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Autore: Applepagly    20/08/2017    6 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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Ciao a tutti!
Come ve la passate?
Ebbene sì, sono tornata per tormentare le Winx in quello che, ipoteticamente, sarebbe il seguito delle vicende de “I volti del fuoco” per come l’avevo immaginato.
Oh, ma non temete! Non è necessario averla letta per poter comprendere i meccanismi contorti di questa storia; in sintesi, alla fine della prima serie Bloom non ha riacquistato i poteri dopo una semplice chiacchierata con Dafne e ciò comporta una sequela di tragiche (ma non troppo) morti ed un macello per fermare le Trix.
Alla fine ce l’hanno fatta… per un soffio.
Qui la narrazione segue il dopo, ovvero il secondo anno delle nostre fate dopo il trambusto ad Alfea (nel cartone tutti festeggiano eccetera, ma penso sia stato abbastanza traumatico; no?). Ah, sì; è una song-fiction!
Ho iniziato a scriverla all’incirca a marzo di quest’anno, in un momento un po’ particolare; i capitoli sono già completi, perciò la pubblicazione dovrebbe riguardare la domenica, ogni due settimane (presto scoprirete il perché di questa tabella di marcia).
Ma ora basta parlare, e passiamo alle avvertenze…
No, per ora non ce ne sono.
Perciò, buona lettura!
7th


Il catalogo delle cose belle
 
Alcuni dicono che sulla terra nera non vi è nulla di più bello di un esercito di cavalieri, altri di fanti, altri ancora di navi, ma io dico che non vi è nulla di più bello di ciò che si ama.
Saffo, fr.16 V
 
***
 
I
 
So penniless for a dream
I hope I get by today
I want to get to the truth
And learn how to gray
Fall Into Place, Apartment
 
Bloom si fece strada a gomitate tra le sue compagne di scuola.
Era sempre difficile trovare un posto a sedere che permettesse di scorgere almeno la figura di Faragonda, voce narrante di qualsiasi assemblea scolastica.
In particolare, pareva che quella fosse stata indetta in via del tutto eccezionale ed imprevista, senza che ne fossero a conoscenza nemmeno gli stessi professori. Ciò implicava una certa urgenza, da parte di Alfea, di comunicare notizie di grande rilevanza.
Il ricordo delle vicende che avevano devastato Magix poco tempo prima era ancora pulsante nei cuori di tutte le studentesse; e l’atmosfera allarmata che impregnava l’aria non faceva altro che rendere accreditabile il sospetto di avere a che fare con una nuova minaccia.
Così, tra una spallata e l’altra – le studentesse del primo anno sembravano fatte tutte con uno stampino di un metro e ottanta – Bloom riuscì ad appartarsi in un angolino accanto ad una finestra. Era quasi sicura che Alfea non avesse mai vantato di così tante allieve, dato che l’aula magna era gremita di giovani fate che discutevano attonite tra loro.
«Oh, Bloom» fece annoiata Stella, mentre era sugli spalti. «Non c’era un posto un po’ meno polveroso?»
«La prossima volta la precederai tu, così sarai certa di trovare la poltrona che preferisci, principessa» l’apostrofò Musa, che prese posto accanto a Bloom senza molte cerimonie. «Sei una fata, no? Fa’ una magia e la polvere scomparirà. Le lezioni di Palladium servono anche a questo»
Il tono con cui lo disse voleva sembrare scherzoso, fintamente sprezzante; tuttavia, la tensione e l’apprensione che avvertiva crescenti deformarono la sua voce.
Stella sbuffò, non prestando davvero attenzione alle parole dell’altra; si sedette con cautela, per non lasciare che i suoi nuovissimi pantaloni entrassero in contatto con quella che, a suo parere, era una zona contaminata del pavimento.
Continuava a ripetere di vedervi una macchia di chissà che cosa; di uno di quegli strani intrugli che preparavano le macchine evoca-bevande aggiunte quell’anno. Sosteneva che la ragazza promotrice di quell’acquisto fosse in realtà una strega di Torrenuvola e che il suo unico scopo fosse quello di avvelenare le colleghe fate.
