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Autore: Micchan018    29/08/2017    1 recensioni
Emanuele e Giulia non potrebbero essere più diversi. Hanno stili di vita diversi, passioni diverse, amicizie diverse, caratteri diversi.
Hanno però una cosa in comune: un passato da dimenticare, e la voglia di riscatto.
E' questo che li fa avvicinare e che, dopo il loro primo incontro nel locale più squallido che si possa immaginare, li attira l'uno verso l'altra con una forza che nessuno dei due avrebbe potuto immaginare.
Questa potrebbe sembrare la classica storia del cattivo ragazzo che s'innamora della brava ragazza e cambia per lei.
In realtà è la storia di come, a volte, l'amore per una persona tanto diversa da te può cambiarti al punto da non riuscire più a riconoscere te stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Entrai nel bar e la prima cosa che percepii fu l'aria calda appesantita dalla cappa di fumo di sigarette e joint e dall'odore poco piacevole di decine e decine di persone stipate in uno spazio troppo piccolo per contenerle. Io e gli altri ragazzi cercammo di farci largo attraverso alla folla fino al bancone, dando gomitate e pestando piedi senza scusarci. Era un locale angusto e sovraffollato, un piccolo spaccio di ogni sorta di droga, ma era il nostro posto preferito. Imboscato, lontano da tutti, era quasi impossibile trovarlo se non sapevi esattamente dove fosse. Riuscimmo a raggiungere il bancone, dietro al quale un signore con una folta barba bianca e un vecchio cappello a tesa larga serviva drink ormai da quarant'anni.

 

«Ehi, Gandalf!» gridai, cercando di sovrastare il brusio assordante delle voci e il rimbombo della musica «non ti sei ancora stancato di servire da bere in questo postaccio?»

 

Il barista si voltò a guardarmi e mi rivolse un largo sorriso. «Guarda chi si vede, Manuel!» esclamò posando lo shaker di metallo e porgendomi una mano ossuta e raggrinzita «da dove sbuchi, si può sapere? Non ti vedo da anni!»

 

Strinsi la mano senza metterci troppa enfasi, ricambiando il sorriso con uno sghembo formato dalle due bottiglie di vino che avevo già bevuto a cena.

 

«Sono tornato ieri, stiamo festeggiando!» gridai, indicando il terzetto che mi accompagnava formato da mio fratello, la sua ragazza di turno e un nostro amico di infanzia.

 

«Sei stato in vacanza?» domandò il barista, distogliendo lo sguardo per tornare a preparare drink alla folla che si accalcava intorno al bancone sudicio.

 

«Sono stato in un'altra città per quattro anni, Alf!» lo informai ridendo.

 

«Davvero, è passato così tanto?»

 

«Stai invecchiando amico!» commentai ridendo di gusto.

 

Lui mi rivolse un'occhiata, sorridendo sotto la folta barba.

 

«Sì, ma ricordo ancora cosa bevi. Gin tonic e tancheri?»

 

Poggiai un gomito sul bancone, pentendomene subito dopo ricordando che la giacca che indossavo costava quasi più del mio affitto.

 

«Grande. Senza fretta, io aspetto. Per i miei amici, tre birre.»

 

Il vecchio barista preparò in fretta il mio drink e stappò tre birre per i ragazzi, che porsi loro prima di ricominciare a spintonare la gente per tornare all'esterno. Dentro si soffocava e fuori non faceva troppo caldo, quindi non aveva senso rimanere lì. Riuscimmo ad uscire e ci poggiammo contro una parete, tirando fuori una sigaretta a testa quasi all'unisono. Accesi la mia Marlboro e presi una lunga boccata di fumo, lasciando che grattasse contro la gola e prendesse a pugni i miei polmoni. Di qualcosa dovevo morire, e quello non mi sembrava un brutto modo.

