Take me away
– Berlin – Jakob x Timo
26 Dezember 1981 –
Achtzehn Jahre, Achtzehn Jahre.
In quella fredda mattinata di inverno, a
Berlino, Jakob era coperto dalla testa ai piedi, imbacuccato come un pinguino.
Era diretto verso quella che un tempo era la scuola primaria del quartiere di
Gropiusstadt, dove a minuti sarebbe dovuta iniziare una partita di calcio tra
il suo gruppo e quello dei ragazzi del Reichstag.
Avrebbero dovuto giocare sul pratone di
fronte al Palazzo del Parlamento, ma il freddo insostenibile non aveva permesso
ai ragazzi di portare a termine la scelta iniziale.
Jakob si era esercitato
con Bernd, Büchner 2 e gli altri ragazzi di Gropius per tutto il mese
precedente, ma non era poi così sicuro del fatto che avrebbero vinto. Non
giocavano proprio ad armi pari, questo era ovvio. La maggior parte dei ragazzi
del Pratone era dotata di una resistenza incredibile. Lì erano la forza e la
violenza, le parti fondamentali della loro personalità.
Avevano maggior
esperienza, si impegnavano ogni giorno per portare a termine lavori durissimi e
prove che loro, ragazzi come Jakob, non potevano nemmeno immaginare.
La forma fisica dei
ragazzi del Reichstag, era di gran lunga più possente e sviluppata della loro.
Jakob conosceva bene molti
membri della squadra. Claudia, Roberto. Timo.
Timo Schäfer*, figlio
di Babette e Rolf Schäfer, quello che era stato il più grande lottatore tedesco
di quei tempi, anche se Jakob sapeva che Rolf non fosse stato il suo vero padre.
Lui e Timo si erano parlati pochissimo, ma Jakob sapeva un po’ di cose su di
lui, ed era a conoscenza di che tipo fosse. Era nato a Kreuzberg, aveva
diciotto anni ed era arrivato secondo al torneo di atletica giovanile nel 1976,
quando lui aveva solo tredici anni. Aveva una resistenza fisica pazzesca, e
dopo aver combattuto il virus, era addirittura migliorato.
Perché il virus non
c’era più. Lo avevano combattuto, dopo sei anni. Avrebbero finalmente vissuto
senza la consapevolezza del fatto che, di lì a poco, sarebbe arrivata la loro
ora.
Jakob sapeva che Timo
fosse una testa calda, dalla personalità violenta. Era freddo e irascibile,
presuntuoso, arrogante. Apparentemente. Louis Büchner, un amico ventunenne di
Jakob, lo conosceva bene. Sapeva che, sotto sotto, Timo nascondesse un lato di
sé leale e giusto.
Quando Jakob mise piede
nella palestra, vide una ventina di ragazzi che si riscaldavano, alcuni che
facevano qualche palleggio – per quanto possibile – con il pallone sgonfio.
Vide Verme, il
piccoletto ormai undicenne del Reichstag, che si era sistemato sulla panchina
della sua squadra. Avrebbe segnato lui i punti, assieme a Britta Lermann, una
ragazza di diciassette anni del gruppo dell’Havel, unito oramai al
Gropiusstadt.
Si guardò attorno, e
vide i ragazzi della sua squadra allenarsi in porta e in attacco. Poi,
girandosi verso la panchina della squadra avversaria, vide Timo. Stava facendo
degli addominali, con le mani posizionate dietro alla testa. La sua ragazza,
Claudia, gli stringeva le caviglie, mentre lui alzava il busto e tornava con la
schiena sul pavimento ripetutamente. Quando si accorse che Timo lo avesse
notato, e che lo stesse guardando male, fece retro-front, e tornò dalla sua
squadra.
Si tolse i pantaloni da
scii e il cappotto, rimanendo in pantaloncini e maglietta, quella che gli aveva
cucito e personalizzato Nora, la ragazza haveliana più grande. Era rossa, aveva
il suo cognome e il suo numero – il venti - sulla parte posteriore.
Verme fischiò l’inizio
della partita pochi minuti dopo. Jakob, si trovava in centrocampo, davanti a
lui Büchner 2 e Akay, un
ragazzo indiano di vent’anni.
I due scattarono in
avanti, seguiti da lui. Louis gli passò la palla, non appena Roberto cercò di
rubargliela. Jakob avanzò, venendo fermato da quello stesso ragazzo
immediatamente.
- Volete farmi
scaldare, prima che inizi a giocare sul serio?
Inutile dire che Jakob
lo scartò immediatamente. Si asciugò il sudore dalla fronte, facendo un
sorrisetto. Era questo che faceva dell’italiano un idiota. Era bravissimo a
calcio, ma si perdeva in chiacchiere ogni volta che avrebbe dovuto rubare la
palla, o quando si trovava davanti ai difensori ed era sul punto di segnare.
Stava per passare la palla a Sabine, quando il possesso di essa gli venne
tolto. Quando si girò, non si meravigliò affatto della persona che aveva preso
possesso di palla. Timo. Correva, velocissimo. I passaggi che effettuava erano
perfetti, precisi e veloci.