«Eppure l’anno scorso non ti facevi tutti questi problemi su ciò che mangiavi» borbottò Musa, senza guardarla. «E credo che Griselda abbia obbligato quella ragazza a non comprare prodotti nocivi… o qualcosa del genere. Perciò puoi stare tranquilla, non ti accadrà nulla se per sbaglio dovesse capitarti sotto i denti una di quelle barrette al coccoblu»
Troncò la conversazione con un gesto della mano. La tensione nell’aria stava aumentando ma, fortunatamente, la voce della preside interruppe il denso mormorio dell’aula e quella discussione fonte di discordia.
Come prima cosa, Faragonda fece le sue rimostranze per aver convocato il collegio senza alcun preavviso; dopodiché, evitando ogni altra sorta di convenevole, si apprestò ad esporre le ragioni dell’improvvisa assemblea.
«Care ragazze, il motivo per cui siete qui riguarda le tradizionali prove di metà anno che, come ben sapete, si svolgono generalmente gli ultimi giorni del prossimo mese» iniziò, destando l’interesse anche di quelle discole di Amaryl e le sue seguaci.
«Quest’anno avrete modo per prepararvi in maniera più adeguata e, allo stesso tempo, rilassarvi e riprendervi dagli avvenimenti che i mesi scorsi hanno segnato e schiacciato Alfea. Le prove, naturalmente, sono posticipate al vostro rientro a metà inverno»
Un boato si levò gli ultimi posti; un gruppo di studentesse del terzo anno aveva appena esultato, ricevendo immediatamente una strigliata da Griselda, che scorreva tra le gradinate per controllare che nessuna studentessa fosse distratta o avesse introdotto nel cibo nella stanza.
«So che alcune di voi festeggiano per tradizione il Soldì. Quest’anno avrete la possibilità di trascorrerlo con le vostre famiglie!» trillò la preside.
Tra la boria generale, soltanto le cinque amiche avevano mantenuto l’iniziale serietà. A dir la verità, anzi, le espressioni di Tecna e Bloom si erano fatte corrucciate; Stella sembrava confusa e con lei Flora.
Solo Musa, per qualche ragione, era rimasta impassibile. Teneva le mani sulle ginocchia sottili, guardando a terra.
«È fondamentale, per voi, trascorrere dei periodi di riposo. L’equilibrio nella mente e nel corpo è importante, e un po’ di meditazione non potrà che beneficiare ai nostri cuori ancora scossi» continuò l’anziana.
Le parole che seguirono scivolarono come acqua nei pensieri delle Winx, tutte troppo impegnate a rimuginare sulla stranezza di quanto avevano appena sentito.
Stranezza, sì; perché qualcosa di molto insolito era trapelato dalla voce solitamente calma di Faragonda. Come un guizzo di agitazione; ma non avrebbero saputo dire se di natura positiva o meno.
In verità, sarebbe stato più facile comportarsi come pareva avessero già fatto altre ragazze. L’idea di un mese e più di vacanze meritate era pressoché semplice, da accettare.
Era più comodo; anzi, sotto quel punto di vista, risultava anche meglio per il mantenimento di una buona media scolastica. Un periodo di riposo, pensò Tecna, giovava certamente alla preparazione.
E anche su questo doveva aver fatto leva la responsabile del collegio, forse certa di riuscire ad abbindolare tutte le sue studentesse. Eppure, sembrava così in contrasto con l’indole onesta della preside… c’era qualcosa, sotto.
Doveva esserci necessariamente. Ma come contestare quella decisione?
Quasi nessuno pareva effettivamente scettico.
Bloom, particolarmente stranita, si guardò attorno. Guardò verso le novelline di un metro e ottanta; verso quelle del suo anno; verso le studentesse dell’ultimo; verso i professori.
Nessuno di loro indossava qualcosa che non fosse un largo sorriso. Non avrebbe saputo fornire una spiegazione alla sensazione che la attraversò nel momento in cui incontrò gli occhi ambrati di Palladium; la piega delle sue labbra, artificiosamente arricciate all’insù, sembrava tentare di comunicare con lei.
Sembrava volesse avvertirla; o, più probabilmente, la ragazza si stava immaginando tutto ed il professore non aveva un sorriso molto aggraziato.
Per qualche motivo, cercò di sopprimere quel curioso sussurro che alimentava i suoi dubbi. Oltretutto, cosa diamine era, il Soldì?
Incrociò le gambe, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. In quel momento, mentre scoccava un’occhiata alle ragazze elettrizzate alla sua sinistra, si accorse che Tecna si era visibilmente irrigidita.
Come Bloom immaginava, anche lei doveva aver intuito qualcosa e non tardò ad esprimersi.
