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Autore: Pascal76    18/08/2017    0 recensioni
Quando il mondo ti crolla addosso, non lasciare mai che la cosa
ti distrugga, indipendentemente dalla violenza con cui ti colpisce.
Questo Nina lo sa.
Lo sa da quando il primo attacco ha ridotto tutte le persone che conosceva,
pure i genitori, in mostri assassini. Sa che un giorno splenderà il sole anche per lei e suo fratello, sa che un giorno tutto si sistemerà, anche se nulla sarà più come prima. Nina lo sa, e questo le basta per lottare, per far si che la malattia che silenziosamente le sta portando via il fratellino venga sconfitta.
Ma quando entrambi verranno portati al Bureau, centro di raccoglimento per i pochi sopravvissuti all'attacco, Nina avrà di fronte una realtà ben più amara della precedente a cui è sopravvissuta.
Capirà che ha di fronte una realtà ben più grande e complessa di lei, che a volte l'unica arma per vincere una battaglia è evitare che questa ti spezzi il cuore, o peggio ancora l'anima.
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WHEN YOU THOUGHT THAT IT WAS OVER YOU COULD FEEL IT ALL AROUND


Più tardi viene di nuovo a farmi visita. Stavolta arrva con in mano delle merendine al cioccolato, il che mi fa immediatamente brontolare lo stomaco.

In cella mi davano regolarmente da mangiare, ma dopo 6 mesi passati a cacciare il cibo come i primitivi, vedere con quanta facilità alcune persone ottenevano merendine, snack e quant'altro, mi ricorda troppo i giorni in cui rimanevo a digiuno per far mangiare Alex e, anche quando quello finiva, non mangiavamo più niente per alcuni giorni.

È proprio diversa la vita da selvaggi.

Lui si avvicina e mi lancia una brioche ripiena che mi scivola di mano e cade sul pavimento. La raccolgo e la guardo, pensando.

« Non fare la sentimentale. Hai veramente bisogno di mangiare qualcosa di sostanzioso rispetto a quello schifo. » dice lui, sedendosi sul letto.

Accenno un “grazie” detto a bassa voce e apro la confezione.

Dopo un po' mi chiede : « Com'è la fuori? »

Aspetto un attimo prima di rispondere : il sapore di cioccolato è così piacevole che mai al mondo me lo perderò di nuovo solo per rispondere ad una domanda.

« Beh … è strano. »

« Strano quanto? » insiste lui.

Questo suo interesse mi scalda il cuore. « Non c'è elettricità o acqua corrente, le case sono distrutte e le persone che incontri potrebbero facilmente saltarti addosso e sbranarti. Per il resto, il solito mondo. »

« Ma tu e tuo fratello siete resistiti per 6 mesi in quella taverna. Come diamine avete fatto? » parla come se fosse una cosa scandalosa, impossibile, oltre i limiti dell'immaginabile.

« Per sopravvivere si escogita di tutto » rispondo. Stavo parlando come mia madre quando vedeva il telegiornale.

« E i richiami? » chiede. Sgrano gli occhi.

« I richiami. Dai non puoi non averne sentito parlare. Sono state mandate sentinelle ovunque a scandagliare le zone di maggior interesse. Impossibile che abbiamo saltato dove abitavi te. »

« è un quartiere piuttosto piccolo » mi giustifico.

« Bah, strano. Di solito sono i quartieri più piccoli a richiamare maggiore interesse. »

Stavolta tocca a me. « Com'è qua dentro? »

Lui si gira a guardarmi sorridendo di sbieco. « Se pensi di poter invertire i ruoli con tanta facilità ti sbagli di grosso. » si alza e raccoglie le carte delle merendine. « Io non ti dirò assolutamente nulla. » aggiunge con un sorrisetto malizioso.

« Ma me lo devi! Io ti ho parlato di me ed ora tocca te! » protesto.

« Non mi sembra di essere ad un gruppo di supporto per alcolisti anonimi. » risponde evasivo. « Ora dormi. È notte e domani ti aspetta una giornataccia. » Notte?

« Posso chiederti un'ultima cosa? »

« No » mi risponde dalla soglia della porta.

« Come ti chiami? » chiedo, ma lui se n'è già andato.


 

Ci vuole meno di un secondo per stravolgere la vita di una persona. Una parola, un gesto avventato, uno sguardo ... piccoli gesti che possono rovesciare l'esistenza di chiunque.

A volte ci vuole molto più di un secondo, invece.

Minuti, Ore, Giorni e talvolta mesi, in cui l'essere A non ha ancora ben chiaro il quadro che un incognito x ha distrattamente, o in alcuni casi accuratamente, fatto per lui; vaghi nel vuoto, i tuoi occhi non vedono nulla tranne che l'oscurità , ti senti debole e spossato, eppure continui a combattere perché sai di non aver ancora perso la guerra. Non ti arrendi.

Sono passate ormai settimane da quando mi ha detto che avrei potuto incontrare mio fratello, eppure da allora non si è mai fatta viva.

Non ho mai incontrato Alex da quando ci hanno portato qua.

Alcuni giorni li passavo rannicchiata davanti alla porta ad osservare i corridoi nella speranza di scorgerla; altri ancora li passavo seduta sul mio lettino a guardare il monitor che rilevava la frequenza cardiaca.

Ma della donna dagli occhi verdi non c'era traccia.

Tutto quel silenzio mi stava lentamente uccidendo.