- Passa qua, Capitano!
Timo neanche si voltò.
Era evidente che sopportasse Roberto meno di lui.
Lanciò la palla a
Claudia, che era pericolosamente vicina alla porta. La ragazza scartò Bernd
come se fosse invisibile.
Jakob sapeva quando il
migliore amico fosse bravo in difesa. Niente passava dietro di lui, quando
giocava. Solitamente.
Claudia passò
nuovamente la palla a Timo, e il ragazzo tirò con una precisione e una forza
perfette.
Verme segnò l’1 a 0 sul
tabellone, e Jakob si accorse di come sonoramente sbuffò Britta.
Il primo tempo fu,
complessivamente, il peggiore che Jakob avesse mai giocato. Erano tre a zero
per il Reichstag, e il ragazzo si era fatto soffiare la palla un sacco di
volte.
Britta fischiò per
segnare la fine di quella ‘agonia’, e Jakob corse verso la panchina. Ignorò la
risata acida che Timo gli lanciò, e il “perdente” che gli indirizzò Claudia.
Gli venne quasi un infarto quando si sentì tirare i capelli. Lanciò un grido
smorzato, ritrovandosi davanti Louis, nonché capitano della squadra.
- Posso sapere che
accidenti ti prende? Hai fatto schifo per tutto il primo tempo, adesso vuoi
anche piazzarci un bell’autogoal per finire in bellezza? Hai giocato da dio
contro la squadra di quel coglione di Caspar e durante gli allenamenti, e
contro la squadra migliore di Berlino Ovest l’unica cosa che sei riuscito a
fare è stata intercettare un passaggio, Geyer? Vuoi andartene in panchina a
calci in culo?
- No, capitano.
Büchner 2 strinse i
denti. – Ripeti.
- Louis, falla finita.
Magari era distratto, e poi non è mica colpa sua.
Jakob fissò Bernd, che
stava bevendo dalla sua borraccia. Vide il capitano stringere i pugni, dopo
averlo lasciato andare.
- Magari sarà anche
colpa mia, ma almeno ho cercato di impegnarmi, anche se siamo contro quel
grandissimo bastardo di Schäfer. Sei uno dei ragazzi su cui confido di più,
Geyer, e se continui la partita così, finisci dritto in panchina.
Dopo che se ne fu
andato, Bernd puntò il suo sguardo sul migliore amico, pieno di comprensione.
- Fa di ogni cosa un
dramma. D’altra parte, se non fosse così, non si chiamerebbe Louis Büchner.
Bernd andò a sistemarsi
in difesa, seguito subito da Petra e l’ormai tredicenne Peter. Jakob diede una
pacca sulla spalla di Mehmet, il loro portiere, che sollevò le spalle e tornò
in postazione.
Verme diede il via al
secondo tempo.
La palla gli fu subito
passata da Louis, insieme ad un’occhiataccia della serie: “prova a fare qualche
cazzata, e ti riempio di botte.”
Corse verso la porta,
finendo dritto davanti a Timo.
“Ma non era un
attaccante?” aveva pensato, quando se l’era visto in difesa. S’impegnò meglio
che poteva, spostando il peso e la palla da un piede all’altro, ma Timo era
molto più alto, veloce e allenato di lui. Se poi si aggiungeva la
determinazione che aveva in quel momento, Jakob era di gran lunga in
svantaggio. Lo guardò negli occhi, in cui in quell’azzurro delicato e
meraviglioso, trasparivano freddezza e concentrazione.
Dopo svariati
tentativi, riuscì a scartarlo, correndo verso la porta del Reichstag.
3 a 1.
Jakob si lasciò sfuggire
un sospiro sollevato, tornando nella sua posizione da centrocampista. Vide Büchner
2 girarsi, e annuire, con uno sguardo più rilassato in volto.
Ma i ragazzi di Gropius
non erano così sicuri di rimontare. Pensavano che Timo fosse l’unico forte tra
i componenti della squadra, ma sbagliavano.
Claudia e Roberto erano
fenomenali, e avevano concluso la partita per 5 a 2. Louis aveva segnato, ma
avevano comunque perso. Jakob sospirò.
Tornarono alla loro
panchina, amareggiati. Non per il fatto di aver perso, bensì per il pensiero di
non aver giocato al massimo. Avrebbero voluto vincere sul serio contro i
ragazzi più forti della Berlino Ovest di quei tempi, ma avevano fallito.
- Assurdo. – aveva
sbuffato il capitano, asciugandosi il sudore con la maglietta. Sabine aveva
alzato le spalle, andandosi a sedere accanto a Peter.
- Louis, abbiamo fatto
del nostro meglio. – provò a dire Bernd, ma Jakob sapeva che, infondo, non ci
credesse nemmeno lui.
I pugni di Büchner 2 si
serrarono, quando una voce li interruppe.
- Quindi, il meglio che
sapete fare, è questo? Ah, miei cari amici del Gropius, ma che combinate?