«C’è qualcosa di molto illogico, in tutta questa faccenda» asserì infatti, non appena si trovarono abbastanza lontane dall’aula magna e dalla schiera di studentesse che marciava dietro di loro.
«Perché organizzare un periodo di riposo proprio in questo momento dell’anno? Non mi risulta che il Soldì sia una festività celebrata da Magix, né da qualsiasi altra dimensione o pianeta che non siano Solaria ed Eraklyon. La questione è stata presentata anche come un modo per mantenere una tradizione che non persiste se non in qualche sporadico nucleo familiare»
«Non hai sentito Faragonda? Ci vuole po’ di relax. E chi siamo, noi, per impedirle di concedercelo?» Stella agitò la mano con la sua solita aria annoiata, come a voler scacciare quelle insignificanti contestazioni.
In realtà, la pensava allo stesso modo; ma limitarsi ad annuire e non porsi troppe domande era in qualche modo la soluzione più auspicabile. «Senza contare che noi festeggiamo il Soldì e questa è la volta buona che riesco a trascorrerlo con mia madre»
L’altra scosse la testa, lentamente. Stella non capiva.
Quale poteva essere il senso di quella decisione? La preside aveva parlato di stanchezza accumulata dopo gli ultimi eventi che avevano schiacciato Alfea, di meditare, di prontezza; tuttavia, quegli stessi eventi risalivano a più di quattro mesi prima.
Avrebbe avuto più senso prolungare la durata delle vacanze estive, a tale scopo.
No, le ragioni dovevano necessariamente essere altre. Ma perché mentire? Perché mantenere le studentesse ed il corpo docente all’oscuro di qualsiasi cosa rientrasse nei piani di Faragonda?
Naturalmente, nulla obbligava quest’ultima a svelare ogni sua congettura; eppure, quando la situazione volgeva verso un tragitto insidioso, si premurava sempre di renderlo meno problematico con i suoi avvertimenti.
Questa volta, pareva proprio che non fosse intenzionata a spianare la strada, invece.
«Quindi non tornerai su Solaria?» fece Flora, sorridendo. Tecna non poteva definirsi esattamente empatica ma, osservandola, aveva imparato che nei momenti di maggior preoccupazione l’amica tendeva a raddolcire i toni ancora di più.
Il nervosismo era quasi tracciabile, nella sua voce. Doveva aver formulato ella stessa dei dubbi sulla questione.
«Non subito. Penso che starò un po’ da mia madre e poi andrò da mio padre; lei abita su uno dei satelliti attorno… quello più lontano, per la precisione, il più vicino ad uno dei Soli.» sospirò, lanciando occhiate di fuoco a quelle presunte doppie punte che credeva di aver appena individuato tra le sue ciocche dorate. «Beh, meglio così. A Brandon piace il caldo… anche se non so se queste vacanze siano state estese anche a Fonterossa»
Brandon…
Tecna a momenti trasalì.
Mi pare logico… è il suo fidanzato, dopotutto.
Quasi non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva avuto l’occasione di scambiare due parole con lui. Le poche possibilità di incontrarlo risalivano a due mesi prima: il giorno dell’inaugurazione della restaurata accademia di Fonterossa, che il ragazzo aveva prevedibilmente trascorso con la fidanzata, ed alcune uscite di gruppo in cui si erano limitati a saluti di circostanza.
La consapevolezza del fatto che il legame tra i due si fosse ulteriormente consolidato non turbava la fata come avrebbe creduto, in verità. Ormai quella che provava era mera nostalgia per quelle emozioni che – era innegabile – Brandon le aveva fatto sperimentare.
Tuttavia, non poteva negare a se stessa di avvertire una sorta di invidia per quella che era la situazione sentimentale della sua amica. E così, avrebbe trascorso le vacanze con quel ragazzo?
«Penso proprio gli piacerà. Oh, Bloom!» esclamò ad un tratto. «Potresti venire anche tu! Dopotutto, non ti ho mai fatto vedere dove abito. Cioè, dove abita mia madre»
«Se solo mi spiegaste cos’è il “Soldì”…» fece notare lei.
