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Autore: OneForSorrow    17/08/2017    1 recensioni
Una donna siede nella penombra del suo studio quando, improvvisamente, prova un desiderio improvviso e poco concreto.
Ok sembra la descrizione di un porno ma vi giuro che non lo è. Non so cosa sia ma so che decisamente non è porno.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia batteva incessantemente sui vetri dello studio, le gocce d'acqua che si rincorrevano all'infinito sotto lo sguardo attento della donna. La finestra affacciava sul cortile interno del complesso residenziale, uno spazio ristretto, soffocante e spoglio, totalmente privo di aree verdi, spazio che le era ora nascosto, non soltanto dalla pioggia e dalla poca luce dovuta al cielo plumbeo ma anche dalla sua posizione, seduta su una morbida ed elegante sedia da ufficio in pelle.
L'arredamento della stanza era stato scelto con particolare cura e gusto, con pregiati mobili in mogano, alcuni quadri che ritraevano paesaggi remoti, due imponenti librerie colme di volumi, posizionate simmetricamente sui due lati, una poltrona, sempre in pelle, in un angolo e, infine, la massiccia scrivania al centro della stanza, esattamente dove si trovava la donna, girata verso la finestra.
A dispetto della cura e del gusto, però, l'atmosfera dell'ambiente, ora poco illuminato, risultava pesante, soffocante, tanto da far pentire anche la donna stessa della sua preferenza per lo stile classico.

Si era immersa nei suoi pensieri mentre inseguiva con gli occhi la frenetica quanto insensata corsa delle gocce sulla sua finestra e, solo accorgendosi improvvisamente di non riuscire più a vederle, dopo il calar del buio, era infine tornata alla realtà, cercando a tentoni l'interruttore della lampada sulla scrivania. Girandosi verso di essa, senza riuscire a decidere se alzarsi per mangiare o restare ancora seduta nello studio, la sua attenzione fu catturata dalla penna stilografica che aveva abbandonato con poca cura su un cumulo di fogli.
Quella penna, così come, a suo tempo, lo studio stesso, non era stato altro che un capriccio, il desiderio di un momento, paragonabile per intensità e brevità al volere di un bambino, un bambino che concentra ogni fibra del suo essere sulla novità che desidera possedere e che verrà ben presto sostituita da un'altra.
Le librerie le servivano davvero, avida com'era di immergersi in altri mondi, di vivere nuove esperienze, ma il suo appartemento era spazioso, avrebbe potuto non trasformare quella stanza in uno studio, così come avrebbe potuto fare a meno della stilografica; il suo lavoro contemplava solamente l'utilizzo del computer e, per quei pochi documenti che di tanto in tanto doveva firmare, bastava una penna qualunque. Nonostante il buon senso, nonostante la logica, nonostante tutto aveva voluto lo studio come aveva desiderato possedere la stilografica e quindi si era concessa entrambi i desideri... per poi finire con meno spazio in casa e con una costosa penna abbandonata lì con poco garbo.

La sollevò, il rumore della pioggia che ancora batteva sui vetri in sottofondo, girandosela tra le mani e osservandola attentamente. Ispezionò maniacalmente ogni sua parte, la punta del pennino, il sistema di distribuzione dell'inchiostro e, dopo un tempo che le sembrò infinito, decise finalmente di riempirla di inchiostro.
Sebbene fosse la prima volta in cui si trovava a compiere questa operazione, riuscì a non macchiare nulla, con l'eccezione di uno dei fogli sparsi sulla scrivania, quando cercò di scriverci il suo nome. Per nulla abituata a maneggiarla, esercitò troppa pressione e una grossa goccia nera si depositò sulla sua iniziale.
Riprovò, ancora e ancora, fino a che non le riuscì di scrivere in maniera fluida. Dopo aver riempito un intero foglio con svariate parole, per esercitarsi, provò un desiderio, un altro desiderio del momento: scrivere.

Generalmente il suo improvviso volere si limitava agli oggetti materiali, lo studio, i mobili in mogano, la stilografica... Si limitava alla concretezza, a quello che poteva afferrare, toccare, vedere con i suoi occhi, tutto quello che era inanimato ma tangibile, non si era mai rivolto alle persone e, soprattutto, mai verso qualcosa di astratto come la scrittura. Di che cosa avrebbe dovuto scrivere? Come avrebbe dovuto farlo? Sapeva di dover trovare una soluzione, fino a quel momento aveva sempre potuto assecondare queste voglie capricciose, aveva potuto viziarsi a suo piacimento perché, in fondo, i suoi non erano nemmeno desideri troppo irragionevoli - cos'era mai un oggetto in più o una stanza inutilizzata? - ma sentiva che questa occasione era molto diversa e temeva che, proprio come un bambino, se non fosse venuta incontro al suo animo avrebbe avuto una reazione spropositata.

Pensò di scrivere una storia, cominciò a raccontare un viaggio fantastico in un mondo esotico ma accantonò ben presto l'idea, constatando di non essere molto fantasiosa. Pensò allora di scrivere un saggio, si disse che avrebbe potuto scegliere un argomento qualunque, selezionò un paio di volumi dalla libreria e rilesse alcuni paragrafi, la stilografica appoggiata di nuovo con poca cura sui fogli, una goccia di inchiostro sfuggita dal pennino che decorava a sua insaputa uno di questi. Abbandonò presto la saggistica.
Puntò, infine, sull'introspezione. Non le sembrava difficile, era una sfida alla sua portata, che c'è di più semplice dello scrivere di se stessi? Scrisse il suo nome, i suoi dati anagrafici e si fermò, fissando il foglio, la pioggia che non accennava a smettere, il pennino premuto di nuovo con troppa forza sulla carta.
Che c'è di più semplice dello scrivere di se stessi?
Che c'è di più difficile dello scrivere di se stessi, se si è estranei a se stessi? Per quanto cercasse dentro di sé, per quanto scavasse, non le riusciva di trovarsi, non sapeva spiegarsi, non sapeva darsi risposte, non sapeva che domande dovesse porsi, non sapeva nemmeno perché avesse sentito il bisogno di scrivere, di possedere la stilografica, lo studio, la scrivania in mogano, non sapeva perché fosse passata da un desiderio improvviso all'altro, non sapeva nulla.
Scrisse di nuovo il suo nome. Scrisse la sua data di nascita. Cercò ancora dentro di sé, senza successo.
Ebbe un brivido di freddo, lo studio poco illuminato smise di sembrarle soffocante e cominciò improvvisamente ad apparirle vuoto e gelido. Abbandonò i fogli, una goccia scura che si depositava sul legno, si alzò lentamente, gettò uno sguardo verso la finestra e poi voltò le spalle a quello che ormai era diventato un furioso temporale, spegnendo la luce e chiudendo la porta.

   
 
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