 

«Emi, hai già trovato un lavoro?» chiese Giada, la ragazza che per tutta la sera era rimasta appiccicata a mio fratello come se avesse paura di perdersi. Lo conoscevo abbastanza bene da sapere che non l'avrebbe più rivisto: era troppo appiccicosa, e lui troppo "cavallo selvaggio." E le piacevano troppo le chiacchiere stupide.

 

«No, ma inizierò a cercare domani stesso. Chi ha tempo non aspetti tempo, no?» risposi sorridendole. In realtà la stavo squadrando: non era male, bel viso occhi grandi e luminosi, alta, magra e belle tette. Non era all'altezza delle altre che William aveva avuto, ma forse poteva entrare nella top ten. A proposito, pensai, è il caso che me la trovi anche io una da top ten.

 

A Giulianova non avevo problemi a trovare donne, potevo tranquillamente permettermi di uscire ogni sera con una diversa. Non che fossi una persona poco seria, avevo avuto delle relazioni ma l'unica donna che avessi mai amato l'avevo già persa e per sempre, e ormai da parecchio tempo non trovavo di nessun interesse l'idea di impegnarmi.

 

Scolai l'ultimo goccio di gintonic e Will mi fece l'occhiolino. Sapevo esattamente cosa significava, così posai il bicchiere vuoto su un tavolino lì accanto passandomi la punta della lingua sulle labbra, poi lo seguii dentro al locale abbandonando Giada e Al a loro stessi.

 

Dovemmo nuovamente farci strada a suon di gomitate, ma questa volta per raggiungere il bagno, un buco ricavato nella parete ancora più sudicio del resto del locale. Nel momento in cui arrivammo davanti alla porta, eccola lì. La mia tipa da top ten. Uscì dalla toilette accompagnata da un'amica, e nonostante provenisse forse dal posto più sporco dell'intero pianeta sembrava scesa direttamente dal paradiso. Aveva dei lunghi capelli biondo scuro schiariti dal sole che le accarezzavano il fondoschiena, la pelle ambrata e il viso piccolo e perfetto, zigomi alti e naso alla francese, due labbra da fare uscire di testa e un corpo perfetto, con tutte le curve al posto giusto, avvolto in un tubino blu scuro e accompagnato da un paio di tacchi neri in fondo a due gambe scandalosamente lunghe. La cosa più spettacolare però erano i suoi occhi: erano gialli come ambra, talmente brillanti da sembrare fari. Uscì dalla piccola porta della toilette e mi rivolse a malapena uno sguardo di indifferenza totale, mentre io rimasi a guardarla con la bocca spalancata come un'idiota per poi seguirla con lo sguardo mentre sfilava via sparendo in mezzo alla folla. Mio fratello tentò di riportami alla realtà con una pacca sulla spalla.

 

«Manu lascia stare, che quella è un dieci e a te non ti si fila neanche nei sogni.»

 

Mi risvegliai e lo seguii dentro al bagno, chiudendo la porta alle mie spalle con due giri di chiave. Giusto per stare sicuri.

 

William frugò un po' nelle tasche, poi tirò fuori un piccolo involucro di pellicola trasparente dentro al quale c'era la coca che aveva comprato due ore prima da un "amico" che aveva incrociato al ristorante. Stando a quanto diceva, era di quella buona. Avremmo potuto condividerla con Giada e Al, ma semplicemente non volevamo. Era uno sfizio che ci concedevamo solo nelle serate speciali, e che condividevamo solo con la famiglia e le persone che lo meritavano. La storia di una notte e un amico che sentivo una volta l'anno non erano abbastanza per far parte del nostro piccolo droga club.

 

Will preparò due strisce generose sulla superficie di marmo accanto al lavandino, usando la tessera dell'università che finalmente aveva trovato un'applicazione utile nella sua vita, poi arrotolò una banconota da cinquanta e me la porse.

 

«Prima tu» disse sorridendomi «bentornato in città.»

