Yeuch.
E questa sarebbe l’introduzione più onesta
nonché migliore commento a questa shot.
Poi, tanto per occupare spazio,
si può dire che sicuramente
chi non ha letto gli episodi precedenti di questa “saga” zoppicante
troverà nelle righe a seguire chilate di OOC. Cioé, ce le trovete
anche se li avete letti, ma magari sarà un po’ meno
ingiustificato.
Ci sono qua e là alcuni
riferimenti a una parte che è attualmente on work e che quindi
potrebbero sembrare oscuri, ma penso che per il peso che hanno qui possano
restare tranquillamente ovaghi. Si tratta del momento in cui l’eroico
Itachi (jr.) ha scoperto il “dossier” di papino e la carrellata di
crimini adolescenziali di cui si è macchiato, fratricidio annesso. La
scena ci sarà, ma per ora accontentatevi degli accenni e tante scuse.
Ponendo fine alla logorrea,
buona lettura.
suni
Family Man
“PAPA’! ”
Sasuke sobbalzò tanto
che il bicchiere d’acqua gli cadde di mano e si coricò sul tavolo,
rovesciando il proprio contenuto. Aggrottò fosco la fronte, sbuffando composto,
mentre il suo rompicoglioni personale si scaraventava in cucina.
Itachi gettò via lo
zaino a caso con un che di violento, senza curarsi dello sguardo intimidatorio
e annoiato del genitore. Anzi, si scagliò con urgenza verso di lui e
soltanto quando gli fu accanto incrociò solennemente le braccia al
petto.
“E’ una cosa molto,
molto grave,” annunciò truce.
Sasuke sollevò un
sopracciglio, scettico. Itachi aveva quattordici anni, ma a suo avviso era
mentalmente rimasto fermo intorno ai tre. Il suo concetto di
“grave” poteva oscillare indifferentemente da un morto nella sua
squadra all’assenza in dispensa del cioccolato. Completamente
inaffidabile.
“Che cosa è
grave?” borbottò con indifferenza, passando una spugnetta sul
tavolo per asciugarlo.
“Chiyo. Devo
assolutamente intervenire.”
Sasuke spostò finalmente
la totalità della propria attenzione sul figlio primogenito, guardandolo
penetrante. Itachi, le labbra serrate con decisione, aveva un’espressione
risoluta ed insolitamente dura.
“Intervenire relativamente
a cosa?” chiese grave. Se sua figlia aveva un problema non spettava certo
al fratello preoccuparsene, ma a lui. Era quella la politica imposta in casa
Uchiha: qualunque cosa andasse storta, bisognava in primo luogo interpellare
papà.
In realtà
tendenzialmente era Sakura, scavalcandolo in modi infami, a gestire
l’andamento familiare. Era piuttosto sorprendente, da anni, constatare
come la sciocca, innocua e seccante ragazzina oca che ricordava fosse diventata
una subdola vipera non appena infilata al dito la fede nuziale, ma Sasuke ormai
da anni s’era arreso all’evidenza: aveva sposato una stronza e
messo al mondo due capricciosi scocciatori, ed in fondo andava benissimo
così.
“Ne va del suo bene.
Capisci, è mia sorella, bisogna che io vegli.”
“Itachi?”
“Sì,
pa’?”
“Puoi scegliere se
smettere di fanatizzare e spiegarmi, oppure vincere un pugno. Mi sento
generosamente propenso a lasciare a te la decisione,” lo informò
con noncuranza il padre, riempiendosi per la seconda volta il bicchiere.
Itachi sembrò ragionarci
su per qualche millesimo di secondo, poi dovette realizzare quale fosse la
scelta più conveniente e sbuffò altero.
“E’ quel...moccioso
inqualificabile di Asuma Nara. Continua a ronzarle intorno. Non la lascia in
pace, capisci?” illustrò enfaticamente, con un che di
eccessivamente insistente.
Sasuke aggrottò
lievemente la fronte, incerto se alzarsi da tavola e andare a trucidare
immediatamente il biondo figlioletto di Shikamaru o, per una volta, scoppiare a
ridere impietosamente in faccia al proprio.
Alla tenera età di sette
anni, tenendo in vita una consolidata tradizione familiare, Chiyo Uchiha,
deliziosa fotocopia femminile del suo papà fornita di sfavillanti occhi
verdi opzionali, faceva già strage di cuori nei corridoio dell’accademia.
Alla bambina bastava comparire – il visetto fine e armonioso, i lucidi
capelli neri, il nasetto francese e le strabilianti iridi smeraldine -
perché l’attenzione della popolazione maschile fino al grado di
genin si concentrasse quasi asclusivamente su di lei. L’unico a non
subire il fascino della bimba era Minato Hyuuga, vuoi perché Chiyo era
la sorellina del suo migliore amico e quindi la considerava quasi una sorella
anche sua, vuoi perché sapeva benissimo che Itachi l’avrebbe
ucciso in modi tremendi se soltanto si fosse azzardato a guardarla, per non
parlare di quel che gli avrebbe fatto il padre.
Naruto aveva bel dirgli che era
tutta scena, che Sasuke per lui era un fratello e che in realtà era una
persona di una bontà disarmante: a Minato il capoclan degli Uchiha
faceva una paura fottuta. Il semplice andare a trovare Itachi a casa lo
inquietava, perché aveva sempre il timore di imbattersi nel padre per
caso in qualche corridoio. Quando accadeva, Minato perdeva la facoltà di
parola: in nessun altro modo, nemmeno ferendolo a morte, sarebbe stato
possibile far tacere quel giovane ed intrepido uragano dodicenne, ma davanti
agli occhi neri e gelidi del papà di Itachi Minato cadeva vittima della
timidezza di sua madre, con l’unica differenza che lui non riusciva nemmeno
a balbettare.
Itachi, ovviamente, trovava la
cosa di una comicità straordinaria e non perdeva occasione per far
capitare l’amico tra i piedi di suo padre, possibilmente quando Sasuke
era particolarmente di cattivo umore. Poi si sbellicava come un pazzo mentre
Minato inveiva e cercava di colpirlo con tutti i sistemi a lui noti, non appena
scomparso il Nemico.
Ad ogni modo, Minato era
l’unico a cui Chiyo non facesse né caldo né freddo. Tutti
gli altri avevano almeno un debole per lei, e se quasi nessuno
l’avvicinava, nemmeno innocentemente, era semplicemente perché
Itachi Uchiha, oltre al bel viso e le movenze eleganti, aveva ereditato un paio
d’altre cose dal fosco genitore: due occhi intensi che da neri
diventavano pericolosamente rossi in combattimento e un’aura di carisma
intimidente che poteva inquietare anche i più sbruffoni.
Itachi aveva infatti portato
alla perfezione anche una delle caratteristiche più particolari di sua
madre: la sua personalità era tanto ambigua da sfiorare la schizofrenia
patologica. Normalmente, Itachi Uchiha era un ragazzino di un’allegria e
un’amichevolezza adorabili, rideva di continuo ed era sempre attivo e di
buonumore. Ma quando c’era di mezzo Chiyo, il suo sguardo diventava
affilato come un kunai appuntito e il suo viso si contraeva in quella che la
sua stessa madre, dolcemente, aveva battezzato “la faccia da pazzo di
papà”.
