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Autore: Ormhaxan    24/08/2017    3 recensioni
Gabrielle Nakovrar ha diciotto anni quando, seguendo le orme di suo padre e sua nonna prima di lei, entra a far parte della Bræthanir, la Fratellanza, gruppo di spietati e famigerati soldati al servizio dei sovrani di Yvjór, il regno della Primavera.
Ben presto, però, si renderà conto che dietro la gloriosa facciata fatta di palazzi maestosi, balli in maschera e sorrisi accondiscendenti si nasconde qualcosa di più profondo, oscuri segreti custoditi da secoli e la volontà di annientare coloro che dovrebbe essere protetti.
Nel regno a Nord di Ynjór, estremo baluardo che ancora resiste al dominio dei sovrani della Primavera, gli ultimi discendenti dei Sýrin, i mutaforma che un tempo popolavano ogni angolo dell'isola di Vøkandar, si stanno riunendo, insieme ad altri ribelli, sotto il comando di una combattente misteriosa che si fa chiamare Narmana.
E sarà proprio Narmana e il suo esercito che Gabrielle, adesso conosciuta con il nome di Nako, dovrà cercare di combattere quando la regina Lorhanna e il suo fratello bastardo, Lucien, ordineranno alla Fratellanza di marciare verso Nord in una missione che sembra essere un suicidio preannunciato.
Il vero nemico avrà realmente le sembianze di un lupo albino?
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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NAKOVRAR  — Vermiglio è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale


 



Hnmar era diversa da qualsiasi altro luogo che Lucas avesse visitato.
Sparsa tra i fiordi e le alte scogliere, la città — se di città si poteva parlare — era formata da modeste case di mattoni e palafitte in legno che si estendevano da un’insenatura all’altra; il porto, un insenatura naturale circondata dalla natura e pieno di piccoli pescherecci e barche a remi, era incredibilmente silenzioso e privo degli odori pungenti o dei fumi che contraddistinguevano quello della capitale della Primavera.
Persino le persone erano taciturne, preferivano restarsene in casa piuttosto che affollare le strette e ripide strade con banchetti di pesce o altri alimenti, tanto che in alcuni momenti il capitano aveva avuto l’impressione di camminare in un luogo deserto.  
Unica roccaforte là presente era una struttura in pietra, costruita sull’estremità di una scogliera a strapiombo, composta da una torre perfettamente circolare sovrastata su quattro lati da piccoli cuspidi e collegata attraverso una terrazza a un perimetro quadrangolare più basso; da qui Lucas e altri suoi uomini, insieme ai ribelli del Nord, era in attesa delle navi — a detta dei messaggi ricevuti quattro navi da guerra e tre sloop — e dei capitani rimasti fedeli.