«Oh, che sciocca!» inveì Stella, portandosi una mano sulla fronte. «Dimentico sempre che tu non conosci queste cose…»
Tecna scosse la testa, interrompendola. «Sì, le conosce. È una tradizione simile a ciò che sulla Terra chiamate “Natale”» spiegò, rendendo tutto molto più chiaro. «Si tratta di una ricorrenza rispettata principalmente dai pianeti più tradizionalisti»
«Adesso ho capito! Non ne sapevo nulla» rise. «Perciò dovrei venire con te e rischiare di diventare un terzo incomodo? No grazie!»
«Non diventeresti un terzo incomodo! Ci divertiremmo! A Brandon piaci» fece Stella, cercando il suo tono più convincente.
La fulva scosse la testa. «È gentile da parte tua, ma non credo sia il caso. Probabilmente tornerò a Gardenia. Lì non sarà il Soldì… o Natale, ma potrò aiutare i miei e stare un po’ con loro, credo»
Già immaginava le levatacce che l’avrebbero attesa alle sei del mattino, per prendersi cura delle piante di sua madre o, semplicemente, svolgere tutte le commissioni che lei le avrebbe affidato. D’altronde, realizzò, la sua vita normale consisteva proprio in quello.
«Potresti portarti dietro una delle altre, no? Una vacanza a quattro o a sei. Oppure a otto, o qualcosa del genere. Se foste tutte coppiette, non ci sarebbe imbarazzo, no?» riprese Bloom.
«Giusto! Tecna, mia cara… la buona vecchia coppia numero tre sarebbe…» trillò Stella, quando la diretta interessata la interruppe bruscamente.
«Non sono in grado di comprendere quali soggetti compongano il tanto agognato binomio di cui parli. Se ti riferisci a Timmy, è solo un amico» volle precisare.
«Oh, è vero. Mi stavo dimenticando di quell’Alan di cui ti eri invaghita. Beh, fa lo stesso. Potresti venire anche tu, con noi» lo disse con semplicità, con quella genuina generosità che ogni tanto riaffiorava in lei.
Stella provava ad essere amichevole, talvolta; ma non poteva sapere in alcun modo che la sua vicinanza era l’ultimo dei desideri di Tecna.
Non si trattava di rancore o di antipatia; ma la sola idea di trovarsi in mezzo alla dolce immagine di quel che lei non avrebbe mai avuto la faceva rabbrividire dall’imbarazzo.
Cercò di declinare l’invito il più cordialmente possibile. Accennò a sua madre, alla curiosa ossessione che quella donna condivideva con le sue amiche, che si scambiavano doni natalizi sebbene il Soldì fosse qualcosa di così caldo e profondo da andare contro la fredda logica Zenithiana.
«Uff… Flora? Pensi che Helia voglia combinare qualcosa?» fece la bionda, con una punta di malizia. Prese a punzecchiare l’altra con il gomito, lanciandole occhiate allusive.
Flora avvampò, scatenando suscitando ilarità in Stella. Ormai, anche se quei due non avevano mai definito chiaramente la natura della loro relazione né avevano dato l’idea di domandarselo, era palese quale fosse lo stato delle cose.
Ogni volta che ne aveva la possibilità, la principessa di Solaria e Vera si divertivano a provocare i piccioncini, destando una quasi totale indifferenza da parte di lui ed un imbarazzo eloquente da parte di lei.
«Ecco… io… insomma non… non so se anche a Fonterossa… beh…»
«Anche loro avranno queste vacanze» la interruppe Musa, masticando quelle parole. Procedeva davanti a tutte loro e pareva star meditando qualcosa di impegnativo.
Tecna cercò di intercettare il suo sguardo, senza però riuscirci. Doveva dedurre che la sua migliore amica fosse a conoscenza di qualche informazione più dettagliata?
La fata della natura la guardò, perplessa ed interdetta. «Oh… davvero?»
«Come fai a saperlo?» chiese Bloom incuriosita, fino ad allora rimasta in disparte, ad osservare la neve che lentamente danzava aldilà delle grandi finestre.
Musa non rispose, sulle prime. Disse solo che aveva i suoi informatori; dopodiché, si dileguò con una scusa e con quattro paia di occhi puntati su di lei.
«Tecna» mormorò Stella, dopo un po’. «La coppia numero quattro da chi è formata?»
Lei tacque, non sapendo cosa replicare.
C’era una coppia numero quattro? Musa aveva mai parlato di una coppia?
Chi era lui? C’era un lui?
Era uno di quei due di cui sospettava? Quel Jared le era sembrato piuttosto interessato, dopotutto. Dunque era così? Ma non stava con quella strega, Maria?