L’espressione che
sfoggiava in quel momento, insomma.
“Asuma Nara,”
ripeté Sasuke atono, aggrottando la fronte.
“Lui. Ma non
preoccuparti, morirà presto.”
Sasuke guardò ancora il
figlio con vago scherno, cauto.
“Intendi
freddarlo?” domandò con curiosità.
Itachi, serio, annuì con
decisione.
“Oggi l’ha di nuovo
aspettata all’uscita dalle lezioni. E sai cosa? E’ la terza volta
che le porta la cartella, questa settimana,” illustrò indignato.
Sasuke lo scrutò
impenetrabile per qualche secondo, immobile, e Itachi attese guardingo. Di
solito, quando suo padre aveva quella faccia, era perché stava pensando
che l’interlocutore fosse un imbecille. La cosa rendeva il ragazzino
leggermente nervoso, anche se in quel momento era troppo preso dalla foga per
farci davvero caso.
“Itachi,”
esordì Sasuke impersonale. “Credevo che oggi fossi col tuo team.
Cosa ci facevi davanti all’accademia alla fine delle lezioni?”
Il ragazzino gettò
intorno a sé uno sguardo improvvisamente incerto, come valutando il
sistema migliore per svignarsela alla veloce. Si sistemò i capelli sulle
spalle – li portava un po’ lunghi e scompigliati, lasciati andare a
se stessi senza il minimo senso logico – e infine fissò il padre
con estrema innocenza.
“Passavo di
lì,” affermò candido.
Sasuke sollevò appena un
sopracciglio.
“Tutti i giorni, proprio
quando Chiyo esce da scuola?”
Itachi annuì
ripetutamente, convinto.
“E’ casuale,”
assicurò, facendo spallucce.
Sasuke sospirò irritato,
posando il bicchiere ancora pieno.
“Siediti,”
ordinò con un tono tale che a Itachi non venne nemmeno in mente di non eseguire
all’istante. Suo padre lo osservò gravemente e scosse piano la
testa, puntando i gomiti sul tavolo. Quindi poggiò il mento sulle mani
intrecciate e piegò lievemente il capo.
“Itachi, sono
relativamente certo che non sia necessario che tu pedini tua
sorella,” affermò
serio.
“Io non la pedino!”
protestò vivamente il ragazzino, indignato.
“No?”
“No! Io... Io mi assicuro soltanto che non le capiti
nulla.”
“Pedinandola,”
concluse Sasuke, laconico.
Itachi storse il naso
contrariato, distogliendo la sguardo.
“Capita che le dia
un’occhiata, qualche volta,” ammise in un borbottio stizzito.
Sasuke espirò profondamente,
osservandolo fisso.
“Itachi, sei un bravo
fratello. Davvero molto bravo, e hai seriamente aiutato me e la mamma a mandare
avanti la casa in questi ultimi anni. Ma non c’è bisogno che tu ti
occupi di Chiyo, ce la possiamo cavare.”
“Ma io...”
“E non ho intenzione di
ripeterlo, Itachi.”
Il tono era imperativo, secco.
Sasuke fissò ancora il figlio e pensò di dirgli che poteva
pensare lui a sua figlia e che voleva soltanto che si divertisse nel suo tempo
libero, come un qualunque giovane chunin quattordicenne in tempo di pace,
perché lo meritava, ma come al solito non una di quelle parole
affettuose lasciò le sue labbra.
Itachi si mordicchiò il
labbro, rabbuiato, e si alzò con rigidezza, annuendo.
“Non avevo intenzione di
contrariarti,” affermò inespressivo.
Sasuke si sentì
immediatamente un uomo orrendo. Quella era esattamente la frase che doveva aver
pronunciato suo fratello qualche dozzina di volte e lui non voleva minimamente
sentirla dire da suo figlio.
“Non mi hai
contrariato,” affermò, trattenendo la foga. “Te l’ho
detto, Itachi, se un bravo fratello e,” contonuò, distogliendo repentinamente
lo sguardo per affiggerlo verso la finestra, “un bravo figlio. Un
po’ troppo rumoroso, ma comunque...” borbottò imbarazzato.
“Pa’?”
Sasuke tornò a voltarsi verso
di lui, scoprendolo improvvisamente sorridente e solare.
“Dimmi.”
Itachi esitò per qualche
istante, anche se Sasuke non poteva sapere perché, né che
c’erano pensieri che gli frullavano per il capo da qualche tempo. Itachi
stava diventando un adulto e lui per primo se ne rendeva conto, ma gli era
stato insegnato ad essere prima di tutto se stesso e intendeva continuare a
seguire quella linea.
“So che ormai sono grande
e non è più molto appropriato, ma,” iniziò
schiettamente, con un’incertezza che gli rosava le guance e le mani
ficcate in tasca, strofinando un piede in terra, “ti darebbe molto
fastidio se io continuassi ad abbracciarti, ogni tanto?”
Sasuke sussultò con la
certezza assoluta di essere appena diventato color mattone, affrettandosi a
voltare il viso verso la parete opposta. Si schiarì la voce, compito, e
raddrizzò signorilmente le spalle.
“Gradirei che
accadesse,” biascicò, mostrandosi noncurante.
E le braccia di Itachi si
chiusero intorno alle sue spalle, lasciandolo per qualche istante pietrificato.
Nonostante il passare del tempo e le evoluzioni della vita Sasuke Uchiha
continuava ad essere un uomo chiuso e austero, ma fortunatamente ci pensava suo
figlio ad essere espansivo per entrambi, esattamente come la madre.
“Darai tregua a tua sorella?”
asserì severamente, poggiandogli una mano sulla spalla.
“Certo, pa’. Hai
ragione.”
Sasuke annuì
soddisfatto. Dopotutto, un po’ di disciplina gliel’aveva insegnata.
“MAMMAAAA!”
Chiyo aveva dato mostra di
un’incredibile capacità polmonare sin dalla culla; col passare
degli anni quella caratteristica non s’era mitigata, ma anzi si
accresceva sempre maggiormente.
Chiyo viveva urlando.
La cosa esasperava Sasuke e rendeva Sakura pericolosamente
esaurita, ma la bambina non sembrava notarlo. Del resto la venerazione
dell’intero nucleo familiare nei suoi confronti era tale che quelle
piccolezze la sprofondavano nell’indifferenza.
Difatti, Chiyo Uchiha aveva:
-
una madre che stravedeva per lei e la
riteneva la bambina più meravigliosa di Konoha,
-
un padre del tutto incapace di non
acconsentire a qualunque sua richiesta, anche la più insensata,
-
un fratello maggiore che viveva in sua
funzione.
