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Autore: TheSlavicShadow    24/08/2017    3 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Ottobre 2005

 

Era appena uscita dalla doccia quando il telefono aveva squillato.

Aveva passato tutto il pomeriggio, da quando Pepper era uscita, in officina per finire le riparazioni sull’armatura. I danni erano stati per fortuna soltanto superficiali. Il sistema operativo non era stato danneggiato in alcun modo e neppure i vari repulsori. Se fosse mai riuscita a mettere le mani su altro vibranio, lo avrebbe sicuramente usato per una delle sue armature. Allora sarebbero state davvero indistruttibili. Il vibranio l’avrebbe protetta meglio di qualsiasi altra lega metallica le potesse venire in mente per quelle armature. Ma l’unico pezzettino di vibranio su cui suo padre era riuscito a mettere le mani era stato usato per lo scudo di Capitan America. E il Wakanda non era mai stato disposto a venderne altro.

Aveva cercato di parlare al telefono con Steve ad un certo punto, dopo che Rhodes le aveva fatto una paternale.

Rhodes era sempre bravo a farle la predica quando riteneva che stesse sbagliando qualcosa. O anche solo quando era frustrato per via del suo stesso lavoro. Le aveva fatto una paternale per via del suo comportamento nei confronti di Steve Rogers. C’era stato un periodo in cui Rhodes era stato completamente dalla sua parte quando le cose riguardavano il Capitano. Quando Steve se n’era andato dopo la loro prima notte insieme, Rhodes le aveva giurato che gliel’avrebbe fatta pagare, che era stanco della gente che la trattava così. Steve le aveva poi raccontato che il giorno del funerale di Howard e Maria, Rhodes gli aveva detto contro di tutto prima di lasciarlo andare da lei.

Da quel giorno aveva cambiato idea. Da quel giorno non era sempre stato dalla sua parte. Quando lei aveva lasciato New York e Steve, era stato completamente dalla parte di Steve pur capendo le sue ragioni. Era per questo motivo che alla fine gli aveva permesso di unirsi a lui nelle ricerche. Lo sapeva bene anche se preferiva ignorare la sua parte di colpa in tutto quello che era successo. Ed era per questo stesso motivo per cui le aveva fatto la predica quel pomeriggio, per aver allontanato ancora una volta Steve senza alcun motivo.

Rhodes glielo diceva sempre che doveva smetterla di allontanare le persone che l’amavano solo perché era convinta di essere lei quella sbagliata. E anche quel pomeriggio aveva passato quasi un’ora a sentirsi trattare come una ragazzina dal proprio migliore amico. Avevano interrotto la telefonata solo perché Rhodes era stato richiamato da un superiore e doveva tornare al lavoro. Era riuscito anche ad aggiungere un “Chiamalo o lo farò io” prima di buttare giù.

Aveva sbuffato e appoggiato la testa sul tavolo prima di trovare la forza necessaria per farlo. Aveva perso tempo. Aveva chiesto a J.A.R.V.I.S. di trovarle tutte le pizzerie di Los Angeles. Gli aveva anche chiesto di fare una ricerca su possibili altri materiali da usare per una prossima armatura. La Mark III era perfetta, ma sapeva che poteva fare di meglio. Anche solo per cercare di renderla indistruttibile. I fori di proiettile avevano fatto venire un infarto a Pepper, e la donna era partita in un rant senza precedenti su quanto lei fosse irresponsabile a fare una cosa del genere. Aveva poi fatto una ricerca sull’origine della pizza con l’ananas, ritenendola un abominio contro l’ordine naturale delle cose e cercando di capire come Steve potesse mangiare una cosa simile. Se c’era un difetto che doveva dargli era assolutamente quello di non saper scegliere la pizza giusta da mangiare.

Quella chiamata era stata molto più difficile da fare. Stava anche per non farlo. Per non telefonargli e non invitarlo a cena. Avrebbe potuto far finta che Steve non fosse ritornato nella sua vita. Che ancora ci fossero solo Rhodes e Pepper. Che Steve fosse solo una bellissima relazione che faceva parte del suo passato e che non aveva più alcun potere nella sua vita. E sul suo umore.