Chi era la coppia numero quattro?
E, soprattutto, quando e come era nata la presunta numero tre?
«Beh… potreste venire tutte, quando sarò su Solaria. Potremmo invitare anche i ragazzi, no?»
 
«Non ho detto questo e lo sai anche tu» sbraitò al telefono. «Perché devi fare così?»
Tacque, prestando ascolto a quella concisa ed imbronciata risposta che lui proferì. Sbuffò sonoramente, stanca di tutte quelle bambinate. «Senti, quando vorrai parlare fammi uno squillo. Sono stufa di queste storie»
Senza nemmeno attendere che controbattesse, chiuse la telefonata in malo modo. Scaraventò il cellulare sulla scrivania, buttandosi poi sul morbido piumone del suo letto.
Perché Riven si comportava sempre come se tutti fossero stati intenzionati a metterlo in discussione? Raramente era possibile intrattenere con lui una conversazione normale.
Quel pomeriggio le era parso particolarmente agitato. Come lei, del resto.
Sospirò, voltandosi sul fianco destro.
Avrebbe voluto poter fare qualcosa per rasserenarlo, per riuscire a placare quel suo desiderio di prevenire qualsiasi disgrazia futura al fine di rimediare a quelle che, a detta sua, erano le sue colpe.
Avrebbe voluto poterlo abbracciare senza che lui si ritraesse, senza che lui cercasse di mantenere la sua solita area burbera.
Lei era inesperta, non aveva mai avuto una relazione con un ragazzo né niente che vi si avvicinasse; ma sapeva che, inesperienza o meno, avrebbe dato tutto per lui allo stesso modo in cui tentava di darlo a coloro che già amava.
Si mosse un po’ sul piumone, sentendosi sciocca.
Lei non amava Riven, non stavano insieme. Anzi, non erano nemmeno amici.
Cosa siamo?
Non avrebbe saputo dirlo.
Negli ultimi tempi, negli ultimi mesi che lei aveva trascorso ad Alfea, i rapporti tra loro si erano fatti strani. Lui la cercava ma, quando lei compariva, improvvisamente si allontanava, perdeva interesse.
Musa, dal canto suo, aveva imparato a non sprecare troppe energie inseguendo la figura di Riven; e così, dopo poco tempo, si stancava di andargli vicino. Ed era allora, che lui si faceva vivo nuovamente.
Ma questo non è stare insieme o essere amici. Né nulla di simile.
Perciò, che cosa le importava se lui era turbato? Poteva continuare ad essere intrattabile quanto voleva, per quel che la riguardava.
A che scopo porgergli il suo aiuto, se poi in cambio otteneva solo monosillabi rabbiosi? Non potevano sorreggersi a vicenda, a quanto pareva.
Che faccia come vuole. Non me ne importa un accidente.
Continuò a ripetersi quella misera frase come un mantra, anche ad un passo da quel caldo sonno che la colse alla sprovvista. Tuttavia, nei suoi brevi e confusionari sogni, vedeva quelle parole sottolineate in rosso, come fossero stati errori commessi in un esame scolastico e corretti da un professore.
Rivedeva se stessa durante quel giorno strano che era stata la riapertura di Fonterossa. Rivedeva se stessa sotto quel portichetto, a pochi passi da lui, dai suoi occhi magnetici che si specchiavano in quelli di lei.
Rivedeva se stessa, la sua incapacità di agire e di essere smaliziata, per una volta; la sua incapacità di avvicinarsi e mettersi in punta di piedi per strappargli qualcosa che voleva.
Si svegliò di soprassalto.
Si guardò attorno, impiegando qualche istante a rinvenire completamente e mettere a fuoco la stanza. Diede una rapida occhiata alla sveglia sul comò e scoprì che era trascorsa a malapena un’ora.
Soffocò uno sbadiglio con la mano, stropicciandosi poi gli occhi.
Conviene che io lasci perdere queste idiozie e mi metta sotto con lo studio.
Du Four aveva affidato loro una ricerca piuttosto lunga e tediosa riguardo il bon ton in presenza dei Tettigantropi, ma Musa era stata assente durante l’ultima spiegazione.
Sbuffò forte, trovandosi poco dopo di fronte alla porta che dava sull’appartamento di Pia. Bussò, e l’altra fata non tardò ad aprire.