Era comprensibile, dunque, che
Questo non impedì che,
mentre si precipitava in cucina strillando a tutta forza, il piatto che Sakura
stava trasportando le sfuggisse di mano, ribaltandosi a terra. Sasuke
osservò con aperta delusione lo stufato di lepre che la moglie aveva
impiegato mezza giornata a cucinare spalmato sulle mattonelle del pavimento,
sospirò pazientemente e le lanciò un’occhiata di scherno,
ma lei si limitò a ringhiare minacciosamente con vaga collera, irritata.
Perché Sakura Haruno Uchiha amava:
-
il marito in ogni sua forma, come noto
agli abitanti tutti delle cinque nazioni maggiori e limitrofe,
-
far acciambellare Bombo sui propri
piedi nel letto quando Sasuke era fuori in missione,
-
guardare Itachi che leggeva, con la
testa poggiata alla mano e gli occhi che saettavano vivaci lungo le righe,
-
comprare vestiti a Chiyo,
-
fare colazione all’alba sul
tetto dell’ospedale,
-
tornare a casa dal lavoro stanchissima
e trovare Sasuke in cucina col grembiule addosso, un plotone di piatti sporchi
e il sugo persino in testa; poi le toccava pulire per due giorni, ma lo
spettacolo della vergogna di lui era impagabile.
Però, al contempo,
Sakura Haruno Uchiha odiava:
-
basilarmente, che sua figlia
l’aggreddisse mentre serviva in tavola un raffinato piatto d’alta
cucina, facendoglielo cadere di mano.
“Che c’è,
tesoro?” chiese stridula.
“Lo odio! Lo
odiolodiolodiolodo! LO ODIO!” sbraitò furiosamente la bambina,
viola e scomposta.
“Chiyo!”
s’aggiunse in quell’istante la voce di Itachi proveniente
dall’ingresso. “Pretendo delle scuse!”
“TI ODIO!”
ululò lei astiosa. “Sei il fratello più schifosamente
schifoso che,” e qui sua madre si schiarì severamente la voce,
completamente ignorata, “esista in tutto lo schifoso mondo! Spero che tu
muoia!”
“CHIYO!”
ruggì Sasuke anticipando di una frazione di secondo la moglie. “Chiedi.
Immediatamente. Scusa,” sibilò gelido, osservandola con eloquenza.
Chiyo gli lanciò
un’occhiata vagamente colpevole, stringendo le labbra, ma nel veder
comparire il fratello sulla soglia non poté reprimere la furia.
“Ti odio! Ti
odierò tutti i giorni della mia vita e non ti parlerò mai
più!” ribadì imbestialita, con le lacrime che tremavano
nella voce, prima di scagliarsi verso l’esterno schizzandogli affianco.
“Sono tumefatto dal
dispiacere, credo che non ci dormirò la notte,” replicò
Itachi con scherno, noncurante.
L’unica risposta che
ricevette fu un sonoro singhiozzo, accompagnanto dallo sbattere d’una
porta. Poi, sulla cucina calò il silenzio. Infine il ragazzino
sbatté gli occhi, prese un respiro ed osservò con
curiosità il pranzo sparpagliato in terra.
“Cos’è
successo allo stufato?” chiese innocentemente.
“Alla mamma non piaceva
com’è venuto il sugo,” rispose Sasuke, grondando sarcasmo.
Il figlio però non sembrò particolarmente stupito da
quell’affermazione e si limitò ad annuire, vago.
“Quei ravioli al vapore
si possono mangiare?” chiese, accovacciandosi davanti al tavolo.
“Itachi, cosa cavolo hai
fatto a tua sorella?” sbottò irosamente Sakura, mentre lui si
riempiva il piatto con gli antipasti.
Il ragazzino si strinse nelle
spalle, impugnando le bacchette senza guardare nessuno.
“Quel che dovevo. Adesso
mi odia, ma un giorno mi ringrazierà.”
“Che stronzata,”
commentò Sasuke, asciutto.
“Asuma Nara stava per
baciarla. Insomma, hanno sette anni!” sbottò Itachi indignato,
sventolando un raviolo con foga.
“Nara stava per cosa?” ringhiò Sasuke
sbiancando.
Sakura si affrettò a
poggiargli una mano sulla spalla, prima che lui si alzasse e andasse a dar
fuoco alla graziosa casetta di Ino.
“Beh, su una guancia, ma comunque!” continuò Itachi,
acceso. “Se lo vedo di nuovo intorno a mia sorella gli spezzo la schiena,
a quel pivello,” concluse torvo.
“Non sarà
necessario, perché gliela spezzo io,” ringhiò suo padre,
gelido.
“Non ti azzardare nemmeno
a pensare di metterti a bisticciare con dei bambini o io chiedo il
divorzio!” lo zittì Sakura severamente, lo sguardo che lampeggiava
irritazione. “Vi siete bevuti il cervello, geni? Forse vi è
sfuggito un piccolo dettaglio, ed è che a Chiyo Asuma piace!” aggiunse ferma, alzando
lievemente la voce.
“Ha sette anni!”
ribadì Sasuke scandalizzato.
“Non capisco quale sia il
problema, non fanno altro che giocare insieme e tenersi la mano, sono solo
bambini,” rispose seccamente lei, con una smorfia irritata.
“Ma è
piccola!” insistette Sasuke sdegnoso, e suo figlio annuì
ripetutamente con accordo.
“Sette anni è
esattamemente l’età che avevo io quando...” ribatté
lei rabbiosa prima di serrare le labbra, lanciando al marito un’occhiata
quasi rancorosa. “Ora voi due aprite bene quelle vostre orecchie Uchiha:
Chiyo ha avuto la fortuna di fare amicizia con un bambino gentile, premuroso e
simpatico, che s’interessa a lei, la aiuta sempre ed è molto
intelligente. Provate a torcere anche un solo capello ad Asuma Nara e ve la
vedrete con me, mi sono spiegata?” concluse minacciosa, stringendo
entrambe la mani a pugno.
“Ma…”
“E STAI ZITTO,
Sas’ke!” sbraitò lei imbestialita, prima di marciare fuori dalla
cucina e sbattersi la porta alle spalle.
Itachi, che era rimasto
saggiamente immobile ed in silenzio per evitarsi un paio di cazzotti,
sbatté un paio di volte gli occhi guardando la porta con
perplessità.
“Pa’, che genere di
trauma ha avuto la mamma a sette anni?” chiese interessato, con voce
seria.
Sasuke, in tutta risposta, si
limitò a stringersi nelle spalle.
“E’ fuori di
testa,” borbottò incerto.
“Dev’esserle pur
successo qualcosa...” continuò a cogitare il ragazzino.
“Ma sì, si
è invaghita di un bambino,” brontolò Sasuke controvoglia,
addentando pigramente un raviolo.
“Oh!”
commentò Itachi soddisfatto, cogliendo il punto. “Ecco cosa, il
primo amore. Che roba smielata da femmine,” precisò, storcendo il
naso con pena, vagamente schifato. “Pa’, io lo conosco?”