Ma non era così. Le piaceva autoconvincersi delle cose, ma quei pochi giorni senza Steve erano stati strani. Riavverlo di nuovo accanto a sé era stato bello. Era stato rassicurante.

“J.A.R.V.I.S., quali sono le probabilità che tutto vada di nuovo a quel paese con Steve?”

“Stando alla durata media delle sue relazioni in questi ultimi 5 anni, ovvero 3 ore e mezza, direi alte.”

“Ehi, sono uscita anche con qualcuno in questi anni. Non sono state solo botte e via.” Aveva alzato la testa dal tavolo per guardare verso il soffitto. Un giorno avrebbe riprogrammato l’intelligenza artificiale. Assomigliava troppo a Jarvis. E Jarvis l’aveva sempre trattata come una bambina. Se altri spesso la trattavano come un adulto o come qualcosa di speciale a causa della sua intelligenza, per Jarvis era sempre stata una bambina.

“Uomini alquanto discutibili, se posso permettermi.”

Aveva solo sorriso. Erano davvero uomini discutibili tutti quelli con cui aveva avuto una parvenza di relazione. Mai nulla che avesse superato le due settimane.

Lei si stancava facilmente e loro non riuscivano a starle dietro. Non riuscivano neppure ad accettare una donna che passava la maggior parte del suo tempo in un’officina. Uno le aveva fatto notare che le sue mani sembravano quelle di un manovale e non quelle di una multimiliardaria. Gli aveva risposto molto volgarmente e aveva sorriso indicandogli la porta mentre lei se ne tornava dai propri robot. Alla fine era stato Happy a sbatterlo fuori visto che lui non aveva voluto andarsene.

Finiva sempre così. Non piaceva agli uomini di cui si circondava perché non rispecchiava in alcun modo quello che era il loro ideale di donna, ma finivano sempre per fare storie quando lei li piantava e mandava via.

Tranne Steve. Steve era sempre l’eccezione a tutte le regole.

“Signorina Stark, telefoni al Capitano Rogers e lo inviti qui per quella pizza. Le farà bene e lo sa anche lei.”

Le bastava poco. Le bastava anche solo dire a J.A.R.V.I.S. di far partire la telefonata una volta preso il telefono in mano.

“E se mi manda a quel paese…?”

“Sono sicuro che non lo farà. E’ solo orgoglioso tanto quanto lei, ma se lei gli telefona sono certo che si precipiterà qui.”

Dopo un profondo sospiro aveva preso in mano il telefono e aveva premuto il pulsante facendo così partire la chiamata. Le sembrava un’attesa infinita mentre aveva il telefono appoggiato all’orecchio e aspettava che Steve rispondesse. Pensava e ripensava a ciò che poteva dirgli, ma non sapeva neppure da che parte iniziare. Doveva iniziare dalle scuse, lo sapeva, ma non sapeva come chiedere scusa e sembrare convincente mentre lo faceva. Quando chiedeva scusa a Rhodes questi non la prendeva sul serio e iniziava sempre una delle sue prediche. Quando lo faceva con Pepper, la donna sospirava e le diceva che non aveva più importanza. Happy non le voleva nemmeno le sue scuse. Quando faceva qualcosa di stupido e chiedeva scusa al suo autista, lui semplicemente le rispondeva “Nessun problema, capo”. E ad altri non chiedeva mai scusa. Non li reputava così importanti da dover chiedere scusa per quello che faceva. Nessuno chiedeva scusa a lei, quindi perché avrebbe dovuto farlo lei? L’avevano sempre considerata una persona senza sentimenti, a cui non interessava degli altri, e lei era diventata davvero brava ad essere veramente così.

La voce di Steve l’aveva ridestata dai suoi pensieri, ma era solo la segreteria telefonica. Doveva immaginare che non le avrebbe risposto, o perché era arrabbiato ancora con lei o perché era davvero impegnato. Aveva ascoltato fino alla fine il messaggio registrato ed era poi rimasta in silenzio per qualche secondo. O almeno sperava fosse passato solo qualche secondo. Doveva raccogliere bene le idee, e doveva solo invitarlo a mangiare una pizza. Non era così difficile come lei lo faceva sembrare.

