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Autore: n3rieko    21/08/2017    2 recensioni
[La storia si riferisce alla terza stagione, fa riferimento a teorie non confermate al 100%]
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"Ripensò a poco prima, a quel momento di intimità nella stanza di Shiro, ed a come si fosse accorto, in quel bacio tanto agognato, che Shiro non fosse più lo stesso.
Quel bacio che erano soliti scambiarsi di nascosto, lontani dal loro dovere di paladini, dolce come il tocco della mano ancora umana che accarezzava i capelli di Keith, e lento, come i loro respiri. Era una cura, uno sciroppo da prendere prima di andare a letto che rilassava i muscoli e placava la paura.
Un premio per essere sopravvissuti, ancora un altro giorno, lontano dalla terra. "
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: (SPOILERS) La storia si riferisce al ritrovamento di Shiro ed al fatto che sia probabilmente un clone e non il nostro Space Dad. Inoltre non sono sicura sia 100% gialla come rating, quindi se sentite che dovrei catalogarla come arancione fatemelo sapere! Contiene 4 parolacce lol 

 

«CAZZO» l'urlo di Keith rimbombò nel corridoio deserto.
Non poteva crederci, non poteva nemmeno pensarci. Ogni volta che cercava di rimettere in ordine i pensieri, che provava a dimenticare quelle parole che risuonavano nella sua testa e che stridevano, insopportabili come unghie su una parete, una fitta gli attraversava l'addome e si spandeva fino stringergli il cuore, privandolo anche solo della forza di inspirare.
Non è lui. Non è Shiro.

Sbattè un pugno sulla parete, avrebbe voluto urlare ancora, urlare finché tutta l'aria che aveva nei polmoni non fosse svanita, finché non si sarebbe svegliato, in un mondo in cui nulla di tutto ciò era successo.
Strinse i denti e si costrinse a respirare lentamente in un vano tentativo di calmarsi. Avrebbe voluto diluire l'evidenza che gli si era presentata poco prima, renderla più sopportabile, trovare qualcosa di buono a cui aggrapparsi. Ma la paura era tornata, la stessa che lo aveva tormentato per tutte quelle settimane in cui di Shiro non era rimasto che il vuoto che la sua scomparsa aveva provocato. Eppure sembrava essersi dissipata quando, stremato e a malapena cosciente, Shiro era tornato. Il cuore di Keith allora era impazzito e le sue membra si erano sciolte come miele. Era stato sommerso dal tepore di quella notizia, e per un attimo, aveva dimenticato tutto ciò che lo circondava.

«Cazzo, cazzo, cazzo» sì accovacciò stringendosi la testa tra le mani, come nel tentativo di occupare il meno spazio possibile.

Shiro non era con loro. Chiunque si trovasse in quella camera, non era il loro Shiro. Chiunque avesse appena toccato, non era Shiro.
Pensò che gli altri non gli avrebbero creduto, e probabilmente avrebbero avuto tutte le ragioni per non farlo. L'uomo che avevano salvato aveva i ricordi del loro leader, lo stesso corpo, la stessa voce. E se anche le mani erano le stesse, se quel braccio galra era dello stesso metallo, gelido allo stesso modo di quello del loro Shiro, il suo tocco era cambiato. La sicurezza con cui i suoi occhi si soffermavano in quelli di Keith ora era un scivolare veloce su quelle iridi che lo guardavano con ammirazione, la frequenza con cui i muscoli della mascella si contraevano era più elevata, le sue spalle impercettibilmente più rigide.

Non avrebbe potuto prendersela con il resto della squadra in caso non gli avessero creduto, perché per quanta rabbia potesse provare, Keith sapeva di essere l'unica persona in quel castello a poter notare quel cambiamento. Non avrebbe potuto spiegare, non avrebbe avuto prove, ma non poteva nemmeno mettere in pericolo i suoi compagni lasciando che credessero che quell'uomo fosse veramente chi diceva di essere.
Non poteva farlo nei confronti del suo Shiro, quello che non aveva ancora fatto ritorno, il cui profumo ancora sembrava riempire l'aria della cabina di pilotaggio.