Sasuke si limitò a
sbuffare profondamente, inghiottendo un secondo boccone, e Itachi sgranò
gli occhi.
“Eri già
tu?” esclamò stupito, sporgendosi verso di lui.
“Piantala di fare il
ficcanaso, testina,” lo zittì il padre, corrucciato.
Poi risbuffò, si
tirò in piedi e cominciò a raccogliere lo stufato da terra
interrompendo ogni comunicazione. Itachi rimase fermo ad osservarlo
finché non si udì bussare alla porta, ma non ebbe bisogno
d’alzarsi per andare ad aprire che un balzellio di passi
s’avvicinò alla cucina.
“Itachi! Itachi siamo in
ritar...” iniziò la voce allegra di Minato, appena prima che la
sua zazzera bionda sbucasse dalla soglia. Il suo sfolgorante sorriso si fece
incerto mentre Sasuke si raddrizzava, squadrandolo dall’alto in basso.
“Oh, grandioso, ci
mancavi solo tu,” commentò l’uomo piatto, con vaga
ostilità.
“Ah... B...b...”
biascicò Minato sottovoce, col viso che si faceva bianchiccio e slavato.
Itachi, la mano davanti alla
bocca, ridacchiava in silenzio.
“Sei sveglia?”
Sakura restò ad occhi
chiusi e corrugò la fronte, rimanendo immobile nel buio della camera da
letto. Sentì Sasuke muoversi discreto e poi il materasso abbassarsi
sotto il suo peso, cigolando lieve.
“Sakura?”
sussurrò lui. “Lo so che non sei addormentata.”
“No, ma lo sarò
presto se tu starai zitto,” rispose brusca. “Devo alzarmi
all’alba, domani.”
Sentì Sasuke sospirare
lungamente.
“Sakura, non essere
ridicola,” la riprese lui, grave.
Lei raddrizzò la testa
di scatto.
“Io non sono ridicola,
semplicemente rifiuto di litigare e resto in silenzio. Vedi di fare
altrettanto,” ribatté piccata.
Sasuke non emise una sola altra
sillaba. Si limitò a sdraiarsi, scivolando sotto le coperte, e restare
perfettamente immobile per un tempo così lungo che se il respiro troppo
poco profondo non l’avesse tradito lei sarebbe stata certa che si fosse
addormentato. Aggrottò la fronte, ruotando supina.
“E piantala.”
“Ma non sto facendo
niente,” si difese lui, altero.
“Sì, invece. Stai
aspettando che io mi esasperi per il tuo silenzio e ti parli,” lo
rimbeccò lei, severa.
“…Beh, indovina:
funziona.”
Sakura sgranò
leggermente gli occhi e trattenne al pelo un riso inaspettato, istintivo.
Scosse il capo sul cuscino e gli diede nuovamente le spalle, rannicchiandosi.
Sasuke sospirò ancora
dopo un altro breve silenzio.
“E dai, Sakura, non farti
tirare fuori le parole a forza,” borbottò annoiato.
“Vorrei proprio
vedere,” mormorò lei, ironica.
L’idea era pessima e se
ne rese conto immediatamente, sentendolo finalmente muoversi.
“Ah sì?”
replicò Sasuke, sovrastandola.
“Finiscila!”
esclamò aggressiva, divincolandosi mentre lui le stringeva i polsi senza
considerevole forza. “Sas’ke!” continuò alzando la
voce, contorcendosi mentre lui le punzecchiava un fianco col dito.
“Shh…”
mormorò il genio contro il
suo orecchio. “I bambini ti sentono.”
“E allora tu
levati!” sbottò lei astiosa. “Ho detto levati!”
ripeté collerica, rifilandogli una gomitata quando la sua mano
s’infilò sotto la sua camicia da notte.
Sasuke sbuffò,
accasciandosi sul materasso al suo fianco. Sakura quasi se ne dispiacque, con
non molta coerenza.
“Ti decidi?”
“Sei uno stronzo e sei
gretto e maschilista,” asserì lei diretta. “Se fosse Itachi
a sbaciucchiare ragazzine a destra e a manca non faresti una piega.”
“Itachi è
più grande,” rispose lui con determinazione.
“Non cambia nulla e lo
sai benissimo.”
“No invece! Chiyo
è piccola, ed è…”
“Una femmina, e deve
stare buona in un angolo. Le donne non devono prendere iniziative, no?”
lo riprese lei, caustica.
“E se così
fosse?” rispose Sasuke seccamente.
“Se così fosse, tu
non avresti due figli, adesso. Non saresti nemmeno qui. In effetti,
probabilmente a quest’ora saresti morto.”
“Questo che
c’entra?” replicò lui, sulla difensiva.
“Niente. Lasciate in pace
Chiyo e basta. Che viva la sua vita, è una bambina in gamba,” lo
lapidò Sakura, ferrea.
Sentì la testa di Sasuke
muoversi con un fruscio e accostarsi al suo orecchio.
“Come quell’oca di
sua madre,” mormorò lui a pochi millimetri dalla sua pelle.
Sakura lo spintonò,
senza troppa convinzione, e Sasuke la circondò in un abbraccio.
“Dovresti fondare il
movimento di liberazione delle kunoichi, Sakura,” la schernì
ironico.
“Potrei,”
ribatté lei con petulanza.
“Sarebbe
un’umiliazione abissale.”
“Ci si chiederebbe che ne
sia stato della tua virilità, mh?” osservò Sakura,
asciutta.
“Quella non è in
discussione,” ribatté Sasuke altezzoso. “Ma ti conosco e
riempiresti la casa di proclami, gadget e stronzate, poi andresti in giro a
fare proselitismo e minacceresti di morte i tuoi detrattori. Voglio dire, io lo
so che fai finta di essere una donna
ragionevole,” la contraddisse lui, strofinandole il naso tra i capelli.
“Vaffanculo, signor
U,” replicò lei, con uno sbadiglio represso a metà.
“Mh-mh, dopo,”
mormorò lui, facendo scivolare la mano su per l’interno della sua
gamba.
Minato sbuffò
profondamente, fissando il cielo con vitrei occhi nivei. Da un quarto
d’ora cercava insistentemente d’ignorare qualunque suono
d’origine umana, ma non era facile con Itachi che straparlava a tre
centimetri dal suo orecchio sinistro.
“L’hai visto? No,
ma l’hai visto? Quel pidocchio vuole la guerra, te lo dico io. E allora
che guerra sia,” ribadiva il giovane Uchiha in quel momento, per qualcosa
come la quinta volta consecutiva.
“Mh,” esalò
Minato, con un tono che poteva ricordare vagamente l’assenso.
“La prossima volta che le
rivolge anche solo la parola, giuro che io…”
“Tua madre ti
spaccherà le ginocchia,” osservò ragionevolmente Minato,
sornione.
“Se è il prezzo da
pagare lo sopporterò,” rispose l’altro, senza fare una
piega. “Mia sorella non si farà intortare dal primo che
passa.”
