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Autore: AnnabethJackson    30/08/2017    3 recensioni
Sono passati sei anni da quando Percy ha lasciato bruscamente Annabeth, e lei ancora non sa perché. Scappata in California, la ragazza ha voltato pagina, mentre lui deve pagare ancora le conseguenze del suo errore. Nessuno dei due ha dimenticato. Ma entrambi non sanno che chattano l'uno con l'altro ogni giorno da tre mesi nascosti dietro i nomi di "AtlanticBoy16" e "WiseGirl210".
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Dal testo:
"Stavo con lui da quando avevo 16 anni. Avevamo raggiunto quasi i dieci anni di fidanzamento, quando all'improvviso lui aveva rotto con me. Non conoscevo il motivo e probabilmente non l'avrei mai saputo.
Lui aveva preso le sue cose e se ne era andato dal nostro piccolo appartamento, non facendosi più sentire.
Beh, non gli abbia mai dato una chance.
Avevo impacchettato le mie cose anche io e, con le lacrime agli occhi, ero salita su un taxi con un biglietto aereo appena comprato in mano.
WiseGirl210: Non lo so. Credo che traslocherò. Non so dove, ma devo assolutamente andarmene da qui.
AtlanticBoy16: Buona fortuna allora, ragazza intelligente. Il trasloco può essere difficile... non che io mi sia mosso dopo il College.
Stavo pensando a cosa rispondere quando il citofono"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la traduzione della soria You've got mail” pubblicata su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”.
Il permesso di tradurre mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo).
Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.







 
You've got em@il
 

Capitolo 10
 

ANNABETH
  

Sbirciai fuori dalla mia finestra appena lui uscì di casa.
Da quando mi ero trasferita, lui partiva per andare a lavorare molto presto rispetto. Come insegnante, pensavo avesse senso e tutto, ma potevo dire che Noah odiava dover partire così presto.
Percy stava portando la borsa sportiva di Noah. Si fermarono appena fuori dalla porta e Percy si abbassò per allacciargli le stringhe slacciate delle scarpette di calcio. Sorrise a suo figlio, dicendo qualcosa che io non riuscii a sentire prima che entrambi sparissero dietro la fila di auto.
Come avevo potuto pensare male di lui?
Era veramente un buon padre. Percy non mi aveva lasciato perché il senso di colpa per aver avuto una famiglia in segreto lo infastidiva. Mi aveva lasciato perché aveva scoperto di Noah. E io aveva frainteso tutto…
Una volta che sentii il suono del motore prendere vita e la macchina sgommare via, chiusi di nuovo le tende e cominciai a camminare attorno alla stessa posizione che avevo avuto per tutto il tempo da quando ero tornata a casa dopo aver saputo che Noah aveva cinque anni e non sei, come invece avevo pensato io.
Mi sedetti sulla poltrona, reclinando appena lo schienale verde e mi allungai per prendere la tazza di caffè appoggiata sul tavolino.
Per le ultime ore, ero rimasta immobile.
Tutto quello che potevo fare era stare seduta sulla mia poltrona e continuare a pensare, ad analizzare tutto quello che era veramente successo negli ultimi sei anni, non quello che pensavo fosse successo.
Ed ero andata avanti più di un ora prima che mi potessi muovere di nuovo. Tutto quello che volevo poi era muovermi il più possibile per impedirmi di pensare troppo.
Quindi mi ero preparata un caffè, fatta una doccia e mandato un messaggio a Malcolm per avvisarlo che ero malata e che non sarei andata in ufficio.
E poi avevo sentito la voce di Percy…
Avevo lanciato velocemente un’occhiata all’orologio.
Sei del mattino.
Era meglio se iniziavo a scrivere il mio messaggio allora…
Recuperai il mio portatile dal divano e vidi che avevo già ricevuto una email da lui. Mi aveva anticipata.


 

From: AtlanticBoy16

To: WiseGirl210

Scusa se non ce l’ho fatta.
È successa una cosa… pazzesca.

-AB

 

Era successa una cosa pazzesca.
Quella era l’eufemismo del secolo.
Presi un lungo respiro e iniziai a scrivere quello che dovevo dire.
No, quello che avevo bisogno di dire.