«Non ditemi che avete già raggiunto il vostro limite di tolleranza al freddo, Capitano.»
Lucas, in piedi a pochi passi dal parapetto esterno della torre, lanciò uno sguardo obliquo al giovane uomo al suo fianco: se il primo era coperto da capo a piedi con abiti pesanti e nascondeva le mani guantate sotto il pesante mantello di pelliccia, il secondo indossava degli abiti dal tessuto apparentemente leggero e un lungo mantello scuro rivestito di pelliccia solo internamente.
La prima volta che lo aveva visto, Lucas Dvjòr era stato quasi intimorito da quel ragazzo dal viso spigoloso, i capelli lunghi e bianchi come la neve più pura e gli occhi così azzurri da sembrare quasi innaturali; era stato diffidente nei suoi riguardi quando, durante il combattimento avvenuto nella piazza del mercato di Yvjóstafir più di una settimana prima, lo aveva visto impartire ordini con voce incolore, pronto a sacrificare fino all’ultimo dei suoi uomini senza mai vacillare o voltarsi indietro — come se non gli importasse, come se quelli morti sotto i loro occhi fossero stati dei completi estranei, carne e ossa senza volto o nome.
Insieme al Sý, che aveva scoperto chiamarsi Volk, Lucas aveva cavalcato fianco a fianco verso la via del Nord, trascorso notti sveglio a controllare i perimetri delle strade secondarie intraprese e discusso di piani di attacco ipotetici o futuri; sempre da lui era stato scortato alla presenza della donna chiamata Narmana, sotto il suo sguardo attento e indagatore aveva parlato con lei fino al calare del sole e più passavano i giorni e più, incredibilmente, il timore riverenziale provato nei confronti del ragazzo – lupo stava andando pian piano scemando.
Non che potesse anche solo lontanamente considerarlo un amico, certo, ma almeno adesso aveva smesso di vivere con il costante timore di esprimere i propri pensieri o di essere svegliato nel cuore della notte dal freddo metallo di una daga contro la sua gola.
«Temo di non essere abituato al freddo perenne come lo siete voi, Comandante. — rispose piccato — Nei miei lunghi viaggi lontano da casa mi sono imbattuto nei più disparati climi e ambienti, ma mi duole dire che nulla è paragonabile a questo. Inoltre, dubito fortemente che dentro di me ci sia un animale dalla folta e calda pelliccia pronto in ogni momento a riscaldarmi e proteggere dalle intemperie.»
«Solo perché i vostri reali antenati hanno dimenticato come parlare alla Natura ed entrare in contatto con gli spiriti animali non vuol dire che sia così per tutti. — asserì Volk, guardandolo con una tale intensità da metterlo, per la prima volta da giorni, in soggezione — Conosco ciò che dicono al Sud, so che queste storie sono diventate leggende, fiabe raccontate ai bambini, ma i nostri antichi libri non mentono: nella prima era anche voi, monarchi e nobili della primavera, eravate dei mutatori di pelle, uomini e donne che riuscivano a trasformarsi in lupi dal manto marrone, orsi dalla pelliccia scura o volpi dal fulgido pelo.»
«Credete dunque che dentro di me ci sia una qualche bestia addormentata?» chiese con una punta di divertimento Lucas, volutamente provocatorio.
«Non lo credo, lo so.»

Un corno risuonò poco lontano prima che Lucas potesse aggiungere altro, catturando non solo i loro sguardi, ma anche la loro attenzione.
«Vele! — esclamò la vedetta sopra di loro — Vele a Nord-Est: quattro navi da guerra e tre sloop esattamente come ci è stato detto. Si avvicinano spediti, con il vento a loro favore, saranno qui al massimo tra un’ora.»
Il capitano dell’Ortensia si precipitò verso la ripida scala a chiocciola che scese in tutta fretta e, a passo spedito e seguito dal sempre silenzioso Volk, percorse le strade scoscese e i viottoli che conducevano al porto.
Le navi più piccole stavano attraccando alle banchine, mentre le più grandi erano rimaste a poche miglia dalla costa e stavano inviando uomini a terra attraverso scialuppe quando Lucas arrivò a destinazione, giusto in tempo per osservare Morgan e Daya mettere per la prima volta piede in territorio da sempre definito nemico.