“Ma Asuma è
simpatico, no?” rispose Minato perplesso, non cogliendo il punto. Itachi
lo squadrò truce, assottigliando le palpebre.
“Hyuuga, ma tu da che parte
stai?” ribatté seccamente.
“Dalla tua! Come sempre,
no?” si affrettò a rispondere Minato con foga.
Itachi Uchiha era assolutamente
il suo migliore amico, in ogni modo possibile. Da quando lo conosceva, riversava in lui una stima
incrollabile. Itachi era intelligente, era coraggioso, era carismatico ed era
il miglior ninja uscito dall’accademia da che lui avesse memoria: in una
parola, un figo. Quando avevano fatto amicizia, aveva temuto che quel bambino
tanto in gamba, più grande di lui, volesse ingraziarselo soltanto
perché i loro genitori erano amici o per compiacere suo padre,
l’Hokage. Ma, in realtà, aveva scoperto che Itachi lo trovava
simpatico, perché insieme ridevano come con nessun altro, e che era
molto più solo di quanto ci si potesse aspettare: la grandezza genera
invidia, e inoltre il cognome Uchiha era un cognome che faceva ancora paura.
Minato non ci aveva mai badato,
perché suo padre gli aveva detto chiaro e tondo fin da subito che Sasuke
Uchiha era un uomo eccellente, era il suo consigliere e la persona in cui
nutriva più fiducia in tutto il villaggio, ma Itachi aveva già
litigato con parecchi altri studenti – era stato un ragazzino invidioso
di lui a sbattergli in faccia senza la minima delicatezza che suo padre era un
fratricida e un nukenin – e anche se quella era stata l’unica volta
che Itachi ne aveva parlato con i genitori c’erano state altre baruffe,
che però il ragazzino era riuscito a far passare sotto silenzio.
“Non voglio che
Sas’ke si preoccupi per me,” aveva spiegato semplicemente, con
noncuranza.
Lo chiamava sempre per nome, e
non soltanto “papà”, quando lo citava con terzi. Diceva che
era una questione di rispetto, e ne nutriva una quantità infinita nei
confronti del padre: forse era anche per questo che Minato se ne sentiva tanto
in soggezione.
Le beffe, i pregiudizi e le
manifestazioni di sprezzo sembravano non scalfirlo, e se si arrabbiava era soltanto quando Chiyo veniva coinvolta
in quel bullismo gratuito: allora Itachi si trasformava in un concentrato di
violenza. Erano davvero in pochi, ormai, ed osare dir qualcosa alla bambina.
Asuma Nara non era, ovviamente,
una di quelle persone, ma ad Itachi era antipatico lo stesso. Minato non aveva
impiegato più di due minuti a realizzare che si trattava di banalissima
gelosia, ma si era limitato ad assecondarlo. Ormai, però, la psicosi del
suo amico stava raggiungendo picchi preoccupanti.
Come dirglielo senza ferirlo
nell’orgoglio, era la vera domanda che Minato si poneva.
“Bisogna che gli dia una
lezione,” stava borbottando il suo amico, fosco.
“Ma è
piccolo,” osservò
Minato per placarlo. “Non puoi pestare uno che non è
nemmeno genin. Tu sei un chunin e stai per diventare jonin!”
Itachi lo osservò
penetrante, arricciando le labbra, quindi annuì con sbuffo.
“Hai ragione,
Minato,” concordò, placido, facendolo sospirare di sollievo.
“Lo farai tu per me.”
“E-EEH?”
sbraitò lui esterrefatto.
Itachi annuì,
soddisfatto dell’idea brillante.
“Tu sei un genin, la
sproporzione non sarà eccessiva.”
“Io sono uno Hyuuga e
farò l’esame tra un mese! Ho un byakugan, e non posso incasinare
mio padre!” protestò Minato allibito, sventolando le mani. Di
tutte le idee senza senso, quella era la più cretina.
“Mica lo devi
ammazzare,” osservò Itachi, minimizzando. “Devi solo
gentilmente spiegargli che se sta lontano da Chiyo è molto meglio. Per lui,
ovvi…” E Itachi s’interruppe aggrottando la fronte nel vedere
improvvisamente il volto dell’amico farsi rossiccio e poi bianco come un
cencio, mentre fissava un punto proprio dietro di lui. Sospirò
rassegnato, scuotendo la testa. “Ciao, pa’,” salutò,
vacuo.
“B…b…”
squittì Minato senza voce.
“Non ti sforzare o te la
farai addosso,” lo graziò Sasuke, laconico.
Itachi si voltò verso di
lui sogghignando, ma l’espressione seria e severa di Sasuke non
prometteva bene.
“Tu non farai picchiare
proprio nessuno, Itachi,” lo aggredì freddamente il genitore.
“E…eh,”
sfiatò Minato, con quella che poteva essere approvazione.
“Credevo tu fossi dalla
mia parte, pa’,” osservò Itachi un po’ risentito.
Sasuke s’accigliò
ulteriormente, sbuffando, quindi voltò lo sguardo direttamente verso
Minato, che si raggelò sul posto.
“Potresti lasciarci? Sono
sicuro che Naruto sarà felice di averti in mezzo ai piedi,”
suggerì l’adulto, noncurante. Itachi trovava straordinario il modo
in cui si beffava del suo amico con fare assolutamente serio e credibile. Che
attore, suo padre.
Minato annuì a
ripetizione, si gettò sullo zaino e se lo infilò in spalle
blaterando forse un saluto, prima di sparire. Itachi lo salutò con un
cenno continuando a osservare Sasuke, che da parte sua fissava vagamente
sconcertato la figuretta del piccolo Hyuuga in allontanamento.
“Tu mi trovi così
terrificante?” domandò pensoso.
Itachi scosse la testa,
sorridendo. Quand’era arrabbiato Sasuke faceva quasi paura persino a lui, ma erano casi eccezionali.
Comunque fosse, Sasuke si
riscosse con una scrollata di spalle, prima di tornare ad osservarlo
gravemente.
“Stammi a sentire,
Itachi,” esordì deciso. “Tu non devi fare del male ad Asuma
Nara, chiaro?”
“Perché no?”
protestò il figlio, cui quel progetto pareva perfettamente legittimo
– beh, all’incirca.
“Perché poi la
mamma farà molto male a
me,” rispose Sasuke, stoico. Poi sbuffò, accoccolandosi sul prato.
“D’accordo, non è il vero motivo,” ammise,
definitivamente serio.
“Oh, no, era una ragione
valida,” commentò candidamente Itachi, convinto: sua madre, lei
sì che faceva paura.
“Ascoltami, adesso. Io
capisco che ti preoccupi per Chiyo perché è più piccola e
tutto quanto, ma lei deve vivere la sua vita e tu la tua, Itachi.”
“Ma lo faccio! E
già che ci sono…”
“No, Itachi,” lo
interruppe il padre, fermo. “Non funziona così.”
Il ragazzino si rabbuiò,
malcontento.
“Ma se quello lì
poi la fa stare male..?” iniziò scettico.