 

From: WiseGirl210

To: AtlanticBoy16

E’ successa una cosa pazzesca… Non potrei dirlo meglio.
Non mi sono presentata neanche io. È una lunga storia che non penso neanche di riuscire a spiegare. Comincio a sentire la mancanza di quando le cose erano noiose…
Comunque sia, sto pensando molto…
Niente di sorprendente, eh?
Beh, quello che sono sicura è che le cose sono troppo incasinate. Voglio dire, non volevo nemmeno far parte di questo dramma, quindi non mi sembra giusto trascinarci dentro qualcun altro.
Voglio ancora conoscerti. Davvero. Ma… non ora.
A te sta bene?

-WG

 

Trattenni il respiro mentre ascoltavo il suono proveniente dal portatile che mi indicava che il messaggio era stato spedito.
Sapevo di non avere nessun obbligo a conoscerlo, però volevo farlo. Ma, più di ogni altra cosa, volevo conoscere la verità. Non la versione semplificata che avevo raccontato a me stessa, ma la vera verità.
E sapevo dove trovarla.
Raccolsi i miei capelli in una coda poi mi infilai un paio di jeans e una vecchia maglietta. Girai per tutta la casa in cerca delle scarpe e aspettai finché non fui sicura che lei era sveglia prima di uscire finalmente dal mio appartamento e avviarmi verso quello di fronte, attraversando il cortile.
Giocherellai nervosamente con i miei capelli prima di decidermi a schiacciare il campanello.
«Arrivo subito!» La sua voce era fievole mentre mi diceva di aspettare. Sistemai nuovamente la maglietta prima che la porta di aprisse, pregando che non mi dicesse nuovamente che avevo bisogno di un nuovo look e che mi portasse fuori a fare shopping come l’ultima volta in cui mi aveva visto indossare i jeans.
Quando la porta si aprì, mi disegnai un sorriso in faccia.
«Ehi, Christine.» Sorrisi alla donna anziana, la quale indossava un grazioso grembiule che sua nipote le aveva cucito.
«Annabeth!» Sorrise anche lei, stringendomi in un abbraccio che mi rese difficile respirare. «Cara, come stai?»
«Uhm, bene. Ho preso un giorno di riposo dal lavoro.» Alzai le spalle. «E volevo parlare con te.»
Christine continuò a sorridermi mentre mi faceva accomodare in cucina dove una teglia di biscotti al cioccolato appena sfornati sembravano aspettare il mio arrivo. Christine sollevò una caraffa di acqua per chiedermi se ne volessi un bicchiere, ma io scossi la mano e rubai un biscotto.
«Di cosa volevi parlarmi, Annabeth?» chiese Christine mentre si sedeva difronte a me.
«Da quanto tempo conosci Percy?» domandai mordendomi la lingua per costringermi a non piangere di nuovo.
«Circa due anni, credo. Jackson è un bravo ragazzo e suo figlio è fantastico. Mi sento male per quel ragazzo. Una scelta sbagliata e il suo mondo è andato a rotoli per sempre» mi disse Christine mentre si riempiva un bicchiere di acqua. «Perché me lo chiedi, Annabeth?»
«Aspetta, quale scelta sbagliata?»
«JoJo! Giuro, quella donna è malvagia.» Christine agitò animatamente le mani mentre raccontava. «Aveva una cotta per Jackson al college e una notte lo vide completamente ubriaco. Erano amici durante gli studi, penso. O forse si erano conosciuti alle superiori, qualcosa del genere. Comunque, il suo amico cercò di farlo smettere e di portarlo via, e lo aveva appena convinto ad andarsene a casa quando JoJo convinse l’amico a lascialo lì, dicendogli che si sarebbe assicurata che non facesse nulla di stupido.»
Christine roteò gli occhi mentre prendeva un altro bicchiere d’acqua.
JoJo?
Conoscevamo una JoJo quando eravamo al college?
«Jackson amava un’altra ragazza e non glielo disse mai. E non gli disse mai nemmeno di Noah così lei lo odiò.» Christine alzò le spalle. «Perché lo chiedi, Annabeth?»
La gola mi si chiuse e sentii che il biscotto appena mangiato voleva ornarmi su per l’esofago.
«Ehm, è una lunga storia.»
Christine puntellò i gomiti sul tavolo e si incorniciò il viso con le mani. Il suo sorriso largo mi suggeriva che avevo tutto il tempo per raccontare.
«Diciamo che conosco Percy...»
«Ti senti bene, cara? Sei rossa come una fiamma.» Christine appoggiò il palmo sulla mia guancia.
«Sì. Ti dispiace se prendo un bicchiere d’acqua?» Tirai la mia maglietta, sentendo improvvisamente caldo.
«Certo che no! Te ne verso subito uno, cara.» Christine corse verso la dispensa e prese un nuovo bicchiere, riempiendolo con dell’acqua purificata prima di portarmelo. «Ora, come fai a conoscere Jackson?»
«Siamo stati amici per molto tempo, da quando avevamo dodici anni circa. Abbiamo iniziato a uscire quando ne avevamo sedici e...» Presi un respiro profondo, sapendo che non potevo nasconderglielo ancora a lungo. «Siamo stati insieme per quasi dieci anni.»
Christine mi guardò in silenzio, mentre metteva insieme tutti i pezzi.
«Sono io la ragazza. È me che ha lasciato.»
Christine lasciò cadere il bicchiere, i suoi occhi marroni spalancati, e si portò la mano alla bocca.
«Non avrei dovuto dirti niente! Era sua compito farlo.» Velocemente mi si avvicinò mentre i cocci di vetro facevano uno strano rumore sotto le sue pantofole.
«No, no, avevo bisogno di sapere cos’è successo e Percy non mi poteva dire...» mi bloccai.
Christine avvolse le sue mani intorno alle mie, dandomi una stretta confortevole.
«Se vuoi veramente conoscere tutta la storia, sai dove devi andare.»
Mi raggelai.
«Non penso di essere pronta per questo.»
«Lo sei invece, Annabeth.» Strinse un’ultima volta la mia mano prima di andare verso un’agenda posizionata vicino ai fornelli e copiò velocemente qualcosa sopra un post-it blu, tornando poi da me. «E io so dove puoi trovarla.»