Christa aveva
incrociato le braccia al petto, sbuffando in direzione di Timo.
- Forse perché non
restiamo tutto il giorno ad allenarci o spaccarci le ossa per sembrare dei duri
che fanno a botte alla prima cazzata che spara qualcuno?
- O forse perché siete
dei rammolliti nerd? – aveva riso Timo.
Jakob non ce la fece
più.
- A differenza vostra,
non abbiamo molta voglia di farci la guerra per aver perso una partita. Chiaro?
- Il folletto di
Gropius è arrabbiato? Claudia, Timo, scappate, può essere pericoloso. –
L’irritante voce di Roberto fece serrare i denti anche a Timo, mentre Claudia
continuava a starsene in disparte, a braccia incrociate, giocando di tanto in
tanto con la maglietta.
Jakob fece un respiro
profondo, girandosi verso la sua squadra. La questione finì lì, e, dopodiché,
se ne tornarono tutti nelle proprie abitazioni.
29 Dezember 1982 – neunzehn jahre,
neunzehn jahre.
Jakob, da tre anni, abitava
in un appartamento abbandonato di Gropius assieme a Bernd e Nina, e quella
stessa sera, mentre era steso sul suo letto a leggere, si prese un colpo, non
appena vide una figura alta e bionda entrare dalla sua finestra. Timo Schäfer,
il capo del Reichstag, e il capitano della squadra dello stesso.
- T-Timo cosa…
- Zitto. Stai zitto o
ti spacco il culo, okay?
Jakob aggrottò la
fronte. Stava per fare un commento acido, quando notò l’occhio nero e la ferita
sulla guancia di Timo.
- Hai… Fatto a botte?
Beh, non che sia una novità.
Lo sguardo gelido che
gli lanciò Timo lo fece zittire immediatamente, mentre il ragazzo guardava
dalla finestra, con una smorfia che gli segnava il viso.
- Posso sapere, almeno,
perché sei entrato dalla finestra di casa mia, alle nove e mezza di sera? E poi
che diamine ci fai a Gropiusstadt?
Chiese infine. Stava,
lentamente, perdendo la pazienza. Il sonoro sbuffo di Timo gli fece inarcare
maggiormente le sopracciglia.
- Mi hanno scoperto.
- Oh, che cazzata hai
fatto, sta volta? Non dirmi che hai stuprato un ragazzino dello Zoo.
Timo gli lanciò
un’occhiataccia.
- Ho rubato per due
mesi dalla scorta dei tegeliani. Mi hanno scoperto, e se non danno fuoco al
Reichstag, vuol dire che sono un ragazzo molto, molto fortunato.
Jakob lo fissò,
incredulo. – Tu… Hai rubato? Al Tegel? A quella pazza di Wolfrun?
- Sei scemo o sordo? Sì.
- Che diamine ti salta
in…
- Scheiße*!
Jakob aggrottò la
fronte.
- E quest’imprecazione
molto fine era per...?
- Dove cazzo è il tuo
armadio?
Il riccio lo fissò per
un secondo. – Prego?
- Dimmelo, se non vuoi
vedermi morire davanti ai tuoi occhi!
Jakob indicò il mobile
alle sue spalle, e rimase ancora più sconvolto, quando vide Timo che s’infilava
dentro ad esso.
- Cosa…
Perse la pazienza,
quando vide entrare Caspar Krueger* dalla finestra.
- Ma che cazzo?!
- E’ qui?
Jakob fece un profondo
respiro, e lo guardò.
- Chi?
- Lo sai chi. Schäfer.
Jakob esitò. Poi si
disse che, per una volta, l’avrebbe data per buona a Timo.
- Chi? Quel montato del
Reichstag?
- Proprio lui.
- No. Non lo vedo da un
po’.
Jakob sapeva di averla
già vinta. Caspar, come la maggior parte dei ragazzi tegeliani, era un idiota.
Non avrebbe mai capito cosa davvero pensasse Jakob.
Il ragazzo dagli occhi
chiari come il vetro sbuffò, catapultandosi fuori. Il riccio alzò gli occhi.
- Via libera.
Vide Timo uscire
dall’armadio, spazzolandosi i pantaloni. Passarono diversi minuti in cui
nessuno dei due parlò. Poi, Jakob si accigliò.
- Mi aspetterei almeno
un “grazie”, o, che so, una pacca sulla spalla?
Timo sbuffò. – Penso
sia il minimo che tu potessi fare, perché se, in caso tu avessi detto la
verità, Caspar e gli altri non mi avessero ucciso, saresti morto tu. Per mano
mia.
- Gradirei comunque un
ringraziamento, dato che non solo ti sei intrufolato nella mia stanza, ma ti ho
anche difeso.
- Odio le vostre manie
di gentilezza e minchiate simili. Sembrate delle ragazzine.
- Non sono solo le
“ragazzine”, a tenerci all’educazione.
- E va bene, grazie.
Stai zitto, ora?
- Credo si possa fare.
E ricorda che sei in debito con me.