 

Si fece da parte e io mi abbassai e tirai su lentamente, cercando di godermela. Mi rialzai di scatto e chiusi gli occhi per un istante, aspettandomi di sentire un retrogusto amaro in fondo alla gola che non arrivò. Era buona per davvero. Passai la banconota a Will e mi fermai per qualche istante davanti allo specchio. L'ultima volta che mi ero guardato in quello specchio ero più giovane di quattro anni, ne avevo sedici ed ero lì dentro per un motivo totalmente diverso. Il ragazzo che mi fissava ora era simile, ma per certi aspetti totalmente diverso. Aveva gli stessi occhi verdi e i capelli neri, lo stesso naso dritto e le labbra "da bocchinara", come le definiva mio fratello, ma il suo viso era più spigoloso, gli occhi più rossi e le occhiaie più profonde, e la barba che quattro anni prima non esisteva contornava il mento e le guance, perfettamente in ordine. Quattro anni prima ero un ragazzino, ora ero un uomo. Un bell'uomo, lo sapevo e non ne facevo segreto. La modestia è roba da deboli.

 

Mi strinsi nella mia giacca di pelle color antracite mentre Will ripuliva tutto, sistemandomi la camicia nera e i jeans.

 

«Ok, usciamo?» domandò mio fratello. Io annuii, e aprii la porta. Sembrava tutto diverso, ora. La musica sembrava migliore, le luci più forti, la gente più simpatica. Iniziavo a perdere la sensibilità ai denti, ma era una cosa che amavo. Mentre provavo a farmi strada per uscire nuovamente, la vidi. La mia tipa da dieci. Stava poggiata al bancone con le braccia incrociate, e dio quello era il lato B più bello che avessi mai visto. Rimasi nuovamente imbambolato a fissarla.

 

«Manu» mio fratello mi picchiettò sulla spalla «allora, ti muovi?»

 

Mi morsi un labbro, e decisi che non sarei tornato a casa senza scoprire cosa c'era sotto quel tubino.

 

«Vai tu Will, io ho ancora sete...»

 

Scivolai in mezzo alla gente fino a raggiungerla, e poggiai un braccio al bancone cercando di tirare fuori tutto il mio charme. Sapevo di averne a quintali. Avevo conquistato decine di donne, ormai ne avevo fatto un'arte.

 

«Ciao» dissi, mostrandole il mio sorriso migliore. Provocante ma rassicurante. Lei si voltò appena, fissandomi con quegli occhi incredibili e rischiando di farmi perdere la concentrazione.

 

Mi squadrò da testa a piedi. Con i tacchi era alta quasi come me.

 

«Ciao» mormorò muovendo appena le labbra, per poi tornare a fissare il barista. Capii immediatamente che era ora di fare la mia mossa.

 

«Ehi, Alf!» gridai «prepara due japan, uno per me e uno per la signorina qui!»

 

Lei scattò lo sguardo verso di me con gli occhi sgranati, e io le rivolsi nuovamente il mio sorriso da rimorchio.

 

«Non c'è di che.»

 

«Non mi piace il Japan» sibilò lei, distogliendo lo sguardo.

 

«Peccato...e cosa ti piace?»

 

«I tipi che si fanno i fatti loro.»

 

Questa è una difficile.

 

«Allora sono il tipo che fa per te. Piacere, Emanuele» dissi porgendole la mano. Lei la guardò con aria schifata, poi voltò nuovamente lo sguardo.

 

Alf, che fa sempre quello che gli viene chiesto, porse un bicchiere pieno fino all'orlo a me e uno alla tipa da dieci, che lo studiò per qualche istante prima di accettarlo.

 

«Ok, allora salute» dissi avvicinandole il bicchiere per brindare. Lei mi squadrò nuovamente, poi mi sorrise mostrando una fila di denti bianchi come perle. «Grazie mille, mi hai risparmiato mezz'ora di tempo» disse, poi se ne andò via scivolando come un serpente in mezzo alla folla. Rimasi di sasso. Non ero mai stato ignorato così da nessuna in vita mia, e mi ci volle qualche secondo per riprendermi. Presi il mio drink e tornai all'esterno, accendendo una sigarette nello stesso istante in cui misi piede fuori. Mio fratello stava limonando con Giada con una certa insistenza, e Al si era dileguato.