“Ciao Steve, sono Tasha… Sì, Tasha Stark… Beh, sì, quale Tasha sennò, giusto?” Aveva fatto una pausa e si rendeva conto di essere ridicola. Era una donna adulta, forse, e non riusciva neppure a lasciare un messaggio senza farfugliare. Se sua madre l’avesse sentita in quel momento non se la sarebbe cavata con poco. Sicuramente l’avrebbe fatta parlare al telefono per giorni con Steve fino a quando non tornava a parlare normalmente. Maria sapeva essere più severa di Howard quando la situazione lo riteneva opportuno. “Spero che tu sia solo impegnato con Fury e non mi stia evitando, anche se in effetti me lo meriterei e non potrei biasimarti in alcun modo. Un po’ stronza lo sono stata. Ok, forse un po’ tanto. E sto divagando di nuovo.” Si era passata una mano sugli occhi. Aveva 25 anni e quando doveva parlare con Steve sembrava ne avesse forse 5. “Pizza, stasera alle 21. Ci saranno anche Rhodey e Pepper e Star Trek. Come ai vecchi tempi. Quindi non mancare, ok?” Aveva interrotto la chiamata e aveva appoggiato la fronte sul tavolo prima di dire qualche altra stronzata. Si sentiva così ridicola e voleva tanto, tantissimo affogare la propria stupidità in una bottiglia di whisky, ma sapeva di non poterlo fare. Non se voleva dimostrare a tutti che stava davvero bene e farli così smettere di preoccuparsi.

Era stata brava da quando era tornata a casa. Aveva sempre bevuto con moderazione e si era fermata prima che qualcuno glielo dicesse. Era andata a letto un paio di sere con la testa annebbiata da un bicchiere di troppo, ma nulla di così ecclatante. Pepper non le aveva fatto alcuna predica. Rhodey neppure. E Steve la sera beveva un bicchiere di whisky con lei. Preparava sempre qualche stuzzichino mentre erano seduti in terrazzo ad osservare il mare. E lei blaterava di astrofisica e astronomia sapendo di essere osservata da Steve. Steve la guardava sempre quando parlava. Anche quando lei non stava guardando lui.

E ora voleva un bicchiere di whisky solo per smettere di pensare a quanto fosse stupida. Steve era rientrato nella sua vita volontariamente. Lei non aveva dovuto fare molto altro oltre a farsi rapire. Steve era tornato perché nonostante tutto ancora ci teneva a lei e lei non faceva altro che allontanarlo facendo la cretina. Un giorno anche Steve si sarebbe stancato. Di questo ne era certa.

“J.A.R.V.I.S., apri un nuovo file sul mio server privato.” Non aveva ancora alzato la testa dal tavolo, ma doveva trovare qualcosa da fare mentre aspettava Pepper con i file dell’azienda e i due uomini per la cena. “Non voglio essere disturbata per nessuna ragione al mondo. Se qualcuno telefona, fagli lasciare un messaggio.”

“A cosa vuole lavorare questa volta?”

“Non ne ho idea, ma devo creare qualcosa.” Si era alzata dalla sedia, stiracchiandosi come se vi avesse passato degli anni seduta, quando non aveva passato stranamente più di mezz’ora in quella posizione.

Aveva bisogno di svagare la testa. In quel momento aveva solo bisogno di creare qualcosa che non c’entrasse con le sue armature e che non la facesse pensare a tutto quello che stava succedendo attorno a lei. Aveva bisogno di concentrarsi su qualcosa che potesse darle un attimo di calma.

Aveva passato il pomeriggio creando quello che poi si era dimostrato essere un nuovo tipo di kevlar. Probabilmente ce l’aveva nel sangue il fatto di creare sempre qualcosa che fosse inerente alle battaglie di qualsiasi tipo. Forse era a causa di suo padre e di Peggy. A causa degli Howling Commandos. A causa di Steve Rogers che aveva occupato la sua mente sin da quando era solo una bambina.

Era cresciuta con la guerra nel sangue. Di questo era quasi certa. Per questo motivo non aveva mai battuto ciglio né mentre i veterani le raccontavano le atrocità della seconda guerra mondiale, e neppure mentre costruiva armi che sarebbero state usate per altrettante atrocità.