Timo tirò un enorme
sospiro. Jakob aspettò che se ne andasse, ma ciò non accadde.
- Rimarrai qui per il
resto della tua vita?
- Credi che io sia
tanto stupido da scappare quando ci sono dei pazzi pronti a uccidermi, qua
fuori?
Jakob alzò le spalle. –
se ne saranno andati.
- Meglio prendere
precauzioni.
- Esci da casa mia.
- Adesso fai il
soldatino?
L’altro ragazzo sbuffò
sonoramente.
- Oh, fai sul serio?!
La risatina di Timo lo
fece esasperare. – E va bene, resta qui. Ma se non te ne vai entro domani
mattina, sarò io a commettere un omicidio.
- Jakob “ho paura dei
topi” Geyer che vuole uccidere me? Aw.
- I topi riescono a
essere letali, quando vogliono.
- Già, ma se li
trasformi in spiedini, non lo sono più.
Jakob fece una smorfia
disgustata, solo al pensiero di uno “spiedino di topo”. Diede un’occhiata alla
stanza, pensando a dove avrebbe potuto sistemare Timo per la notte. Poi gli
passò per la mente un pensiero.
- Quindi, il grande e
forte Timo, capo del Reichstag da tre anni, ha paura di essere preso a pugni?
Vide Timo accigliarsi,
per poi sbuffare. – Saranno anche fatti miei.
- E se io fossi
curioso?
- E se io ti spaccassi
la faccia?
Jakob alzò le
sopracciglia. – Posso dire a Caspar e Wolfrun che sei qui quando voglio. Ti
consiglio di essere più delicato.
- Senti un po’,
principessa, non è che se hai perso la partita di un anno fa e sei stato preso
a cazzotti da Louis Büchner devi necessariamente fare lo stronzo, eh.
- Io non…
- ‘Sta zitto.
Jakob ridacchiò. – Nah,
non voglio darti la soddisfazione.
Il ragazzo biondo
sbuffò, andandosi poi a sedere in un angolo della stanza. Jakob riprese il suo
libro, leggendo dal punto che aveva interrotto.
- Che leggi? – aveva
sentito, dopo neanche cinque minuti.
- I ragazzi della via Pal. – aveva risposto
lui, senza guardarlo. Sentì Timo sbuffare.
- Che palle. E’ da
vecchi.
Il riccio aveva alzato
le spalle. – Old but Gold.
Timo ridacchiò. Ci
furono altri minuti di silenzio, quando Jakob fu costretto a interrompere il
capitolo che stava leggendo, sentendo la voce dell’altro ragazzo: - Ho fame.
Il riccio fece una
risatina. – Ti arrangi. Hai rubato per due mesi a Tegel, penso tu stia bene
così.
- Smettila di fare il
cazzone. Dammi da mangiare.
- No.
- E se contassi fino a
tre, e poi ti spaccassi l’osso del collo?
- E se dicessi a Caspar
che sei qui?
- Eins*.
- Finiscila.
- Zwei*.
- Non ti darò da
mangiare, Timo.
- Drei*, Jakob.
Prima che Jakob potesse
anche solo muovere un muscolo, Timo si era buttato sopra di lui, sovrastandolo,
stringendo nelle mani un cuscino.
- Vuoi provare davvero
a soffocarmi con quello?
- Diciamo che ne sarei
capace.
- E va bene. Ti piace
il tonno in scatola?
- Mi prendi per il
culo?
Jakob spalancò gli
occhi: - Che ho fatto, adesso?!
- Hai davvero del tonno
in scatola? Dopo il Virus? Sei serio o scemo?
- Serissimo. Bernd ama
pescare.
- E sa anche fabbricare
scatole in alluminio?
- Beh, no. Diciamo che
quelle le ha prese dalla spazzatura.
Timo fece una smorfia
tra il disgustato e l’irritato. Jakob scoppiò a ridere.
- Che cazzo, Geyer!
Jakob aveva le lacrime
agli occhi, aveva riso decisamente troppo. - Ci sei davvero cascato, oddio.
Comunque, vieni che ti do un po’ di pane.
Vide Timo sbuffare, per
poi seguirlo nella cucina. Divorò il pane in un nanosecondo. Era un pezzetto
relativamente piccolo, il resto lo aveva mangiato Nina quel pomeriggio,
probabilmente.
- Cazzo, Verme
probabilmente vorrà linciarmi, non appena tornerò al Reichstag.
Aveva detto il ragazzo
biondo, sospirandosi e appoggiandosi al frigorifero vuoto di Jakob.
L’altro ragazzo
aggrottò la fronte, per poi alzare un sopracciglio.
- Verme? – chiese,
scettico.
- Sì. Sai chi è, no? Jürgen,
Il ragazzino del Reichstag, biondo, basso… Hai perso la memoria o sei proprio
coglione di tuo?
Jakob sbuffò,
infastidito dall’ennesimo insulto che il biondo gli faceva.
- So chi è, Timo. Solo,
dubito ce riuscirà a linciarti con quel corpicino minuscolo che si ritrova.
