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Autore: suni    17/06/2009    12 recensioni
La vita porta evoluzioni e cambiamenti che plasmano l'uomo in modo graduale e profondo. Si può essere Vendicatori a quindici anni e poi ritrovarsi diversi senza nemmeno percepirlo.
Vent'anni dopo Oto, ritratto di padre.
[Legato a Balena, ecc. ecc.]
Genere: Generale, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Balena'
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“PAPA’

Yeuch.

E questa sarebbe l’introduzione più onesta nonché migliore commento a questa shot.

Poi, tanto per occupare spazio, si può dire che sicuramente chi non ha letto gli episodi precedenti di questa “saga” zoppicante troverà nelle righe a seguire chilate di OOC. Cioé, ce le trovete anche se li avete letti, ma magari sarà un po’ meno ingiustificato.

Ci sono qua e là alcuni riferimenti a una parte che è attualmente on work e che quindi potrebbero sembrare oscuri, ma penso che per il peso che hanno qui possano restare tranquillamente ovaghi. Si tratta del momento in cui l’eroico Itachi (jr.) ha scoperto il “dossier” di papino e la carrellata di crimini adolescenziali di cui si è macchiato, fratricidio annesso. La scena ci sarà, ma per ora accontentatevi degli accenni e tante scuse.

Ponendo fine alla logorrea, buona lettura.

suni

 

 

 

Family Man

 

 

 

“PAPA’! ”

Sasuke sobbalzò tanto che il bicchiere d’acqua gli cadde di mano e si coricò sul tavolo, rovesciando il proprio contenuto. Aggrottò fosco la fronte, sbuffando composto, mentre il suo rompicoglioni personale si scaraventava in cucina.

Itachi gettò via lo zaino a caso con un che di violento, senza curarsi dello sguardo intimidatorio e annoiato del genitore. Anzi, si scagliò con urgenza verso di lui e soltanto quando gli fu accanto incrociò solennemente le braccia al petto.

“E’ una cosa molto, molto grave,” annunciò truce.

Sasuke sollevò un sopracciglio, scettico. Itachi aveva quattordici anni, ma a suo avviso era mentalmente rimasto fermo intorno ai tre. Il suo concetto di “grave” poteva oscillare indifferentemente da un morto nella sua squadra all’assenza in dispensa del cioccolato. Completamente inaffidabile.

“Che cosa è grave?” borbottò con indifferenza, passando una spugnetta sul tavolo per asciugarlo.

“Chiyo. Devo assolutamente intervenire.”

Sasuke spostò finalmente la totalità della propria attenzione sul figlio primogenito, guardandolo penetrante. Itachi, le labbra serrate con decisione, aveva un’espressione risoluta ed insolitamente dura.

“Intervenire relativamente a cosa?” chiese grave. Se sua figlia aveva un problema non spettava certo al fratello preoccuparsene, ma a lui. Era quella la politica imposta in casa Uchiha: qualunque cosa andasse storta, bisognava in primo luogo interpellare papà.

In realtà tendenzialmente era Sakura, scavalcandolo in modi infami, a gestire l’andamento familiare. Era piuttosto sorprendente, da anni, constatare come la sciocca, innocua e seccante ragazzina oca che ricordava fosse diventata una subdola vipera non appena infilata al dito la fede nuziale, ma Sasuke ormai da anni s’era arreso all’evidenza: aveva sposato una stronza e messo al mondo due capricciosi scocciatori, ed in fondo andava benissimo così.

“Ne va del suo bene. Capisci, è mia sorella, bisogna che io vegli.”

“Itachi?”

“Sì, pa’?”

“Puoi scegliere se smettere di fanatizzare e spiegarmi, oppure vincere un pugno. Mi sento generosamente propenso a lasciare a te la decisione,” lo informò con noncuranza il padre, riempiendosi per la seconda volta il bicchiere.

Itachi sembrò ragionarci su per qualche millesimo di secondo, poi dovette realizzare quale fosse la scelta più conveniente e sbuffò altero.

“E’ quel...moccioso inqualificabile di Asuma Nara. Continua a ronzarle intorno. Non la lascia in pace, capisci?” illustrò enfaticamente, con un che di eccessivamente insistente.

Sasuke aggrottò lievemente la fronte, incerto se alzarsi da tavola e andare a trucidare immediatamente il biondo figlioletto di Shikamaru o, per una volta, scoppiare a ridere impietosamente in faccia al proprio.

Alla tenera età di sette anni, tenendo in vita una consolidata tradizione familiare, Chiyo Uchiha, deliziosa fotocopia femminile del suo papà fornita di sfavillanti occhi verdi opzionali, faceva già strage di cuori nei corridoio dell’accademia. Alla bambina bastava comparire – il visetto fine e armonioso, i lucidi capelli neri, il nasetto francese e le strabilianti iridi smeraldine - perché l’attenzione della popolazione maschile fino al grado di genin si concentrasse quasi asclusivamente su di lei. L’unico a non subire il fascino della bimba era Minato Hyuuga, vuoi perché Chiyo era la sorellina del suo migliore amico e quindi la considerava quasi una sorella anche sua, vuoi perché sapeva benissimo che Itachi l’avrebbe ucciso in modi tremendi se soltanto si fosse azzardato a guardarla, per non parlare di quel che gli avrebbe fatto il padre.

Naruto aveva bel dirgli che era tutta scena, che Sasuke per lui era un fratello e che in realtà era una persona di una bontà disarmante: a Minato il capoclan degli Uchiha faceva una paura fottuta. Il semplice andare a trovare Itachi a casa lo inquietava, perché aveva sempre il timore di imbattersi nel padre per caso in qualche corridoio. Quando accadeva, Minato perdeva la facoltà di parola: in nessun altro modo, nemmeno ferendolo a morte, sarebbe stato possibile far tacere quel giovane ed intrepido uragano dodicenne, ma davanti agli occhi neri e gelidi del papà di Itachi Minato cadeva vittima della timidezza di sua madre, con l’unica differenza che lui non riusciva nemmeno a balbettare.

Itachi, ovviamente, trovava la cosa di una comicità straordinaria e non perdeva occasione per far capitare l’amico tra i piedi di suo padre, possibilmente quando Sasuke era particolarmente di cattivo umore. Poi si sbellicava come un pazzo mentre Minato inveiva e cercava di colpirlo con tutti i sistemi a lui noti, non appena scomparso il Nemico.

Ad ogni modo, Minato era l’unico a cui Chiyo non facesse né caldo né freddo. Tutti gli altri avevano almeno un debole per lei, e se quasi nessuno l’avvicinava, nemmeno innocentemente, era semplicemente perché Itachi Uchiha, oltre al bel viso e le movenze eleganti, aveva ereditato un paio d’altre cose dal fosco genitore: due occhi intensi che da neri diventavano pericolosamente rossi in combattimento e un’aura di carisma intimidente che poteva inquietare anche i più sbruffoni.