Rimase immobile per qualche minuto, in ascolto del battito accelerato del suo cuore in quel corridoio rischiarato soltanto da un bagliore sterile.

«Keith..?» la voce era lontana e Keith non aveva sentito nessun rumore di passi precederla.

Lance si avvicinò, indossava il pigiama ed era scalzo.

«...Che stai facendo?» chiese piano, una punta di seria preoccupazione nelle suo parole.

Keith si rialzò e si sfregò la faccia nell'illusione di darsi un'aria meno provata: «Niente, torna a letto.»
La sua risposta era stata fredda, stanca.

«Ho sentito dei rumori. Che diavolo ci fai qui a quest'ora?»

«Nulla che ti riguardi, Lance. Tornatene in camera.» gli diede le spalle e fece per incamminarsi dalla parte opposta.

«Keith, hey! Se c'è qualcosa che non va puoi-»

«STA' ZITTO» abbaiò il moro in risposta. «Pensi di poter essere utile in qualche modo!? No, non lo sei, Lance. Quindi, stai zitto e tornatene a letto.»

Lance si pietrificò. Le sue labbra si aprirono appena, come a voler mormorare qualcosa, ma la voce di Keith lo interruppe di nuovo:

«VATTENE.»

Lance rimase in silenzio. Era stato trattato come una lattina vuota, calciata via per sfogo ed abbandonata, inutile. Non poté fermare la frustrazione, lo scatto con cui si riscosse fu colmo di una rabbia che gli fece dire parole che non pensava veramente.

«Sai ti stavo rivalutando; pensavo fossi cambiato. Pensavo che pilotare Black ti avesse fatto crescere, ti avesse reso... un buon leader.»

«No, non capisci-»

«Oh, capisco benissimo, Keith. Pensi di essere superiore perchè Shiro ha scelto te. Al diavolo la squadra, giusto? Pensi che io sia soltanto un pagliaccio, un pilota solo perchè tu hai avuto la grazia di farti allontanare da scuola, non è così?»
Gli occhi di lance era sbarrati, lucidi. «Beh sai, ti abbiamo salvato il culo più volte, e questo è ciò che otteniamo, un compagno di squadra che si crede troppo intelligente per noi idioti.»

«No, Shiro-»

«Siamo tutti stati in pensiero per Shiro, tutti noi, ma abbiamo sopportato te ed i tuoi capricci per settimane, ed ora che è qui-»

«NON E' LUI.» Ringhiò Keith colmando la distanza che li divideva. La sua mano afferrò istintivamente il colletto della maglia di Lance e tirò verso l'alto, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro. «Non. È. Lui.»

Stava ammettendo ciò che non era stato ancora in grado di elaborare, ed il suo stomaco si strinse ancora una volta, il suo cuore perse un battito.

L'espressione sul volto di Lance sfumò dal confuso, al divertito, al furioso prima di afferrare il polso di Keith e costringerlo a mollare la presa.

«Che cosa stai dicendo?»

Prima di rispondere, Keith si guardò attorno per verificare che nessun altro li sentisse.

«Quello che abbiamo salvato, non è Shiro. E' uguale a lui, ha i suoi ricordi, ma … non è ...Shiro

Seguì un silenzio pesante, lo sguardo di Lance lasciava intendere che non avrebbe creduto ad una sola parola.

«Keith, ti rendi contro di cosa stai dicendo? Che si comporti in modo diverso è norm-»

«Dimmi che motivo avrei di mentire» lo interruppe.

Lance rimase in silenzio, poi rispose lentamente, con voce gelida: «Ce ne sono parecchi.»

A quelle parole, Keith si pentì di aver parlato in primo luogo. Sì, dopotutto cosa potevano pensare di una tale accusa? “Non è Shiro, ma il suo aspetto è uguale ed i suoi ricordi intatti e coerenti.” non era facile da credere per nessuno, ed un Lance alterato, soprattutto, aveva ragioni di pensare che Keith stesse agendo contro di lui ora che Black si era rifiutato di accogliere nuovamente Shiro come suo paladino.

Una stanchezza improvvisa si impossessò del suo corpo e Keith non desiderò altro che crollare in un sonno profondo, un sonno senza sogni.