- Fidati, quando è
incazzato è persino peggio dell’intero Tegel.
Il ragazzo riccio
annuì. Capiva perfettamente Timo. Peter, quando voleva, quando aveva l’età di Jürgen,
picchiava come se non ci fosse un domani. Poi, gli venne un altro dubbio.
- Perché sarebbe
incazzato?
Timo aggrottò la fronte
nella sua direzione, come se Jakob stesse chiedendo una cosa ovvia.
- Prima di tutto,
perché sono scappato dal Reichstag senza di lui, e lui, probabilmente, in
questo momento si starà subendo Roberto che piagnucola come una checca, e in
secondo luogo, beh… Non gli ho mai dato nessuna delle provviste rubate, quando
lui ne aveva più bisogno di me e Claudia messi insieme.
Non appena sentì il
nome della seconda guida del Reichstag, nonché ragazza di Timo, Jakob avvertì
il suo stomaco attorcigliarsi su se stesso, e un colpo al cuore che gli fece quasi
male. Non era possibile che quella sensazione fosse per colpa di Timo. Jakob
era gay, lo aveva capito due anni prima, quando Christa aveva smesso
completamente di interessargli e Büchner 2 le aveva rubato il posto nel suo
cuore. Quando lo aveva scoperto, non se n’era fatto un dramma. Ma Louis era
etero, era innamorato di Britta da quattro anni, ormai.
Jakob si chiedeva come
facesse a piacergli proprio quella ragazza. Ovviamente, Britta non aveva nulla
di male, anzi, era una delle sue migliori amiche, era simpatica, dolcissima,
disponibile con tutti e dall’animo gentile, ma era completamente diversa da
Louis.
Louis Büchner era un
ragazzo aggressivo, triste, che aveva perso il suo gemello, François, detto Büchner
1, a soli diciassette anni, e che, ormai, non sorrideva più, mentre Britta
Lermann era la persona più solare che Jakob avesse mai conosciuto. Non c’era
cosa che non le permettesse di essere ottimista, o che le togliesse il sorriso.
Louis riusciva a sorridere solo quando era con lei, solo quando parlava di lei.
E questo, a Jakob, faceva malissimo, pochi anni prima. Sebbene i loro rapporti
si fossero acquietati, Louis non gli sorrideva mai, faceva solo qualche
battutina acida di tanto in tanto sul suo conto, e poi sghignazzava. Solo che
Britta stava con Bernd, e quindi Louis non aveva fatto altro che deprimersi
ancora di più.
Oramai, Büchner 2 non
gli piaceva più. Era troppo triste e troppo etero,
per lui. Era bello, quello sì. Ma Jakob aveva altro a cui pensare, piuttosto
che starsene a piangere per colpa sua, anche se il francese non ne era
consapevole. Per questo, quando lo stomaco gli si attorcigliò mentre sentiva il
nome di Claudia, provò non poco nervosismo e non poco imbarazzo. Non poteva
piacergli Timo. Un ragazzo del Reichstag,
un prepotente simile. Gli venne quasi voglia di prendersi a pugni da solo.
Fece un lungo respiro,
scacciando i pensieri, e poi vide il biondino sbadigliare.
- Hai un letto in cui
posso passare la notte? – gli aveva chiesto.
- Oltre al mio, ci sono
quelli di Bernd e Nina.
- Non vedo nessun Bernd
e nessuna Nina.
Jakob alzò le spalle: -
Beh, torneranno. Sono andati a pescare sulle rive della Spree.
Timo ridacchiò. – Ma
Sommer non era il pastorello della Baviera che odiava uccidere gli animali?
- Beh, detesta i pesci.
Non so perché. E’ un po’ come me con i topi.
Il biondo fece un verso
di scherno. – Povero idiota.
L’altro ragazzo alzò un
sopracciglio: - Vorresti dirmi che tu non hai paura di niente?
Timo schioccò la lingua
sul palato, e sospirò appoggiandosi alla porta marcia. – Beh, ho paura delle
automobili.
Jakob scoppiò a ridere,
non riuscendo a smettere, e guadagnandosi più di un’occhiataccia da parte del
biondino.
- Potresti smetterla?
L’altro stava ancora
ridendo. Poi si calmò, tenendosi la pancia e asciugandosi le lacrime che gli
erano uscite agli angoli degli occhi scuri. – Delle automobili? E perché mai?
Timo fece le spallucce.
– Mia madre ci è morta dentro.
Jakob smise
completamente di sorridere, sentendosi dannatamente in colpa. Si sentì stupido
e sconsiderato allo stesso tempo.
- Io…
- No. Non ti scusare.
Non ce n’è bisogno.
Vide Timo allontanarsi,
andando verso la sua camera. Il riccio sospirò.
- Timo, se vuoi… Io ho
un sacco a pelo. Lo puoi usare, se vuoi.
Il biondo alzò le
spalle, con un’espressione impassibile in volto. Jakob si sentì bruciare lo
stomaco di sensi di colpa.