Itachi aveva infatti portato alla perfezione anche una delle caratteristiche più particolari di sua madre: la sua personalità era tanto ambigua da sfiorare la schizofrenia patologica. Normalmente, Itachi Uchiha era un ragazzino di un’allegria e un’amichevolezza adorabili, rideva di continuo ed era sempre attivo e di buonumore. Ma quando c’era di mezzo Chiyo, il suo sguardo diventava affilato come un kunai appuntito e il suo viso si contraeva in quella che la sua stessa madre, dolcemente, aveva battezzato “la faccia da pazzo di papà”.

L’espressione che sfoggiava in quel momento, insomma.

“Asuma Nara,” ripeté Sasuke atono, aggrottando la fronte.

“Lui. Ma non preoccuparti, morirà presto.”

Sasuke guardò ancora il figlio con vago scherno, cauto.

“Intendi freddarlo?” domandò con curiosità.

Itachi, serio, annuì con decisione.

“Oggi l’ha di nuovo aspettata all’uscita dalle lezioni. E sai cosa? E’ la terza volta che le porta la cartella, questa settimana,” illustrò indignato.

Sasuke lo scrutò impenetrabile per qualche secondo, immobile, e Itachi attese guardingo. Di solito, quando suo padre aveva quella faccia, era perché stava pensando che l’interlocutore fosse un imbecille. La cosa rendeva il ragazzino leggermente nervoso, anche se in quel momento era troppo preso dalla foga per farci davvero caso.

“Itachi,” esordì Sasuke impersonale. “Credevo che oggi fossi col tuo team. Cosa ci facevi davanti all’accademia alla fine delle lezioni?”

Il ragazzino gettò intorno a sé uno sguardo improvvisamente incerto, come valutando il sistema migliore per svignarsela alla veloce. Si sistemò i capelli sulle spalle – li portava un po’ lunghi e scompigliati, lasciati andare a se stessi senza il minimo senso logico – e infine fissò il padre con estrema innocenza.

“Passavo di lì,” affermò candido.

Sasuke sollevò appena un sopracciglio.

“Tutti i giorni, proprio quando Chiyo esce da scuola?”

Itachi annuì ripetutamente, convinto.

“E’ casuale,” assicurò, facendo spallucce.

Sasuke sospirò irritato, posando il bicchiere ancora pieno.

“Siediti,” ordinò con un tono tale che a Itachi non venne nemmeno in mente di non eseguire all’istante. Suo padre lo osservò gravemente e scosse piano la testa, puntando i gomiti sul tavolo. Quindi poggiò il mento sulle mani intrecciate e piegò lievemente il capo.

“Itachi, sono relativamente certo che non sia necessario che tu pedini tua sorella,”  affermò serio.

“Io non la pedino!” protestò vivamente il ragazzino, indignato.

“No?”

“No! Io... Io mi assicuro soltanto che non le capiti nulla.”

“Pedinandola,” concluse Sasuke, laconico.

Itachi storse il naso contrariato, distogliendo la sguardo.

“Capita che le dia un’occhiata, qualche volta,” ammise in un borbottio stizzito.

Sasuke espirò profondamente, osservandolo fisso.

“Itachi, sei un bravo fratello. Davvero molto bravo, e hai seriamente aiutato me e la mamma a mandare avanti la casa in questi ultimi anni. Ma non c’è bisogno che tu ti occupi di Chiyo, ce la possiamo cavare.”

“Ma io...”

“E non ho intenzione di ripeterlo, Itachi.”

Il tono era imperativo, secco. Sasuke fissò ancora il figlio e pensò di dirgli che poteva pensare lui a sua figlia e che voleva soltanto che si divertisse nel suo tempo libero, come un qualunque giovane chunin quattordicenne in tempo di pace, perché lo meritava, ma come al solito non una di quelle parole affettuose lasciò le sue labbra.

Itachi si mordicchiò il labbro, rabbuiato, e si alzò con rigidezza, annuendo.

“Non avevo intenzione di contrariarti,” affermò inespressivo.

Sasuke si sentì immediatamente un uomo orrendo. Quella era esattamente la frase che doveva aver pronunciato suo fratello qualche dozzina di volte e lui non voleva minimamente sentirla dire da suo figlio.

“Non mi hai contrariato,” affermò, trattenendo la foga. “Te l’ho detto, Itachi, se un bravo fratello e,” contonuò, distogliendo repentinamente lo sguardo per affiggerlo verso la finestra, “un bravo figlio. Un po’ troppo rumoroso, ma comunque...” borbottò imbarazzato.

“Pa’?”

Sasuke tornò a voltarsi verso di lui, scoprendolo improvvisamente sorridente e solare.

“Dimmi.”

Itachi esitò per qualche istante, anche se Sasuke non poteva sapere perché, né che c’erano pensieri che gli frullavano per il capo da qualche tempo. Itachi stava diventando un adulto e lui per primo se ne rendeva conto, ma gli era stato insegnato ad essere prima di tutto se stesso e intendeva continuare a seguire quella linea.

“So che ormai sono grande e non è più molto appropriato, ma,” iniziò schiettamente, con un’incertezza che gli rosava le guance e le mani ficcate in tasca, strofinando un piede in terra, “ti darebbe molto fastidio se io continuassi ad abbracciarti, ogni tanto?”

Sasuke sussultò con la certezza assoluta di essere appena diventato color mattone, affrettandosi a voltare il viso verso la parete opposta. Si schiarì la voce, compito, e raddrizzò signorilmente le spalle.

“Gradirei che accadesse,” biascicò, mostrandosi noncurante.

E le braccia di Itachi si chiusero intorno alle sue spalle, lasciandolo per qualche istante pietrificato. Nonostante il passare del tempo e le evoluzioni della vita Sasuke Uchiha continuava ad essere un uomo chiuso e austero, ma fortunatamente ci pensava suo figlio ad essere espansivo per entrambi, esattamente come la madre.

“Darai tregua a tua sorella?” asserì severamente, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Certo, pa’. Hai ragione.”

Sasuke annuì soddisfatto. Dopotutto, un po’ di disciplina gliel’aveva insegnata.

 

 

“MAMMAAAA!”

Chiyo aveva dato mostra di un’incredibile capacità polmonare sin dalla culla; col passare degli anni quella caratteristica non s’era mitigata, ma anzi si accresceva sempre maggiormente.

Chiyo viveva urlando.

La cosa esasperava Sasuke  e rendeva Sakura pericolosamente esaurita, ma la bambina non sembrava notarlo. Del resto la venerazione dell’intero nucleo familiare nei suoi confronti era tale che quelle piccolezze la sprofondavano nell’indifferenza.

Difatti, Chiyo Uchiha aveva:

-          una madre che stravedeva per lei e la riteneva la bambina più meravigliosa di Konoha,

-          un padre del tutto incapace di non acconsentire a qualunque sua richiesta, anche la più insensata,

-          un fratello maggiore che viveva in sua funzione.