«Siete arrivati, finalmente!» esclamò Lucas, cercando di non far trasparire palesemente il suo sollievo nel vedere il suo amico e la donna che amava sani e salvi.
«Hanno tentato in tutti i modi di rallentarci, farci perdere la rotta e il vento, ma alla fine ce ne siamo liberati.»
Morgan sorrise sorniona e anche Lucas le sorrise sghembo: entrambi avrebbero voluto poter concedersi di più — un abbraccio, una carezza, un bacio — ma conoscevano perfettamente il loro ruolo e sapevano che quello non era il tempo e il luogo giusto.
«Liberati, ne sei sicura?»
Una terza voce, appartenente a un giovane uomo dagli zigomi prominenti, il volto allungato contornato da una barba curata e lunghi capelli neri, si intromise tra di loro.
Daya Kùzen era il capitano della Vèsthur, il Vento della Sera, nonché amico di Lucas e uno dei suoi uomini più fidati: era anche un abile e letale soldato, uno dei migliori quando si trattava di velocità e scaltrezza, e sapeva parlare uno svariato numero di lingue e dialetti — alcuni sostenevano addirittura che sapesse parlare la lingua degli spiriti.
«Gli uomini al servizio di Lorhanna, o per meglio dire di Lucien, non sono così sciocchi come pensiamo: certo, di sicuro avevano il vento dalla nostra, ma dubito che ci abbiano lasciati andare di proposito. Inoltre, sono più che sicuro che quelli erano mercenari, uomini assoldati con chissà quale scopo e con molta probabilità hanno intuito la nostra ultima destinazione.»
«Credete che presto ci attaccheranno?»
Morgan e Daya si scambiarono un’occhiata fugace, ma fu Volk, fino a quel momento restato in disparte, a parlare per primo: «Il loro attacco è già stato previsto da tempo, probabilmente Lucien ha già inviato i suoi migliori soldati sulle nostre tracce; potrebbero addirittura aver superato l’Azzurro mentre parliamo, essere entrati non visti nei nostri confini, ma non per questo ci coglieranno di sorpresa.»
«Siete un Sýrin! — esclamò Daya, per nulla sorpreso di trovarsene uno a pochi passi — Ne ho visti molti nella mia vita, uomini e donne capaci di mutare pelle, ma è la prima volta che ne incontro uno albino, uno del Nord.»
«Il piacere è reciproco, Ælésir. — disse a sua volta Volk, lasciando tutti di stucco, persino lo stesso Daya — I dominatori dell’aria sono rari di questi tempi, ma so che sono molto comuni ad Est, nell’arcipelago di Ynéstnar. È da lì che provenite, vero?»
«Impressionante, davvero impressionante. — Daya increspò le labbra sottili in una parvenza di sorriso — È raro che qualcuno mi sorprenda, lasciandomi senza parola, ma in questo caso devo ammettere di essere piacevolmente stupito.»
«Sin da piccolo sono stato addestrato a percepire la magia intrinseca in ognuno di noi, riconoscerla e imparare ad affrontarla. — l’albino gli porse una mano — Sono Volk.»
«Daya Kùzen.» si presentò l’altro, stringendo la pallida mano con la propria guantata.

Il ragazzo albino era sorprendente, pensò Daya, ma allo stesso tempo c’era qualcosa in lui che lo rendeva temibile: una sottile e quasi impercettibile sfumatura nel suo tono di voce, nelle sue parole, aveva reso quella conversazione appena terminata un monito, un avviso, una minaccia persino.
Qualcosa in lui, qualcosa di misterioso e potente, gli conferiva il dono di poter leggere nell’animo di chi gli stava intorno, mentre lui…
In pochi istanti Volk aveva svelato tutti i suoi segreti, mentre Daya non sapeva assolutamente niente dell’albino — era probabile, anzi ne era sicuro, che Volk non fosse neppure il suo vero nome.
Nella sua mente scattò un campanello d’allarme, un sesto senso che diceva di non abbassare mai la guardia: decise che quella sera, chiuso nei suoi alloggi situati nella stiva della sua nave, avrebbe consultato le carte e cercato risposte sul passato di quel ragazzo dai capelli color della neve.

 


**



C’era un piacevole profumo di fiori e sali da bagno nell’aria quando, quella mattina, Lucien raggiunse di buon’ora le stanze private della regina.
Lorhanna era immersa nell’acqua calda che riempiva quasi fino al bordo la vasca da bagno di ceramica dai piedi ricurvi di ottone, gli occhi chiusi e la testa inclinata all’indietro, il volto rilassato e la mente sgombra da pensieri come da tempo non accadeva.
Per un attimo le ricordò la ragazzina spensierata che era stata, la bambina sempre sorridente che giocava insieme a Norhanna e Damien nei cortili interni del castello; per un attimo, ai suoi occhi fu nuovamente la giovane donna sedicenne innamorata di un uomo dai capelli corvini che le aveva promesso un futuro felice insieme e giurato amore eterno.

