accarezzò bonariamente la testa.
“Io ti riconoscerò. Sono il Signore dei Sogni, sai? La mia volontà è forte, la mia memoria inossidabile, il  mio potere immenso. Quando sarai diventato un po’ più grande”, gli disse con voce falsamente dolce, “ti farò il culo, sunshine”.
Justin tirò su col naso.
“Sei un bastardo”, gli disse.” Magari sarò io a fare il culo a te”.

Brian uscì dal Babylon una sera uguale a mille altre. I suoi amici erano con lui e il mondo era ai suoi piedi. Il solito insomma… poi lo vide. Il ragazzo biondo, fantasia gay che cammina, appoggiato a quel lampione con l’aria languida e sperduta a un tempo.
Era assolutamente perfetto. Brian non aveva gusti difficili in fatto di uomini, fintanto che erano belli, ma da qualche anno aveva una predilezione per i cuccioli biondi, dagli occhi splendenti e la bocca… quella bocca… era la realizzazione di un sogno.
Si avvicinò rapace alla sua preda, dimentico di tutto il resto. Quel ragazzino era così fottutamente il suo tipo che, adesso che l’aveva trovato, gli avrebbe dato la caccia fino in capo al mondo.


  
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