Era comprensibile, dunque, che la piccola Uchiha fosse schifosamente viziata, capricciosa e petulante. La cosa le veniva perdonata non solo tra le mura domestiche, ma ovunque si recasse: la bastava omaggiare il mondo del suo divino sorriso e chiunque, adulto o bambino, era immediatamente conquistato.

Questo non impedì che, mentre si precipitava in cucina strillando a tutta forza, il piatto che Sakura stava trasportando le sfuggisse di mano, ribaltandosi a terra. Sasuke osservò con aperta delusione lo stufato di lepre che la moglie aveva impiegato mezza giornata a cucinare spalmato sulle mattonelle del pavimento, sospirò pazientemente e le lanciò un’occhiata di scherno, ma lei si limitò a ringhiare minacciosamente con vaga collera, irritata. Perché Sakura Haruno Uchiha amava:

-          il marito in ogni sua forma, come noto agli abitanti tutti delle cinque nazioni maggiori e limitrofe,

-          far acciambellare Bombo sui propri piedi nel letto quando Sasuke era fuori in missione,

-          guardare Itachi che leggeva, con la testa poggiata alla mano e gli occhi che saettavano vivaci lungo le righe,

-          comprare vestiti a Chiyo,

-          fare colazione all’alba sul tetto dell’ospedale,

-          tornare a casa dal lavoro stanchissima e trovare Sasuke in cucina col grembiule addosso, un plotone di piatti sporchi e il sugo persino in testa; poi le toccava pulire per due giorni, ma lo spettacolo della vergogna di lui era impagabile.

Però, al contempo, Sakura Haruno Uchiha odiava:

-          basilarmente, che sua figlia l’aggreddisse mentre serviva in tavola un raffinato piatto d’alta cucina, facendoglielo cadere di mano.

“Che c’è, tesoro?” chiese stridula.

“Lo odio! Lo odiolodiolodiolodo! LO ODIO!” sbraitò furiosamente la bambina, viola e scomposta.

“Chiyo!” s’aggiunse in quell’istante la voce di Itachi proveniente dall’ingresso. “Pretendo delle scuse!”

“TI ODIO!” ululò lei astiosa. “Sei il fratello più schifosamente schifoso che,” e qui sua madre si schiarì severamente la voce, completamente ignorata, “esista in tutto lo schifoso mondo! Spero che tu muoia!”

“CHIYO!” ruggì Sasuke anticipando di una frazione di secondo la moglie. “Chiedi. Immediatamente. Scusa,” sibilò gelido, osservandola con eloquenza.

Chiyo gli lanciò un’occhiata vagamente colpevole, stringendo le labbra, ma nel veder comparire il fratello sulla soglia non poté reprimere la furia.

“Ti odio! Ti odierò tutti i giorni della mia vita e non ti parlerò mai più!” ribadì imbestialita, con le lacrime che tremavano nella voce, prima di scagliarsi verso l’esterno schizzandogli affianco.

“Sono tumefatto dal dispiacere, credo che non ci dormirò la notte,” replicò Itachi con scherno, noncurante.

L’unica risposta che ricevette fu un sonoro singhiozzo, accompagnanto dallo sbattere d’una porta. Poi, sulla cucina calò il silenzio. Infine il ragazzino sbatté gli occhi, prese un respiro ed osservò con curiosità il pranzo sparpagliato in terra.

“Cos’è successo allo stufato?” chiese innocentemente.

“Alla mamma non piaceva com’è venuto il sugo,” rispose Sasuke, grondando sarcasmo. Il figlio però non sembrò particolarmente stupito da quell’affermazione e si limitò ad annuire, vago.

“Quei ravioli al vapore si possono mangiare?” chiese, accovacciandosi davanti al tavolo.

“Itachi, cosa cavolo hai fatto a tua sorella?” sbottò irosamente Sakura, mentre lui si riempiva il piatto con gli antipasti.

Il ragazzino si strinse nelle spalle, impugnando le bacchette senza guardare nessuno.

“Quel che dovevo. Adesso mi odia, ma un giorno mi ringrazierà.”

“Che stronzata,” commentò Sasuke, asciutto.

“Asuma Nara stava per baciarla. Insomma, hanno sette anni!” sbottò Itachi indignato, sventolando un raviolo con foga.

“Nara stava per cosa?” ringhiò Sasuke sbiancando.

Sakura si affrettò a poggiargli una mano sulla spalla, prima che lui si alzasse e andasse a dar fuoco alla graziosa casetta di Ino.

“Beh, su una guancia, ma comunque!” continuò Itachi, acceso. “Se lo vedo di nuovo intorno a mia sorella gli spezzo la schiena, a quel pivello,” concluse torvo.

“Non sarà necessario, perché gliela spezzo io,” ringhiò suo padre, gelido.

“Non ti azzardare nemmeno a pensare di metterti a bisticciare con dei bambini o io chiedo il divorzio!” lo zittì Sakura severamente, lo sguardo che lampeggiava irritazione. “Vi siete bevuti il cervello, geni? Forse vi è sfuggito un piccolo dettaglio, ed è che a Chiyo Asuma piace!” aggiunse ferma, alzando lievemente la voce.

“Ha sette anni!” ribadì Sasuke scandalizzato.

“Non capisco quale sia il problema, non fanno altro che giocare insieme e tenersi la mano, sono solo bambini,” rispose seccamente lei, con una smorfia irritata.

“Ma è piccola!” insistette Sasuke sdegnoso, e suo figlio annuì ripetutamente con accordo.

“Sette anni è esattamemente l’età che avevo io quando...” ribatté lei rabbiosa prima di serrare le labbra, lanciando al marito un’occhiata quasi rancorosa. “Ora voi due aprite bene quelle vostre orecchie Uchiha: Chiyo ha avuto la fortuna di fare amicizia con un bambino gentile, premuroso e simpatico, che s’interessa a lei, la aiuta sempre ed è molto intelligente. Provate a torcere anche un solo capello ad Asuma Nara e ve la vedrete con me, mi sono spiegata?” concluse minacciosa, stringendo entrambe la mani a pugno.

“Ma…”

“E STAI ZITTO, Sas’ke!” sbraitò lei imbestialita, prima di marciare fuori dalla cucina e sbattersi la porta alle spalle.

Itachi, che era rimasto saggiamente immobile ed in silenzio per evitarsi un paio di cazzotti, sbatté un paio di volte gli occhi guardando la porta con perplessità.

“Pa’, che genere di trauma ha avuto la mamma a sette anni?” chiese interessato, con voce seria.

Sasuke, in tutta risposta, si limitò a stringersi nelle spalle.

“E’ fuori di testa,” borbottò incerto.

“Dev’esserle pur successo qualcosa...” continuò a cogitare il ragazzino.

