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Autore: Lady_Dragon99    21/08/2017    2 recensioni
Se lo guardi non te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio… Tutto quell’infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco. Non lo spegni, il mare, quando brucia nella notte. (Baricco)
Makishima, a volte, sceglie di perdersi nella notte, chiuso fra mare e cielo. Scruta l'orizzonte che scompare, alla ricerca del punto in cui i confini delle cose svaniscono e i pensieri possono sfuggire.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shogo Makishima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un folle e la luna

¨Un folle e la luna¨

 

Makishima spesso non tornava a casa.

Non ricordava quando avesse iniziato a farlo, ciò che sapeva era che non voleva smettere.
Lo faceva a prescindere dalla stagione, a prescindere dal tempo, a prescindere da tutto e da tutti. Chissà, forse lo faceva da quando sua madre, a sette anni, gli aveva detto: “la tua pelle è malata. Non puoi andare con gli altri bambini”.
Quando Makishima ci pensava sorrideva; non sapeva se ci fosse amarezza in quella piega dolce delle labbra; non sapeva se davvero ciò che sua madre aveva detto quel giorno veramente ha avuto la capacità di influenzarlo tanto, ma non gli importava e non gli sarebbe mai importato.

Non aveva una cadenza precisa, non era un appuntamento fisso. Era una relazione strana, da sfruttare quando il suo animo tormentato ne sentiva il bisogno più di quanto bramasse l'aria, o il cibo.
Andava lì la sera, quando la spiaggia era ormai deserta: di solito era abbastanza tardi perché tutto fosse silenzioso.
Si arrampicava velocemente sugli scogli, erano sempre gli stessi e la pietra conosceva il peso dei suoi piedi, a volte pensava che le sue impronte fossero cresciute man mano impresse nella roccia.
Il suo posto non era mai cambiato in tutti quegli anni, la sua posizione sì. Da piccolo si gettava lì come meglio gli veniva, solo guardare gli importava, solo nutrire quei suoi occhi tanto poco umani, tanto diversi, con l'immensità di qualcosa che lo avrebbe accettato senza pensare.

Da adulto, si sedeva un po' più composto. Teneva una gamba allungata davanti a sé; a volte dritta, a volte era un po' più avanti, a penzolare sopra le onde. L'altra era sempre piegata, raccolta vicino al suo petto. A volte vi appoggiava un braccio. A volte aveva un libro con sé, raramente, soprattutto in passato, aveva un paio di cuffie una playlist. Ciò che aveva sempre erano due occhi puntati verso l'orizzonte.

Era quella linea sottile ad affascinarlo.

Man mano che il tempo passava la luce veniva meno, se aveva un libro era costretto a chiuderlo. I minuti scorrevano e con loro anche la nitidezza del confine fra cielo e mare scivolava via. Il suo posto non era lontano dalla città che bruciava di folle luce olografica alle sue spalle, ma bastava. Davanti a sé solo l'oceano, solo quello, e presto non avrebbe più saputo dire dove terminava e dove iniziava il cielo. Neppure le stelle erano un'indicazione: si riflettevano nell'acqua, lo illudevano di essere avvolto dal cielo, un viaggiatore solitario in mezza a un universo che non si sarebbe mai aperto per lui.

Solo la luna lo riportava alla realtà. La luna riflessa tremava, l'acqua irrequieta la faceva rabbrividire nella sua perfezione lattea. Non poteva ignorare la forza oggettiva che gli ricordava che la metà inferiore del suo cielo era solo un riflesso, che metà di quello che vedeva era solo finzione che la sua mente cercava di spacciare come realtà. Pregava nelle nuvole: avrebbero nascosto stelle e luna. Aspettava con ansia quel solo giorno di luna nuova, avrebbe potuto dimenticare che la sua nemica gli ricordava che era tempo di smettere di sognare.
Per anni aveva odiato la luna. La guardava come la tigre guarda alle sbarre, ma poi era cresciuto. La sua consapevolezza era cresciuta e si era reso conto di quello che stava facendo davvero.
Stava cercando di dimenticare una realtà che sapeva esistere, cercava di dimenticarla per sparire in ciò che gli era comodo credere.