«Sai cosa? Hai ragione.» Non aveva la forza di dire altro.

«Mi puoi spiegare che diavolo ti prende?»
«Niente.» e questa volta, lo sguardo basso ed i pugni chiusi, un nodo alla gola tanto stretto da procurargli un dolore pungente, Keith si allontanò senza voltarsi.





Mancavano 3 ore alla sveglia. Le luci erano ancora basse nel castello, e per quanto avesse desiderato addormentarsi, Keith non riusciva a calmare i pensieri. Si era rigirato senza sosta, le lenzuola si erano aggrovigliate su di lui ed il cuscino sembrava talmente duro da fargli male al collo. Per quanto la sua convinzione che Shiro non fosse il loro Shiro risultasse insopportabilmente dolorosa, le parole di Lance non avevano fatto altro che gettare sale sulla ferita.

Ripensò a poco prima, a quel momento di intimità nella stanza di Shiro, ed a come si fosse accorto, in quel bacio tanto agognato, che Shiro non fosse più lo stesso. Quel bacio che erano soliti scambiarsi di nascosto, lontani dal loro dovere di paladini, dolce come il tocco della mano ancora umana che accarezzava i capelli di Keith, e lento, come i loro respiri. Era una cura, uno sciroppo da prendere prima di andare a letto, che rilassava i muscoli e placava la paura. Un premio per essere sopravvissuti, ancora un altro giorno, lontano dalla terra.
Ma quella sera le labbra di Shiro avevano impiegato troppo tempo a dischiudersi, la sua mano stringeva invece di accarezzare, ed i suoi occhi erano rimasti aperti, quelle iridi nere lo fissavano persi nel ricordare qualcosa. Keith gli aveva chiesto cosa non andasse, ma nonostante Shiro non avesse detto nulla, una sensazione sgradevole s'era insinuata nel petto del giovane. Non avrebbe saputo spiegarlo; era un istinto, un segnale che gli inviava il suo corpo e che non sarebbe stato in grado di motivare logicamente. Ma c'era, ed era quasi nauseante.

Quando era uscito, varcando la soglia della camera, si era passato inconsciamente le dita sulle labbra, come a pulirle dal ricordo di un contatto estraneo. Poi si era allontanato, perdendo il contatto con la realtà, finché Lance non lo aveva trovato.

 





Sette. Contò fino a sette prima di bussare alla stanza di Shiro.

Silenzio.

Keith bussò ancora, ed al secondo colpo potè udire dei passi avvicinarsi dall'interno. La porta si aprì su una camera rischiarata dal bagliore verdastro delle fasce luminose, così fredde, diverse dal calore di una comune abat-jour o da una lampada in una piccola casa in legno sperduta nel deserto. Shiro aveva gli occhi stanchi, i lunghi capelli gli ricadevano disordinati sul volto. Sapeva chi lo aveva chiamato, e quando Keith entrò senza attendere un invito, lo lasciò fare.
Nessuno “ti ho svegliato”, nessuna scusa.

«Shiro» Quando Keith pronunciò quel nome sembrò sbagliato. Quella sensazione nel suo petto gli disse di non ripeterlo più; non rivolto all'uomo di fronte a lui.

«Cosa è successo?» Shiro avanzò di un passo provocandogli una reazione uguale e contraria. Si fermò, la fronte leggermente corrugata, non capiva.

«Ho bisogno di sapere. Ho bisogno che tu mi dica cosa è successo.»

«Keith ora non è il momento.»

«Voglio sapere se posso ancora chiamarti Shiro.»

Gli occhi di Shiro si fecero grandi prima di assottigliarsi in un'espressione confusa. Rimase in silenzio ad ascoltare.

«Voglio una prova. Una prova che tu sia lo stesso Shiro che mi ha chiesto di prendere il suo posto, la stessa persona che ho cercato per un anno dopo la missione Kerberos. Colui che mi ha insegnato a pilotare e che ho ammirato per tutto questo tempo.»

«Una prova?» Shiro si sedette sul letto, come se necessitasse di un sostegno. «Keith... sono io. Sono sempre stato io.»

L'incredulità nella voce di Shiro scosse la sua determinazione, ma soltanto per un attimo.