Ed era un’egoista di prima categoria. Ma questo già lo sapeva. Fino a quando non aveva assaporato sulla propria pelle cosa significava la guerra non aveva mai fatto nulla per fermarle.

“Signorina Stark, sono quasi le 20. Le consiglierei di ordinare le pizze e di farsi un bagno prima dell’arrivo dei suoi ospiti. Ha diversi messaggi da parte della signorina Potts. Si raccomanda che lei non esca di casa e non apra la porta a nessuno.”

J.A.R.V.I.S. aveva interrotto il suo flusso creativo e lei aveva fatto una smorfia alle parole di Pepper. La sua assistente la trattava peggio di una bambina.

“Telefona tu alla pizzeria, sempre alla solita. Prendi un po’ di tutto, sai che Steve mangia per 3. Prendigli anche una pizza con l’ananas anche se va contro la mia religione un simile scempio.” Aveva salvato il progetto, spegnendo subito dopo il computer su cui stava lavorando. Dum-E le si era subito avvicinato, ronzando come faceva di solito. “Sì, Dum-E. Viene anche Steve a cena e se fai il bravo te lo porto qui più tardi.” Aveva alzato gli occhi al cielo, mentre con una mano accarezzava il braccio meccanico. Se qualcuno l’avesse vista come si comportava con Dum-E e U l’avrebbe sicuramente creduta pazza. Ma erano le sue creature.

J.A.R.V.I.S. l’aveva informata che le pizze erano state ordinate mentre lei stava entrando sotto il getto d’acqua della doccia. Aveva lasciato che l’acqua bollente le scorresse addosso, mentre appoggiava la fronte contro le piastrelle fresche. Era una giornata buona. Non le stava venendo un attacco di panico a contatto con l’acqua. Le era capitato soprattutto i primi giorni di ritorno dall’Afghanistan. Sentire l’acqua a contatto con la testa le aveva fatto venire un attacco di panico. Erano le conseguenze della tortura nell’acqua. Se ne rendeva conto anche se voleva fare finta che non ci fossero conseguenze di alcun tipo, ma erano molte più di quante che lei era disposta ad ammettere. Soprattutto non alle persone che la circondavano. Questo era uno degli insegnamenti di Howard. Mai far vedere agli altri quanto si era feriti e distrutti. Tutti avrebbero cercato di approfittarne.

“Gli uomini Stark sono fatti di ferro, ricordalo sempre, Tasha.”

Era solito ripeterglielo ogni volta che beveva e lei aveva la sfortunata sorte di essere nella stessa stanza con lui. Se chiudeva gli occhi poteva ancora vederlo seduto nella sua poltrona preferita in salotto, con un bicchiere di whisky in una mano e il sigaro nell’altra. Ricordava il modo in cui la guardava e fin troppo spesso aveva qualcosa da rinfacciarle. Sua madre diceva sempre che erano troppo simili e questo non gli permetteva di avere una conversazione senza litigare. Natasha era intelligente, fin troppo. E Howard con l’andare del tempo sembrava essere invidioso del suo quoziente intellettivo. Se all’inizio era stato lui il primo ad incoraggiarla, con il passare del tempo non era stato più così. Suo padre le aveva sempre ripetuto che costruire robot non l’avrebbe portata da nessuna parte e riteneva Dum-E una delle cose più stupide che avesse mai costruito. E per lei Dum-E continuava ad essere una delle sue creazioni migliori.

Aveva sospirato mentre chiudeva l’acqua della doccia ma restava con la fronte ancora appoggiata contro le piastrelle. Odiava restare da sola senza qualcosa con cui occupare mani e cervello. Le venivano in mente solo le cose peggiori.

Si era anche chiesta come avrebbe reagito Howard al suo rapimento. Maria e Jarvis non si sarebbero dati pace. Sua madre poteva sembrare solo una perfetta donna dell’alta società che aveva per la mente solo feste e ricevimenti a cui partecipare. Maria ci teneva ad essere sempre perfetta, in ogni occasione. Ma se la situazione lo riteneva necessario era una delle persone più combattive che conosceva. Sua madre avrebbe smosso mari e monti per ritrovarla. Di questo era certa.

