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Autore: Adlenime    26/08/2017    4 recensioni
Sato... semplicemente gli faceva perdere la testa! Da quanto tempo la stava fissando? Si sentiva sopraffatto dall'insano desiderio di avvicinarsi a lei e abbracciarla, accarezzarla. Non si saziava mai di lei. Lei era tutto. Aveva bisogno di Sato. Lei era l'unico motivo per cui ogni giorno sopportava le angherie dei suoi colleghi al lavoro, per cui passava intere notti in bianco, che gli dava una speranza verso il futuro. Lei era...
(Miwataru theme fanfiction)
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miwako Sato, Wataru Takagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La corsa con te in braccio fatta per le scale
confondere lo zucchero al posto del sale
e ridere di niente che ci porta a foto di noi
ad un selfie venuto male


La luminosa luce del mattino filtrava dalla finestra, incorniciando il pallido viso di lei. I corti capelli corvini le ricadevano gentilmente sugli occhi chiusi, le labbra rosee erano piegate in un lieve sorriso, le palpebre abbassate celavano il meraviglioso magenta che tingeva i suoi occhi.

Lui restò a fissarla per qualche secondo, o forse intere ore. Non si stancava mai di guardarla. Come avrebbe potuto.

Il suo placido viso era appoggiato sul cuscino, i capelli sparpagliati su di esso. Il sole sorto da meno di mezz'ora illuminava la sua slanciata figura, che poteva indovinare tra le pieghe della coperta. Mentre una delle sue affusolate mani bianche era nascosta sotto il cuscino l'altra era rannicchiata vicino al suo petto, appoggiata a quello di lui. Takagi Wataru si sentiva l'uomo più felice del mondo: forse era in paradiso, o forse un angelo era sceso sulla terra, al suo fianco. Sfiorò esitante con una mano il sereno viso di lei, sorridendo.

Era bellissima.

Non era un tipo mattiniero, ma quel giorno era valsa la pena svegliarsi presto: lo spettacolo di lei, stesa nel suo letto, ancora tra le braccia di Morfeo, era di un valore inestimabile.

Poi la donna al suo fianco aprì leggermente gli occhi. Ora lo poteva vedere, il meraviglioso ametista delle sue iridi. Sbadigliando si mise a sedere sul letto, stiracchiandosi e stropicciandosi incurante quelle due pietre preziose che si ritrovavano incastonate nel viso angelico, tentando di scacciare il sonno.

Lui restò a fissarla, la sua figura perfetta emersa dalle lenzuola. La canottiera nera aderiva al suo corpo snello, mettendo in risalto le sue forme divine. Dalla sua posizione Takagi poteva intravedere gli slip del colore dei ciliegi.

Arrossì.

Ma cosa stava guardando?! Scuotendo la testa, come per liberarsi dall'imbarazzo, si alzò anch'egli in posizione seduta, al suo fianco. Sentì un brivido percorrergli la schiena quando lei si voltò nella sua direzione con un luminoso e abbagliante sorriso.

- Buongiorno, Wataru. -

Wataru. L'aveva chiamato Wataru, per nome... e senza onorifico! Sentii il suo viso andare in fiamme e il cuore battere all'impazzata.

- Buongiorno... -

Come avrebbe dovuto chiamarla? Satou-san? Miwako? Milady? Principessa?

La donna si limitò a ridacchiare divertita di fronte al suo imbarazzo. Non era la prima volta che dormivano insieme, ma lui continuava ad essere il solito timido Takagi Wataru che era sempre stato. E questo non sembrava dispiacerle.

Mentre lei si alzava stiracchiandosi un'ultima volta, lui ne approfittò per osservare il suo corpo baciato dalla luce di primo mattino, i raggi del sole scivolavano sulla sua pelle madreperla, i capelli scompigliati le davano un'aria gioviale.

- … Miwako. Buongiorno Miwako. -

Disse infine schiarendosi la voce imbarazzato.