«Cara sorella, — esordì rompendo la tranquillità e il silenzio del momento — spero di non disturbarvi, ma avrei bisogno di conferire in privato con voi.»
Lorhanna aprì lentamente gli occhi di ametista, mettendo a fuoco la figura del fratello fermo sullo stipite della porta aperta; era ancora prima mattina, il sole non era sorto da molte ore, eppure Lucien sembrava sveglio da molto più tempo.
«Deduco che questa conversazione non possa aspettare.»
Lucien non rispose, lasciando parlare il silenzio e il suo sguardo al loro posto, e Lorhanna non poté far altro che sospirare pesantemente e fare cenno a una delle sue dame di portarle un lungo telo color crema che l’avvolgesse interamente e con cui asciugarsi.

Si rividero nella stanza antecedente ai bagni, dove Lorhanna si accomodò, vestita con una tunica di un rosa pallido e un’ampia veste dalle maniche ad ala lasciata aperta, su di una sedia e iniziò a sbocconcellare della frutta fresca.
Lucien, come sempre, rimaneva in piedi e fissava un punto indefinito della stanza: molte, troppe volte la sovrana si era domandata cosa passasse per la mente del suo fratellastro, quali pensieri nebulosi e quali piani mai condivisi.
«Di cosa volevi parlarmi, fratello?»
«Del futuro, dei nostri piani dopo il ballo, un ballo che, ammetto, avrei preferito evitare in tutto questo trambusto.»
Lorhanna aveva annunciato quel ballo cogliendo tutti di sorpresa, persino lo stesso Lucien; spesso la sorella minore era solita prendere iniziative di sua spontanea volontà, fare annunci di cui poi si sarebbe dovuto occupare il biondo con la massima fretta e quel ballo imminente sarebbe stato uno di quelli — non un semplice ballo, ma un ballo in maschera.
«Temete che qualcuno possa infiltrarsi tra gli invitati, che possa attentare alla mia vita?»
«Sarei uno stolto a non farlo, amata sorella. — rispose prontamente — Solo ieri abbiamo messo a morte uno degli esponenti più pericolosi dei ribelli, un capo molto amato e rispettato a nord e di sicuro i suoi uomini non rimarranno con le mani in mano.»
«Come neanche noi, d’altronde. — fece notare la sovrana — Ho intenzione di mandare in avanscoperta i migliori componenti della Fratellanza e del nostro esercito, muovere un attacco con il nostro esercito ed eliminare quanti più nemici possibili. Inoltre, ho bisogno di sapere quanto prima il volto del nostro nemico, chi sia questa maledetta Narmana!»
«Perdonami, cara sorella, ma un attacco a sorpresa non credo sia la risposta ai nostri problemi. — contraddisse l’altro senza timore — Potremmo, però, inviare una dozzina di soldati ben addestrati nei territori nemici e cercare di avvicinarci il più possibile al loro palazzo e ai loro piani.»
«Un piano pericoloso per così pochi uomini.»
«Vero, ma il sacrificio è qualcosa che in questi tempi va contemplato. — Lucien si avvicinò a passo lento al tavolo e, sportosi in avanti, posò entrambe le mani sul bordo del tavolo — Inoltre, mi basta che ne torni anche solo uno loro per riferire ciò che hanno visto; il resto è sacrificabile.»
«Hai già in mente qualcuno?»
«Qualche membro anziano, sì e anche qualche giovane che si è distinto per le proprie qualità. — rispose prontamente — Bjorn Tsvorag, per esempio: è un soldato fedele, uno degli arcieri migliori che abbia mai conosciuto, oltre che una pedina sacrificabile.»
Nella mente della sovrana si dipinse il viso del ragazzo: alto, spalle larghe, lunghi capelli neri e occhi del colore della notte più buia; ogni cosa in lui mostrava la sua provenienza, il suo essere un figlio dell’Ovest e dell’Autunno e questo lo rendeva unico a corte.
«Mio padre avrebbe dovuto ucciderlo insieme alla sua famiglia, invece si è fatto intenerire da un moccioso di pochi anni e ha permesso al seme di continuare a vivere. — Lorhanna sorrise amara — È stato un ottimo stratega, nostro padre, ma come ben sappiamo ha sempre avuto un cuore tenero quando c’erano di mezzo dei bambini.»

