Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Duncneyforever    24/08/2017    2 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

 

 

Non è possibile. Non è possibile che un uomo come lui, stretto nella sua divisa impreziosita di medaglie e riconoscimenti, membro del più importante organo paramilitare nazista, possa aver dato di matto a causa di una ragazzina italiana saccente e scorbutica che lui stesso reputa insopportabile.

- Non mentire a me. - Alzo il mento verso l'alto, il tanto che basta per stabilire un contatto visivo tra noi. - Tu mi odi, Rüdiger, non credo tu sappia di cosa stai parlando. - Il colonnello incuterebbe timore a chiunque, tuttavia non vedo perché io debba costantemente sottomettermi a lui. Il rosso è un ragazzo ancora molto giovane, ma nessuno vuole ammetterlo e, soprattutto, nessuno riesce a trovare il coraggio di opporsi alla sua tirannide. Hitler, il loro amato Führer, ha già stabilito una dittatura per il Reich, non credo sia opportuno costituire un'altra oligarchia all'interno del lager, specialmente se presieduta da quel ragazzetto smorfioso e prepotente, appena affacciato alla vita. Avrò anche paura di lui, ma non gli permetterò di mettermi i piedi in testa in questo modo, non così facilmente, perlomeno. Le mie parole sembrano aver fatto breccia nel suo animo pacato e imperturbabile, una sottile crepa ha trapassato il suo cuore di ferro da parte e parte, riuscendo a far emergere quel briciolo di umanità che ancora possiede, segregato in un qualche angolo sperduto del suo essere. Socchiude le labbra, filtra l'aria soffocante di cui è pregna la stanza per poi rigettarla all'esterno, senza pronunciare alcun suono. 

- Ich hasse dich nicht, junges Mädchen. - Butta fuori qualche parola d'improvviso, annaspando in cerca di una risposta più articolata, migliore di questa, che possa soddisfare il mio bisogno di scoprire la verità, la luce alla fine del tunnel. Raramente ho sentito ( e visto ) il tedesco incespicare sulle sue stesse parole e questa è una di quelle sporadiche occasioni: le braccia rigide lungo i fianchi, il pomo d'Adamo altalenante, gli occhi vacui, inespressivi, le sopracciglia arcuate in un disperato tentativo di incutere timore, le narici dilatate, deformate da uno sbuffo continuo e regolare... Vorrei godere di questi suoi attimi di perdizione, ma le immagini del mio amico mutilato continuano a tormentarmi, come un chiodo fisso. 

- Ho visto come ci guardi, lo sai? Scruti il mio popolo dall'alto in basso con superbia e disprezzo, in quanto convinto di essere migliore di noi. La nostra vista ti provoca ribrezzo esattamente come quella degli ebrei e ti rode il fegato non poter esprimere il tuo odio nei nostri confronti, si vede benissimo questo. Sopporti perché al momento non puoi far altro, ma se trovi il modo di torturare anche solo uno di noi, i tuoi occhi scintillano di gioia, d'un godimento senza eguali. Non potresti mai provar nulla per una come me, non è così? - Un sol suo sospiro potrebbe far tremare le pareti, eppure mi ostino a mostrarmi forte davanti a lui, forse convinta che questo mio gesto insignificante possa cambiare il mondo. Del resto, sono una persona molto orgogliosa, che non vuole avere nè limiti nè padroni. < Come lui > mi sussurra una vocetta fastidiosa, subito scacciata via da altre denigratorie. 

- Ti stai creando una posizione alquanto scomoda, ragazzina. - Arriccia il naso, sfastidiato, arrampicandosi sugli specchi in assenza di risposte. Mio malgrado, torna ad essere il solito Rüdiger, il freddo colonnello di Auschwitz, l'insensibile bastardo che uccide per una mancanza insignificante, uomini, donne, anziani o bambini che siano, per un nonnulla se non per l'insano desiderio di sottrarre vite umane, di sentirsi onnipotente, come Dio. - Non odio te, non ti basta questo?! - 

- Tu proprio non capisci! Io sono loro, Rudy! Io sono l'Italia, ti sei macchiato le mani con il mio sangue, come hai potuto?! Quel ragazzino che hai ucciso, ad esempio, se fossi stata io al posto suo a lottare per ciò in cui credo? Mi avresti uccisa?! Rispondimi! - Scatto in avanti e afferro il colletto della sua camicia, scuotendolo e aggrappandomi a quel lembo di stoffa con tutta la forza che possiedo. 

- Ich habe ein Monster geschaffen - sibila, apatico, stringendomi i polsi e costringendomi ad allentare la presa. - Hai imparato dal migliore, vedo. - Con una mezza spinta riesce a buttarmi a peso morto sulla seggiola malandata, con il solito ghigno impresso sulle labbra. Rassetta la divisa stropicciata e mi viene addosso, montando sulla stessa sedia e accostando due mezzalune rosee al mio orecchio. - Se fossi stata al posto di quel ragazzo, bimba, ti avrei fatta urlare dal dolore più di quanto lui non abbia mai fatto. - Lambisce il mio viso con una mano sola, dilettandosi a tracciarne il contorno e accatastando una carezza sull'altra, rendendo il tutto alquanto morboso. Le mani di Schneider, tuttavia, sono più gentili del solito e ciò mi è stato chiaro fin dal primo momento: il mio corpo da adolescente sussulta impercettibile al suo tocco e, anche volendo, non potrei ribellarmi, aggravata dalla resistenza opposta dal suo peso, interamente caricato sul bacino e sul basso ventre. - Non avrei dovuto permettere che qualcun altro ti mettesse le mani addosso. - Schiude le mie labbra con il pollice, sorridendo divertito nel vederle fremere come foglioline scosse dal vento. - È questo l'effetto che ti faccio, piccola? - 