“Ma sì, si è invaghita di un bambino,” brontolò Sasuke controvoglia, addentando pigramente un raviolo.

“Oh!” commentò Itachi soddisfatto, cogliendo il punto. “Ecco cosa, il primo amore. Che roba smielata da femmine,” precisò, storcendo il naso con pena, vagamente schifato. “Pa’, io lo conosco?”

Sasuke si limitò a sbuffare profondamente, inghiottendo un secondo boccone, e Itachi sgranò gli occhi.

“Eri già tu?” esclamò stupito, sporgendosi verso di lui.

“Piantala di fare il ficcanaso, testina,” lo zittì il padre, corrucciato.

Poi risbuffò, si tirò in piedi e cominciò a raccogliere lo stufato da terra interrompendo ogni comunicazione. Itachi rimase fermo ad osservarlo finché non si udì bussare alla porta, ma non ebbe bisogno d’alzarsi per andare ad aprire che un balzellio di passi s’avvicinò alla cucina.

“Itachi! Itachi siamo in ritar...” iniziò la voce allegra di Minato, appena prima che la sua zazzera bionda sbucasse dalla soglia. Il suo sfolgorante sorriso si fece incerto mentre Sasuke si raddrizzava, squadrandolo dall’alto in basso.

“Oh, grandioso, ci mancavi solo tu,” commentò l’uomo piatto, con vaga ostilità.

“Ah... B...b...” biascicò Minato sottovoce, col viso che si faceva bianchiccio e slavato.

Itachi, la mano davanti alla bocca, ridacchiava in silenzio.

 

 

“Sei sveglia?”

Sakura restò ad occhi chiusi e corrugò la fronte, rimanendo immobile nel buio della camera da letto. Sentì Sasuke muoversi discreto e poi il materasso abbassarsi sotto il suo peso, cigolando lieve.

“Sakura?” sussurrò lui. “Lo so che non sei addormentata.”

“No, ma lo sarò presto se tu starai zitto,” rispose brusca. “Devo alzarmi all’alba, domani.”

Sentì Sasuke sospirare lungamente.

“Sakura, non essere ridicola,” la riprese lui, grave.

Lei raddrizzò la testa di scatto.

“Io non sono ridicola, semplicemente rifiuto di litigare e resto in silenzio. Vedi di fare altrettanto,” ribatté piccata.

Sasuke non emise una sola altra sillaba. Si limitò a sdraiarsi, scivolando sotto le coperte, e restare perfettamente immobile per un tempo così lungo che se il respiro troppo poco profondo non l’avesse tradito lei sarebbe stata certa che si fosse addormentato. Aggrottò la fronte, ruotando supina.

“E piantala.”

“Ma non sto facendo niente,” si difese lui, altero.

“Sì, invece. Stai aspettando che io mi esasperi per il tuo silenzio e ti parli,” lo rimbeccò lei, severa.

“…Beh, indovina: funziona.”

Sakura sgranò leggermente gli occhi e trattenne al pelo un riso inaspettato, istintivo. Scosse il capo sul cuscino e gli diede nuovamente le spalle, rannicchiandosi.

Sasuke sospirò ancora dopo un altro breve silenzio.

“E dai, Sakura, non farti tirare fuori le parole a forza,” borbottò annoiato.

“Vorrei proprio vedere,” mormorò lei, ironica.

L’idea era pessima e se ne rese conto immediatamente, sentendolo finalmente muoversi.

“Ah sì?” replicò Sasuke, sovrastandola.

“Finiscila!” esclamò aggressiva, divincolandosi mentre lui le stringeva i polsi senza considerevole forza. “Sas’ke!” continuò alzando la voce, contorcendosi mentre lui le punzecchiava un fianco col dito.

“Shh…” mormorò  il genio contro il suo orecchio. “I bambini ti sentono.”

“E allora tu levati!” sbottò lei astiosa. “Ho detto levati!” ripeté collerica, rifilandogli una gomitata quando la sua mano s’infilò sotto la sua camicia da notte.

Sasuke sbuffò, accasciandosi sul materasso al suo fianco. Sakura quasi se ne dispiacque, con non molta coerenza.

“Ti decidi?”

“Sei uno stronzo e sei gretto e maschilista,” asserì lei diretta. “Se fosse Itachi a sbaciucchiare ragazzine a destra e a manca non faresti una piega.”

“Itachi è più grande,” rispose lui con determinazione.

“Non cambia nulla e lo sai benissimo.”

“No invece! Chiyo è piccola, ed è…”

“Una femmina, e deve stare buona in un angolo. Le donne non devono prendere iniziative, no?” lo riprese lei, caustica.

“E se così fosse?” rispose Sasuke seccamente.

“Se così fosse, tu non avresti due figli, adesso. Non saresti nemmeno qui. In effetti, probabilmente a quest’ora saresti morto.”

“Questo che c’entra?” replicò lui, sulla difensiva.

“Niente. Lasciate in pace Chiyo e basta. Che viva la sua vita, è una bambina in gamba,” lo lapidò Sakura, ferrea.

Sentì la testa di Sasuke muoversi con un fruscio e accostarsi al suo orecchio.

“Come quell’oca di sua madre,” mormorò lui a pochi millimetri dalla sua pelle.

Sakura lo spintonò, senza troppa convinzione, e Sasuke la circondò in un abbraccio.

“Dovresti fondare il movimento di liberazione delle kunoichi, Sakura,” la schernì ironico.

“Potrei,” ribatté lei con petulanza.

“Sarebbe un’umiliazione abissale.”

“Ci si chiederebbe che ne sia stato della tua virilità, mh?” osservò Sakura, asciutta.

“Quella non è in discussione,” ribatté Sasuke altezzoso. “Ma ti conosco e riempiresti la casa di proclami, gadget e stronzate, poi andresti in giro a fare proselitismo e minacceresti di morte i tuoi detrattori. Voglio dire, io lo so che fai finta di essere una donna ragionevole,” la contraddisse lui, strofinandole il naso tra i capelli.

“Vaffanculo, signor U,” replicò lei, con uno sbadiglio represso a metà.

“Mh-mh, dopo,” mormorò lui, facendo scivolare la mano su per l’interno della sua gamba.

 

 

Minato sbuffò profondamente, fissando il cielo con vitrei occhi nivei. Da un quarto d’ora cercava insistentemente d’ignorare qualunque suono d’origine umana, ma non era facile con Itachi che straparlava a tre centimetri dal suo orecchio sinistro.

“L’hai visto? No, ma l’hai visto? Quel pidocchio vuole la guerra, te lo dico io. E allora che guerra sia,” ribadiva il giovane Uchiha in quel momento, per qualcosa come la quinta volta consecutiva.

“Mh,” esalò Minato, con un tono che poteva ricordare vagamente l’assenso.

“La prossima volta che le rivolge anche solo la parola, giuro che io…”

“Tua madre ti spaccherà le ginocchia,” osservò ragionevolmente Minato, sornione.