I due fratelli si guardarono per un lungo istante, entrambi ben consapevoli che quell’ultima frase costudiva più di quanto detto: quando il loro padre aveva deciso di prendersi cura del suo figlio bastardo, di crescerlo nello sfarzo, di dargli un posto di prestigio in società, la regina Cyhanna si era opposta con tutte le sue forze, fallendo.
Entrambi, seppur non ne avessero mai parlato apertamente, sapevano che il defunto sovrano aveva trattato Lucien in modo diverso, guardandolo in un modo in cui non aveva mai guardato le sue due figlie legittime, con quell’orgoglio con cui solo un padre guarda un figlio maschio — l’unico figlio maschio che il sovrano aveva avuto.

«C’è un’altra cosa di cui vorrei parlarti, fratello. — confessò Lorhanna, rompendo quell’imbarazzante silenzio e cambiando argomento — Come ben sapete tra due mesi compirò trentadue anni e questo mi ricorda un’annosa questione da troppo tempo rimandata: la mia successione.»
«Avete deciso di prendere marito, dunque?»
«Per quanto incredibile possa essere, il pensiero di lasciare a Lucas il trono dopo la mia morte non mi ha mai preoccupato; nostro cugino è sempre stato portato al comando, alla grandezza, ma poi ha deciso di tradirci e questo ha cambiato tutto.»
Lorhanna si alzò e, dando le spalle al fratello, si avvicinò alla finestra che dava sui giardini in fiore, posando una mano sul freddo vetro: «Sì, prenderò marito e lo farò quanto prima.»
«Chi sarà dunque il fortunato? Spero nessuno di quei pomposi nobili delle isole di Hafmàrr o uno di quegli austeri sovrani dell’arcipelago di Ynéstnar.»
La sovrana voltò lentamente il capo, incontrando lo sguardo del fratello e scosse la testa: «Nessuno di loro, no. Per il mio consorte ho in mente qualcun altro, qualcuno di molto più vicino a noi, che potrò controllare e mi darà dei figli di sangue puro.»
«Sorella, non parlerai mica…»
«Ti fidi di me, fratello? — chiese a bruciapelo la minore e, seppur titubante, Lucien annuì — Fidati di me, Lucien e ti prometto che ogni cosa andrà bene.»
 



*




Glossario:


 

Vøkandar: isola in cui si svolgono le vicende. Nella mia mente, è simile all'Islanda, solo più grande e solo in parte dominata dai ghiacci.
Yvjór: il Regno della Primavera. Il suo territorio si estende a Sud dell'isola ed è governato da un monarca.
Yvjóstafir: l'Eterna Primavera. Capitale del regno di Yvjór che si trova a Sud-Est dell'isola e si affaccia sul mare.
Ynjór: il Regno dell' Inverno e della Neve. E' il regno che si estende a Nord di Vøkandar, il solo a non essere stato conquistato dai monarchi della Primavera.
Sýrin, i mutaforma del Nord: un tempo erano presenti in tutta l'isola, ma adesso sono decimati e sono presenti solo a Nord. Il singolo componente di questa "razza" viene chiamato Sý e solitamente ha il manto albino.
Narman: sono i ribelli del Nord, tra i quali ci sono sia i Sýrin che persone comuni. Il loro comandante si fa chiamare Narmanna.
Bræstven: E' il capo della Fratellanza. Il suo significato è "Onorevole fratello".
Ælésir: sono i dominatori dell'aria. Il loro dono è divenuto raro nell'isola di Vøkandar, mentre è più comune a Est, nell'Arcipelago di
Ynéstnar.
  
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