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Autore: Churros25    17/08/2017    1 recensioni
“Ehi, piccola, che stai facendo?” La bambina lo osservò un momento, indecisa se fidarsi o no. I suoi papà le avevano sempre detto di non parlare con gli sconosciuti, ma questo signore sembrava simpatico e gentile.
“Sto cercando di afferrare le goccioline d’acqua.”
“E ce la stai facendo?” La bambina annuì, intenta nella sua missione.
“Ora che ne dici se mi porti dalla tua mamma? Ho paura che tu possa ammalarti qua fuori.”
“Io non ho la mamma. Ho due papà!” disse fiera la piccola, mostrando il due con le dita. Dean rise, prendendole la mano e alzandosi. “Va bene, allora portami dal tuo papà.”
(tratto dal primo capitolo)
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Benny, Castiel, Claire Novak, Dean Winchester, Gabriel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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CAPITOLO 5

Castiel quella mattina era di buon umore. “Strano” gli sussurrò la sua coscienza, sospettosa e allerta, ma lui la ignorò, appoggiando sul fornello una pentola, pronto per fare i pancake. Ci mise una noce di burro, aspettò che si sciogliesse e unì ad essa la pastella, formando dei cerchi concentrici degni di un grande chef. Sorrise compiaciuto, saltellando tra il fornello e il lavandino, felice come un bambino che ha appena vinto delle caramelle. Appena pronti, li depose su un bel piatto blu che con estrema attenzione e meticolosità si curò di appoggiare al centro del tavolo e si mise a fare la spremuta. Sentì la porta aprirsi e il suo sorriso divenne ancora più grande, se possibile.                                                
“Papi, dove sei?” Un tenera voce giunse alle suo orecchie e si sporse dalla porta della cucina.                                                                   “Qui!” Claire guardò il padre con un sorriso a 32 denti e gli corse incontro, saltandogli in braccio. Zeke apparve dietro di lei, per niente entusiasta, e si sedette a tavolo, pronto ad addentare i pancake.                                       
“Si aspetta tutti!” gli urlò Claire, ricevendo da Castiel un’occhiata compiaciuta. Era fiero della piccola donna che sua figlia stava giorno dopo giorno diventando ed era ancora più fiero del fatto che fosse lui il padre biologico. “Per fortuna che non è Zeke” pensava a volte, vergognandosene un po’. Ma in fondo, perché nascondere ciò che pensava? Zeke non era più l’uomo con cui aveva deciso di crescere un bambino: era diventato sgarbato, nervoso e non aveva alcun rispetto per ciò che per lui era importante, ovvero la famiglia. Cresciuto in una grande, con tanti fratelli e sorelle, per Castiel era indispensabile avere una bella famiglia felice, in cui poter discutere delle più svariate cose e dove poter trovare sempre un caldo rifugio. Gli doleva dirlo, ma con Zeke ormai non era più così. A malapena riuscivano ad avere una conversazione senza urlarsi addosso, Zeke era sempre al lavoro o seduto sul divano a vedere stupide sit-com, Claire si era allontanata da uno dei suoi due padri e Castiel era sfinito. Quando la figlia non era a casa e lui non doveva andare in negozio, prendeva la macchina e se ne andava in giro per ore pur di non tornare a casa da Zeke. Forse è per questo che aveva deciso di invitare fuori a pranzo il bel dottore: per passare un paio di ore in serenità, senza la paura di dire la cosa sbagliata e iniziare a litigare.                                                  
Accompagnato dalla figlia, si sedette a tavola e iniziarono tutti a mangiare.               
“Il dottor Winchester ha detto che dovrà prendere l’antibiotico ancora per due settimane ma per il resto va tutto bene” disse Zeke, cercando di recuperare. Castiel annuì, distratto.                                                           
“Si chiama signor Smeraldo” ribattè Claire, per nulla in sintonia quel giorno con il padre.                                                            
“Chiamalo come ti pare.” Castiel scoccò al compagno un’occhiata gelida che lo fece alzare dal tavolo.                                                           “Io vado al lavoro” disse Zeke, sporgendosi verso il moro per dargli un bacio sulla guancia, “Ci vediamo stasera.” Claire lo salutò debolmente e continuò a mangiare soddisfatta. Castiel annuì, accompagnandolo alla porta.                              
“A che ora torni?” chiese.                                                        
“Dopo cena.”                                                                            
“Come mai?” Zeke si guardò la punta dei piedi con fare agitato.                          
“Ho la cena con il capo” ammise e se ne andò.                                 
Tornato a tavolo, Castiel venne accolto da un bigliettino appoggiato sul suo piatto.          
“Me lo ha dato il signor Smeraldo per te” disse Claire, per poi scomparire in camera sua. Il padre sorrise, curioso, e lo prese in mano, leggendolo:                       
“Spero ti piaccia la carne. Ci vediamo alle 13,00 alla Road House. Dean”


“Gabriel, mi devi fare un favore” disse Castiel al telefono con il fratello maggiore.            