- Non c’è bisogno. Vado
via.
- Ma loro ti…
- Se ne saranno già
tornati all’aeroporto di Tegel, Geyer.
- E se fossero…
- Se fossero ancora
qui, li affronterò. Non ci vuole un genio.
- Hai intenzione di
farti due ore da Gropiusstadt al Reichstag da solo, di notte? Fa freddissimo,
Timo!
- L’ho fatto un sacco
di volte.
- Sì, ma dato che io mi preoccupo per te, devi restare
qui.
Jakob si pentì
immediatamente di quello che aveva detto. “Mi preoccupo per te”? Sul serio?
- Da quando sei così
checca, Jakob?
Ti pareva.
Sbuffò, e stese a terra
il tappetino per Timo. Il biondo rimase lì.
- Vuoi una coperta? –
gli chiese Jakob.
- No, sto bene così.
Timo si stese sul
tappeto, appoggiando un braccio dietro la testa, a mo’ di cuscino.
- Notte, Timo. – disse
Jakob, dopo essersi sistemato sotto alle coperte.
- Buonanotte. – gli
rispose il biondo.
Entrambi, crollarono
immediatamente nel sonno.
8 März 1983 - neunzehn jahre, zwanzig jahre
Jakob
correva velocissimo, più che poteva.
Aveva
due ragazzi alle calcagna, due ragazzi del Tegel, per giunta. Bartholomaus e
Gotz lo avevano sorpreso mentre entrava a Tegel, e, sebbene non avesse fatto
nulla di male, per loro quella era un’infrazione, un’evasione della loro legge.
O della legge di Wolfrun. Stava scappando da circa mezz’ora, e le gambe gli
facevano malissimo. Non riusciva a respirare per la fatica.
-
Non puoi scappare, Geyer!
A
sentire la voce di Gotz, accelerò ancora di più. Il suo istinto e la “voce
della sua coscienza”, che negli anni era diventata sempre più simile a quella
di Sven, il capo del Gropiusstadt che lo aveva preceduto, gli dicevano di
fermarsi e dialogare con i ragazzi tegeliani, ma Jakob sapeva benissimo che,
anche se ci avesse provato, quelli lo avrebbero sicuramente preso a pugni.
Gli
venne in mente Timo. Lo stesso Timo che, pochi mesi prima, era piombato nella
sua stanza e si era difeso dallo stesso Tegel. Avrebbe voluto essere lui, in
quel momento. Timo sapeva fare a pugni, sapeva affrontare le situazione, menar
le mani, insomma.
Mentre
pensava di star per svenire dalla fatica e dalla perdita di fiato, si sentì
afferrare un braccio, venendo tirato in un vicolo, urlando dallo spavento.
Pensava fosse qualcuno del Tegel, come Wolfrun, o Caspar. E invece, quando si
girò, e incontrò due occhi azzurri e dei capelli biondi e disordinati, il suo
cuore ebbe un sussulto.
Era
lui, era Timo. A Jakob venne voglia di abbracciare il suo salvatore, saltargli
al collo e ringraziarlo infinite volte, per poi scoppiare a piangere.
Non
lo fece, ovviamente. Timo gli avrebbe sicuramente tirato un pugno sulle
gengive, se lo avesse fatto.
-
G-grazie. – si limitò a dire, con un filo di voce, cercando di recuperare,
disperatamente, fiato. Timo gli lasciò il braccio, che ancora teneva stretto, e
poi si sedette a terra.
-
Te lo dovevo.
Jakob
annuì. Era in debito con lui da dicembre, dopotutto. E sempre per lo stesso
motivo.
-
Certo che il Tegel ci farà tutti impazzire. – commentò Timo, sputando per
terra.
-
Vieni, il Reichstag non è distante da qui. – aggiunse poi.
-
Scherzi?! – Esclamò Jakob. Sperò, in effetti, che Timo stesse semplicemente
facendo lo spiritoso. Al Reichstag mancavano due ore a mezza a piedi, più o
meno. Le gambe di Jakob stavano cedendo. Timo sbuffò, poi si posizionò davanti
a lui, piegandosi sulle ginocchia.
-
Cosa… Cosa stai facendo? – Gli aveva domandato Jakob
-
Salta su.
Il
riccio aggrottò la fronte. – Stai scherzando?
Il
biondino sbuffò sonoramente. – Ti sembro divertito?
Jakob
rizzò le spalle, saltandogli poi sulla schiena, dopo che Timo gli ebbe preso le
gambe. Un po’ gli dispiacque per il ragazzo. Si sarebbe dovuto fare due ore a
piedi con il suo ulteriore peso sulle spalle. Non che lui fosse molto pesante,
ma portare un diciannovenne di 74 chili sulle spalle per quasi tre ore, era una
cosa da matti suicidi.
Jakob
si tenne stretto alle larghe spalle del ragazzo, sentendo le braccia muscolose
stringergli le gambe. Si sentiva debolissimo, ma piano piano si stava sentendo
meglio.