- Non ti illudere, Rothaarig, è solo uno spasmo involontario. - Provo a scrollarmelo di dosso per non far vedere l'imbarazzo che mi pervade, senza aver molto successo, ovviamente. Gli addominali tesi del Kommandant fanno ben intendere di quale portata sia la sua prestanza fisica... Ah, ma che vado a pensare! Certo che schiacciata contro di lui, con le mani appoggiate sul suo corpo, mi è impossibile non percepire quei sei cuscinetti ben levigati che spiccano a mo' di collinette sulla sua pelle diafana. Arrossisco vistosamente, strappandogli un altro ghigno. - Smettila! - 

- Du magst das - gongola trionfante, accostando le mani alle mie e obbligandomi a sentir il suo calore sulla pelle. È davvero un demonio, specialmente quando mi tortura in questo modo, ma ammetto di preferire questa dolcissima sevizia ai soliti dissidi, che portano solo rabbia e odio. - Ho sbagliato. - Sfiora la mia mandibola con un bacio e mi chiede perdono, a modo suo, certo, ma pur sempre perdono. Rüdiger Konstantin Aswin Schneider mi ha chiesto scusa. Impensabile.

- C-come? - 

- Non ho intenzione di ripeterlo, ti conviene approfittare di questo mio momento di pseudo debolezza, perché non accadrà mai più. - Si rimette in piedi con uno scatto, lasciandomi qui seduta sulla seggiola a contemplarlo. O forse lui sta contemplando me? Fatto sta, che mi impone subito delle condizioni per l'unico gesto di magnanimità che compirà nella sua vita: la mia " amicizia " in cambio della vita di Sam e Federico, la cessione delle ostilità tra di noi o, come mi risulta più facile credere, parte della mia libertà in cambio della loro. - Siamo d'accordo, Italienerin? - Annuisco dolcilmemte, sorpresa dal suo insolito attacamento emotivo nei miei confronti. Non sopporto che mi tratti come una specie soprammobile, però sono grata che non mi abbia chiesto un incentivo ancor più esoso di questo. - Perché te ne stai lì impalata? Non vieni a ringraziare il tuo bel benefattore? - Mi tende le braccia in un piccolo abbraccio, dimostrandosi più espansivo del solito. Il rosso non si avvicina mai ad una ragazza se non per tastare il suo corpo, quindi perché mai cercherebbe il contatto fisico con me senza voler niente in cambio? Non mi fido di lui. - Beh? Vuoi che ritiri l'offerta? - 

- Non ci penso proprio! - Mi fiondo tra le sue braccia forti, saltandogli praticamente al collo. Lui ride bastardamente e mi agguanta per i glutei, posa un bacio sulla punta del mio naso e un altro sulla fronte, interamente coperta di capelli castani. Non li voglio i suoi tentacoli da piovra sul mio corpo! Non appartengo a nessuno, perché dovrei farmi palpare di qua e di là? 

- Ich habe dich vermisst, kennst du? Mi è mancata la tua linguaccia biforcuta, ragazzina. - I suoi occhi indefiniti mi guardano con una tale intensità... Infondo, anche a me è mancato quell'arschloch tedesco, ma questo lui non lo saprà mai. Non ammetterò di aver sentito la mancanza di quelle sue battutacce acide, del suo sorriso strafottente e di quei suoi capelli rossi, sarebbe troppo doloroso accettare questa realtà, per me soprattutto. È un mostro come tanti altri, persino peggiore, cosa penserebbe di me la gente se sapesse la verità? Il rapporto con Rudy è sempre stato molto conflittuale e travagliato, ma in queste settimane ho imparato a vedere in modo separato, come fossero due persone diverse, il colonnello di Auschwitz Birkenau, impeccabile nella sua crudeltà e il giovane ragazzo dagli occhi blu, sempre disposto a divertirsi in compagnia di amici e belle ragazze. 

- Sei una strana persona, Rüdiger. - 

- Strana e compassionevole, a quanto pare; in tal proposito, il giudeo è nella terza stanza sulla destra, al piano inferiore. Ora va, prima che ci ripensi. - Non attendo oltre e faccio per incamminarmi, ma sulla soglia della porta vengo interrotta dal suono della sua voce: " riferisci all'italiano che d'ora in poi baderò io a te e che i suoi servigi non sono più richiesti, nè necessari. " Sbatto le palpebre interdetta e mi defilo dalla stanza, come se nulla fosse, in cerca di Federico. Se devo essere sincera, mi è sembrato piuttosto insolito il modo in cui si è rivolto ad Andrea, ma è anche vero che il rosso tratta pressoché chiunque come un suo sottoposto, quindi non mi allarmerei più di tanto, per il momento. Scendo le scale in fretta e furia, capitolando davanti alla suddetta stanza, apparentemente insonorizzata. Accosto l'orecchio per verificare che lo sia per davvero, ma dall'interno riesco chiaramente a sentire dei rumori, dei lamenti disperati e sono sicura che siano i suoi, quelli di Federico. Spalanco la porta senza farmi troppi problemi, interrompendo una sessione di interrogatori, umiliazioni e torture. È uno spettacolo terrificante: la figura magra del giovane viene sballottata avanti e indietro da un uomo in divisa che lo regge per i capelli, zuppi d'acqua e di sangue. C'è una vasca piena di liquidi vari, un mix di questi due, in cui la testa del giovane viene immersa ogni qual volta si rifiuti di collaborare con i fascisti. 