“Tua sorella starà
male, prima o poi nella vita. È inevitabile, succede a tutti e in genere
si sopravvive. Non puoi farci molto.”
“E allora a cosa
servo?” protestò Itachi frustrato.
Sasuke lo guardò con gli
occhi allargati e lui ebbe l’impressione di aver fatto una domanda fuori
luogo. Forse, dopotutto, suo padre non era la persona adatta a parlare di cose
del genere.
“Puoi…essere
lì, quando succederà,” rispose Sasuke lentamente.
“Porgerle un fazzoletto quando piange e quel genere di cose per
femmine.”
Itachi si accucciò al
suo fianco, sbuffando.
“Tanto Chiyo mi odia,”
borbottò avvilito.
“Non essere cretino,
Itachi. Ovviamente non ti odia.”
“L’ha detto
lei!”
Sasuke scrollò la testa.
“Si dicono una
quantità di cose, quando si è arrabbiati,” affermò
meditabondo.
Itachi ci pensò un
po’ su, esitando a parlare.
“…Pa’?”
borbottò infine.
“Dimmi.”
“Tu sei ancora
arrabbiato?”
Sasuke rimase in silenzio per
qualche secondo, impenetrabile.
“Un po’.”
Espulse un sorriso stentato. “Ha deciso tutto lui senza
interpellarmi,” aggiunse a mo’ di spiegazione.
“E allora perché
mi hai chiamato come lui?”
Suo padre scrollò le
spalle, strappando distrattamente qualche filo d’erba.
“Itachi è un bel
nome. Un nome da eroe.”
Restarono in silenzio per un
paio di minuti, pensosi.
“Potrei chiedere a Chiyo
se Asuma le è davvero simpatico. E se è gentile con lei. Potrei
intervenire in un secondo momento, nel caso in cui non lo fosse,”
ipotizzò Itachi, mitigato.
“Mi sembra una buona
idea,” concordò Sasuke, dopo una breve riflessione.
“Farò
così,” si risolse Itachi, alzandosi. “Vado a cercare Minato
per vedere se se l’è fatta addosso.”
“Vai. Divertiti.”
Il ragazzino annuì
sorridendo, prima di schizzare via. Sasuke lo guardò sparire e si
sentì molto stanco, e contemporaneamente molto in pace con se stesso. Ma
aveva ancora una cosa da fare, prima di andare a far due passi nella foresta
con Bombo per rilassarsi.
“Chiyo, sei in
camera?”
“Se c’è
Itachi con te, no!”
“…Sono da solo. E
sto entrando,” affermò suo padre, prima di sbucare dalla porta.
Chiyo lo guardò diffidente, con le labbra increspate da un leggero
broncio. Accucciato ai suoi piedi, un sonnecchiante Bombo scodinzolò con
impegno nello scorgere la figura dell’adoratissimo capobranco.
“Se vuoi dirmi qualcosa
di cattivo su Asuma…” iniziò bizzosa.
“No. Veramente sono qui
per tutt’altro motivo.”
La figlia sospirò
leggermente, poi tese le braccia e si fece prendere in braccio più
bendisposta, atterrando sulle ginocchia del padre che s’accomodava a
sedere sul suo lettino. Il cane si rimise sulle zampe, trotterellò
accanto a loro, si sedette ed appoggiò il muso sul materasso sfregando
il naso contro la gamba di Sasuke. Rassegnato, il genio gli stropicciò
le orecchie guadagnandosi un nuovo scodinzolio.
“Cosa?” chiese
Chiyo, sospettosa.
“Quello che hai detto
prima a tuo fratello.”
Lei s’irrigidì,
sulla difensiva.
“Che lo odio? È
v…”
“Che speri che muoia. Lo
so che eri arrabbiata, Chiyo, ma voglio che tu non dica mai più una cosa
del genere davanti a me,” rispose Sasuke, grave. “Oltretutto
è completamente falsa,” precisò con fermezza.
Chiyo esitò per qualche
secondo, perplessa. Era rarissimo che suo padre pretendesse qualcosa da lei, in
genere accadeva esattamente il contrario, né la piccola aveva idea che
fosse già esistito un altro Itachi prima di suo fratello. Storse le
labbra in una smorfia infantile e sbuffò annoiata.
“Mi fa arrabbiare.”
“E’ il suo lavoro,
è tuo fratello.”
“Asuma è mio
amico,” aggiunse Chiyo con sicurezza. “E a lui non importa come mi
chiamo!”
Sasuke serrò le labbra,
mascherando la sorpresa.
“Agli altri sì,
vero?” chiese a voce bassa. Chiyo si strinse nelle spalle.
“Itachi li fa stare zitti
tutti. Nessuno vuole fare a botte con lui, è troppo forte,”
precisò, senza riuscire a celare una nota d’orgoglio per la
bravura del fratellone.
“Succede spesso?”
“Non credo, ma Minato lo
sa meglio di me.”
Sasuke sospirò tra
sé, annuendo. A quanto pareva, c’era qualcos’altro che suo
figlio aveva trascurato di dirgli.
“Chiyo, senti. Itachi si
preoccupa soltanto, per te. Lo so,” l’anticipò, vedendola
sul punto di protestare, “che è insopportabile, ma devi aver pazienza.
I fratelli piccoli devono restare con la testa sulle spalle, o quelli grandi
fanno un gran pasticcio.”
Lei l’osservò
scettica, senza troppa convinzione. Ma quello era il suo diletto papà e
lei avrebbe finito per credergli anche se avesse affermato di saper volare come
un falco.
“Gli dirai di
smetterla?” chiese scocciata.
“Diglielo tu. Senza
aggiungere che lo vuoi morto, magari.”
Chiyo sospirò come una
martire, poi annuì pazientemente.
“Solo perché sono
buona,” precisò sostenuta.
Sasuke annuì compreso,
accigliandosi pensoso.
“Visto che sei buona,
potresti fare una cosa per me. Io adesso ho un paio di affari da sistemare, ma
vorrei ti occupassi di una faccenda prima che la mamma rientri. Ma devi
promettermi che manterrai il segreto e non le dirai mai che te l’ho
chiesto io.”
“Cosa?”
s’informò la bambina, attenta.
Naruto gli aveva parlato di un
paio di episodi tumultuosi, in accademia, ma Sasuke aveva pensato che la
faccenda, dopo il drammatico litigio che aveva portato Itachi a scoprire la
verità sul suo passato in modo decisamente traumatico, si fosse
conclusa. Invece, a quanto pareva, c’era stato ancora qualche problema.
Peccato che suo figlio non
avesse ritenuto necessario farglielo presente. D’altra parte, quella era
stata la prima volta che avevano di nuovo accennato ad Itachi, lo zio, da
allora: era evidente che l’argomento, a ragione, turbava il ragazzino, e
probabilmente aveva semplicemente preferito sbrigarsela da solo per non tirarlo
più in ballo.
Ma Sasuke si sentiva ugualmente
angustiato e vagamente depresso – cosa non poi così insolita, in
fin dei conti – quando bussò con decisione alla porta e se la vide
aprire da Hinata, sorridente ed ignara.