 

Mi appoggiai allo stipite della porta, sorseggiando il drink e guardandomi attorno. E la vidi nuovamente. Stava chiacchierando con un gruppo di amici, e beveva il Japan che le avevo offerto. E meno male che non ti piaceva, pensai. Scolai quello che rimaneva nel mio bicchiere, e fu una pessima idea perché mi andò immediatamente alla testa. Gettai il bicchiere di plastica, presi un lungo tiro dalla mia sigaretta, poi mi raddrizzai e andai a passo spedito verso di lei.

 

«Ehi, scusa» dissi forse a voce troppo alta. Lei si voltò a guardarmi e mi sorrise con aria maliziosa.

 

«Oh, hai portato un altro drink?» disse. Non riuscii a capire se stesse cercando di provocarmi, e la cosa mi mandò su di giri.

 

«No, è che sai» mi abbassai per riuscire a sussurrarle nell'orecchio «di solito, quando offro da bere a una ragazza mi piacerebbe almeno sapere come si chiama.»

 

La sentii ridacchiare, poi voltò il viso in modo da poter essere lei a sussurrarmi nell'orecchio.

 

«Forse non te ne sei accorto, ma sono con i miei amici.»

 

I suoi amici erano la banda di sfigati peggiore che avessi mai visto. Dopo appena un'occhiata li avevo già bocciati tutti, e tornai a guardarla sorridendole malizioso.

 

«Sì ma sai, non mi sembrano tipi molto interessanti.»

 

«E tu sei interessante?» replicò. Mi guardava sbattendo le ciglia scandalosamente lunghe, e non riuscii a non mordermi il labbro. Fortunatamente non mi conosceva, altrimenti avrebbe saputo che quello era un indicatore infallibile del fatto che ero eccitato, e non poco.

 

«Io sono molto interessante. E sai cos'altro lo è? Il tuo nome.»

 

Lei mi scrutò per qualche istante con un ghigno divertito in volto, poi mi fece cenno di avvicinarmi.

 

«Giulia» sussurrò talmente piano che faticai a sentirla.

 

«Ok Giulia, molto piacere. Rimani qui ad annoiarti, o vieni a divertirti un po' con me?»

 

Lei rise, poi fissò i suoi amici per qualche istante. Ci stava pensando.

 

«Chi mi dice che tu non sia un maniaco pervertito?» domandò.

 

«Non te lo dice nessuno, dovrai fidarti di me.»

 

Lei rimase immobile per qualche istante, poi si voltò e iniziò a camminare nella direzione opposta allontanandosi dal gruppo. Loro le urlarono dietro qualcosa che ignorò. Quando fummo abbastanza lontani, si fermò e aspettò che io mi avvicinassi.

 

«Allora, che facciamo?» domandai. Lei non disse una parola, semplicemente allungò una mano e la infilò nella tasca dei miei pantaloni. Per un secondo mi si fermarono i battiti, poi mi resi conto che aveva preso il mio cellulare. Armeggiò per qualche secondo, poi me lo porse e vidi che aveva aggiunto un contatto alla rubrica. "Sei stupido, ma carino", assieme a un numero di telefono. Senza dire un'altra sola parola, girò i tacchi e se ne andò via. Io rimasi lì con un sorriso trionfante in volto, e la prima cosa che feci fu cambiare il nome al contatto e scrivere "Giulia." Normalmente sarei tornato da lei e avrei insistito fino a convincerla a venire a casa con me, ma c'era qualcosa in quella tipa da dieci, in Giulia, che mi diceva di non farlo. Per quella sera, potevo anche arrangiarmi da solo.

 

«Ehi, Manu» esclamò Will con respiro affannato comparendo accanto a me «andiamo a casa a farci un ultimo bicchiere?»

 

Fissai Giulia ancora per qualche secondo, poi mi voltai verso mio fratello.

 

«Sì, andiamo.»

   
 
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