Cordiale, paciosa nei modi e nel viso incorniciato da onde more; con quei piccoli occhialetti che le conferivano un’aria studiosa. Pia era forse la persona più pacata che conoscesse.
«Oh, Musa» fece, sorpresa. «Vieni, entra»
«Ti ringrazio, ma sono un po’ di fretta» mentì. «Ti scoccerebbe prestarmi gli appunti che hai preso l’ultima volta, con la Du Four? Non c’ero e mi servirebbero per la ricerca che dobbiamo fare» disse, senza giri di parole.
Quella restò interdetta per qualche istante. Annuì e scomparve dentro la stanza; poi, rapida come si era allontanata, le lasciò tra le mani un quaderno dalla copertina ben rilegata.
La ringraziò, senza riuscire a smettere di guardare quella pelle tinta di viola che custodiva i fogli immacolati. Dimenticava che Pia, un po’ come Tecna, riponeva una cura maniacale nei confronti del materiale scolastico.
Lei, al contrario, era piuttosto confusionaria. Benché generalmente fosse una studentessa diligente, non riusciva a fare a meno di annoiarsi in alcune lezioni; e, così, capitava che i margini delle pagine su cui prendeva nota fossero costellati di scarabocchi o idee per delle partiture.
Una volta tornata nella sua stanza, Musa vi trovò anche la compagna.
Intenta a leggere qualcosa attraverso lo schermo del suo pc, sembrava quasi di poter scorgere tutte quelle informazioni mentre scorrevano per l’azzurro erboso dei suoi occhi. Senza che li staccasse dal computer, la salutò. «Dov’eri finita? Prima stavi dormendo»
L’altra boccheggiò appena, un po’ sorpresa. Era strano che Tecna facesse domande del genere, in virtù della politica – del tutto condivisa da Musa – del “non mi riguarda”.
«Ho chiesto a Pia gli appunti di galateo» replicò.
La conversazione cadde; tuttavia, una strana ombra aveva incupito il volto dell’amica, per un attimo. Ormai la conosceva e, sebbene alcuni lo ritenessero impossibile, aveva imparato a comprendere buona parte dei segnali che indicavano un mutamento dell’umore della zenithiana.
Aveva detto qualcosa di sbagliato?
Si strinse nelle spalle, dicendosi che, in fondo, si sarebbe semplicemente potuta sbagliare. Si lanciò sul letto, supina, spalancando il quaderno di Pia ed iniziando a farsi quantomeno un’idea di ciò che l’aspettava.
Non riusciva proprio a cogliere la necessità di sprecare carta e tempo preziosi nello studio di una materia tanto insulsa ed inutile. Insomma, il fatto che fossero fate non implicava che si comportassero come creature dalla postura e dalla gestualità impeccabili.
Non erano tutte principesse, dopotutto.
Lo stesso abbigliamento della Du Four era in profonda contraddizione con un paragrafo del primo manuale, “L’abito fa il monaco”, dedicato interamente a stoffe, forme e motivi che più si addicevano ad una perfetta dama.
Sbuffò sonoramente; inutile o meno, avrebbe influito come tutte le altre discipline.
Si voltò a pancia in giù, stabilendo di impegnarsi, proprio quando Tecna riaprì il discorso. «Avresti potuto domandarli a me» fece notare, più veloce del vento e più frigida del ghiaccio.
Era offesa? Proprio Tecna?
«Avrei dovuto chiederti il permesso e tu non c’eri» ribatté, realizzando in realtà quanto fosse stata stupida per non averci pensato prima.
Apparentemente, parve placarsi. Ma Musa poteva percepire il rapido sfacchinare della mente di lei, come faceva quando si trovava davanti ad un dilemma che non sapeva risolvere.
«Sei ben consapevole di non aver bisogno di chiedere la mia autorizzazione» sottolineò, ad un certo punto. «Oppure - ipotesi più attendibile – non li ritieni abbastanza esaurienti, rispetto a quelli di Pia?»
Lo disse senza alcuna traccia di ironia, come una mera constatazione. Eppure, Musa poté giurare di aver percepito un sottile tono di fastidio, in quella domanda.
All’improvviso, le sembrò che si fosse incrinato qualcosa.
Le sembrò di aver fatto in modo che si incrinasse. Le parole della sua amica non erano troppe ma, quelle poche che pronunciava, non risultavano quasi mai fuori luogo.