“Ciao,
Sas’ke,” cinguettò la donna col suo tono calmo, gentile.
“Cerchi Naruto?”
E Sasuke non fece nemmeno in
tempo ad iniziare a rispondere che no, effettivamente cercava Minato, che lei
già spariva nel suo modo silenzioso. Nell’arco di tre secondi la
stanza era invasa dalla presenza colorata e vitale di Naruto, nel suo pastrano
da Hokage.
“Yo, Sas’ke,”
esordì il jinchuuriki, con fare indaffarato. “Proprio a te
pensavo. Dato che oggi ti sei dato alla macchia, se hai una mezz’ora
potremmo occuparci di quella prat…”
“Sto cercando tuo figlio,”
lo interruppe Sasuke, sbrigativo. “E’ già rientrato?”
Naruto si bloccò con la
mano a mezz’aria, le labbra semiaperte.
“E’ tornato da dieci
minut… Perché cerchi Minato?” chiese stupito.
Sasuke si strinse nelle spalle
con sufficienza.
“Voglio solo chiedergli
una cosa,” rispose neutro.
Naruto si limitò a
squadrarlo attentamente. Col tempo, aveva sviluppato una sorta
d’involontaria empatia, o forse uno sguardo particolarmente profondo su
Sasuke. Sapeva captare il suo stato d’animo con un’occhiata, e in
quel momento Sasuke non era tranquillo.
“E’ successo
qualcosa ad Itachi?” chiese, serio.
Sasuke fece ancora spallucce,
annoiato.
“No, voglio solo
chiedergli una cosa. Nulla di che,” ribadì sostenuto.
Naruto aggrottò la
fronte, sbuffando. Si voltò facendo per chiamare il figlio, ma poi
s’irrigidì di scatto. Minato, decisamente, non avrebbe apprezzato
quella particolare visita.
“Che?” lo
apostrofò Sasuke, seccato.
Naruto storse le labbra, con
una smorfia.
“E’ che tu lo
inquieti. Sicuramente lo hai spaventato in qualche tuo modo,” aggiunse
ostile, guardandolo storto, “e adesso la tua presenza lo
innervosisce.”
“Se tuo figlio è
un…”
“Ti consiglio di non
finire la frase, teme!” abbaiò Naruto minaccioso.
“Minaatooo! Vieni un momento!”
“Che c’è,
paps?” fu l’argentina replica del ragazzino, dal piano di sopra.
“Paps?” bisbigliò Sasuke, e dalle sue labbra
sfuggì uno leggero strombettio di scherno.
“Vai a cagare,
teme,” sibilò Naruto imbarazzato. “Minato, c’è
Sas’ke che ti vorrebbe chiedere una cosa.”
“C-chi?”
squittì il ragazzino, palesemente atterrito. Naruto lo trovava imbarazzante:
suo figlio sapeva mantenere il sangue freddo e la temerarietà davanti a
qualunque pericolo, e riusciva a far la figura dello smidollato proprio con
quel fetente di Sasuke. Ironia della vita, era il caso di dirlo.
“Su, scendi,” lo
spronò il padre senza troppe cerimonie.
Minato comparve con
l’espressione di un condannato al patibolo, e vedendo il Nemico
deglutì visibilmente.
“B…b…b…”
“Per carità,
evitiamo i convenevoli o si fa l’alba di domani,” lo troncò
Sasuke, brusco.
“SAS’KE!”
sbottò Naruto inviperito, mentre Minato si faceva violaceo.
“Smettila di spaventarlo, pezzo di somaro!”
Minato era rimasto piantato
sull’ultimo gradino e annaspava, vergognoso. Riuscì a controllarsi
soltanto pensando alle risate che si sarebbe fatto Itachi se l’avesse
visto, e rimase fermo con un sorriso simile a una smorfia di dolore, facendo
violenza a se stesso.
Sasuke gli elargì uno
sguardo pietoso, ignorando l’amico. Dopotutto, essendo figlio del dobe,
quel ragazzino necessitava di tutto l’aiuto possibile.
Minato guardava lui con velato
panico, e Naruto osservava a turno l’uno e l’altro. Soltanto dopo
parecchi secondi Sasuke sbuffò esasperato.
“Sua Sommità il
Rokudaime potrebbe, forse, lasciarci soli un minuto...?” ipotizzò,
tagliente.
Naruto lo osservò
sorpreso e Minato sembrò, se possibile, ancor più congestionato.
Poi l’Hokage annuì rabbuiato, nonostante lo sguardo supplice del
figlio. Nel muoversi passò accanto all’amico.
“Sicuro che va tutto
bene?” chiese piano, e Sasuke annuì palesando irritazione.
“Me lo diresti, dì..?”
Me lo diresti se avessi un problema serio, vero?
“Non farla tragica, dobe,
mi serve solo un’informazione.”
Naruto si congedò con un
ultimo cenno, lasciandoli soli nell’ingresso. Minato restò
immobile e impalato e Sasuke lo osservò sconfortato, prima di prendere
un lungo respiro.
“Facciamo così: io
ti rivolgerò una serie di domande per cui ti sarà sufficiente
rispondere con semplici cenni del capo, così eviteremo di tirarla per le
lunghe,” propose spiccio, senza arrendersi. Se ce la faceva a comunicare
col padre, figurarsi se lo poteva fermare il figlio.
Minato, dopo un attimo dì
immobilità, annuì lentamente.
“Vedo che hai capito il
principio. Sono venuto qui perché Chiyo mi ha detto che a volte Itachi
litiga con altri ragazzi. È vero?”
Minato esitò per un istante,
poi scosse piano la testa con lo sguardo fisso. Sasuke non gli credette nemmeno
per un secondo, ma ne dedusse che probabilmente il ragazzino non voleva tradire
la fiducia dell’amico.
“Stai a sentire, non
è rispondendomi il falso che lo aiuti, lo sai, no? Vent’anni fa il
clan Uchiha era un problema così grosso che il villaggio ha deciso di
sterminarlo. Pensi di proteggere Itachi facendo finta di niente?”
Il ragazzino sgranò gli
occhi chiari con stupore, scosse la testa, socchiuse le labbra e se le inumidì.
“Qualche volta… Ma
q-quelli che lo scocciavano ormai hanno quasi tutti paura di lui. Ogni tanto
provano a dare fastidio a Chiyo, ma se le prendono ancora peggio.”
“Sono tanti?”
“N-no… Soltanto
qualcuno. A tanta gente Itachi è simpatico, anche se sono in pochi ad
essere proprio in confidenza con lui. Mette un po’ soggezione, o qualcosa
del genere. Non so, per me è soltanto il mio migliore amico e mi fa
ridere. Comunque è un bel po’ di tempo che non gli dà noia
nessuno.”
Il giovane Hyuuga aveva ritrovato
la favella, e questo era abbastanza in linea con la sua eredità
genetica: pronti ad affrontare qualunque ostacolo, per il bene di un vero
amico.