Dopo
un’oretta circa, si addormentò, appoggiando la testa sui capelli biondi di
Timo, e respirandone il profumo. L’ultima cosa che gli passò per la mente,
prima di chiudere gli occhi, fu che il pensiero che Timo profumasse di cenere e
terra. Lo strano odore che sentiva ogni sera, quando faceva freddo e i ragazzi
del Gropius e dell’Havel appiccavano il fuoco, scaldandosi e raccontandosi
aneddoti e barzellette. Lo strano odore di casa.
Quando
riaprì gli occhi, si ritrovò su un letto sconosciuto, al buio. Si guardò
attorno, notando un’enorme finestra che si trovava davanti a lui. Si sdette
aiutandosi coi comiti, passandosi una mano tra i capelli ricci e folti. Non
riusciva a vedere molto. Riuscì però a sentire uno strano sibilo alla sua
sinistra. Sembrava il rumore di un respiro, rilassato e regolare.
Si
spaventò leggermente, poi guardò la fonte di quel rumore. C’era un ragazzo
steso a terra, con un braccio dietro la testa e gli occhi chiusi. Si sforzò di
guardare meglio, ma la poca luce che entrava proveniva solo dalla grande
finestra che aveva notato in precedenza. Intuì che fosse appena l’alba, o anche
molto prima di essa. Si sforzò di ricordare.
Rammentava
che Timo lo stesse portando in braccio fino al Reichstag. Ecco dove si trovava.
Timo.
Era lui il ragazzo a terra. Il respiro era il suo.
Non
si accorse di essersi sporto troppo.
-
Schwein Scheiße! – sentì, sotto di lui. Era precipitato addosso a Timo. Era
decisamente fottuto. Lo avrebbe preso a botte, Jakob ne era sicuro.
Si
rialzò di scatto, mettendosi le mani davanti al viso. – Sono caduto, scusami!
Non è colpa mia, davvero!
Vide
– per quanto possibile – Timo che si girava su se stesso, che si sedeva sui
gomiti. Contò i secondi, chiudendo gli occhi, attendendo il pugno. Che non
arrivò mai.
Quando
riaprì gli occhi, vide Timo accendere la luce, stropicciandosi gli occhi.
Quando li riaprì, tutto quell’azzurro celestiale lo colpì al cuore. Come quella
volta. Quella volta in cui, tre mesi prima, aveva sentito nominare il nome di
Claudia, della ragazza di Timo. Ma questa volta, la sensazione non era
imbarazzante o spiacevole. Era bellissima, e lo scaldava. Tutto il piacere
scomparve quando notò come Timo lo stesse guardando.
-
Cazzo sorridi?
Il
ragazzo di Gropius si sentì invadere dalla vergogna. Il sorriso sparì, e poi
Jakob si sedette di nuovo sul letto.
-
E’… è il tuo?
Vide
Timo annuire. Davvero? Era stato tanto magnanimo non solo da salvarlo dalle
grinfie dei tegeliani, ma anche da prestargli il suo letto per dormire.
-
Io… Grazie.
-
Ero o non ero in debito con te?
Jakob,
per la prima volta, vide un sorriso sincero da parte del biondino. E lo stomaco
gli si attorcigliò di nuovo. Perché, sì, in quei tre mesi aveva scoperto che
Timo gli piacesse per davvero. Gli piaceva il modo con cui diceva le cose, era
diretto, e, rispetto a tutti gli altri ragazzi del Reichstag – a parte Verme -,
era corretto, leale. Aiutava i più deboli e la faceva pagare a chi non era giusto.
Gli
piaceva il suo essere serio, essendo in grado allo stesso tempo di ridere, fare
qualche battuta. Certo, anche il suo aspetto esteriore non gli dispiaceva
affatto. Con quegli occhi azzurrissimi, i capelli color grano e il fisico
atletico.
Con
Büchner 2 non provava le stesse sensazioni. Da lui, non aveva mai visto un
sorriso, e non si sentiva quasi mai sicuro o felice. Non che Louis lo trattasse
male o cose simili, solo che lo inquietava, nonostante Jakob fosse stato
innamorato di lui. Era sempre triste, scambiava poche parole con gli altri
ragazzi, da quando François, o Büchner 1, il suo gemello, era morto quando loro
avevano solo diciassette anni. Non che prima fosse pieno di voglia di vivere,
ma stava decisamente meglio.
E
invece, il sorriso che Timo gli aveva rivolto, gli tolse ogni dubbio. Era
innamorato di lui, non poteva farci nulla. E non se ne vergognava. Se lo avesse
detto a Bernd, lui sicuramente avrebbe dubitato della sua sanità mentale.
Dopotutto, Timo rimaneva pur sempre quello
stronzo del Reichstag.
-
Per caso… Vuoi che ti riaccompagni a Gropius? - Gli aveva chiesto Timo, dopo un
po’.
-
Resto qui per un po’. Se per voi non rappresenta un problema, ovviamente. Sei
stanco, dopotutto, no?