«Ricordo cosa è successo prima di sparire, ricordo le battaglie che abbiamo affrontato assieme, come potrei non essere... io

Keith percepì il senso di colpa intrufolarsi nella sua corazza, la sensazione nel suo petto rimaneva però immutata. Alzò lo sguardo in quello dell'uomo seduto di fronte a lui; era stanco, provato. Era la terza notte nel castello da quando era stato salvato, aveva mangiato e riposato. Ma il suo volto era rimasto pallido, la barba incolta, le occhiaie scure.

Se Keith voleva una prova non l'avrebbe ottenuta così.

Inspirò e si sedette sul letto, di fianco a Shiro, il calore del corpo che prima vi si riposava sembrava non aver ancora lasciato completamente le lenzuola.

Si guardò le mani; aveva paura. Per una volta voleva sbagliarsi, voleva essere nel torto e riconoscere che il suo sesto senso l'aveva ingannato. Ma sapeva che non succedeva spesso, il suo istinto gli aveva consigliato bene in molte situazioni.

«Keith...» La voce di Shiro era roca: credimi, se non sono Shiro, chi potrei mai essere?

Keith prese coraggio e lo guardò. Poggiandosi su una mano, gli si fece vicino, finché le loro ginocchia non si sfiorarono. Lo stomaco gli si contrasse, la gola si strinse di nuovo nel vedere il viso dell'uomo che aveva stretto più e più volte, in quella stessa stanza, settimane prima, lontano dalla terra. Lontano dai ruoli a loro assegnati, dalle divise diverse, da quel divieto imposto dalle loro età.

Poteva sentire il respiro caldo di Shiro, così come percepiva i suoi muscoli contrarsi, il suo corpo irrigidirsi. Keith sfiorò quel volto ruvido con la punta delle dita, tracciò la linea del mento, per poi scendere lungo il collo.

Il ricordo del profumo di Shiro viveva ancora tra i vestiti chiusi nell'armadio, nella cabina di pilotaggio di Black, su quella maglietta che gli aveva prestato. Perchè non ve ne fosse traccia sul corpo che stava toccando, era una domanda a cui rispose quella voce interiore che lo aveva guidato fino a lì, risposta che venne temporaneamente ignorata.

Fece scivolare la mano dietro le ciocche scure, morbide come seta, e costrinse Shiro a venirgli incontro. Non trovò resistenza; erano fermi a pochi millimetri l'uno dall'altro, Shiro confuso, Keith concentrato ad analizzare ogni particolare del suo volto.

L'attesa terminò quando le loro labbra si toccarono, quelle morbide di Keith sopra quelle secche di colui che avrebbe voluto chiamare Shiro. Questa volta Keith non si interruppe, ma procedendo con cautela, ripeté i movimenti a lui tanto familiari, quelli che ogni sera guidavano i loro baci.

Shiro sembrò rilassarsi, il suo collo si sciolse e le spalle si abbassarono appena.

Keith pensò fosse qualcosa da Shiro.

Si spinse in avanti, accelerando i suoi movimenti, il fruscio delle lenzuola sotto il suo peso l'unico rumore ad accompagnarli.

Fermati.

Keith non ci fece caso, non voleva dare ascolto a nulla. Voleva semplicemente continuare a bearsi di un contatto, di quel contatto che aveva creduto di aver ritrovato.
I loro corpi si fecero ancora più vicini, poteva percepire il freddo del metallo del braccio di Shiro attraverso la maglietta sul suo fianco.

Fermati. Non è lui.

Strinse gli occhi fino a che piccole stelle non si mossero dietro le sue palpebre, e continuò, la sua lingua passò rapida su quella di Shiro. Il petto di Shiro si alzava e si abbassava irregolarmente.

Keith non avrebbe voluto che Shiro vedesse le sue ciglia umide, non avrebbe voluto staccarsi e dover affrontare il fatto che quella voce dentro di lui avesse ragione.

Non è lui.

Percorse con le dita l'addome di Shiro, poi le fece scorrere sulla sue schiena, larga e rigida. Trovarono un punto in cui la maglietta si era alzata lasciando scoperta la pelle, e vi si intrufolarono al di sotto.