 

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PERCY

 

«Ho vinto!» Kate esultò mentre buttava la sua ultima carta sul tavolo.
Come riusciva a battermi sempre?
All’inizio il mio obbiettivo era perdere per vederla sorridere, ma quella volta avevo veramente provato a vincere.
E poi guardai gli occhi verdi di Kate e ricordai chi fosse sua nonna.
Come facevo prima che Annabeth tornasse in città, stavo facendo da babysitter a Kate e a suo fratello maggiore, Sam. Erano dei bravi bambini, magnifici in realtà. Avevano la pazienza tipica di Atena e mi faceva sentire bene che fossero più maturi degli altri bambini per la loro età, come Noah.
Non riuscivo a capire come Noah potesse essere così maturo quando aveva me e JoJo come genitori, ma avevo il presentimento che fosse merito di tutto il tempo che aveva passato con Christine.
«Mi hai battuto ancora, KatyCat!» Scossi la testa e buttai le mie ultime due carte sulla pila.
«Cosa stanno fafendo ‘Oah e Sam?» domando Kate agitandosi sulla sedia per riuscire a guardare il cortile, dove Noah e Sam stavano correndo in giro giocando ai Pirati, con Sam come generale e Noah capitano. Avevo il brutto presentimento che avessero guardato troppo Johnny Depp.
«Stanno giocando ai pirati.» Sorrisi a Kate.
Dovevo ammettere che, anche se potevo giurare di essere stato il padre più fortunato di questo mondo ad avere avuto Noah, continuavo a desiderare di avere una piccola femminuccia come Kate.
«Pirati?» Kate alzò le sopracciglia e io provai a non ridere.
«Sempre meglio che vederli sempre dietro a rincorrere un pallone.»
Kate sorrise e annuì mentre i suoi capelli ricci ballonzolavano come impazziti.
«’Oah ha sempe gioato a calcio?» chiese Kate mentre appoggiava i gomiti sul tavolo.
«Sempre. E Sam?»
Kate annuì, spostandosi i capelli da davanti agli occhi.
«Lo pende toppo seiamente» Kate giocò con il nuovo ciondolo della collanina a forma di gufo, un nuovo regalo dalla sua zia preferita Annabeth.
«Sono d’accordo.»
Kate sorrise, ma poi il suo volto si fece serio mentre pensava a qualcosa.
«Tutto bene, Kate?»
«Stao solo pensando a te e a zia Annabef.»
Mi raggelai.
«Cosa intendi?»
«Coa è succeffo ta te e zia Annabef?» mi chiese ancora la bambina e io cominciavo a essere stordito.
«Ci conoscevamo.»
Kate corrugò la fronte, confusa.
«In che senso vi conofevate?»
«Beh, eravamo migliori amici da bambini-» Mi strinsi nelle spalle, non sicuro di come continuare senza finire in un mare di guai. «E poi abbiamo smesso di vederci qualche anno fa.»
Ti prego non chiedere nient’altro, pregai.
«Penfo di avel sentito fia Annabef piangee dopo quello...» Kate giocherellò con il suo ciondolo ancora un po’. «Ei tu la ‘agione pe cui lei piangeva?»
Piangeva
Lo aggiunsi alla lunga lista delle volte in cui Annabeth aveva pianto per me.
«Non lo so, Kate» mentii.