«Non dire sciocchezze» mugugnò in risposta, non sapendo esattamente come proseguire. Era vero? La sua mente aveva automaticamente accantonato l’aiuto della sua amica?
«Non ne dico mai» replicò l’altra, immediatamente. «Musa, cosa sta succedendo?»
Già; cosa stava succedendo?
Da dove iniziare? Loro due condividevano tutto, ma raramente avevano discusso di ragazzi. Entrambe erano piuttosto inesperte, in quell’ambito; e soltanto a parlarne l’imbarazzo avrebbe impedito loro di guardarsi in faccia.
Perciò, quando le cose avevano iniziato a susseguirsi e le giornate si erano fatte sempre più strane, sempre più da Riven, non aveva saputo come esprimersi. E adesso si aggiungeva tutta quella faccenda di…
«Potrei essere nel torto, anche se difficilmente accade, ma mi pare che le tue intenzioni siano sempre più quelle di evitarmi. Di evitare tutte noi» continuò.
Musa si morse le labbra, perché… come negarlo? Aveva cercato di escluderle da quella viscosa ragnatela che si era tessuta intorno; per proteggerle tutte e quattro.
«Il fatto che condividiamo un appartamento non fa di noi delle entità inseparabili» commentò, mascherando l’amarezza con tutta la cattiveria di cui era capace.
Loro non dovevano sapere, per nessun motivo.
Tecna, dal canto suo, avvertì qualcosa di non meglio specificato appesantirle il petto. Si sentì quasi come se non riuscisse più a contrarre i polmoni, ad inspirare ed espirare.
Si sentì come tutte quelle volte in cui aveva ricevuto disprezzo; come quando aveva dovuto constatare la diversità tra gli occhi con cui Brandon guardava lei e quelli con cui guardava Stella.
Come quando si era accorta di non aver mai avuto altri amici all’infuori di Blade. Aveva forse creduto di averne trovati, da quando frequentava Alfea?
D’un tratto, percepì una curiosa coltre sgradevole calarle sulle spalle. Aveva degli amici? Delle amiche?
Quanto significava, lei, per le Winx? Quanto significava, per Musa?
Poco, a quanto pareva. Eppure… poteva fermarsi a quelle che erano semplici parole?
Conosceva Musa. La conosceva, sì; e, cambiata o meno, quel che aveva appena detto non rispecchiava ciò che provava davvero.
Non poteva costringerla a vuotare il sacco. Le avrebbe concesso tutto il tempo di cui aveva bisogno, anche se quell’affermazione non smetteva di sussurrarle all’orecchio tutti quei dubbi che avrebbe solo voluto scacciare.
Tecna si alzò, senza aggiungere altro.
Imboccò la soglia della stanza, abbassando piano la maniglia, sperando forse che Musa le chiedesse di restare e si decidesse a parlarle. Non le era mai piaciuto quel genere di conversazione, perché non sapeva esattamente come intervenire per risultare d’aiuto.
Eppure, ora avrebbe voluto sostenerne a centinaia, anche se si fosse trattato di ascoltare e basta. Ma Musa non avrebbe parlato, non lo avrebbe fatto per molto tempo, forse.
Adesso, Tecna avvertiva l’impellente bisogno di sgranchirsi le gambe e riflettere.
Imbroccò il corridoio, scendendo lentamente per le rampe di scale.
Ogni gradino equivaleva a immagini che la sua mente proiettava; soluzioni a quella piccola discussione, alle piccole discussioni con sua madre, a quelle inesistenti con Brandon.
Discussioni.
A ben pensarci, non aveva mai discusso così aspramente con Musa. Non ricordava di aver dovuto affrontare un qualsivoglia litigio, con lei.
Anzi, in verità, nemmeno quello di poco prima poteva definirsi tale. Forse, ragionò, se ci fosse stato sarebbe stato più liberatorio; conoscendo l’amica e se stessa, poteva ben prevedere la guerra fredda che avrebbe minato i loro rapporti.
Quell’unica volta in cui il battibecco era stato un po’ più animato, si erano degnate a malapena di qualche saluto per un po’; poi, come se niente fosse stato, avevano ripreso a comportarsi quasi normalmente.
Entrambe erano troppo orgogliose per scusarsi o ammettere i propri errori.
Sarebbe accaduto di nuovo?
Perché diamine Musa aveva deciso di chiudersi totalmente nella sua riservatezza?