A volte, in un impeto di rabbia, davo violenti pugni alle pareti, soprattutto quella a specchio, sperando che a furia di riempirla di percosse, magari avrebbe ceduto e sarebbe diventata trasparente; mi chiedevo se dall'altra parte ci fosse qualcuno ad osservarmi e a prendere appunti sul mio comportamento.

Nei momenti di crisi mi ritrovavo ad urlare : « Voi non sapete niente! » rivolto a nessuno in particolare. Poi crollavo a terra e piangevo per la frustrazione.

Soffrivo ma non riuscivo a sfogarmi del tutto.

Quella stanza completamente bianca, da grande e luminosa che era, stava diventando una sorta di orribile teatrino dove tutti potevano ammirare lo spettacolo della "Selvaggia" che lentamente perdeva la testa e parlava da sola.

Sì, perché ad un certo punto ho cominciato a parlare con un Alex immaginario che mi diceva di stare calma e attendere. Aveva un aspetto angelico e la sua pelle non era ricoperta di macchie violacee : stava bene, era nutrito e aveva recuperato quel suo sorriso che riusciva a farmi stare bene anche quando sembrava impossibile.

Io di lui mi fidavo e perciò lo ascoltavo.

A volte mi sembrava che avesse ragione, altre volte pensavo che era tutto terribilmente sbagliato.

Ero confusa, stordita, ma terribilmente consapevole che nulla sarebbe potuto andare male se lui era con me.

Poi un giorno la porta scorrevole si aprì.

 

 

Mi volto di scatto.

Sulla soglia della porta non c'è nessuno, eppure quest'ultima è aperta.

Mi alzo lentamente nonostante i muscoli urlino di dolore ad ogni singolo movimento che faccio.

« Chi c'è? » chiedo. Nessuna risposta, tranne l'eco della mia voce che lentamente si allontana.

Faccio un passo in avanti, poi sento il rumore di qualcosa di pesante che cade a terra e mi blocco. Mi sento come quella volta, in negozio, quando Richard lentamente si avvicinava alla porta sul retro e la apriva.

Mi riprendo subito e azzardo altri piccoli passi in avanti, fino ad arrivare alla soglia. Riluttante, mi sporgo in avanti e guardo da entrambi i lati.

Il corridoio azzurro è vuoto. Le altre celle sono aperte come la mia, ma sembra che al loro interno non ci sia nessuno.

Esco e, appena messo un piede aldilà del confine di quell'orrenda cella , sento come una sensazione di benessere e di sollievo. È così bello essere liberi. I miei piedi sudano a causa del pavimento freddo, ma la cosa non mi turba affatto : era da tanto che aspettavo di poter uscire dalla "prigione" e ora che ci ero riuscita non mi lamenterò per certo.

All'improvviso la mia attenzione viene attratta da un altro rumore alla fine del corridoio.

Mi volto di scatto e stavolta, senza esitazione, ne cerco la fonte. Arrivata alla fine inciampo. Cado in avanti di faccia, ma per fortuna non mi faccio male. Mentre mi sto rialzando, capisco con sconforto che quella cosa quasi solida su cui sono inciampata era una persona; o meglio, il cadavere di una persona. I suoi occhi sono spalancati ma non vedono nulla, la bocca aperta da cui sgorga un rivolo di sangue scuro e l'espressione spaventata.

Sulla tuta mimetica, all'altezza del petto, c'è una grossa chiazza di sangue.

Lo spettacolo è più che racappricciante.

Mi volto nella direzione in cui stava guardando, essendocene soltanto una : se è caduto di schiena, penso che l'unica via che devo prendere è quella indicata dai suoi piedi.

Attraverso quest'ultimo corridoio buio e stretto senza guardarmi indietro, altrimenti sarei capace di fermarmi in preda ai conati di vomito e non andare più avanti.

Quando arrivo alla fine mi ritrovo in una cortile molto ampio, illuminato da alcune lampade a neon fissate sul soffitto scuro come le scie delle comete. Non c'è nessuno.

Guardandomi intorno noto che non è un cortile come avevo pensato, ma bensì qualcosa di diverso. Provo a chiudere gli occhi ed immaginarmi che cosa le persone avrebbero potuto farci in questo spazio così grande, ma non mi viene in mente niente.

È come se il mio cervello fosse bloccato, incapace di pensare lucidamente o immaginare situazioni fuori dalla realtà.

Quando ho cominciato ad impazzire?

Penso, frustrata.

Le mie orecchie captano il lento trascinare di alcuni stivali che pestano il pavimento con pesantezza, come se qualcuno si stesse trascinando. Subito mi metto in allerta : l'ultima volta che avevo sentito un rumore simile si trattava di uno di quei mostri deformi da cui ho sempre cercato di scappare.

Paralizzata, come se al posto dei piedi avessi blocchi di marmo, cerco di capire da dove provenga quel rumore. Ci sono 3 porte che conducono a questo corridoio, una delle quali è occupata da me in questo momento. Deve per forza venire da una di quelle, ma non ho la più pallida idea quale.

Quando sento lo strascichio farsi più vicino mi preparo a prendere la rincorsa e colpire, come ho fatto una volta con successo. Il mostro, colto di sorpresa, si era accasciato a terra immediatamente. Se fosse morto o no non lo scoprii mai, convinta che restare lì e guardarlo morire non mi avrebbe fatto bene.

Ora invece rimpiango quel momento.

Faccio un passo in avanti per attaccare, ma una mano mi afferra da dietro con forza sovraumana e mi scaraventa alcuni metri più lontano dalla porta. 

   
 
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