Sapevo esattamente perché Annabeth stava piangendo, ma mi sarebbe piaciuto sapere che c’era almeno una persona al mondo che non mi credeva cattivo, anche se c’era una dolce bambina di quattro anni che ero sicuro avrebbe trovato buono anche Crono se questo l’avesse lasciata vincere a Uno.
Kate sorrise debolmente e annuì.
«Vuoi uscire a giocare con i ragazzi?»
Lei annuì, scese dalla sedia del tavolo da pranzo e iniziò a correre verso il cortile, dove i ragazzi i ragazzi stavano discutendo per decidere se avesse vinto Noah oppure Sam, e io non riuscivo a smettere di sorridere quando Kate mise fine alla faida con una sola parola.
Esattamente come faceva Annabeth…
Ero felice che Noah avesse trovato in Sam e Kate degli amici, ma alcune volte faceva male.
Vederli giocare mi ricordava i vecchi tempi con Grover e Annabeth, il nostro piccolo gruppo.
Sam era Grover, solo che Sam era più caposquadra di Grover, ma anche lui andava fuori di testa quando beveva un goccio di caffè.
Noah era me.
E Kate assomigliava così tanto ad Annabeth che a momenti faceva paura.
Avrei voluto tanto tornare noi tre insieme. Poter dimenticare tutto ed essere solo amici, di nuovo.
Grover spendeva la maggior parte del tempo raggirando me e Annabeth, cercando di agire come se non lo facesse, ma io lo conoscevo troppo bene. E, onestamente, sapevo che Annabeth meritava almeno la sua amicizia dopo la nostra rottura.
Ero stato io a mettere fine a tutto. Ero stato io ad andarmene e ad avere un bambino, ed ero stato io a rovinare tutto.
Poiché sapevo che avrei finito per ascoltare Grover parlare di quanto voleva un bambino ma non era sicuro di essere pronto, invece di prendere il mio telefono per chiamarlo come di solito facevo, cercai il portatile.
Qualche volta mi sentivo ancora in colpa per non essermi presentato alla gelateria quel giorno. Sapevo che anche lei non era venuta e sapevo anche la mia vita era già incasinata senza bisogno che lei ne facesse parte.
Ma ero stupito che avessi ancora voglia di incontrarla.

 

AtlanticBoy16: Ci sei?

WiseGirl210: Sì, come va AB?

AtlanticBoy16: Sto facendo il babysitter. Ho qui il miglior amico di mio figlio e la sua sorellina. Stavo pensando e per abitudine ho pensato di scriverti.

WiseGirl210: Grazie a dio non è solo mia abitudine! Stavo cominciando a sentirmi in colpa nel raccontarti sempre tutti i miei problemi! Quindi, a cosa stavi pensando? Dovo prepararmi a ridere maniacalmente o prendere un pacchetto di fazzoletti per piangere?AtlanticBoy16: Molto divertente. Preparati ad annoiarti.

WiseGirl210: :-D
AtlanticBoy16: Stavo solo pensando che mi mancano i miei amici. Avevamo questo gruppo e quando ho avuto mio figlio abbiamo come rotto. E vedere mio figlio con il suo gruppo, mi ha portato alla mente dei ricordi. È strano?

 

Beh, non le stavo dicendo tutto. Ma non era nemmeno mentendo.
 