Restò a fissarla mentre lei cominciava a dirigersi verso la porta della sua stanza, poi, quando ormai la sua mano era appoggiata sul pomello della porta, si voltò:

- Non hai intenzione di venire? -

Takagi si costrinse a levare gli occhi dalla sua dea per ritornare alla realtà. Scosse un po' la testa, levandosi gli ultimi accenni di sonno a cui la sua mente voleva cedere, prima di alzarsi e dirigersi verso di lei. Poi ebbe un'idea. Vide Sato aprire la porta per dirigersi verso le scale e scendere al piano di sotto, dove si trovavano il salotto e la cucina. Non appena attraversò la soglia, con un movimento fluido passò un braccio attorno alle sue spalle, l'altro sotto le sue ginocchia e la sollevò, prendendola in braccio.

Vide con un certo orgoglio come lei continuava a spostare il suo sguardo sorpreso dal parquet, dove prima poggiavano i suoi piedi, al viso di lui.

- Takagi-kun...? -

Chiese incerta alzando un sopracciglio.

Lui istintivamente la strinse a se. Adorava la sua soffice e morbida pelle quando sfiorava la sua, amava ammirare il suo corpo protetto dalle sue braccia.

Sorrise imbarazzato, quasi volendosi scusare per essere stato così brusco.

- Posso...? -

Chiese esitante, sempre con quel suo innocente sorriso ad adornargli il viso. Lei sospirò, in parte divertita, e poggiò la testa sul suo petto.

Sollevato, Takagi si diresse lentamente verso le scale, facendo attenzione a non farle male. Continuò ad ammirare tutte le sue infinite qualità, che conosceva ormai a memoria, ma di cui non si stancava mai. Sentì il sangue rimbombargli nelle orecchie mentre sentiva il suo caldo respiro sfiorare la sua pelle, e non poté fare a meno di arrossire immaginando come l'orecchio di Sato, appoggiato al suo petto, avesse libero accesso all'irrefrenabile battito del suo cuore.

Scese le scale, lui non la lasciò andare.

- Fin dove hai intenzione di portarmi così? -

Chiese lei ridendo. Quanto amava vederla ridere? Quanto amava la sua risata? Per lui era come la fresca brezza marittima che investe il tuo viso alle prime luci dell'alba, o i preziosi cristalli del sottosuolo che illuminano il buio in cui sono imprigionati, o l'ossigeno indispensabile per respirare e vivere, un ricordo da conservare nel cuore, tenere stretto e affogare nell'affetto che provava per lei.

Attraversò con Sato tra le sue braccia l'intero salotto, poi, di fronte alla porta della cucina, le sfiorò la fronte con le labbra, in un gentile e delicato bacio. Tutto quello che le faceva era sempre gentile e delicato, come se fosse una fragile bambola di porcellana, e temesse di romperla se fosse stato troppo irruento. Sapeva benissimo che Sato non era debole, ma ogni volta che era insieme a lei si sentiva sopraffare dall'istinto di proteggerla, di custodirla.

Infine la poggiò dolcemente al suolo. Lei si stirò la canottiera con le mani, le sue guance tinte di una tenera sfumatura cremisi, cercando di scacciare l'imbarazzo e sembrare indifferente. Poi si schiarì la voce e aprendo la porta scorrevole della cucina replicò:

- Ehm... sì, bene: era ora che mi mettessi giù... -

Attraversò la soglia, con un sorridente Takagi a seguirla.

Lui sapeva che le era piaciuto.

Una volta dentro la cucina si mise ai fornelli, dopotutto Sato non era esattamente un master chéf, lei era più portata a mettere sotto torchio i criminali o a sfidare le regole della strada. Sorrise divertito all'idea.

Intanto lei si era messa a sedere a tavola, sfogliando svogliatamente un giornale.