Il
biondo aveva ridacchiato. – Pensi che il grande (e, soprattutto, modesto), Timo
Schäfer non riesca a percorrere la strada tra Gropius e Reichstag? Amico, sono
stato quasi sepolto vivo, e pensi che io non possa affrontare la cosa?
Jakob
era leggermente turbato. Cinque anni prima, Claudia e Roberto avevano, infatti,
cercando di liberarsi di Timo seppellendolo in una buca del Tiergarten. Il
ragazzo si chiese come avesse fatto, Timo, a mettersi nuovamente assieme a
Claudia dopo una cosa del genere. Quella ragazza, a Jakob non era mai piaciuta.
Era perfida, assetata di potere e manipolatrice.
Lo
inquietava anche parecchio.
-
Come… Come mai stai ancora con Claudia… Dopo quello che ti ha fatto? – domandò,
infatti. Timo inclinò il collo, per guardarlo meglio. Jakob pensò che gli
avrebbe risposto con qualche battutina acida, ma ciò non accadde. Il biondo
sospirò.
-
Io e Claudia… Abbiamo un rapporto complicato, ecco.
-
Tanto complicato da cercare di ucciderti?
Il
capo del Reichstag fece un profondo respiro. – Jakob… Se dici questa cosa a
qualcuno, io ti ammazzo. Giuro che ti spacco la testa.
Jakob
deglutì. – Okay.
-
Sono omosessuale. E non sto davvero con Claudia.
Quella
rivelazione colpì Jakob al cuore come una pugnalata.
-
C-come?
Timo
gli lanciò un’occhiata inviperita. – Hai qualcosa in contrario?
-
Io… Certo che no! E’ solo che... Non me lo aspettavo… Per niente.
-
Mica te lo devi aspettare. Non è dai modi di fare di una persona o… O dal suo
aspetto fisico, che riesci a notare qual è il suo orientamento sessuale, Jakob.
Pensavo tu fossi più sveglio.
Il
riccio lo fissò. – Non intendo questo. Stai con Claudia, o almeno… Ci stavi,
non ne ho idea. Se stai con una ragazza, nessuno può immaginare che ti
piacciano i ragazzi.
Timo
rise. – Sei davvero ingenuo, Jakob.
Il
capo di Gropius avvampò, non appena sentì la mano pallida e calda di Timo
spostargli i capelli ricci dietro l’orecchio. Il cuore sembrava voler
esplodere.
-
Davvero, davvero ingenuo. – si sentì sussurrare all’orecchio.
-
Timo…
Il
biondo gli serrò le labbra con un bacio, e fu in quel momento che il tempo si
fermò. Jakob sentiva solo il suo cuore battere all’impazzata, e le labbra
morbide di Timo che premevano sulle sue. Gli sembrò di volare, di essere
staccato da tutto il resto, di essere in un universo parallelo, attaccato solo
a lui. Attaccato al ragazzo di cui era innamorato. Attaccato al ragazzo stronzo del Reichstag che tutti
odiavano.
E
desiderò che quel momento non finisse mai.
15 januar 1988 – vierundzwanzig jahre – vierundzwanzig jahre
In
quella gelida e triste giornata di gennaio, Jakob piangeva. Piangeva,
abbracciato a Timo, al suo ragazzo, da cinque anni ormai. Singhiozzava forte,
mentre il ragazzo biondo lo stringeva forte a sé, carezzandogli dolcemente i
capelli. La pira che avevano preparato per Büchner 2 era stata spinta nel
fiume, mentre tutti i ragazzi restavano in riva, singhiozzando. Christa era
stretta a Britta, così come Bernd, mentre Timo non osava lasciar andare Jakob.
Louis
era morto. Si era suicidato, e i ragazzi si sentivano tremendamente in colpa,
arrabbiati, tristi come non mai. Erano abituati a perdere qualcuno, ormai. L’unica
cosa nuova, era quel senso di colpa che provavano. Sapevano che il loro amico
stesse male, ma non avevano mai fatto nulla per aiutarlo.
E
Jakob pianse, pianse tantissimo. Pianse per aver perso il suo primo amore,
colui che gli aveva fatto capire cosa, o chi gli piacesse davvero, stretto alla
persona che amava in quel momento.
Le
braccia di Timo lo stringevano forte, le sue mani gli accarezzavano i capelli
ricci, delicatamente, mentre gli sussurrava parole rassicuranti all’orecchio. E
Jakob, incredibilmente, le ascoltava.
-
Ich libe dich*, Jakob.
Il
riccio lo fissò per un po’, gli occhi verdi pieni di lacrime. Vide Timo
sorridergli, dolcemente.
E,
se possibile, lo strinse ancora più forte.
ENDE.
*1 Come chi ha letto “Berlin” sa, il cognome di Timo non è
conosciuto, quindi il cognome presente nel testo, è inventato da me. Stesso vale
per quello di Caspar.
*2 “Merda” in tedesco
*3 “Uno” in tedesco
*4 “Due” in tedesco
*5 “Tre” in tedesco
*6 “Ti amo” in tedesco.