WiseGirl210: Ehi, i miei amici mi mancano sempre. Quando finalmente mi stavo facendo degli amici a Los Angeles, sono scappata via. Se non fosse stato per i miei vecchi amici, avrei perso me stessa a New York. Non è strano, comunque. Sono cresciuta a New York e metà della città mi ricorda la mia vecchia vita.

AtlanticBoy16: Come era la tua vecchia vita? Prima che scappassi, intendi?
 

WiseGirl210 sta scrivendo apparve sullo schermo ripetutamente e io cercai di non trattenere il respiro mentre aspettavo.

 

WiseGirl210: Bella. Dopo tutto quello che ho passato, pensavo di aver trovato finalmente la felicità, hai presente no? E poi è saltato fuori che era solo apparenza come se stessi interpretando un gioco di ruolo. Sai, una volta ho portato i miei nipoti a vedere un revival di Cenerentola. Alla fine il principe era un misogino e, dopo un brutto litigio, lei fingeva di morire per ottenere il divorzio. Mia nipote pianse per ore.

AtlanticBoy16: Cenerentola divorzia?

WiseGirl210: Esatto!
 

Ridacchiai mentre scrivevo un altro messaggio.

 

AtlanticBoy16: Quindi come è andato il tuo giorno di riposo? Troppo malata per godertelo, immagino.

WiseGirl210: Quasi. È una lunga storia, ma ti posso assicurare che non mi sono affatto divertita.

AtlanticBoy16: Io adoro i giorni di malattia. È una delle poche volte in cui posso effettivamente dormire senza che qualcuno mi svegli e mi chieda di preparargli la colazione o che mi dica che la TV non funziona.

WiseGirl210: Sei pazzo, lo sai vero?

AtlanticBoy16: Aspetta di avere figli. Nel profondo del cuore sarai d’accordo con me.

WiseGirl210: :-D
 

Stavo sorridendo mentre digitavo la risposta, ma poi il mio computer suonò, avvisandomi dell’arrivo di un nuovo messaggio da parte di WiseGirl.
 

WiseGirl210: Devo presentarmi in un posto tra poco. Ci sentiamo più tardi, okay?

AtlanticBoy16: Sicuro.

WiseGirl210 è offline.
 

Chiusi il mio portatile e tornai in cucina, cominciando a preparare dei panini con miele e burro d’arachidi che Sam e Noah amavano tanto, quando notai qualcuno che camminava fuori dalle finestre che non avevano le tende chiuse.
Incuriosito, mi sporsi, affacciandomi per vedere.
E lì c’era lei.
Annabeth Chase.
Considerando che Malcolm mi aveva detto che era troppo malata per andare a lavorare, il che già sembrava un’assurdità per Annabeth, sembrava stare particolarmente bene.
I suoi capelli biondi erano raccolti in una coda alta e stringeva a sé un cappotto pesante per coprirsi dall’aria fredda e pungente. I suoi tacchi battevano ripetutamente sullo selciato e lei stava trafficando nella sua borsa straripante probabilmente per cercare qualcosa. In mano aveva un post-it blu che teneva con le punte delle dita, come se fosse stato toccato dal diavolo in persona.
Non appena il pacchetto di mentine che stava cercando, prese un respiro profondo e si mise in bocca una caramellina, ma l’involucro cadde nella piccola fontanella che la mia vicina, Alyssa, curava con molta premura. Annabeth allora si inginocchiò, lanciando una preghiera agli dei che riuscii a sentire anche io. Sistemò il pugnale che portava sempre allacciato a una cintura, nascondendolo con la propria giacca, e poi scomparve.
«’Ercy?»
Lasciai cadere il barattolo di miele che fortunatamente era ancora chiuso.
«Sì?» domandai mentre mi abbassavo per raccogliere il barattolo e sollevavo lo sguardo sui tre bambini che mi stavano fissando.
«Cosa stavi facendo?» chiese Sam, guardandomi come se fossi pazzo.
Era proprio il figlio di Malcolm
«Ehm, stavo solo guardando fuori dalla finestra. Pensavo di aver visto qualcosa.»
«Che cosa?» continuò Sam.
«Qualcosa.» Mi stavo trattenendo per non strozzare quel bambino.
Sam aprì la bocca intenzionato a continuare con l’interrogatorio, ma conoscevo il modo per zittirlo.
Corromperlo.
«Chi vuole andare al McDonalds?»


 

 

  
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