Era sceso a patti con la luna, si era lasciato aiutare a vedere. Le aveva preso la mano, si era gettato con la forza della solitudine in quello spiraglio che da sempre aveva visto. Aveva trovato la sua strada e ora guardava la sua maestra crescere in cielo, ogni mese, crescere, sbocciare e scomparire, e lui sorrideva.
Spesso rideva di sé nel pensarci. Davvero non poteva fare a meno di far poesia su questo. Nemmeno ora che il suo bianco si era macchiato di sangue e aveva deciso di affogarvi dentro, se fosse stato necessario. Anche a quel punto, stava in silenzio su uno scoglio, una notte, un'estate, con il mare calmo che neppure schizzava la gamba penzoloni sulla sua superficie.
Alle sue spalle, sul lungomare, le luci e la gente si agitavano fra musica, bicchieri di finti alcolici e una qualche manifestazione di cui non ricordava il nome.
I suoni arrivavano alle sue orecchie e lui scuoteva la testa. Fra quelle persone, anche solo una si era mai fermata a rimirare quel paesaggio? Lo sperava, ma quale pecora si ferma mai a guardare davvero oltre la sua mangiatoia, quale animale alza gli occhi a cercare un orizzonte e ad amare il momento in cui cielo e mare si uniscono? Quale uomo che non sia completamente folle può arrivare ad amare quella luna maledetta che per anni gli ha strappato il sogno?
Solo un matto, solo un animale in gabbia, solo chi è infelice può cercare qualcosa nel nero terrificante del mare di notte.

E Makishima Shogo era infelice. Aveva smesso di illudersi. La sua ricerca lo affascinava, a volte si divertiva, ogni tanto trovava un po' di pace, a volte era tanto furioso con tutto che avrebbe ucciso ogni creatura vivente gli fosse passata sotto gli occhi, prima di togliersi la vita. Pensava a tutto questo in silenzio, mai nessuno aveva udito un barlume di tutto ciò. Aveva una missione, l'aveva scelta da sé e non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via, però il suo animo di matto, un po' omicida, un po' filosofo, un po' letterato, un po' uomo ordinario e solo, aveva bisogno di quella culla in cui ora affondava gli occhi. Occhi felini, occhi di demone, di bestia, di uomo.

Ma al mare (o al cielo?) non importava.

A volte piangeva, ma non era quella la sera. Non si vergognava delle sue lacrime, ma non era quella la notte per versarle. Aveva gettato il suo sassolino in uno specchio d'acqua ben diverso da quel mare, un sassolino che era caduto nelle mani di un uomo ben più disperato di lui e che era destinato a creare onde terribili. 
Makishima quella notte sorrideva al cielo, i denti scoperti in un ghigno travestito da felicità. Avrebbe messo alla prova i cuori degli uomini impigriti e ormai ridotti a bestiame che abitavano quel mondo impazzito che tanto detestava. Avrebbe cercato con tutte le sue forze di scavare nelle membra cibernetiche di quella follia chiamata utopia, di insidiarvisi come il parassita che era e trovare finalmente cosa fosse il suo cuore. 

Scosse la testa, cercando di riportare in ordine i capelli rapiti dal vento leggero che si era alzato.
Guardò la luna e sorrise ancora mentre inspirava la salsedine che permeava l'aria.

 

***

E ora Makishima Shogo sorride. Il vento ancora gli increspa i capelli. Il cielo è ancora nero, ma sotto di esso non c'è il mare.
Alle sue spalle non c'è una città ebbra d'estate, ma un campo di grano infinito. Alle sue spalle non ci sono pecore vocianti, ma un uomo. Alle sue spalle non ci sono delle luci, ma un revolver carico.

Non cerca più le risposte, non ne ha tempo.

Non getterà più lo sguardo in quel nero fra il cielo e il mare.

Non piangerà in silenzio senza motivo, lo ha già fatto mentre correva e annaspava. Un paio di lacrime, non di più.

Le sue labbra parlano: -Troverai mai qualcuno per rimpiazzarmi?-
-Spero proprio di no-

Makishima Shogo sorride. I suoi occhi cercano una luna che non c'è. Luna nuova? Forse, pensa per un istante, la mente annebbiata dalla perdita di sangue e da quel revolver, la Luna è scesa a prendermi.

Il suo sorriso si allarga. Il volto è più innocente di quello di un bambino, anche se è sporco di rosso, gli occhi grandi e limpidi.

Uno sparo.

La luna, uscendo da una nuvola, trovò in un campo di grano un amante da piangere.







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Tana del Drago:
Rieccomi qui, dopo circa un decennio, ma io ho i miei tempi.  no, è che sono demente e pigra
Non ho molto da dire su questa shot, se non che è stata partorita in un'ora e mezza di noia spiaccicata malamente in una tenda. Avevo promesso a delle amiche che avrei scritto qualcosa con Makishima e il mare di notte, per cui  questo è il risultato, spero sia accettabile ^^
Non sono affatto brava con gli angoli autrice quindi mi dileguo: se avete due minuti per lasciare una recensione farete un'autrice contenta
Alla prossima!
Marta 
  
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