- Lasciatelo! - Attiro l'attenzione, urlando, riuscendo a far mollare la presa alla camicia nera. I due uomini mi guardano allibiti, soprattutto il tedesco, sul quale viso riesco a scorgere un enorme livido violaceo. Mi sento mancare la terra sotto i piedi, quando incrocio quei famigerati occhi verdi, a me tristemente conosciuti. Percepisco ancora il peso di quello sguardo lussurioso e le mani rozze di quell'uomo strette intorno alle mie cosce, cosicché inorridisco, disgustata dagli stessi, malevoli occhi. 

- Du wieder, kleine Italienische Hure! - Mi ringhia contro, infastidito, forse ricordandosi di non esser riuscito a concludere nulla, quella fatidica notte. Gli pianterei un coltello in gola, a quel lurido porco! La sua amata mogliettina ariana sa di questo suo spiccato interesse nei confronti delle ragazzine italiane? Trovo che, in quanto nazista, abbia dei gusti alquanto equivoci ed ho la netta sensazione che la sua bella moglie non sarebbe affatto contenta se, disgraziatamente, venisse a conoscenza di queste sue particolari perversioni. Ora che ho potere, difatti, non ho più paura di lui e non mi spaventa più l'idea di affrontarlo, neppure in campo aperto.

- Ti conviene abbassare la cresta, tedesco! I tuoi giorni da lupo cattivo sono finiti... - Sentenzio, indurendo lo sguardo alla volta del biondo. - L'uccellino ha cantato. - La più pura forma di terrore inizia a propagarsi nei suoi occhi chiari, mentre l'altro si limita ad osservare spaesato il nostro scambio di sguardi, il tutto con le mani ancora ben salde sulla camicia di un Federico quasi incosciente. - Herr Kommandant ha ordinato il rilascio di questo ragazzo. - Continuo il discorso, inflessibile, godendomi interminabili attimi di smarrimento. - Beh? Giù le mani da lui! Subito! - La camicia nera, intimorita dall'appellativo del rosso, lascia scivolare il corpo del giovane fino a terra, per poi scambiare un'occhiata con il compagno, visibilmente pallido. Non ride più adesso. 

- Riesci a muoverti? - Mi abbasso sulle ginocchia per verificare lo stato di salute di Federico, ma mi accorgo di una ferita copiosa sulla tempia sinistra, causata dall'impatto di quest'ultima su una superficie solida: il lavandino bianco sbiadito gocciola sangue da tutte le parti, così come il rubinetto stesso e parte delle mattonelle sovrastanti; mi basta fare due più due per capire quanto gravi siano i danni riportati. Le vie respiratorie del moro sono, per lo più, ostruite dai suoi stessi liquidi corporei e l'odore pungente di sangue e sudore fresco lo sta facendo soffocare. Maledetti! Possano marcire all'inferno quei bastardi senz'anima, loro e la loro cattiveria! Se ne stavano lì, accanto, addosso a lui e ridevano del suo dolore, ma con quale diritto osano portare la croce al collo, poi? Trovo che sia terribilmente blasfemo uccidere a cuor leggero e poi dichiararsi cristiani sapendo benissimo che, tra tutti i peccati, l'omicidio è di gran lunga quello peggiore, dal punto di vista umano, perlomeno. So che ci vuole coraggio a metter fine ad una vita, un coraggio barbaro e sconsiderato, ma davvero poche persone a questo mondo saprebbero uccidere senza emozione, senza provare quel tipico senso di colpa che ti rende schiavo delle tue stesse azioni. Pensandoci, mi chiedo se questi uomini siano davvero dei " killer " o se, invece, non siano altro che semplici impiegatucci plasmati da mani molto più esperte, come quelle di Schneider. Ventitré anni appena e già una lunghissima lista di crimini alle spalle... Che gioventù bruciata! Un aggettivo simile è stato affibbiato alla mia generazione, quella di noi sfortunati giovincelli nati negli anni duemila, ma mi rendo conto che, a confronto, siamo stati molto fortunati a nascere e crescere in un mondo nuovo, estraneo alla guerra, in particolare, a questo tipo di guerra. I ragazzini qui sanno fare di tutto e di più: sanno cucinare, sanno occuparsi delle mansioni domestiche, lavare a mano i vestiti e i pavimenti, lucidare i vetri, badare ai fratellini e alle sorelline, sanno guadagnarsi da vivere per strada, alcuni sanno persino come imbracciare un fucile e come difendersi in un combattimento corpo a corpo. Io non so nemmeno come accedere il gas! I pochi incontri che ho avuto con dei ragazzi poco più grandi o più piccoli di me, sono stati all'insegna dell'ironia, poiché sono stata trattata al pari una ragazzina ricca e viziata, abituata a non far nulla e a lasciar fare gli altri il lavoro per me. Mi son dovuta far spiegare da una bambina di sette anni come contrattare al mercato, perché io non ero in grado di distinguere una cosa cara da una economica. Che vergogna! 

- S-sì - boccheggia affaticato, riprendendo fiato. Mi ero persa nei miei pensieri a tal punto da non accorgermi della sua mano stretta attorno al mio polso o, forse, il suo tocco è stato talmente debole e delicato da non esser nemmeno percepito. Nel vederlo ridotto a un rottame mi si sbriciola il cuore, provo tanta compassione e credo che per un ragazzo ipocondriaco, timoroso di ogni cosa come lui, ciò che gli è accaduto sia stato l'avverarsi del suo peggior incubo. I due fascisti si sono appiattiti in un angolo e da lì non si sono mossi, indecisi se credere a quanto detto da una bambinetta crapricciosa o meno. 