Di suo padre no. E questo la feriva più di quanto avrebbe dovuto. Anche se con molta probabilità, se suo padre fosse stato ancora vivo di certo non ci sarebbe andata lei in Afghanistan. Ci sarebbe andato lui stesso. Oppure avrebbe mandato Obadiah. Di certo non avrebbe mandato lei a fare una presentazione simile.

Quando era andata a trovare Peggy Carter dopo essere tornata a casa, la donna le aveva detto che se Howard fosse stato vivo avrebbe fatto di tutto per proteggerla. Peggy era sempre stata convinta di questo. Dell’amore che Howard doveva provare per lei. Quando Natasha le aveva risposto che il sentimento che Howard doveva aver provato per lei era più simile all’odio, Peggy l’aveva guardata severamente. Peggy, come del resto faceva anche sua madre, difendeva sempre Howard. Entrambe avevano visto in lui qualcosa che lei non era mai riuscita a vedere e che ancora le sfuggiva.

Era uscita dalla doccia asciugandosi velocemente ed infilandosi dei vestiti comodi, ma soprattutto puliti. Ogni tanto si chiedeva come riuscisse a sporcarsi ogni volta che era in officina. Anche mentre semplicemente lavorava a pc. Quel giorno aveva anche finito di riparare l’armatura, aveva una scusa. Ma spesso queste scuse non c’erano.

Aveva sentito il telefono di casa squillare ed era corsa per le scale. Poteva essere importante. Poteva essere Pepper che la informava di altre cose che aveva scoperto sull’azienda. Poteva essere Rhodey che voleva informarla di qualsiasi cosa. O poteva essere semplicemente Steve. Sperava fosse Steve. Le andava bene qualsiasi cosa potesse dirle. Solo aveva bisogno di sentirlo.

“Signorina Stark?” Era la voce della sua assistente personale. Sembrava preoccupata. “Meno male sta bene. Non esca di casa e non faccia entrare nessuno, chiaro? Sto arrivando con l’agente Coulson, dobbiamo solo controllare alcune cose.”

“Non lo voglio Coulson. Non è invitato né per la pizza e ancora meno per la maratona di Star Wars.” Aveva mugugnato, passandosi un asciugamano sui capelli ancora bagnati. Doveva immaginare che Coulson non l’avrebbe lasciata perdere facilmente anche se Steve era sempre con lei e soprattutto Pepper probabilmente voleva togliersi di dosso l’agente che in continuazione chiedeva di poter parlare con lei.

“No, non capisce. Obadiah…”

Non aveva sentito la fine della frase. I muscoli del suo corpo si erano irrigiditi all’istante quando un ronzio fastidioso aveva raggiunto le sue orecchie. Aveva solo percepito il suo braccio che si abbassava. Non lo aveva sentito veramente. Le era sembrato come se il suo braccio si fosse all’improvviso informicolato e non riuscisse a controllare i muscoli del proprio corpo.

Il telefono che aveva tenuto in mano non era mai caduto a terra. Qualcuno lo aveva preso prima che potesse cadere e aveva solo sentito il bip della chiusura della telefonata.

E dentro di lei si svegliava un senso di panico che sperava di essersi lasciata alle spalle. Non riusciva a muoversi. Ogni muscolo del suo corpo era paralizzato. Una sensazione di gran lunga peggiore rispetto alle paralisi notturne di cui aveva iniziato a soffrire da qualche mese.

Se fosse riuscita ad uscire anche da questa situazione, qualsiasi essa fosse, non era tanto sicura sarebbe riuscita a chiudere occhio facilmente la notte.

“Piano, piano, Tasha. Non vogliamo farci male cadendo, no?” Obadiah Stane parlava al suo orecchio mentre con un braccio le cingeva la vita per non farla cadere. Aveva addosso una sensazione orrenda. E se solo fosse stata capace di percepire il proprio corpo, sicuramente avrebbe avuto la pelle d’oca.