Si fermò appena ai piedi di una delle gradinate minori, quella che dava sul corridoio verso le cucine. Sembrava che non ci fosse nessuno, nei dintorni.
Decise di non dilungarsi ulteriormente a rimuginare su quelle questioni. Adesso urgeva trovare una risposta al quesito che aveva scombussolato la sua giornata fin da quando se l’era posto.
Perché avrebbero dovuto trascorrere oltre un mese di riposo dai corsi scolastici?
Riposo. Riposo, studio, meditazione. Soldì.
Sarebbe stato semplice, no? Accettare tutte quelle insulse motivazioni, godersi quei giorni di ozio e chinare la testa, non fare domande.
Un tempo, forse, ne sarebbe stata in grado. Attenersi alle regole e alle decisioni di chi sapeva… non lo aveva sempre ritenuto più importante di ogni altra cosa?
Eppure, ora, forse le cose stavano in modo diverso; e cos’altro fare, se la curiosità prendeva il sopravvento?
Deve esistere un dettaglio che mi è sfuggito.
Cosa poteva aver trascurato? Più e più volte aveva mentalmente ripercorso la scena, ripetendo le stesse parole che aveva sentito pronunciate dall’allegra e cordiale voce di Faragonda.
Eppure, il fatto che gli altri insegnanti non fossero a conoscenza di quel piano destava un certo sospetto. La preside aveva agito alle spalle di tutti e…
«Ma certo…!» si ritrovò ad esclamare.
Perché non ci era arrivata prima?
Faragonda non voleva tenerle lontane dagli impegni scolastici, ma dalla scuola stessa.
Per qualche ragione, per alcune settimane la struttura sarebbe diventata inagibile. Ma perché? E se, per ipotesi, alcune studentesse non avessero avuto la possibilità di allontanarsi?
Oltretutto, si era parlato anche di Fonterossa. Le streghe di Torrenuvola avrebbero avuto lo stesso privilegio?
Se così fosse stato, allora la preside avrebbe dovuto averne discusso con Saladin e con la Griffin. Perciò…
«Il database del suo teleproiettore deve aver conservato le ultime conversazioni nella memoria interna» rifletté, fermandosi. «Si potrebbe pensare di effettuare un’incursione notturna e…»
All’improvviso, un debole fruscio destò i suoi sensi. Tecna scattò sul chi va là, non sapendo se temere maggiormente che si trattasse di un mostro o di qualcuno che non avrebbe dovuto udire quella specie di monologo.
Si voltò, sobbalzando alla vista della ragazza dietro di lei.
Statuaria, dallo sguardo fiero e cristallino che spiccava sulla pelle d’ebano, quella principessa, quella… quella Aisha la scrutava. Sostenne il peso dell’indecifrabile ciglio che le stava rivolgendo.
«Da quanto sei lì dietro?» domandò, senza apparire minimamente turbata.
«Da un po’. Abbastanza perché sentissi qualcosa, in effetti» fece, un po’ imbarazzata. Sembrava una ragazza piuttosto discreta, di quelle che raramente si impicciavano negli affari altrui.
Come Musa.
Per quella stessa ragione, non le domandò nemmeno se avesse intenzione di spifferare quel che non avrebbe dovuto ascoltare. Sapeva che non lo avrebbe fatto, non ne aveva le ragioni.
Non aveva, però, mai davvero parlato con quella ragazza, se non per qualche saluto di cortesia e vaghi convenevoli dovuti a quel triste giorno d’estate, quando Bloom l’aveva conosciuta e l’aveva presentata anche alle altre – sebbene lei si trovasse già su Zenith. Perciò, saltare a conclusioni affrettate sulla natura della fata che aveva di fronte sarebbe stato sconsiderato.
Tecna non aggiunse nulla; dopotutto, non era nemmeno certa che Aisha avesse udito ogni dettaglio del suo monologo. Inoltre, si era mantenuta piuttosto vaga e nessuna studentessa avrebbe forse mai dubitato di una fata ligia al dovere come lei.
«Mi rincresce che tu abbia dovuto assistere ad un monologo di ricognizione» fece, mantenendo la massima calma e cercando di occultare quel misero timore che le cose potessero andare all’aria. «Ti auguro un buon pomeriggio»

 I’m struggling just to see
Amount to better ways
What’s possibly meant to be…
Was probably meant for me
Fall Into Place, Apartment
 
  
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