“Se è il prezzo da pagare lo sopporterò,” rispose l’altro, senza fare una piega. “Mia sorella non si farà intortare dal primo che passa.”

“Ma Asuma è simpatico, no?” rispose Minato perplesso, non cogliendo il punto. Itachi lo squadrò truce, assottigliando le palpebre.

“Hyuuga, ma tu da che parte stai?” ribatté seccamente.

“Dalla tua! Come sempre, no?” si affrettò a rispondere Minato con foga.

Itachi Uchiha era assolutamente il suo migliore amico, in ogni modo possibile. Da quando lo  conosceva, riversava in lui una stima incrollabile. Itachi era intelligente, era coraggioso, era carismatico ed era il miglior ninja uscito dall’accademia da che lui avesse memoria: in una parola, un figo. Quando avevano fatto amicizia, aveva temuto che quel bambino tanto in gamba, più grande di lui, volesse ingraziarselo soltanto perché i loro genitori erano amici o per compiacere suo padre, l’Hokage. Ma, in realtà, aveva scoperto che Itachi lo trovava simpatico, perché insieme ridevano come con nessun altro, e che era molto più solo di quanto ci si potesse aspettare: la grandezza genera invidia, e inoltre il cognome Uchiha era un cognome che faceva ancora paura.

Minato non ci aveva mai badato, perché suo padre gli aveva detto chiaro e tondo fin da subito che Sasuke Uchiha era un uomo eccellente, era il suo consigliere e la persona in cui nutriva più fiducia in tutto il villaggio, ma Itachi aveva già litigato con parecchi altri studenti – era stato un ragazzino invidioso di lui a sbattergli in faccia senza la minima delicatezza che suo padre era un fratricida e un nukenin – e anche se quella era stata l’unica volta che Itachi ne aveva parlato con i genitori c’erano state altre baruffe, che però il ragazzino era riuscito a far passare sotto silenzio.

“Non voglio che Sas’ke si preoccupi per me,” aveva spiegato semplicemente, con noncuranza.

Lo chiamava sempre per nome, e non soltanto “papà”, quando lo citava con terzi. Diceva che era una questione di rispetto, e ne nutriva una quantità infinita nei confronti del padre: forse era anche per questo che Minato se ne sentiva tanto in soggezione.

Le beffe, i pregiudizi e le manifestazioni di sprezzo sembravano non scalfirlo, e se si arrabbiava era  soltanto quando Chiyo veniva coinvolta in quel bullismo gratuito: allora Itachi si trasformava in un concentrato di violenza. Erano davvero in pochi, ormai, ed osare dir qualcosa alla bambina.

Asuma Nara non era, ovviamente, una di quelle persone, ma ad Itachi era antipatico lo stesso. Minato non aveva impiegato più di due minuti a realizzare che si trattava di banalissima gelosia, ma si era limitato ad assecondarlo. Ormai, però, la psicosi del suo amico stava raggiungendo picchi preoccupanti.

Come dirglielo senza ferirlo nell’orgoglio, era la vera domanda che Minato si poneva.

“Bisogna che gli dia una lezione,” stava borbottando il suo amico, fosco.

“Ma è piccolo,” osservò  Minato per placarlo. “Non puoi pestare uno che non è nemmeno genin. Tu sei un chunin e stai per diventare jonin!”

Itachi lo osservò penetrante, arricciando le labbra, quindi annuì con sbuffo.

“Hai ragione, Minato,” concordò, placido, facendolo sospirare di sollievo. “Lo farai tu per me.”

“E-EEH?” sbraitò lui esterrefatto.

Itachi annuì, soddisfatto dell’idea brillante.

“Tu sei un genin, la sproporzione non sarà eccessiva.”

“Io sono uno Hyuuga e farò l’esame tra un mese! Ho un byakugan, e non posso incasinare mio padre!” protestò Minato allibito, sventolando le mani. Di tutte le idee senza senso, quella era la più cretina.

“Mica lo devi ammazzare,” osservò Itachi, minimizzando. “Devi solo gentilmente spiegargli che se sta lontano da Chiyo è molto meglio. Per lui, ovvi…” E Itachi s’interruppe aggrottando la fronte nel vedere improvvisamente il volto dell’amico farsi rossiccio e poi bianco come un cencio, mentre fissava un punto proprio dietro di lui. Sospirò rassegnato, scuotendo la testa. “Ciao, pa’,” salutò, vacuo.

“B…b…” squittì Minato senza voce.

“Non ti sforzare o te la farai addosso,” lo graziò Sasuke, laconico.

Itachi si voltò verso di lui sogghignando, ma l’espressione seria e severa di Sasuke non prometteva  bene.

“Tu non farai picchiare proprio nessuno, Itachi,” lo aggredì freddamente il genitore.

“E…eh,” sfiatò Minato, con quella che poteva essere approvazione.

“Credevo tu fossi dalla mia parte, pa’,” osservò Itachi un po’ risentito.

Sasuke s’accigliò ulteriormente, sbuffando, quindi voltò lo sguardo direttamente verso Minato, che si raggelò sul posto.

“Potresti lasciarci? Sono sicuro che Naruto sarà felice di averti in mezzo ai piedi,” suggerì l’adulto, noncurante. Itachi trovava straordinario il modo in cui si beffava del suo amico con fare assolutamente serio e credibile. Che attore, suo padre.

Minato annuì a ripetizione, si gettò sullo zaino e se lo infilò in spalle blaterando forse un saluto, prima di sparire. Itachi lo salutò con un cenno continuando a osservare Sasuke, che da parte sua fissava vagamente sconcertato la figuretta del piccolo Hyuuga in allontanamento.

“Tu mi trovi così terrificante?” domandò pensoso.

Itachi scosse la testa, sorridendo. Quand’era arrabbiato Sasuke faceva quasi paura persino a lui, ma erano casi eccezionali.

Comunque fosse, Sasuke si riscosse con una scrollata di spalle, prima di tornare ad osservarlo gravemente.

“Stammi a sentire, Itachi,” esordì deciso. “Tu non devi fare del male ad Asuma Nara, chiaro?”

“Perché no?” protestò il figlio, cui quel progetto pareva perfettamente legittimo – beh, all’incirca.

“Perché poi la mamma farà molto male a me,” rispose Sasuke, stoico. Poi sbuffò, accoccolandosi sul prato. “D’accordo, non è il vero motivo,” ammise, definitivamente serio.

“Oh, no, era una ragione valida,” commentò candidamente Itachi, convinto: sua madre, lei sì che faceva paura.

“Ascoltami, adesso. Io capisco che ti preoccupi per Chiyo perché è più piccola e tutto quanto, ma lei deve vivere la sua vita e tu la tua, Itachi.”

“Ma lo faccio! E già che ci sono…”

“No, Itachi,” lo interruppe il padre, fermo. “Non funziona così.”