A sua insaputa ritornò ad osservarla per l'ennesima volta quella mattina, i capelli corvini le ricadevano scompigliati attorno al viso, mettendo in risalto i suoi delicati tratti nipponici. Adorava il suo sguardo annoiato di prima mattina, o quello assorto e riflessivo che aveva durante un caso, o quello solare e adorabile che solea indossare durante le feste o un appuntamento.

Per poco non bruciò i pancake.

Non appena ebbe finito apparecchiò la tavola e si sedette di fronte a lei. Il viso di Sato s'illuminò alla vista della colazione, e affamata cominciò a mangiare.

- Takagi-kun, sei fenomenale ai fornelli! Quando saremo sposati cucinerai sempre tu... a meno che non ti piaccia il cibo bruciato e la casa a fuoco, in quel caso potrei pensarci io. -

Takagi si limitò a strozzarsi con i pancakes non appena sentì la frase quando saremo sposati, e ora lottava coraggiosamente contro una possibile morte accidentale per soffocamento. Quando si fu ripreso alzò lo sguardo e incontrò gli occhi color magenta di Sato che lo guardavano preoccupati.

- Ho detto qualcosa di sbagliato? -

Chiese lei.

Poiché in quel momento il suo cervello si rifiutò di elaborare una qualunque risposta con un minimo di coerenza sintattica si limitò a scuotere veementemente la testa. Sollevata, Sato ritornò ai suoi pancakes.

Finita la colazione Takagi fece per alzarsi e sparecchiare, ma si ritrovò la calda mano di lei poggiata su una spalla, che lo costrinse a stare seduto. La guardò con aria interrogativa, ma lei replicò con uno dei suoi sorrisi mozzafiato dicendo:

- Questa è casa mia, non puoi fare tutto tu. Inoltre, ho intenzione di farti un caffè. È una delle poche cose che so fare senza dover tenere un estintore a portata di mano. -

Così dicendo allungò il braccio e prese il piatto di Takagi.

Lui si sentì improvvisamente come investito dalla tiepida luce solare mentre il profumo di ciliegio che emanava il viso di lei, vicinissimo al suo, lo faceva arrossire. La ringraziò balbettando, facendola sorridere divertita.

Pochi minuti dopo ritornò con una calda e fumante tazza di caffè, che pose di fronte a lui. Sato lo beveva amaro, ma lui aveva bisogno dello zucchero, così si alzò e andò a prendere il piccolo barattolo pieno di granuli perlacei.

Mentre aggiungeva il contenuto del barattolo nel caffè, la sua mente e i suoi occhi vagarono esitanti sulla figura di Sato, che beveva tranquillamente la calda e fumante bevanda stretta tra le sue bianche mani, ignorando le attenzioni che le venivano rivolte, ed era appoggiata noncurante al lavello della cucina. Lui non poté fare a meno di arrossire notando le sue lunghe ed affusolate gambe. Essendo un'agente di polizia, Sato ci teneva al suo aspetto fisico, e attraverso la canottiera nera aderente poteva indovinare i tratti del suo corpo snello e magro. Un brivido percorse la sua schiena immaginando le sue mani mentre la sfioravano, toccavano.

Si portò il caffè alle labbra, pronto a berlo.

Sato... semplicemente gli faceva perdere la testa! Da quanto tempo la stava fissando? Si sentiva sopraffatto dall'insano desiderio di avvicinarsi a lei e abbracciarla, accarezzarla. Non si saziava mai di lei. Lei era tutto. Aveva bisogno di Sato. Lei era l'unico motivo per cui ogni giorno sopportava le angherie dei suoi colleghi al lavoro, per cui passava intere notti in bianco, che gli dava una speranza verso il futuro. Lei era...

- BLEAH, CHE SCHIFO! -

Sato lanciò un'occhiata interrogativa verso Takagi, che aveva appena sputato il caffè, insudiciando gran parte del tavolo e sporcandosi la canottiera bianca che indossava con i boxer blu.