Shiro rispose con un respiro profondo, le sue mani si mossero automaticamente; presero i fianchi del ragazzo e lo tirarono a sé.

Basta così.

Keith non l'aveva mai fatto. Non si era mai spinto così oltre. In quei loro momenti segreti v'era solo dolcezza, le loro mani non erano avide e le loro azioni non erano guidate da un cieco istinto. Ora invece stava correndo, il respiro affannato, i baci diventavano morsi, le dita tracciavano scie sulla pelle rovente di Shiro e lo liberavano della maglietta senza lasciargli il tempo di rispondere o obiettare.

Se Keith si fosse fermato avrebbe perso tutto. Non sarebbe più stato in grado di avvicinarsi ad un corpo a lui così familiare eppure così estraneo, non se lo sarebbe permesso. Ecco perchè in quel bacio disperato, in quella necessità di spingersi oltre, provava una tristezza infinita, un senso di vertigine simile a quello che si ha sulla cima di una montagna, in equilibrio su una roccia che potrebbe franare da un momento all'altro, portandoti con essa in fondo alla valle.

Shiro passò dalle sue labbra alla mandibola, poi al collo, fin dove la scollatura della t-shirt di Keith gli permetteva di andare. La barba graffiava la pelle diafana, i denti la morsero.
Gli occhi che alzò per osservare le labbra arrossate di Keith erano appannati, persi ancora una volta in ricordi lontani.

BASTA.

Keith lasciò andare un lamento soffocato. Gli mancò il respiro.

Aveva ragione. Bastava così. Avrebbe fatto male, ma doveva fermarsi.

Nel momento in cui le sue mani spinsero contro il petto di Shiro gli sembrò di spingere contro una parete. Il sangue pulsò così forte nelle sue vene da poterlo sentire ronzare nelle orecchie.

«No..»

Un ringhio animalesco gli fece tremare le ossa. Shiro lo strinse a sé con forza ed i suoi polmoni si svuotarono per la sorpresa.

«Lasciami.»

Nulla sembrò cambiare nonostante la sua richiesta. Il velo di sudore sulla sua schiena sembrò ghiacciare per poi sciogliersi nuovamente, il suo stomaco si strinse.

Urlò.

Urlò il nome della persona che lo avrebbe abbracciato, che lo avrebbe fermato prima di oltrepassare il limite, il nome di colui che aveva ammirato per anni, il cui tocco aveva un potere calmante, i cui occhi sapevano leggere le sue preoccupazioni.

Shiro.

Quel Shiro lontano, ancora disperso nell'oscurità sconfinata dello spazio.

Keith cadde all'indietro, finendo sul bordo del letto. Rotolò giù da esso come se stesse scappando da una bestia, gli occhi grandi, umidi, un'espressione che non appariva in nessuno dei ricordi di Shiro. Indietreggiò fino a sbattere contro la porta, e senza mai distogliere lo sguardo dall'uomo che aveva appena baciato e toccato come se fosse il suo amante, premette il pulsante che gli permise di uscire.

L'ultima cosa che vide furono gli occhi di Shiro tornare al presente, sgranandosi una volta realizzato l'accaduto.

Poi corse. Keith corse fino alla propria camera come se la sua vita fosse in pericolo, fino a sentire i muscoli delle gambe bruciare.

Quella notte si addormentò sul pavimento di fianco al suo letto, senza coperte, senza sogni.
Solo una disgustosa sensazione sulla sua pelle; quella di aver condiviso l'intimità che era solo di Shiro, con un completo estraneo.

 



Yoo se siete arrivati fin qui meritate una caramella, o un pezzo di torta, o una ciotola di insalata buona. Meritate comunque qualcosa di bello e buono, tipo Shiro, haha *va a piangere sul pavimento*
Fatemi sapere che ne pensate della 3° stagione, se avete teorie a riguardo, se questa one shot l'avete gradita o se fa schifo allo schifo, ed in caso scrivetemi il perchè così ho una buona ragione per mangiare altro cioccolato. Scherzo ovviamente, certo che scherzo, haha perchè non dovrei scher- ... *va a piangere sul pavimento di nuovo*

  
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