Il ragazzino si rabbuiò, malcontento.

“Ma se quello lì poi la fa stare male..?” iniziò scettico.

“Tua sorella starà male, prima o poi nella vita. È inevitabile, succede a tutti e in genere si sopravvive. Non puoi farci molto.”

“E allora a cosa servo?” protestò Itachi frustrato.

Sasuke lo guardò con gli occhi allargati e lui ebbe l’impressione di aver fatto una domanda fuori luogo. Forse, dopotutto, suo padre non era la persona adatta a parlare di cose del genere.

“Puoi…essere lì, quando succederà,” rispose Sasuke lentamente. “Porgerle un fazzoletto quando piange e quel genere di cose per femmine.”

Itachi si accucciò al suo fianco, sbuffando.

“Tanto Chiyo mi odia,” borbottò avvilito.

“Non essere cretino, Itachi. Ovviamente non ti odia.”

“L’ha detto lei!”

Sasuke scrollò la testa.

“Si dicono una quantità di cose, quando si è arrabbiati,” affermò meditabondo.

Itachi ci pensò un po’ su,  esitando a parlare.

“…Pa’?” borbottò infine.

“Dimmi.”

“Tu sei ancora arrabbiato?”

Sasuke rimase in silenzio per qualche secondo, impenetrabile.

“Un po’.” Espulse un sorriso stentato. “Ha deciso tutto lui senza interpellarmi,” aggiunse a mo’ di spiegazione.

“E allora perché mi hai chiamato come lui?”

Suo padre scrollò le spalle, strappando distrattamente qualche filo d’erba.

“Itachi è un bel nome. Un nome da eroe.”

Restarono in silenzio per un paio di minuti, pensosi.

“Potrei chiedere a Chiyo se Asuma le è davvero simpatico. E se è gentile con lei. Potrei intervenire in un secondo momento, nel caso in cui non lo fosse,” ipotizzò Itachi, mitigato.

“Mi sembra una buona idea,” concordò Sasuke, dopo una breve riflessione.

“Farò così,” si risolse Itachi, alzandosi. “Vado a cercare Minato per vedere se se l’è fatta addosso.”

“Vai. Divertiti.”

Il ragazzino annuì sorridendo, prima di schizzare via. Sasuke lo guardò sparire e si sentì molto stanco, e contemporaneamente molto in pace con se stesso. Ma aveva ancora una cosa da fare, prima di andare a far due passi nella foresta con Bombo per rilassarsi.

 

 

“Chiyo, sei in camera?”

“Se c’è Itachi con te, no!”

“…Sono da solo. E sto entrando,” affermò suo padre, prima di sbucare dalla porta. Chiyo lo guardò diffidente, con le labbra increspate da un leggero broncio. Accucciato ai suoi piedi, un sonnecchiante Bombo scodinzolò con impegno nello scorgere la figura dell’adoratissimo capobranco.

“Se vuoi dirmi qualcosa di cattivo su Asuma…” iniziò bizzosa.

“No. Veramente sono qui per tutt’altro motivo.”

La figlia sospirò leggermente, poi tese le braccia e si fece prendere in braccio più bendisposta, atterrando sulle ginocchia del padre che s’accomodava a sedere sul suo lettino. Il cane si rimise sulle zampe, trotterellò accanto a loro, si sedette ed appoggiò il muso sul materasso sfregando il naso contro la gamba di Sasuke. Rassegnato, il genio gli stropicciò le orecchie guadagnandosi un nuovo scodinzolio.

“Cosa?” chiese Chiyo, sospettosa.

“Quello che hai detto prima a tuo fratello.”

Lei s’irrigidì, sulla difensiva.

“Che lo odio? È v…”

“Che speri che muoia. Lo so che eri arrabbiata, Chiyo, ma voglio che tu non dica mai più una cosa del genere davanti a me,” rispose Sasuke, grave. “Oltretutto è completamente falsa,” precisò con fermezza.

Chiyo esitò per qualche secondo, perplessa. Era rarissimo che suo padre pretendesse qualcosa da lei, in genere accadeva esattamente il contrario, né la piccola aveva idea che fosse già esistito un altro Itachi prima di suo fratello. Storse le labbra in una smorfia infantile e sbuffò annoiata.

“Mi fa arrabbiare.”

“E’ il suo lavoro, è tuo fratello.”

“Asuma è mio amico,” aggiunse Chiyo con sicurezza. “E a lui non importa come mi chiamo!”

Sasuke serrò le labbra, mascherando la sorpresa.

“Agli altri sì, vero?” chiese a voce bassa. Chiyo si strinse nelle spalle.

“Itachi li fa stare zitti tutti. Nessuno vuole fare a botte con lui, è troppo forte,” precisò, senza riuscire a celare una nota d’orgoglio per la bravura del fratellone.

“Succede spesso?”

“Non credo, ma Minato lo sa meglio di me.”

Sasuke sospirò tra sé, annuendo. A quanto pareva, c’era qualcos’altro che suo figlio aveva trascurato di dirgli.

“Chiyo, senti. Itachi si preoccupa soltanto, per te. Lo so,” l’anticipò, vedendola sul punto di protestare, “che è insopportabile, ma devi aver pazienza. I fratelli piccoli devono restare con la testa sulle spalle, o quelli grandi fanno un gran pasticcio.”

Lei l’osservò scettica, senza troppa convinzione. Ma quello era il suo diletto papà e lei avrebbe finito per credergli anche se avesse affermato di saper volare come un falco.

“Gli dirai di smetterla?” chiese scocciata.

“Diglielo tu. Senza aggiungere che lo vuoi morto, magari.”

Chiyo sospirò come una martire, poi annuì pazientemente.

“Solo perché sono buona,” precisò sostenuta.

Sasuke annuì compreso, accigliandosi pensoso.

“Visto che sei buona, potresti fare una cosa per me. Io adesso ho un paio di affari da sistemare, ma vorrei ti occupassi di una faccenda prima che la mamma rientri. Ma devi promettermi che manterrai il segreto e non le dirai mai  che te l’ho chiesto io.”

“Cosa?” s’informò la bambina, attenta.

 

 

Naruto gli aveva parlato di un paio di episodi tumultuosi, in accademia, ma Sasuke aveva pensato che la faccenda, dopo il drammatico litigio che aveva portato Itachi a scoprire la verità sul suo passato in modo decisamente traumatico, si fosse conclusa. Invece, a quanto pareva, c’era stato ancora qualche problema.

Peccato che suo figlio non avesse ritenuto necessario farglielo presente. D’altra parte, quella era stata la prima volta che avevano di nuovo accennato ad Itachi, lo zio, da allora: era evidente che l’argomento, a ragione, turbava il ragazzino, e probabilmente aveva semplicemente preferito sbrigarsela da solo per non tirarlo più in ballo.