- Ehm... qualcosa non va? Non ti piace il caffè? -

Takagi, per tutta risposta, si alzò imprecando e afferrò il barattolo dello zucchero, infilandoci due dita dentro per poi portarle alle labbra... e sputare di nuovo il suo contenuto nel lavandino.

- Sale! Con quale contorta logica li ho confusi! -

Lei si limitò ad avvicinarsi al contenitore incriminato, e fece del suo meglio per non scoppiare dalle risate quando notò l'etichetta su cui era scritto Sale invece di Zucchero. Non riuscendo a trattenersi si mise a ridere, tenendosi lo stomaco con un braccio mentre con l'altro si teneva al bordo del tavolo per mantenere l'equilibrio.

Lui si voltò verso di lei con aria seccata, ma tutta la sua irritazione scomparì non appena la vide: Sato era stupenda quando rideva.

- Avanti, cambiati, dobbiamo andare in centrale. -

Disse lei alla fine, tentando di smettere di ridere e cambiare discorso. Forse non voleva ferirlo, o magari non voleva che si sentisse troppo umiliato. Lui sorrise. Quel piccolo incidente gli aveva dato l'opportunità di ammirare nuovamente Sato, tra le sue risate cristalline.

Poi sentirono qualcuno suonare il campanello di casa. Takagi fu folgorato da una scarica di puro terrore.

- Ehm... Sato-san, avevi detto che tua madre non sarebbe ritornata fino a dopodomani. -

Lei si avvicinò alla finestra, sbirciando attraverso le tende. Poi sospirò di sollievo replicando:

- Non è mamma, è Yumi. -

Takagi si sentì ghiacciare il sangue nelle vene. Yumi era peggio della madre di Sato.

- Oh... ehm, allora io... resterò qui. -

Disse prendendo lo straccio e cominciando a pulire il macello che aveva provocato poco prima, sperando che Sato impedisse a quella ficcanaso di entrare in cucina. La donna uscì, con un sorriso divertito dipinto sulle labbra. Takagi cercò di affinare al meglio l'udito per sentire di cosa le due signore stessero discutendo, ma sentiva soltanto un vocìo indistinto provenire dal corridoio. Poi un grido:

- Ehy, aspetta! Dove credi di andare! -

Sato-san?

Non appena Takagi alzò incuriosito gli occhi incrociò lo sguardo inespressivo della loro collega della stradale. Sì. Meraviglioso.

- Oh, uh, ehm... ehilà, Yumi-san...? -

Alle sue spalle vide arrivare Sato, che sospirò esasperata quando vide la sua migliore amica in cucina con Takagi. Ok, ora erano nei guai. Si sarebbe dovuta inventare qualcosa. Intanto l'espressione di Yumi era mutata in un ghigno malizioso e continuava a spostare lo sguardo tra i due agenti della prima divisione omicidi, il sorriso dipinto sulle labbra non smetteva di ampliarsi. Poi si catapultò da Sato e prendendole le mani nelle sue disse con gli occhi billanti d'eccitazione:

- Oddio! Non ci posso credere! Congratulazioni, Sato! Posso essere la madrina dei vostri figli?! -

Takagi per poco non morì d'infarto alla parola figli. Una seconda volta il suo cervello andò in cortocircuito e cominciò a farneticare in preda al panico:

- Sì, certo... cioè, no! Ma cosa sto... ehm... io, cioè intendo dire che, ecco io e Sato... noi, no... io ehm, no ecco, sai noi due non abbiamo... insomma... sì, ma.. cioè no! Ma... -

- Hai frainteso. -

Tagliò corto Sato, impedendo a Takagi di scavarsi la fossa con le proprie mani. Poi guardando Yumi con espressione seria, dritta negli occhi continuò:

- Takagi-kun non aveva un posto in cui dormire per la notte, visto che nel suo appartamento è in corso una disinfestazione. Così, invece di fargli affittare un hotel in centro, mi sono offerta di ospitarlo qui per un paio di giorni. Ha dormito sul divano. -

Terminò con un tono che non ammetteva repliche. Yumi pareva delusa, sostenne lo sguardo di Sato per pochi secondi, prima di scusarsi. Fece per dirigersi verso la porta, ma poi sembrò ripensarci. Si voltò verso Takagi, ancora inginocchiato per terra con lo straccio in mano e con un sorrisetto furbo replicò:

- Tanto per parafrasare, credo che Tsuky sia veramente un bel nome! -

Takagi abbassò lo sguardo per non permettere all'agente della stradale di vedere l'intenso porpora che colorava il suo viso e il suo collo. Sotto l'occhiata minacciosa di Sato, Yumi trotterellò felice verso l'ingresso. Quando sentirono la porta chiudersi dietro alle sue spalle tirarono un sospiro di sollievo.

- Accidenti alla stupida giacca che ho scordato a casa sua! -

Replicò Sato passandosi esasperata una mano sul viso.

Takagi le sorrise comprensivo, a volte anche Chiba sapeva essere poco discreto. Finito di asciugare il pavimento si lavò le mani, lanciando un'occhiata critica al tavolo, ancora ricoperto dell'ormai freddo caffè salato.

- In ogni caso Tsuky è un bel nome.... anche se io preferirei un maschio. -

Takagi si voltò verso Sato con espressione sconvolta... cosa gli aveva appena detto?! Ma quando la vide piegarsi nuovamente dalle risate, capì che si stava prendendo gioco di lui. Era il suo passatempo preferito, stuzzicarlo. Decise che era ora di ripagata con la stessa moneta.

- Ah-Ah. Sì, molto divertente, Milady! -

Così dicendo si avvicinò a lei: era l'ora di soddisfare quell'insano istinto che lo aveva perseguitato per tutta la mattinata.

 

Yumi sapeva che Sato le aveva mentito. Conosceva troppo bene Miwako. Quando qualcuno mente cerca di evitare di guardare l'altro negli occhi, ma lei aveva sostenuto il suo sguardo senza problemi. Il tono di voce pacato e non troppo insistente, l'espressione composta... tutto perfetto. Eccetto per un dettaglio. Gli occhi. Eh già: credeva davvero Miwako di poterla ingannare?

Una persona batte le ciglia circa 8-10 volte al minuto. Lei le aveva battute 3-4 volte. Sorrise, compiaciuta della sua stessa deduzione. Era un trucco che le aveva insegnato Miwako stessa: se una persona che mente ti guarda negli occhi cerca di essere il più convincente possibile, e siccome sbattere troppe volte le ciglia è chiaro segno di disagio, si tenta di farlo il meno possibile.

Attraversò di soppiatto il giardino e, rannicchiata silenziosamente sotto all'ampia finestra che dava sulla cucina, sentì le risate divertite di Miwako. Incuriosita, alzò la testa, per vedere cosa stesse accadendo oltre il vetro che la separava dalla stanza dov'erano i due agenti innamorati.

Fu allora che vide una cosa del tutto inaspettata. Indovinando le intenzioni di Takagi, tirò velocemente fuori il cellulare e aprì la telecamera.

Takagi si era avvicinato lentamente a Miwako mentre lei rideva, inconsapevole di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto, e le aveva avvolto le sue forti braccia attorno alla vita. Immediatamente lei smise di ridere, e alzò lo sguardo confusa, incrociando gli occhi di lui. Takagi si limitò a sorridere prima di stringerla a sé, seppellendo il viso di lei nel suo petto. Yumi si trattenne dallo squittire eccitata.

Primo scatto.