“Respira lentamente e andrà tutto bene.” Obadiah l’aveva fatta sedere sul divano, manovrando il suo corpo con fin troppa facilità. Avrebbe voluto reagire. Avrebbe voluto dargli un pugno e poi indossare la propria armatura. “Te li ricordi questi gingilli? L’Esercito ce li ha rifiutati, ma io li ho sempre ritenuti utili. Paralizzano totalmente i muscoli, senza danneggiare cuore, polmoni o cervello. Come sempre avevi superato te stessa anche con questi. Quel tuo cervello davvero non delude mai.”

Obadiah aveva portato davanti ai suoi occhi il piccolo congegno paralizzante. Dava una paralisi dei muscoli per una ventina di minuti. E non c’era modo di interromperla.

Credeva di averli distrutti tutti, anche i prototipi, quando l’Esercito li aveva ritenuti troppo pericolosi. Credeva di aver distrutto anche tutti i file riguardanti quel progetto.

Credeva, perché Obadiah le aveva detto che se ne sarebbe occupato lui. E lei si era fidata. Si era fidata di lui troppe volte nonostante tutto.

“Quando ho pagato quei terroristi per ucciderti ho temuto per un attimo di aver perso la mia gallinella dalle uova d’ora, ma come sempre tu hai stupito tutti. Oh, non guardarmi così, Tasha. Come credi che sapessero dove fossi tu esattamente?” Aveva percepito la mano di Obadiah sulla propria guancia. Le veniva la nausea. “Con i convogli separati era impossibile sapere dove saresti stata con precisione, ma i soldi possono comprare anche la lealtà di valorosi soldati. Non è stato affatto difficile organizzare tutto.” La sua mano era scesa sul suo collo. E poi più in basso fino al suo seno, che aveva subito stretto. Se ne fosse uscita viva, lo avrebbe ammazzato con le proprie mani.

“La tua cara assistente ha scoperto tutto. Sei stata molto furba a mandarla nel tuo ufficio. Ha trovato tutti i file che avevo nascosto e li sta portando dai tuoi amichetti allo S.H.I.E.L.D.. Voglio proprio vedere che faccia farà il tuo caro Capitano quando scoprirà tutto e arriverà qui troppo tardi per salvarti.”

Panico. Se c’era una parola che poteva esprimere il suo stato d’animo in quel momento era panico. Anche se era infuriata e avrebbe voluto prendere Obadiah a calci per spedirlo fin sulla luna.

L’uomo aveva estratto il reattore arc dal suo petto. E aveva sentito subito i suoi polmoni che non collaboravano come avrebbero dovuto. Le schegge avevano danneggiato i tessuti, e il reattore permetteva a cuore e polmoni di funzionare correttamente. Senza quello alla fine sarebbe stata spacciata.

“E’ davvero un peccato che tu debba fare questa fine. Insieme avremmo potuto fare davvero grandi cose. Potevamo essere la coppia più potente e temuta del mondo. Con il tuo cervello e le mie conoscenze nessuno avrebbe potuto fermarci.” Le aveva accarezzato nuovamente una guancia. Non le piaceva assolutamente il modo in cui lo stava facendo. “E’ davvero uno spreco che tu debba morire così, ma non vedo l’ora di vedere la sofferenza sul viso del tuo carissimo Capitan America.”

 

✭✮✭

 

“Iron Man è completamente inesatto.” Natasha aveva fatto uno smorfia mentre leggeva il giornale di quella mattina. “E’ una lega di oro e titanio, e io non sono un uomo. Dovrebbero sapere che c’è una donna dentro.”

“Signorina Stark, lei si attenga soltanto al discorso che le abbiamo preparato.” Coulson era di fronte a lei. La guardava come se avesse sempre saputo che un giorno avrebbe combinato qualcosa. “Non le faranno domande, quindi legga e basta.”

“Ma sarebbe almeno corretto fargli sapere che c’è una donna dentro. Perché un bodyguard? Penseranno subito a Steve. Vero, Steve?” Aveva guardato l’uomo che se ne stava comodamente seduto su una sedia. Steve aveva soltanto inarcato un sopracciglio. Tamburellava con le dita sul tavolo e la guardava.

“Rhodes sta mentendo per te in diretta nazionale, non pensare nemmeno lontanamente di metterlo in cattiva luce di nuovo.” Era sicura di aver messo il broncio e i suoi muscoli facciali si erano mossi da soli. “E ora resta ferma così Pepper può finire di truccarti.”