- Se non vi fidate potete sempre chiederlo al colonnello; scommetto che sarebbe tanto felice di ricevervi! - Il mio sarcasmo li fa tacere, specialmente il biondo, che non spiaccica più una parola per via della consapevolezza di essere in torto marcio; lui e non io, questa volta. Metto un braccio attorno alle spalle magre del moro e gli intimo di alzarsi, più che altro, prima che Rüdiger ci ripensi e venga lui stesso a finire il lavoro. Mi trascino lungo il corridoio con il suo corpo maciullato a gravarmi sulla schiena e, passo dopo passo, percepisco i sensi intorpidirsi e la forza abbandonarmi: non ho più calcolato i due fascisti, ma adesso rimpiango il fatto di non averli obbligati ad aiutarmi perché, stanca come sono, ho il terrore di cascare a terra e rovesciare il povero ragazzo sul pavimento freddo e sporco della prigione. Povero davvero, ci mancherebbe soltanto una brutta bronchite ad indebolire le sue difese già sotto stress! Deve fare appello a tutta la sua forza di volontà per non abbandonarsi per la strada e procedere, pian piano, lungo le scale ( un ostacolo pressoché insormontabile per un essere umano in quelle condizioni. )

- Tranquillo Fede, c'è tutto il tempo... - Sfodero il mio sorriso più rincuorante, sapendo di star contando una marea di bugie a fin di bene, di star fingendo che vada tutto bene quando, invece, vorrei solo mettermi ad urlare. " Non dire falsa testimonianza " recito mentalmente, cercando di far ammenda per tutte le volte in cui ho mentito spudoratamente, che fosse per una causa nobile o per una sciocchezza da nulla. Troppe, davvero troppe volte. Zoppichiamo fino al piano inferiore e ci accasciamo davanti alla porta della cella con un tonfo, uno sopra all'altra; Federico rotola su un fianco per non caricare tutto il suo peso sulla mia schiena, ma tale movimento lo induce ad emettere un rantolo strozzato, forse dovuto agli spasmi muscolari. Sentiamo gridare i nostri nomi, eppure non abbiamo nemmeno più la forza di parlare: il ragazzo è sì magro, ma non eccessivamente, per cui non ho la minima idea di come sia riuscita a sostenere sessanta e passa chili sulle spalle, proprio io che sono così fragile e deboluccia, praticamente incapace di reggere una cassetta d'acqua tra le mani senza cascare a terra. 

- Piccola, Sant'Iddio, non ti reggi in piedi... - Andrea mi prende tra le braccia con aria preoccupata, ma proprio non lo capisco lui! C'è non uno, bensì due ragazzi con qualche osso sgretolato ed escoriazioni ovunque e lui si preoccupa per me? Ma davvero la mia vita è così preziosa in confronto alla loro? 

- Sam, come sta Sam? E Federico? Come lo vedi? - Mi aggrappo alla sua camicia con le unghie e allungo il collo oltre le sue spalle larghe per assicurarmi che il castano sia ancora vivo e che suo cugino non abbia perso i sensi. Il pavimento lurido della gabbia è tappezzato di stracci sporchi di sangue, ciotole d'acqua, bendaggi e morfina, sparsa dappertutto come candida neve. 

- Fratello! - Samuele gattona a fatica, remando incontro al moro con le lacrime agli occhi, piangendo e gridando per il dolore che lo sfregamento contro i vestiti provoca sul suo busto maciullato dai colpi di frusta. Si precipita su Federico con una disperazione negli occhi tale da far sussultare una guardia di passaggio, orripilata dalla vista dei due giovani cosparsi di ferite, molte più di quante non sia abituata a vedere. Il corvino apre gli occhi gonfi e anneriti dai pugni solo per rassicurare il cuginetto, poi li richiude poco a poco, addormentandosi per la stanchezza. 

- Non è morto Sam, ti prego, non ti agitare! Ti farai male così! - Lui continua a scuoterlo, terrificato all'idea che possa essersi addormentato per non risvegliarsi mai più. Andrea si alza in piedi e, con me ancora in braccio, scosta il ragazzo dal corpo momentaneamente esamine dell'altro, il tutto con non troppa delicatezza. 

- Qual'è l'accordo? - Mi chiede, ignorando il suo continuo dibattersi per raggiungere il compagno svenuto. 

- Dobbiamo riportarli a casa -  gli rispondo, mettendogli le braccia attorno al collo e appoggiando una guancia sulla sua scapola, per trarne sollievo. Vorrei tanto essere più collaborativa, ma le palpebre non mi reggono più: desidero soltanto riposare un poco... Anche se so di chiedere molto, data la situazione. - Non pensare a me, c-ce la faccio, ti giuro che ce la f-faccio. - 

- Ti carico in macchina con loro, se non ti dispiace; devo ancora firmare qualche pratica. - Non mi piace questo suo modo di parlarci, perché sembra che lui ci consideri dei bagagli e non delle persone. Perché si comporta così tutto d'un tratto? Non capisco, è sempre stato premuroso nei miei confronti, cos'è cambiato? Forse è solo teso, magari stanco vista l'ora, massì, non devo prendermela con lui, infondo tutto questo è anche merito suo, no? 

- Ancora un attimo di pazienza - inizio a tamponare le ferite di Federico con una straccetto umido e a medicargli qualche taglio più profondo con delle garze pucciate nella morfina e con un po' di saliva a mo' di disinfettante. Spero non gli faccia schifo... Io sono germofobica e credo che al posto suo non sarei tanto entusiasta dell'iniziativa. 