“Va bene,”
mormorò Sasuke, annuendo.
Lo salutò con un cenno e
se ne andò senza nemmeno dire una parola a Naruto. Stava raggiungendo
casa quando individuò la sagometta del figlio sul tetto di una delle
ville abbandonate del quartiere. Lo raggiunse rapidamente, scavalcando balconi
di ringhiera in ringhiera. Se sua nonna l’avesse mai visto fare una cosa
del genere avrebbe tirato fuori il battipanni.
“Oh, pa’,
ciao,” salutò Itachi, rizzandosi a sedere da sdraiato che era.
“Mi sto preparando cosa dire a Chiyo,” annunciò pomposo.
Sasuke lo guardò con
serietà, cupo.
“Perché non mi hai
mai detto dei litigi con gli altri?”
Itachi sgranò gli occhi
e socchiuse le labbra, sorpreso. Distolse lo sguardo e poi accennò un
risolino educato.
“Perché non fa
niente, pa’. E poi non mi dà fastidio. L’importante è
che lascino stare Chiyo.”
“Però
tu…”
“Io non ci faccio nemmeno
caso. È normale, lo capisco. Io sono forte, e sono un privilegiato. Sono
troppo potente per quasi tutti loro, e per questo mi ammirano, ma sono
invidiosi. Del resto, come dar loro torto,” concluse, sogghignando.
Essere forti, significa essere isolati e diventare
arroganti, disse nella memoria di Sasuke
un’altra voce. Si tormentò pensosamente le dita, osservando le
nubi in lontananza.
“Non pensavo che saresti
stato solo.”
“Non sono solo,”
protestò Itachi allibito. “C’è Minato,
c’è…beh, in realtà c’è anche
Hanako,” mormorò arrossendo.
Sasuke spalancò gli
occhi.
“Inukuza? La cugina di
Minato?” domandò, orripilato.
Itachi annuì
ripetutamente, ormai rilucente di un bel color bordeaux.
“Non ci pensare nemmeno!
Non ho intenzione di diventare il cugino acquisito di quarto grado del
Rokudaime!” protestò suo padre,
scandalizzato.
“Ti
sarà simpatica, pa’,” lo incoraggiò Itachi,
speranzoso.
“Non
me ne frega niente! E’ parente di Naruto e tanto basta!”
“Paa’…”
ripeté Itachi, guardandolo con i larghi, neri occhi innocenti.
Sasuke ristette stizzito,
distolse lo sguardo e sbuffò rumorosamente.
“Ma dove stiamo andando a
finire…” bofonchiò, vinto.
Sasuke ed Itachi varcarono la
soglia di casa fianco a fianco, e ad attenderli c’era una cucina
costellata di rametti di ciliegio in fiore. Chiyo, arrampicata su una sedia,
ultimava gli ultimi ritocchi con le dita scorticate dalla corteccia tagliata,
ma sembrava estremamente soddisfatta. Bombo, entusiasta, le scorrazzava attorno
annusando ovunque.
“Che sta
succedendo?” chiese Itachi incuriosito, mentre il cane gli saltellava
addosso scodinzolando. Ehilà,
vecchio mio, dove t’eri cacciato?, sembravano accoglierlo i suoi
uggiolii festosi.
“Faccio una sorpresa alla
mamma,” trillò Chiyo, lanciando un’importante occhiata
d’intesa al padre. Sasuke trattenne un sorriso, annuendo
impercettibilmente: figlioletta obbediente, la sua bambina. In quella Bombo lo
accostò scodinzolando composto e sfregò l’orecchio contro
la sua mano, elemosinando la grattatina che giunse immediata mentre Itachi si
guardava intorno, vagamente critico.
“Che, non ti
piace?” lo apostrofò la sorella, imbronciata.
Il ragazzino spalancò
gli occhi ed accennò un sorriso disarmante, eseguendo un cenno
d’inchino.
“E’ molto bello,
Chiyo-chan,” affermò bonario.
La sorella lo guardò
storto, con diffidenza.
“Mi prendi in
giro?” borbottò indispettita.
“No,” rispose
Itachi tornando a guardarla, senza smettere il sorriso. “Ma tanto mia
sorella è più bella dei fiori,” continuò con una
linguaccia, spudorato. Chiyo spalancò gli occhi verdi, storse il naso e
sorrise suo malgrado proprio mentre Itachi, scattato avanti, la circondava con
le braccia e se la caricava in spalle, sollevandola dalla sedia.
“Papà! No, daiii!
Pap…” protestò la bambina, prima di scoppiare a ridere
cedendo al solletico. Bombo saltò loro addosso, abbaiando partecipe.
Sasuke nascose un sorriso, mentre
la porta di casa s’apriva. Sakura fece tre passi, si guardò
distrattamente intorno e spalancò la bocca, esterrefatta.
“Cos’è
successo qui dentro?” chiese, senza riuscire a credere a quel che vedeva.
La sua cucina era cosparsa dei suoi fiori preferiti, c’era profumo
ovunque, Bombo saltellava euforico e i suoi figli non stavano litigando come
poche ore prima, ma ridevano aggrovigliati.
“Chiyo voleva mettere a
tutti costi dei fiori,” affermò Sasuke, con aria oltraggiata.
Dietro di lui Chiyo lo indicava con foga,
appollaiata sulle spalle di Itachi. Sakura la guardò perplessa, cercando
di decifrare il movimento delle sue labbra.
Me l’ha chiesto lui, sillabava la bambina sbracciandosi
all’indirizzo del padre.
Sakura trattenne una risata,
piegò la testa di lato e squadrò con malizia il marito.
“E tu non c’entri
nulla, vero, U?”
Sasuke la scrutò con
sufficienza.
“Ti sembro uno che
sparpagli fiorellini per casa?” rispose scettico.
Sakura si lasciò
finalmente sfuggire le risa, muovendosi verso di lui fino ad arrivare ad
allacciargli le braccia al collo.
“Sei l’uomo
più scemo del mondo,” affermò pazientemente, scorrendogli
le labbra sul lato del viso.
“Non so di cosa stai
parlando, Sakura,” ribatté lui severamente, indignato. Era chiaro
che l’idea di essere smascherato lo atterriva.
Poi lanciò
un’occhiata scornata ed interrogativa a Chiyo, con una smorfia
contrariata. La bambina, a cavalluccio sulla schiena di Itachi, restituì
al padre uno sguardo altrettanto stupito sgranando gli occhioni verdi e si
strinse nelle spalle angelicamente, mentre Sakura rideva penzolandogli al
collo.
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Qualche new entry per
rimpolpare la faccenda…
Avete conosciuto il prode
Minato, amico affezionato e temerario shinobi. Va beh, qui l’avete visto
alle prese col suo punto debole numero uno, ma il ragazzo è tosto, buon
sangue non mente.
E naturalmente avete conosciuto
la piccola vipera numero due,
Alla prossima.
suni
E grazie a eleanor89 per la consulenza.