Aveva silenziosamente alzato una mano e mostrato il dito medio come risposta, ma poi non aveva più protestato. Le cose si erano risolte per il meglio alla fine. La notte precedente era riuscita ad arrivare fino alla propria officina e grazie a Dum-E a mettere le mani sul suo vecchio reattore arc. Temeva che non avrebbe potuto pilotare l’armatura con quello, ma ci era riuscita. Ed era anche riuscita a combattere e salvare Pepper. Rhodes l’aveva trovata in officina e l’aveva aiutata ad indossare l’armatura, tenendo poi i cieli di Los Angeles completamente sgombri per lei. Lo S.H.I.E.L.D., o meglio, gli agenti che Coulson si era portato dietro, avevano fatto un ottimo lavoro nel cercare di delineare un perimetro e tenere i civili il più lontano possibile.

E Steve. Steve era arrivato impugnando uno scudo. Non il suo scudo. Non quello con cui lo aveva sempre visto ritratto. Ma aveva uno scudo e la tuta tattica dello S.H.I.E.L.D. che gli fasciava ogni muscolo nel punto giusto.

“Lei ieri sera ha dato una festa privata sul suo yacht. Abbiamo le testimonianze dei suoi 50 invitati.” Coulson le aveva porto dei foglietti su cui doveva per forza esserci il suo discorso.

“Non posso dire che ero da sola con Steve? Cenetta romantica sul mare, che poi è finita nel modo in cui dovrebbe finire una cenetta romantica tra due adulti?”

“Lei di adulto ha forse solo l’età anagrafica. Si attenga al testo.”

“Steve, Agente mi odia.”

“Se Phil ti odiasse ci sarebbe Fury al suo posto ora.” Steve si era alzato dalla sedia e le si era avvicinato. “Se ti attieni al testo, stasera potremmo avere una cenetta romantica in terrazzo mentre osserviamo l’oceano.”

Si era alzata anche lei e lo aveva osservato attentamente. C’era una parte del suo cervello che le urlava di accettare la sua proposta. Che era la cosa migliore che le potesse capitare in quel momento.

“Ma posso almeno dirgli che c’è una donna dentro l’armatura?”

“No, non puoi. E’ per la tua sicurezza, Tasha.”

“Ho dimostrato di sapermela cavare da sola in questi mesi. Guardami. Sono viva e vegeta alla fine.” Si era indicata con gli indici e gli aveva sorriso. “Come un vero supereroe.”

“Tu non sei un supereroe.” Steve aveva scosso la testa, ma aveva sorriso. “Sei una ragazzina coperta di latta.”

“Touché. Ma sono una supereroina in ogni caso. E ogni supereroe che si rispetti dovrebbe avere un partner, non credi? Noi potremmo essere uno scoop sensazionale. Due supereroi che condividono tutto, la lotta contro i malvagi ed il letto.”

Steve aveva solo passato una mano sugli occhi mentre lei inarcava un sopracciglio e lo guardava.

“Attieniti al testo, di tutto il resto parleremo a casa.”

Natasha aveva sorriso infilandosi la giacca e riprendendo poi in mano i foglietti che avrebbe dovuto leggere. In tutta onestà non aveva alcuna voglia di stare davanti ad un’orda di giornalisti a caccia di uno scoop. Avrebbe preferito rimanere a casa, avvolta nelle lenzuola del proprio letto e tra le braccia di Steve. Si era svegliata così quella mattina. Si era rifiutata di andare in ospedale quando aveva ripreso i sensi sul tetto. Voleva solo tornare a casa e Steve glielo aveva permesso. Il Capitano aveva scacciato malamente tutti quelli che avevano cercato di farli ragionare, ma in quel momento nessuno dei due voleva altre persone accanto.

Steve l’aveva presa in braccio mentre ancora indossava l’armatura. Pepper era stata la prima ad avvicinarsi, urlando in preda ad un attacco di isteria sulla sua incoscienza e totale mancanza di amor proprio.