- Lascia tutto così com'è e seguimi, di corsa anche. - Andrea ci fa passare dal retro, sotto lo sguardo stupefatto e scocciato dei curiosi dipendenti del posto, nonchè carcerieri ( a conoscenza dell'accordo stipulato tra me e Schneider ) e ci carica in macchina, ammassando i due ragazzi sui sedili posteriori e sistemando me su quello anteriore, come fossimo vere e proprie valige. Io e Sam abbiamo preso in braccio Federico per metà del tragitto fin quando non è intervenuto il tenente, pressoché indifferente alla faccenda. Appena entrati in macchina abbiamo subito notato il telo di nylon appoggiato sui tessuti dei sedili e non ho potuto che storcere la bocca alla vista di quel " para sangue ". 

- Ci dispiace per questo casino - mi dice il più piccolo, tossicchiando a brevi intervalli, dopo l'uscita di scena di Andrea. 

- Shh, non ti affaticare, riposa adesso. Nessuno più vi farà del male. - Mi sporgo verso di loro, scavalcando e accucciandomi sulla coperta sintetica, a lato di Federico: ho visto che tremava, così ho pensato di scaldarlo con il mio corpo, invitando anche Sam a fare lo stesso. Intanto, sfilo l'enorme cappotto che mi era stato prestato per combattere il calo di temperatura notturno e lo stendo accuratamente su di noi, riuscendo, in modo del tutto straordinario, a coprirci per intero, dalla testa ai piedi. Ci addormentiamo così, uniti come fratelli, consapevoli di essere vittime di un tempo in cui la solidarietà e l'altruismo non sono più contemplate come virtù e in cui l'odio cieco promulgato da una fede profana prevarica tutto il resto, persino la libertà di pensiero conquistata in millenni di storia. Sono la prima a svegliarmi, schiaffata contro i tappetini ruvidi sottostanti dopo un ribaltamento a dir poco brusco. Gemo per il dolore, ma Andrea, colui con cui ho passato il tempo, con cui mi sono aperta e con cui ho scherzato in queste due ultime settimane, borbotta solo un banale " mi dispiace " privo di sentimento, ferendomi più di quanto non abbia fatto la botta allo stomaco che mi sono presa poco fa. Sveglio il castano con l'amarezza stampata in fronte, poi prendo Federico sotto braccio e provo a smuoverlo un po', nel tentativo di fargli riprendere conoscenza. Abbasso il viso sul telo e ci appoggio la guancia, attendendo una qualsivoglia reazione da parte sua; batto le ciglia un paio di volte per assicurarmi di aver realmente visto un buchino azzurro farsi spazio tra le palpebre gonfie ed il responso è assolutamente positivo: si è svegliato anche lui, finalmente. Lo sportello viene aperto di scatto e due mani forti lo tirano via dalla mia visuale, senza pietà per le sue condizioni precarie. Balzo fuori dalla vettura, lamentando i modi poco caritatevoli dell'italiano, ma in risposta ottengo il silenzio. 

- Ma che diamine ti prende?! Non vedi com'è messo il ragazzino? Fai più piano! non stai mica armeggiando con il sacco dell'immondizia! - Sam scende dall'auto appena dopo di me e, vedendo suo cugino appeso per la camicia dal tenente, arriccia le labbra tremolanti in un mugugno contrariato, non riuscendo a dir altro a causa delle dolorose spaccature su di esse. Zoppica verso di noi, sussurrando la parola " casa " a mezza bocca. 

- Sì, amico mio, siete a casa. - Prendo la sua mano, in una stretta insolitamente poderosa, e lo scorto fin sotto il portone del loro condominio, aiutandolo di tanto in tanto per non farlo inciampare sui suoi piedi. Volge lo sguardo ai due corvini dietro di noi per assicurasi che non " scappino via " e ingoia a vuoto, temendo già la reazione dei famigliari. Come dar loro colpa, del resto? Sam e Fede, figlio e nipote, rientrano a casa a tarda notte, tutti abbummati, barcollanti, semi coscienti e dovrebbero pure star tranquilli? Li guardo di sottecchi, compassionevole, aspettando solo di entrare nell'edificio e di restituire i ragazzi alla famiglia che li attende in trepida attesa. Andrea caccia la chiave dal taschino interno alla camicia e si introduce per primo all'interno dell'abitazione, iniziando ad insinuarsi per le scale con la stessa discrezione che terrebbe un fantasma. Federico ha gattonato per la maggior parte del tragitto, interrompendo la rampicata due volte per la troppa stanchezza, lasciandosi andare sugli scalini polverosi e gettando indietro il collo in cerca d'aria fresca, non prevista in un palazzo popolare abitato solo ed esclusivamente da giudei. Cerchiamo di aiutarlo come possiamo, ma appena il tempo di farlo salire sul pianerottolo che un raggio di luce giallognola inizia a stagliarsi gradualmente su di noi, come uno spiraglio di sole. Un grido disperato si perde nell'ambiente chiuso e capiamo subito di chi si tratti: la madre di Samuele, difatti, è in preda ad una crisi di pianto, gli occhi cioccolato già arrossati di lacrime e spalancati con orrore sulla scena pietosa del figlio sciupato dalle botte che sorregge il nipote ciondolante, messo ancor peggio di lui. Cade sulle ginocchia, ferendosi a sua volta e adombrandosi il volto affranto con le mani, sotto lo sguardo di Sam e Fede, dispiaciuti per aver causato così tanto male ad una delle persone più importanti della loro vita. Il resto della famiglia accorre dopo aver udito i lamenti della donna e si tuffa immediatamente sui due giovani, abbracciandoli e piangendo lacrime amare al pensiero che possano essere stati succubi delle più efferate torture come, in parte, è accaduto. 