Ma Sasuke si sentiva ugualmente angustiato e vagamente depresso – cosa non poi così insolita, in fin dei conti – quando bussò con decisione alla porta e se la vide aprire da Hinata, sorridente ed ignara.

“Ciao, Sas’ke,” cinguettò la donna col suo tono calmo, gentile. “Cerchi Naruto?”

E Sasuke non fece nemmeno in tempo ad iniziare a rispondere che no, effettivamente cercava Minato, che lei già spariva nel suo modo silenzioso. Nell’arco di tre secondi la stanza era invasa dalla presenza colorata e vitale di Naruto, nel suo pastrano da Hokage.

“Yo, Sas’ke,” esordì il jinchuuriki, con fare indaffarato. “Proprio a te pensavo. Dato che oggi ti sei dato alla macchia, se hai una mezz’ora potremmo occuparci di quella prat…”

“Sto cercando tuo figlio,” lo interruppe Sasuke, sbrigativo. “E’ già rientrato?”

Naruto si bloccò con la mano a mezz’aria, le labbra semiaperte.

“E’ tornato da dieci minut… Perché cerchi Minato?” chiese stupito.

Sasuke si strinse nelle spalle con sufficienza.

“Voglio solo chiedergli una cosa,” rispose neutro.

Naruto si limitò a squadrarlo attentamente. Col tempo, aveva sviluppato una sorta d’involontaria empatia, o forse uno sguardo particolarmente profondo su Sasuke. Sapeva captare il suo stato d’animo con un’occhiata, e in quel momento Sasuke non era tranquillo.

“E’ successo qualcosa ad Itachi?” chiese, serio.

Sasuke fece ancora spallucce, annoiato.

“No, voglio solo chiedergli una cosa. Nulla di che,” ribadì sostenuto.

Naruto aggrottò la fronte, sbuffando. Si voltò facendo per chiamare il figlio, ma poi s’irrigidì di scatto. Minato, decisamente, non avrebbe apprezzato quella particolare visita.

“Che?” lo apostrofò Sasuke, seccato.

Naruto storse le labbra, con una smorfia.

“E’ che tu lo inquieti. Sicuramente lo hai spaventato in qualche tuo modo,” aggiunse ostile, guardandolo storto, “e adesso la tua presenza lo innervosisce.”

“Se tuo figlio è un…”

“Ti consiglio di non finire la frase, teme!” abbaiò Naruto minaccioso. “Minaatooo! Vieni un momento!”

“Che c’è, paps?” fu l’argentina replica del ragazzino, dal piano di sopra.

Paps?” bisbigliò Sasuke, e dalle sue labbra sfuggì uno leggero strombettio di scherno.

“Vai a cagare, teme,” sibilò Naruto imbarazzato. “Minato, c’è Sas’ke che ti vorrebbe chiedere una cosa.”

“C-chi?” squittì il ragazzino, palesemente atterrito. Naruto lo trovava imbarazzante: suo figlio sapeva mantenere il sangue freddo e la temerarietà davanti a qualunque pericolo, e riusciva a far la figura dello smidollato proprio con quel fetente di Sasuke. Ironia della vita, era il caso di dirlo.

“Su, scendi,” lo spronò il padre senza troppe cerimonie.

Minato comparve con l’espressione di un condannato al patibolo, e vedendo il Nemico deglutì visibilmente.

“B…b…b…”

“Per carità, evitiamo i convenevoli o si fa l’alba di domani,” lo troncò Sasuke, brusco.

“SAS’KE!” sbottò Naruto inviperito, mentre Minato si faceva violaceo. “Smettila di spaventarlo, pezzo di somaro!”

Minato era rimasto piantato sull’ultimo gradino e annaspava, vergognoso. Riuscì a controllarsi soltanto pensando alle risate che si sarebbe fatto Itachi se l’avesse visto, e rimase fermo con un sorriso simile a una smorfia di dolore, facendo violenza a se stesso.

Sasuke gli elargì uno sguardo pietoso, ignorando l’amico. Dopotutto, essendo figlio del dobe, quel ragazzino necessitava di tutto l’aiuto possibile.

Minato guardava lui con velato panico, e Naruto osservava a turno l’uno e l’altro. Soltanto dopo parecchi secondi Sasuke sbuffò esasperato.

“Sua Sommità il Rokudaime potrebbe, forse, lasciarci soli un minuto...?” ipotizzò, tagliente.

Naruto lo osservò sorpreso e Minato sembrò, se possibile, ancor più congestionato. Poi l’Hokage annuì rabbuiato, nonostante lo sguardo supplice del figlio. Nel muoversi passò accanto all’amico.

“Sicuro che va tutto bene?” chiese piano, e Sasuke annuì palesando irritazione. “Me lo diresti, dì..?”

Me lo diresti se avessi un problema serio, vero?

“Non farla tragica, dobe, mi serve solo un’informazione.”

Naruto si congedò con un ultimo cenno, lasciandoli soli nell’ingresso. Minato restò immobile e impalato e Sasuke lo osservò sconfortato, prima di prendere un lungo respiro.

“Facciamo così: io ti rivolgerò una serie di domande per cui ti sarà sufficiente rispondere con semplici cenni del capo, così eviteremo di tirarla per le lunghe,” propose spiccio, senza arrendersi. Se ce la faceva a comunicare col padre, figurarsi se lo poteva fermare il figlio.

Minato,  dopo un attimo dì immobilità, annuì lentamente.

“Vedo che hai capito il principio. Sono venuto qui perché Chiyo mi ha detto che a volte Itachi litiga con altri ragazzi. È vero?”

Minato esitò per un istante, poi scosse piano la testa con lo sguardo fisso. Sasuke non gli credette nemmeno per un secondo, ma ne dedusse che probabilmente il ragazzino non voleva tradire la fiducia dell’amico.

“Stai a sentire, non è rispondendomi il falso che lo aiuti, lo sai, no? Vent’anni fa il clan Uchiha era un problema così grosso che il villaggio ha deciso di sterminarlo. Pensi di proteggere Itachi facendo finta di niente?”

Il ragazzino sgranò gli occhi chiari con stupore, scosse la testa, socchiuse le labbra e se le inumidì.

“Qualche volta… Ma q-quelli che lo scocciavano ormai hanno quasi tutti paura di lui. Ogni tanto provano a dare fastidio a Chiyo, ma se le prendono ancora peggio.”

“Sono tanti?”

“N-no… Soltanto qualcuno. A tanta gente Itachi è simpatico, anche se sono in pochi ad essere proprio in confidenza con lui. Mette un po’ soggezione, o qualcosa del genere. Non so, per me è soltanto il mio migliore amico e mi fa ridere. Comunque è un bel po’ di tempo che non gli dà noia nessuno.”

Il giovane Hyuuga aveva ritrovato la favella, e questo era abbastanza in linea con la sua eredità genetica: pronti ad affrontare qualunque ostacolo, per il bene di un vero amico.