L’aveva ignorata. In quel momento pensava solo a quello che era successo sul tetto. Non era riuscita neppure a godere appieno dell’essere di nuovo tra le braccia di Steve. Pensava al tradimento di una persona che aveva sempre visto come una figura paterna mentre cresceva. Una persona grazie alla quale lavorativamente aveva fatto molto. Tutta la sua carriera era iniziata perché Obadiah aveva fatto pressioni su Howard. E poi Obadiah aveva cercato di farla fuori.

Questo era un pensiero che continuava a tormentarla.

Non si era neppure arrabbiata con Steve quando le aveva tolto l’armatura a mani nude. Avrebbe dovuto costruirsene una nuova a quel punto. Non aveva senso riparare una cosa così tanto rovinata.

“Tutti sapete dell’incidente che ieri sera ha coinvolto le Stark Industries e di come il reattore arc abbia avuto un corto circuito che lo ha fatto esplodere.” Natasha se ne stava sullo stesso podio su cui solo qualche settimana prima aveva annunciato che non avrebbe più prodotto armi. E poi ne aveva data una potentissima in mano ad Obadiah. “Un semplice e banale sovraccarico di energia. I nostri ingegneri si sono già messi all’opera per rimediare ai danni.”

“Signorina Stark, mi scusi, ma ieri sera sono stati avvistati anche due robot mentre combattevano per le strade della città danneggiando beni pubblici e dei privati cittadini.”

Natasha si era fermata e aveva guardato Christopher Everhart seduto in prima fila. Non si sarebbe liberata facilmente di quell’uomo. Aveva quella sensazione.

“Armature per la precisione.” Si era pentita di quelle parole nel momento esatto in cui le aveva pronunciate. Ma fin troppo spesso il suo filtro cervello/bocca funzionava a rallentatore.

“Armature? Quindi vuole dirci che c’erano delle persone dentro quegli affari di metallo? Vuole anche dirci che uno stava dalla parte delle Stark Industries?”

“Potrebbe essere una sorta di bodyguard, non crede?”

“Un bodyguard rivestito di metallo che compare al momento opportuno? E l’altro? Sempre opera sua? Perché deduco che dietro all’armatura rossa ci fosse lei.”

“Insinuare che io sia Iron Man è ridicolo.”

“Io non ho mai detto che lei è dentro Iron Man.”

Si era bloccata e lo aveva guardato. Il giornalista la guardava negli occhi e sorrideva.

“Giusto. Sarebbe ridicolo e fantastico essere un supereroe.” Rhodes le aveva dato una gomitata e lei aveva guardato nuovamente i foglietti che Coulson le aveva consegnato. Sarebbe stato così facile leggerli e farla finita. Far morire così anche Iron Man. Perché era sicura che lo S.H.I.E.L.D. non le avrebbe più permesso di indossare l’armatura. “Forse questo mondo ha bisogno di più supereroi. Abbiamo avuto solo Capitan America alla fin fine. Mio padre parlava sempre di Capitan America, sapete? Era presente quando Steve Rogers è uscito trasformato.” Rhodes le aveva dato un’altra gomitata e lei aveva solo fatto una smorfia. Doveva leggere quello che c’era scritta. Doveva solo leggere quelle poche parole e poi sarebbe potuta tornare a casa. “La verità è…” Aveva letto le poche parole che seguivano solo mentalmente. Quella non era la verità. Lei non era sul suo yacht. Non aveva 50 invitati. Ne avrebbe dovuti avere 3, per una serata tra pizza e film. Non era rientrata a Los Angeles all’alba appena saputa la notizia dell’esplosione. All’alba stava ancora parlando con Steve del nulla assoluto mentre cercava di prendere sonno. “La verità è: Io sono Iron Man.”


{
Eccoci alla fine della prima parte di questa storia! Ho già iniziato la stesura della seconda parte che, come probabilmente avrete intuito, seguirà più o meno la trama di Iron Man 2. (ma essendo un work in progress vedremo cosa ne uscirà esattamente XD)

La seconda parte, di cui il titolo provvisorio è Unsteady, verrà pubblicata dal 21 settembre, se tutto va come previsto.

Vi ringrazio con tutto il cuore per aver seguito questa prima parte della storia, per aver commentato, letto e averla aggiunta tra i preferiti. Per me significa davvero moltissimo. Grazie çwç}

   
 
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