- I-i m-miei ragazzi... - Geme la nonna, rannicchiandosi in mezzo ai nipoti e carezzando loro i capelli incrostati di sporcizia e sangue secco; gli occhi acquosi contornati di rughe fissi sui loro bendaggi di fortuna. - Hai aiutato tu i miei ragazzi? - Mi scruta in tutta la mia minuta statura, invocando una risposta che non otterrà mai da parte mia, poiché l’uomo al mio fianco sta già preparandosi per prender parola al posto mio: " sì, signora, l'idea è stata sua. Perdonateci adesso, non ci è concesso restare. " 

- Via via, dal primo momento in cui l'ho vista ho capito che non ci avrebbe portato nient'altro che guai! - La signora dagli occhi cioccolato, rialzatasi dal pavimento, mi punta il dito contro, con rabbia, talmente feroce da farmi inumidire gli occhi di rimorso. Il marito la zittisce all'istante, preoccupato per la presenza di un tenente davanti casa loro, forse più per quello che per la dura sentenza che la moglie mi ha rivolto. 

- N-non dire queste cose di lei, perché se non fosse stato per Sara a quest'ora saremmo morti. Non è stata colpa sua, mamma. Ci hanno catturati per una nostra disattenzione. A lei devi solo la nostra vita, riconoscenza e gratitudine, non merita il vostro disprezzo, nè i vostri insulti. - Samuele mi difende a spada tratta, scostando le mani della sorellina da un punto più doloroso di altri e facendo leva sulle stesse per rimettersi in piedi e piazzarsi tra me e la madre sotto shock. Mi riempie di contentezza sapere che le buone azioni, a volte, vengano ripagate, ma non mi sarei mai aspettata che il castano potesse tenere così tanto a me e ai miei fragili sentimenti di ragazzina, almeno non in una situazione nella quale si hanno certamente altre priorità, cose più importanti a cui pensare. Andrea grugnisce qualcosa in uno stretto dialetto veneto, un qualcosa che non riesco ad afferrare. I muscoli del suo viso sono insolitamente rilassati e ciò mi fa credere che in realtà, dietro a quella bocca diritta oltremodo inquietante, ci possa essere una tempesta pronta ad infuriare, celata soltanto da un'apparenza austera e posata, tipicamente nordica. Mi sento strattonare per un braccio, tanto sottile da sembrare di plastica, e mentre lui si congeda borbottolando scuse quali: " qui il nostro compito è finto "  oppure " perdonateci, purtroppo siamo molto spossati " a me tocca un vago cenno di saluto con una mano e un " ciao " incerto, accampato all'aria, sotto le chiare luci dell'alba. Una finissima striscia color arancio inizia a propagarsi all'orizzonte, tingendo il cielo di mille gradazioni diverse, dal marroncino sfumato in ocra, all'azzurro pastello, fino ad arrivare al blu notte e all'oblio nero ed uniforme che ancora spadroneggia sugli altri colori. Lui mi fa salire in auto con il viso colorato di bianco, come se dovesse dirmi qualcosa di importante e doloroso. Il cruscotto di pelle marroncino è appesantito da una moltitudine di carte, alcune delle quali con la firma di Schneider a fondo pagina e da una busta, anch'essa bianca, contentente un'ammucchiata di banconote da mille lire. 

- Dove le hai prese quelle? - Iniziano a tremarmi le mani, mentre una bruttissima sensazione prende a dilaniarmi lo stomaco, un acido che mi corrode dall'interno. Ho il dubbio che sia stato ripagato per un lavoro che ha fatto, un lavoro che, in qualche modo, mi riguarda. Prova a prendermi le mani nelle sue per tranquillizzarmi, ma lo scaccio subito e con un certo nervosismo, spaventata al pensiero che possa esser stato pagato per fingersi mio amico e, in questo modo, tenermi d'occhio. 

- Ti prego, dimmi che non è come penso - lo supplico, arricciando le labbra verso il basso per contenerne il tremolio. Lui mi guarda compassionevole, per poi abbassare la testa e chiedermi perdono, probabilmente pentendosi per quanto fatto. 

- Bastardo, sei solo un bastardo approfittatore! Dicevi che ti piacevo, che non mi avresti mai fatto del male, tutte cazzate! Mi sono aperta con te, ti dato un pezzetto del mio cuore, mi sono fidata! E tu cosa mi hai dato, cos'hai fatto per me?! Mi hai sfruttata per far soldi facili, ecco cos'hai fatto! - Inveisco contro di lui con una forza innaturalmente audace, poiché il dolore che mi ha appena causato è come un potentissimo pugno in pieno viso, un treno merci sul mio cuore pieno di rattoppi e cuciture, provato da settimane di delusioni, ingiustizie e soprusi. Mi sento usata, una povera illusa che ha creduto di poter rendere migliore una persona che mi stava pugnalando alle spalle per quattro soldi, per di più, mal guadagnati. Nell'esatto momento in cui ha confermato i miei sospetti ho sentito il mio cuore creparsi, andare in frantumi e marcire come un frutto che nessuno ha voluto. Mi fidavo, mi fidavo di lui, delle sue attenzioni, delle parole dolci che credevo sincere ed è per questo che fa così male, è per questo che mi sto deteriorando. Figlio di puttana! Vorrei essere forte, riagganciarmi la maschera da " dura " attorno al viso e nascondere la pioggia di lacrime azzurrine che sta inondando i miei occhi nocciola, gli stessi occhi che, in questo momento, riflettono i suoi, in cui fino a poco tempo fa ho veduto la calda luce del sole e non il mostro egoista assetato di denaro che si è rivelato essere. Vorrei anche prenderlo a botte per ciò che mi ha fatto, tuttavia so benissimo di non avere la forza necessaria per fronteggiarlo... Mi limito a colpirlo alla cieca, schiaffeggiandolo sulle guance e sul petto, urlandogli quale dolore mi abbia causato e singhiozzando come una povera disperata, affamata di coccole e conforto. 