“Tutto quello che vuoi, dolcezza.”                                                                           
“Oggi a pranzo dovrei uscire con un amico. Mi potresti tenere Claire che è a casa dall’asilo?” Il fratello iniziò a ridere.                                                                                    
“Un amico, eh?”                                                           
“Si, Gabriel, un amico e per favore rimani concentrato.”                                          
“Ok, farò finta di crederti.”                                                           
“Quindi me la tieni tu?”                                                    
“Si, vengo da te alle 12,30 e poi io e la piccola ci diamo alla pazza gioia.” Castiel sollevò gli occhi al cielo.                                         
“Per favore non distruggetemi casa!”


Giunto davanti alla Road House, Castiel si specchiò nelle vetrate: i capelli erano spettinati con cura come sempre e il trench ricadeva con eleganza sulle sue spalle. Era pronto. Entrò nel ristorante con calma e si guardò attorno, in cerca del dottore. Era un posto molto curato, in legno, con luci soffuse rosse e si respirava un pungente profumo di carne alla griglia. Una bionda ragazza, molto carina, gli si avvicinò.                                                                  
“Salve, ha prenotato un tavolo?”                                                
“Dovrei essere con il signor Winchester.” La ragazza sbarrò gli occhi, sorpresa.              
“Sei Castiel?” Il moro annuì, inquietato.                                          
“Io sono Jo, una grande amica di Dean” rispose lei, sorridendogli, “Vieni, il tavolo è di qui.” Castiel seguì la ragazza con impazienza; quella situazione iniziava a non piacergli. Sentiva l’ansia iniziare a diffondersi in tutto il corpo.                                                   
“Eccoci qui.” Jo si fermò davanti a un piccolo tavolo, in un angolo appartato della sala, circondato da grandi finestre e se ne andò, dopo aver fatto l’occhiolino a Dean, che comodamente se ne stava seduto su una delle due sedie. Castiel lo osservò per qualche secondo prima di salutarlo. Inutile dire che fosse bello; avrebbe potuto indossare perfino un sacco dell’immondizia e risultare tale. Ma quella camicia blu, che stringeva leggermente sulle sue braccia, donava al biondo un non so che di divino e Castiel si perse ad osservare quei due occhi verde smeraldo che lo stavano fissando con un po’ di imbarazzo.                                    
“Ehm…ciao Castiel” sussurrò Dean, un po’ rosso in viso, “Qualcosa non va?” Il moro si riscosse dai suoi pensieri e gli si sedette di fronte.                          
“No, scusa…ciao Dean.” Il biondo gli sorrise, prendendo in mano il menù.              
“Allora Cass, cosa vuoi mangiare?” Castiel alzò gli occhi dal tavolo, stupito, e sorrise.                
“Sei tu di casa, quindi scegli tu.”                                                                      
“Già ti fidi di uno scapestrato come me?”                                                         
“Sei un pediatra. Non sarai poi così male.” Dean sorrise appena, abbassando lo sguardo e ordinò delle bistecche ai ferri per entrambi, accompagnate da patatine fritte.                                                      
“Allora, la piccola Claire è arrivata a casa sana e salva?” chiese il dottore, sentendosi un po’ agitato. Non aveva mai avuto problemi con gli appuntamenti: ammagliava con il suo sorriso e faceva stupide battutine per smorzare la tensione. Ma con Castiel sapeva che non sarebbe stato così semplice. Le battutine non le avrebbe apprezzate, anzi, lo avrebbero solo fatto etichettare come “infantile” e diciamo che quello non era proprio il suo intento. Mentre, per quando riguardava il suo sorriso, quello del pasticcere era in grado di farlo sciogliere, quindi non riteneva il suo all’altezza di tale opera d’arte. Così si buttò sulla conversazione, domande di routine, con l’intento di giungere molto più in là e con la speranza che Castiel ricambiasse l’interesse.                                            
“Claire sta benissimo e solo grazie a te” ammise Castiel.                                  
"Vorrei tanto prendermi questo merito ma devo dissentire. Sono stato cresciuto con l’idea che tutto ciò che può aiutare qualcuno non potrà mai essere opera mia. Per questo cedo il merito alla mia equipe.”                                    
“Famiglia severa o infanzia difficile?” Solo dopo aver formulato la domanda Castiel si accorse di aver azzardato troppo.                                     
“Oh, perdonami, non volevo essere invadente.” Ma Dean sorrise, apprezzando il coinvolgimento del moro.                                                “Padre bastardo.” Castiel strinse i pugni, abbassando lo sguardo, preso da vecchi ricordi e ferite non del tutto emarginate. Lo capiva, lo capiva eccome.                     