Lui le stava accarezzando delicatamente la schiena, mentre le dita dell'altra mano andarono ad attorcigliarsi ai suoi capelli scompigliati. Poggiò le sue labbra sulla testa di lei, baciandola amorevolmente. Sato non era esattamente un tipo timido, pensò Yumi, ma Takagi non era neanche il tipo di ragazzo intraprendente con le donne. Probabilmente Miwako era stata spiazzata e ora la giovane agente della stradale poteva immaginare il rossore che tingeva le sue guance.

Secondo Scatto.

Superato il momento iniziale dello shock Sato portò le sue affusolate mani sul suo petto e afferrando il davanti della sua canottiera, si alzò in punta di piedi. Questa volta quello preso alla sprovvista fu Takagi. Tenendosi stretto a Sato, per non perdere l'equilibrio, lasciò che le labbra di lei sfiorassero le sue. Poi si spostarono vicine all'orecchio di lui. Yumi vide Miwako sussurrare qualcosa, uno sguardo predatore le illuminava il viso.

Avrebbe dovuto ringraziare Chiba per averle insegnato a leggere le labbra! Anche se era di lato, conoscendo Miwako, poteva indovinare cosa stesse dicendo:

- E così ti volevi vendicare, eh? Mi spiace, ma ti è andata male. -

Terzo scatto.

Così dicendo cominciò a baciarlo vicino all'orecchio.

Quarto scatto.

Per poi spostarsi verso la sua guancia, completamente in fiamme. Poteva immaginare il cuore del povero agente mentre batteva così forte da sembrar voler uscire dal petto.

Quinto Scatto.

Le sue rosee labbra si spostarono sul suo naso. Takagi rimase a fissarla completamente incapace di reagire. Yumi sorrise divertita.

Sesto Scatto.

Miwako spostò le sue labbra vicino al suo occhio, leggere e sfuggente come una farfalla. Si inumidì le labbra. Yumi comprese che non aveva assolutamente intenzione di smetterla di stuzzicarlo. Sorrise ghignando: ne avrebbe viste delle belle.

Settimo Scatto.

Infine Sato si spostò vicino alla sua bocca. Sorrise compiaciuta nel vedere quell'espressione così teneramente agitata sul viso di lui. Infine poggiò le sue labbra sulle sue. Takagi spalancò incredulo gli occhi.

Ottavo Scatto.

Il suo lavoro lì era finito. Yumi si allontanò silenziosamente, dirigendosi verso la macchina. Aveva un altro impegno di cui occuparsi... già, doveva assicurarsi che quelle foto facessero il giro della centrale.

 

Le soffici labbra di lei si poggiarono delicatamente sulle sue. Takagi sentì il proprio cuore smettere di battere quando sentì la sua lingua scivolare all'interno della sua bocca. Non si era neppure reso conto si averla socchiusa. Istintivamente lasciò che le sue mani vagassero sulla sua morbida schiena, mentre con una leggera e gentile pressione rispondeva al bacio. Ma Sato non ne era soddisfatta. Blandì gentilmente le labbra di lui per stuzzicarlo. Forse fu per l'assenza di ossigeno che gli dava alla testa, ma Takagi sentiva la propria lucidità scivolare lentamente via. Fece passare la sua lingua fra le sue calde labbra, carezzandole con le sue. Inclinò la testa verso destra, spostò una seconda volta la sua mano tra i capelli corvini di lei. Poteva sentire l'aroma del caffè amaro emanato da Sato... eppure sembrava così dolce. Le loro lingue s'incontrarono in un'instancabile danza, In un bacio passionale ed ardente. Lei sentiva la sua tenerezza trasparire attraverso le sue gentili carezze, mentre le sue mani erano intrecciati tra i suoi capelli. I raggi di un sole ormai alto oltre l'orizzonte sfioravano la giovane coppia, illuminando il loro tenero amore.

Passarono forse due minuti, o forse due ore, o due anni. Ma che importava?

Quello era probabilmente il buongiorno migliore che lui avesse mai avuto il piacere e il desiderio di sperimentare. 

   
 
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