- Non fare così piccola, giuro su Dio, non ho mentito! I soldi non contano più niente per me, guarda! - Esclama, apparentemente disperato, accartocciando la busta tra le mani e spargendo soldi per tutta la macchina, persino fuori dal finistrino. 

- Allora perché lo hai fatto?! - Strizzo le palpebre colme di lacrime e mi mordo il labbro, pressandolo fino a far fuoriuscire un rivoletto di sangue. A questo punto, anch'egli ha gli occhi lucidi di pianto e mi asciuga le lacrime con il palmo della mano, venendo, però, ricacciato di nuovo. Non sopporto più il suono della sua voce, il suo viso roseo, le sue mani, il suo odore, voglio solo andarmene da qui e stargli il più lontana possibile. 

- Sono stato così cieco da non accorgermi di quanto voi due foste diverse l'una dall'altra e di quanto tu ci stessi male ad essere costantemente paragonata ad una ragazzina morta. Desideravo riavere ciò che ho perduto tanto tempo fa, ma non mi sono reso conto del male che ti stavo facendo, non considerandoti come la bellissima persona che sei, ma come lo spettro di una vita passata a cui non avevo rinunciato. - Una lacrima riga il volto algido dell'uomo, interrompendo, così, la lunga catena di goccioloni cristallizzati sui miei zigomi e sulla base del collo. 

- È stato lui, vero? - 

- Lo hai sempre saputo, Sara. Hai visto il modo in cui ti guarda e sai meglio di chiunque altro che quel tedesco stravede per te, nonostante finga di non provare niente. - Ingoia saliva a vuoto, autoconvincendosi di non esser dispiaciuto per quanto appena detto. 

- Resta il fatto che lui abbia sbagliato e che tu mi abbia mentito! Perché non ti sei opposto?! È solo un ragazzino cresciuto troppo in fretta, per la miseria! Sei un uomo libero, sì o no?! - Avrebbe, quantomeno, potuto rifiutare l'offerta. Un uomo della sua età e del suo rango non dovrebbe abbassarsi a far da babysitter ad una ragazzina di quattordici anni, trovo che sia un compito più adatto ad una comune inserviente che ad un tenente d'esercito. 

- Sono un soldato, i soldati eseguono ordini. Non c'è niente di personale. - Dicono tutti così, tutti si dichiarano innocenti e la colpa va a finire che sia stata solo di Hitler! Non gli credo, sta mentendo... So che non gli sono indifferente, ne sono certa, anche se si ostina a camuffare i suoi sentimenti con delle scuse accampate per aria, so che lui, in fondo, si è affezionato molto me. Non può negarlo. 

- Devi portarmi in albergo da lui, adesso? - Lui annuisce con un segno del capo, mettendo in moto l'auto e ripartendo alla volta del centro, lasciando alle nostre spalle il " Portico d'Ottavia " e i lamenti dai suoi abitanti. - Brava marionetta. - Lo schernisco, incurvando le sopracciglia e indurendo i tratti dolci del viso.

- Scendi - apre lo sportello, per di più dall'interno, con una noncuranza disarmante, spingendomi fuori dalla macchina come fossi una sconosciuta indesiderata. Prima di ripartire sussurra un altro " mi dispiace " senza aver il coraggio di guardarmi, per poi andarsene via con un soffio di vento. Le strade iniziano a ripopolarsi, Roma torna a brulicare di vita tra il via vai di comuni pendolari, di soldati tedeschi scottati dal sole mediterraneo, anziani in cerca d'aria fresca e giovani coppiette con il sorriso stampato sulle labbra. La quiete notturna lascia il posto al chiacchiericcio popolare, anche se tutto intorno a me sembra improvvisamente meno luminoso e vivace del solito, persino meno bello. 

- Rüdiger, apri! Sono io! - Picchio sulla porta come la scorsa volta, ma con tutta l'intenzione di restare: non ho più una casa, nè un posto in cui stare e nemmeno qualcuno che si possa occupare di me; lui è la mia unica famiglia adesso e, pur odiandolo, devo farmelo piacere. Per forza di cose, non voglio mica ritrovarmi in mezzo alla strada come poco fa! Mi sono sentita davvero sola, inutile e abbandonata, come ha potuto farmi una cosa del genere dopo tutto quello che abbiamo passato insieme?! 

- Rudy, Rudy, so come mi chiamo... Dimmi qualcosa che ancora non so. - Mi ritrovo il suo bel muso germanico davanti, ad un tic tac di distanza, le sue braccia muscolose già allacciate attorno ai miei fianchi. 

- So dell'accordo tra te e il tenente Martini, ad esempio. Andrea si sente un verme per ciò che ha fatto, tu cosa provi? Nulla immagino. - Vedo quella sua linguaccia velenosa passare da un labbro all'altro, i suoi occhi blu puntare maliziosamente la mia bocca, fissarsi sulla pelle bianca e morbida del collo. Riconosco che sia bello come il sole con il ciuffo sfatto dal gel, pettinato alla bell'e meglio, con indosso un paio di bermuda neri di lino ed una semplice canottiera di cotone, che si sposa a meraviglia con la sua carnagione lattea, intercalata da deliziose macchioline rosse. 

- Volevo proteggerti, Prinzessin. - Mi agguanta per la vita e mi trascina all'interno della camera, chiudendo la porta dietro di sè e lanciandomi sul letto soffice, tra le coperte vermiglie che ancora profumano di lui. Si lascia cadere al mio fianco e mi viene vicino vicino, sfiorandomi la punta del naso con la sua. - Sapevi che si baciano così gli eschimesi? - Mi fa tanto solletico da farmi sbellicare e anch'egli mi fa compagnia, ridacchiando e prendendosi gioco dei miei urletti infantili. Ah, sciaguarato! Adesso lo picchio... 