“Cass, tutto ok?” Dean si accorse subito di quel repentino cambio d’umore e per un secondo si sentì in colpa.                                         “Se ho riportato a galla brutti ricordi mi disp…”                                              
“No, non ci provare nemmeno a scusarti. Non è colpa tua” lo interruppe l’altro. Dean appoggiò i gomiti al tavolo e lo guardò negli occhi, senza mettergli alcuna fretta o pressione, solo perdendosi in quel mare blu, un po’ spento in quel momento ma sempre custode di un mondo che a quel semplice dottore pareva divino.              
“Sono cresciuto in una grande famiglia, con tanti fratelli e sorelle, non ti so dire di preciso quanti…” iniziò Castiel, guardando fuori dalla finestra e riportando Dean alla realtà, “Ma senza una figura paterna a guidarci. Mio padre si faceva vedere solo due volte all’anno, a Natale e a Pasqua, per poi sparire e ricomparire l’anno successivo con qualche altro figlio.”                                            
“Ne hai sofferto molto di questa mancanza.”                                          
“E’ così evidente?” chiese Castiel, alzando il mento e incontrando gli occhi di Dean.       
“Sono solo bravo a riconoscere chi è rotto come me.” Si guardarono per qualche secondo negli occhi ed entrambi si chiesero se la persona che in quel momento avevano di fronte sarebbe stata in grado di riaggiustarli.                      
“Ecco a voi le vostre ordinazioni!” esclamò Jo, rompendo quella connessione di sguardi. Posò i piatti e guardò un secondo i due ragazzi.                              
“Interrompo qualcosa?”                                                      
“No” rispose Dean, dopo qualche secondo, senza togliere lo sguardo dal moro. Jo se ne andò e Castiel fece un lungo sospiro, scervellandosi per cambiare argomento.         
“E’ una tua amica o qualcosa di più?” chiese, riferendosi a Jo. Dean sorrise.                   
“Te l’ho già detto: non ho legami al momento. Lei è come una sorella per me.” Castiel mise in bocca un pezzo di carne alla griglia, con l’intento di lasciarlo continuare.                                                    
“Mio padre e sua madre erano amici di vecchia data e io e mio fratello abbiamo passato la maggior parte della nostra infanzia qui, a causa dei viaggi di lavoro di mio padre e del suo vizio per l’alcol. Ellen, la mamma di Jo, è un po’ come la mamma che non ho mai avuto.”                                         
“Hai un fratello?” Dean gli fu grato per non aver chiesto nulla di sua mamma e sorrise, pensando al fratellino.                                        “Si chiama Sam, è più piccolo di me di qualche anno, e studia a Stanford.”                
“Non lo vedi spesso, quindi.” Dean scosse la testa, dispiaciuto.                        
“Eravamo molto legati da piccoli, poi abbiamo preso strade diverse e le cose sono un po’ cambiate.”                                        
“Cosa studia?”                                                              
“Legge” disse Dean, amplificando la parola con un gesto plateale delle mani. Castiel scoppiò a ridere, abbandonando quella sua aria rigida e tesa che aveva sempre e Dean, come uno stupito, si perse ad ascoltare il suono di quella risata e ad ammirare le piccole rughe che si erano formate agli angoli dei suoi occhi. Sapeva che da quel pranzo non ne sarebbe uscito vivo.                              “Io mi chiedo come tu faccia a non avere legami” ammise Castiel, rilassandosi sulla sedia.                                                               
“Cosa intendi dire?” Il moro sfoderò un sorriso malizioso e divertito.                       
“Dai, lo sai anche tu di essere un buon partito: bello, carismatico e medico. Le donne come fanno a lasciarti libero?”                                      
“Non solo le donne…” sussurrò Dean, mordendosi un labbro.                        
“Mi stai dicendo che…”                                                                  
“Si” ammise il biondo, sorridendo, “Mi piace definirmi di larghe vedute. Perché avere solo una parte dei due mondi, quando puoi avere il meglio di entrambi?”          
“Non fa una piega” sorrise Castiel. Mangiarono in silenzio, ma sereni, fino alla fine del pranzo, quando Castiel si alzò per pagare.                                  
“Non ci pensare neanche” disse Dean, prendendogli una mano per bloccarlo. Castiel trattenne un secondo il fiato, sentendo la pelle del biondo, calda e liscia, a contatto con la sua.                                                                      
“Hai aiutato mia figlia, è il minimo che io possa fare.”                       
“No, il minimo che tu possa fare è invitarmi nella tua pasticceria a prendere una fetta di torta alle mele.” Dean si meravigliò della proposta che uscì dalle sue labbra. Lo aveva proposto veramente? Si diede dello stupito più e più volte prima di sentire la risposta del moro.                                                                  
“Ok, ma quella te la offro io.”
Nota dell'autrice: Scusatemi per il ritardo. Spero che questo capitolo via sia piaciuto e aspetto con ansia le vostre critiche e recensioni. Non siate timidi! Baci
   
 
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