“Va bene,” mormorò Sasuke, annuendo.

Lo salutò con un cenno e se ne andò senza nemmeno dire una parola a Naruto. Stava raggiungendo casa quando individuò la sagometta del figlio sul tetto di una delle ville abbandonate del quartiere. Lo raggiunse rapidamente, scavalcando balconi di ringhiera in ringhiera. Se sua nonna l’avesse mai visto fare una cosa del genere avrebbe tirato fuori il battipanni.

“Oh, pa’, ciao,” salutò Itachi, rizzandosi a sedere da sdraiato che era. “Mi sto preparando cosa dire a Chiyo,” annunciò pomposo.

Sasuke lo guardò con serietà, cupo.

“Perché non mi hai mai detto dei litigi con gli altri?”

Itachi sgranò gli occhi e socchiuse le labbra, sorpreso. Distolse lo sguardo e poi accennò un risolino educato.

“Perché non fa niente, pa’. E poi non mi dà fastidio. L’importante è che lascino stare Chiyo.”

“Però tu…”

“Io non ci faccio nemmeno caso. È normale, lo capisco. Io sono forte, e sono un privilegiato. Sono troppo potente per quasi tutti loro, e per questo mi ammirano, ma sono invidiosi. Del resto, come dar loro torto,” concluse, sogghignando.

Essere forti, significa essere isolati e diventare arroganti, disse nella memoria di Sasuke un’altra voce. Si tormentò pensosamente le dita, osservando le nubi in lontananza.

“Non pensavo che saresti stato solo.”

“Non sono solo,” protestò Itachi allibito. “C’è Minato, c’è…beh, in realtà c’è anche Hanako,” mormorò arrossendo.

Sasuke spalancò gli occhi.

“Inukuza? La cugina di Minato?” domandò, orripilato.

Itachi annuì ripetutamente, ormai rilucente di un bel color bordeaux.

“Non ci pensare nemmeno! Non ho intenzione di diventare il cugino acquisito di quarto grado del Rokudaime!” protestò suo padre, scandalizzato.

“Ti sarà simpatica, pa’,” lo incoraggiò Itachi, speranzoso.

“Non me ne frega niente! E’ parente di Naruto e tanto basta!”

“Paa’…” ripeté Itachi, guardandolo con i larghi, neri occhi innocenti.

Sasuke ristette stizzito, distolse lo sguardo e sbuffò rumorosamente.

“Ma dove stiamo andando a finire…” bofonchiò, vinto.

 

 

Sasuke ed Itachi varcarono la soglia di casa fianco a fianco, e ad attenderli c’era una cucina costellata di rametti di ciliegio in fiore. Chiyo, arrampicata su una sedia, ultimava gli ultimi ritocchi con le dita scorticate dalla corteccia tagliata, ma sembrava estremamente soddisfatta. Bombo, entusiasta, le scorrazzava attorno annusando ovunque.

“Che sta succedendo?” chiese Itachi incuriosito, mentre il cane gli saltellava addosso scodinzolando. Ehilà, vecchio mio, dove t’eri cacciato?, sembravano accoglierlo i suoi uggiolii festosi.

“Faccio una sorpresa alla mamma,” trillò Chiyo, lanciando un’importante occhiata d’intesa al padre. Sasuke trattenne un sorriso, annuendo impercettibilmente: figlioletta obbediente, la sua bambina. In quella Bombo lo accostò scodinzolando composto e sfregò l’orecchio contro la sua mano, elemosinando la grattatina che giunse immediata mentre Itachi si guardava intorno, vagamente critico.

“Che, non ti piace?” lo apostrofò la sorella, imbronciata.

Il ragazzino spalancò gli occhi ed accennò un sorriso disarmante, eseguendo un cenno d’inchino.

“E’ molto bello, Chiyo-chan,” affermò bonario.

La sorella lo guardò storto, con diffidenza.

“Mi prendi in giro?” borbottò indispettita.

“No,” rispose Itachi tornando a guardarla, senza smettere il sorriso. “Ma tanto mia sorella è più bella dei fiori,” continuò con una linguaccia, spudorato. Chiyo spalancò gli occhi verdi, storse il naso e sorrise suo malgrado proprio mentre Itachi, scattato avanti, la circondava con le braccia e se la caricava in spalle, sollevandola dalla sedia.

“Papà! No, daiii! Pap…” protestò la bambina, prima di scoppiare a ridere cedendo al solletico. Bombo saltò loro addosso, abbaiando partecipe.

Sasuke nascose un sorriso, mentre la porta di casa s’apriva. Sakura fece tre passi, si guardò distrattamente intorno e spalancò la bocca, esterrefatta.

“Cos’è successo qui dentro?” chiese, senza riuscire a credere a quel che vedeva. La sua cucina era cosparsa dei suoi fiori preferiti, c’era profumo ovunque, Bombo saltellava euforico e i suoi figli non stavano litigando come poche ore prima, ma ridevano aggrovigliati.

“Chiyo voleva mettere a tutti costi dei fiori,” affermò Sasuke, con aria oltraggiata.

Dietro di  lui Chiyo lo indicava con foga, appollaiata sulle spalle di Itachi. Sakura la guardò perplessa, cercando di decifrare il movimento delle sue labbra.

Me l’ha chiesto lui, sillabava la bambina sbracciandosi all’indirizzo del padre.

Sakura trattenne una risata, piegò la testa di lato e squadrò con malizia il marito.

“E tu non c’entri nulla, vero, U?”

Sasuke la scrutò con sufficienza.

“Ti sembro uno che sparpagli fiorellini per casa?” rispose scettico.

Sakura si lasciò finalmente sfuggire le risa, muovendosi verso di lui fino ad arrivare ad allacciargli le braccia al collo.

“Sei l’uomo più scemo del mondo,” affermò pazientemente, scorrendogli le labbra sul lato del viso.

“Non so di cosa stai parlando, Sakura,” ribatté lui severamente, indignato. Era chiaro che l’idea di essere smascherato lo atterriva.

Poi lanciò un’occhiata scornata ed interrogativa a Chiyo, con una smorfia contrariata. La bambina, a cavalluccio sulla schiena di Itachi, restituì al padre uno sguardo altrettanto stupito sgranando gli occhioni verdi e si strinse nelle spalle angelicamente, mentre Sakura rideva penzolandogli al collo.

 

 

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Qualche new entry per rimpolpare la faccenda…

Avete conosciuto il prode Minato, amico affezionato e temerario shinobi. Va beh, qui l’avete visto alle prese col suo punto debole numero uno, ma il ragazzo è tosto, buon sangue non mente.

E naturalmente avete conosciuto la piccola vipera numero due, la perfida Chiyo. Non fatevi ingannare dagli occhioni, questa bambina è una creatura infernale.

Alla prossima.

suni

 

E grazie a eleanor89 per la consulenza.

 

 

   
 
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