- Non chiamarmi principessa, Rudy. Non si addice alla mia personalità. - 

- Hai ragione, non sei una principessa... Però sei come l'aria, meine kleine, sei sfuggente, intangibile, un fuoco che arde, una fiera selvaggia pronta a balzare fuori dalla tana. Peccato! È proprio un peccato il fatto che tu non riesca a renderti conto di quanto tu sia bella. - Traccia la curva del mio fianco, fin sopra le costole, soffermandosi sui capelli mori sparsi sul suo cuscino e sulle guance piene, imporporate come mele mature. L'aria ha assorbito il sapore freddo dell'uomo tedesco, il suo profumo di muschio selvatico e liquirizia, l'odore delle acque lacustri, limpide e fresche, e delle rigogliose foreste del nord. Socchiudo gli occhi, estasiata, strusciando il viso contro i pettorali ben delineati del colonnello e riflettendo sul da farsi. 

- Sono come le foglie verdeggianti che crescono rigogliose sugli alberi, sono come le onde del mare, Rudy, di tutti e di nessuno. - Mi puntello sui gomiti, tirandomi a sedere a bordo materasso. Lui mi riacciuffa da dietro, sordo alla mia vivace protesta, premendo le labbra umide contro la mia bocca stretta a ciuccio e staccandosi subito dopo, con un sorrisone da Joker marchiato sul volto. Aveva promesso che non lo avrebbe rifatto, razza di bugiardo pervertito! Fortuna che ha beccato soltanto l'angolo e non il centro, altrimenti avrei dato il primo bacio ad un crucco vissuto settant'anni prima della mia nascita, per di più un nazista! L'unica cosa, è che non ricordavo che le sue labbra fossero così morbide e avvolgenti, così come non ricordavo avessero un retrogusto di acciaio e menta, caldo solo allo scemare dei brividi dovuti alla situazione imbarazzante. Gli tiro il cuscino addosso e mi ripulisco da quel sapore così particolare, passandomi il polso sulla bocca e lanciandogli un'occhiataccia piccata.

- Tutti vogliono ciò che non possono avere - mi dice, sistemandosi il cuscino sotto alla nuca. - Salsedine e cioccolata. - 

- Sono proprio felice che ti sia piaciuto! - Commento ironicamente, alzando le mani al soffitto. 

- Con tutti i soldi che ho sborsato per te? Direi che mi sarei meritato ben altro, non trovi? - Arriccia una ciocca di capelli ondulati attorno alle dita, stampandomi un altro bacio sul collo. 

- Sono stata quasi stuprata, Rudy, tutto questo per colpa vostra. Me la sarei cavata meglio da sola e poi, da cosa avrebbe dovuto proteggermi? Da te? - 

- Non era previsto che lui si affezionasse. - Ed è sottointeso che intenda: " non era previsto che tu facessi in modo che lui si affezionasse. " Ecco! Mi sento proprio a casa in questo momento, dato che per ogni oggetto sparito, rotto o fuori posto, mio padre attribuisse sempre la colpa a me, poiché ero il capro espiatorio più papabile al momento del fatto. Qui è pressoché la stessa cosa, soltanto che vengo incolpata fondamentalmente perché sono una donna ( seppur giovane ) che, secondo la società maschilista del tempo, deve saper stare al suo posto e subire in silenzio le angherie degli uomini. 

- Non gliel'ho sbattuta in faccia, se è questo che intendi. - 

- Certo che non lo hai fatto, piccola paperella, si vede lontano un chilometro che sei pura. Ciò che non sai, invece, è che una tenera verginella come te non dovrebbe mai girar sola di notte, specialmente in una città grande come questa... Non potevo prevedere ciò che sarebbe successo. - Due ipnotiche sfere grigio-blu mi tengono inchiodata al materasso, imprigionandomi in una sorta di incantesimo che soltanto quei meravigliosi occhi cobalto possono spezzare. A volte, però, dimentico che Rudy Schneider non è il principe dai capelli rossi in sella al cavallo bianco, bensì un uomo crudele e spietato, mosso dal fanatismo della follia nazista. 

- Forse dimentichi che l'altra notte c'eri anche tu e che non hai fatto proprio un bel niente per aiutarmi. Non te lo ricordi? Magari eri troppo preso da quelle due oche per accorgertene! - È inutile girarci attorno, non mi va proprio giù questa storia, perché so di non conoscere tutta la verità, di non esser ancora riuscita a mettere a nudo il cuore inviolabile del colonnello, una fortezza impenetrabile arroccata da qualche parte nella sua gabbia toracica, presumibilmente circondata da filo spinato ad alta tensione. 

- Nein, ero semplicemente troppo orgoglioso per ammettere che mi importasse qualcosa di te. - 

- Qualcosa? Tutto qui? Speravo almeno che provassi, non dico bene, ma almeno un minimo di affetto nei miei confronti!- Per tutta risposta, lui mi fa un sorriso sghembo, si avvicina lentamente e appoggia di nuovo le labbra sulle mie, sfiorandole appena appena nello stesso punto di prima, il tempo necessario per riassaporarci a vicenda e staccarci nuovamente, con un respiro insolitamente corto. 

- Du bist eine Droge, da ist weil ich dich aus dem Weg gehe. Diciamo che ho paura di cosa potrei farti se ti stessi più vicino. - Mi confessa, congiungendo le nostre mani, già sovrapposte l'una sull'altra. - E di cosa potrei provare. - 

- Perché, cosa potresti provare? -

- Più di quanto tu non mi creda capace, Italienerin...  - 

- ... Molto di più. - 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Duncneyforever