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Autore: Hi Asija    30/08/2017    2 recensioni
«Sembra che una parte di me ti abbia amato sin dal principio.»
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Detroit, 2000.
Le strade della capitale del Michigan sono affollate da malviventi e da futuri esordienti nel campo della musica hip-hop. Qualcuno prega per due dollari, qualcuno li ruba.
Tra loro, si nasconde il volto ingenuo, sbagliato e giovane di Diana, una cantante e bassista diciassettenne della periferia di Detroit, e quello serio e confuso di Marshall, un rapper esordiente di venticinque anni, re di quella strada in cui entrambi vivono da svariati anni.
Diana e Marshall si conoscono da quando lui e la madre si sono dovuti trasferire su quella che è la strada più malfamata di Detroit.
Sono due persone completamente diverse: lei è timida, mentre Marshall risulta sicuro di sé.
Eppure, qualcosa d’importante e forte si svilupperà tra loro.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~~Diana correva, scappava, cercava di nascondersi. Non le importava di nessuno, se non del suo basso, e lui era con lei. Correvano sotto a una pioggia tipica del clima autunnale e soprattutto di Novembre, una pioggia fredda e amara, acida. Come l'ennesima sconfitta provata quella sera.

Ad un certo punto le persone si stancano anche di provare a migliorare se stessi e le proprie azioni. A volte, cercare di vincere è inutile, non ci arriverai mai. La tua vista si offuscherà sempre, all'ultimo momento, grazie a qualcuno o qualcosa. Perché ognuno ha il suo qualcuno o qualcosa.

A volte, semplicemente, ti stanchi della vita misera che ti porta avanti mano nella mano ogni giorno. Perché a un certo punto, semplicemente non sei più una persona, non ci sei più. Sei solamente un corpo con un cuore che batte, organi che funzionano perfettamente - se sei fortunato -, ma un' anima vuota. E lo resterà per molto altro tempo, perché a un certo momento, solo il tempo può aggiustare le cose: le pacche sulle spalle non lo fanno.

E la pioggia che batte sulla testa, sui suoi rossi capelli, sulla sua nuca e sui suoi umidi e stracciati vestiti non è da meno. È solo un modo inutile e momentaneo per mescolare le lacrime con altri liquidi naturali. Liquidi che in realtà nessuno sa come sono riusciti a cadere su quella che chiamiamo crosta terrestre. L'eyeliner sbavato e il rossetto ormai scomparso danno l'idea del pianto che Diana continua a divorare per non dimostrarsi debole di fronte agli occhi di chi sta campeggiando fuori da quel locale maledetto.

Perché a volte ti senti stanco, ti senti debole. E quando ti senti debole, vorresti solo arrenderti.

«Dannazione!» disse una voce femminile.

La pioggia, l'umore di Diana e le casualità erano il combo perfetto per creare quella sorta di alchimia tra le probabilità d’incontrate qualcuno che la degnasse di una parola in quella malfamata e bagnata città. Le spalle di quelle due ragazze si erano scontrate, facendosi un po' del male, ma non dando tanto fastidio da creare una sorta d'odio nella sconosciuta, ovviamente nei confronti di Diana.

«Sì, scusa...» biascicò lei, rendendosi in seguito conto del danno fatto. Un paio di fogli erano sparsi per terra. Sembravano importanti per la ragazza, poiché era china sul marciapiede, intenta nel raccoglierli e ripararli dal temporale.

«Guarda che hai fatto, rossa... Erano i miei manichini...» commentò la ragazza. Solo in quel momento Diana si rese conto della situazione. Una ragazza bionda, sulla ventina, stava disperatamente cercando di far sì che il suo lavoro e il suo impegno non venisse portato via dagli inferi della pioggia. Un po' come lei con il canto. Solo che il tutto era relativamente meno bagnato.

«Io non... Scusami.»

La bionda mise i fogli nella sua borsa nera in pelle, poi degnò di uno sguardo misero la rossa. La sua espressione cambiò radicalmente. «Oh mio Dio, ma guardati. Stai bene?» le chiese la ragazza, accarezzandole il viso con un'espressione preoccupata.

Diana annuì.

«Santo cielo, vieni qui sotto.»

La bionda prese con forza il polso di Diana, trascinandola senza pretese sotto il portico. Le due si sedettero sul bordo del marciapiede, come se fossero due amiche che parlano tranquillamente di ragazzi o altre cose che abitualmente sono presenti nei discorsi delle adolescenti. La bionda la guardò una seconda volta, poi sospirò in segno di stupore. «Oh Dio!» disse, asciugandole le lacrime e sporcandosi il palmo della mano di un nero intenso. «Ti senti bene?» le chiese infine. Il tono della sua voce era preoccupato, aveva paura di essersi imbattuta in qualcuno che stava veramente male. In effetti, la parte estetica di Diana, in quel momento, non era una delle migliori, ma il dolore è soggettivo. Lei stava realmente soffrendo per qualcosa?

«Mi sento, mi sento...» biascicò Diana, reggendosi la testa con entrambe le mani. Alzò lo sguardo al cielo, chiedendo aiuto a qualcuno.

La bionda le accarezzò le guance, spostandole lentamene una ciocca di capelli rossi. «Chi ti ha fatto questo? Intendo, chi t ha fatta stare male? Ovviamente non serve che tu me lo dica... Ma sei ti fa stare bene sfogarti, puoi parlare con me.»

«Lascia stare...» sussurrò Diana, indecisa sul parlare o meno. In seguito alzò lo sguardo, notando una figura maschile dall'altro lato della strada. Le scrutava attentamente, era una figura che aveva già visto, ma a causa della sua miopia, non riusciva a identificarne a pieno i lineamenti.

«Alyssa White, sono nuova qui. Insomma, sì, vivo qui da due anni, ma non esco spesso, forse è per quello che non mi hai mai visto. Sempre se te lo stai chiedendo.» si presentò la ragazza, parlando sempre troppo. Diana spostò lo sguardo su di lei, sorridendole, cercando di non pensare al dolore che provava.

«Diana Robinson, e qui ci sono nata.»

Diana spostò di nuovo lo sguardo verso la figura avvistata poco prima, ma di questa, non ne vide nessuna traccia. La sua espressione cambiò velocemente, da triste, divenne sconcertata e confusa.

«Alyssa, io devo andare» inventò una scusa, cercando di risultare il più credibile possibile agli occhi della bionda.

«Non pensare nemmeno che ti lascerò girare per questa strada da sola alle due di notte! Avanti, ti riporto a casa...» commentò Alyssa, alzandosi dal marciapiede e seguendo la rossa.

Diana si fermò, prese il polso destro della ragazza e la fissò negli occhi. «Non oggi, bionda. Sono nata qui.»

Poi lasciò la sua presa, lasciò letteralmente andare la ragazza di fronte a lei.

Per quella sera, Diana non era più sua. Se n'era andata esattamente come avevano fatto tutti nella vita di Alyssa. Vent'anni per nulla, diceva lei. Non avrebbe mai combinato nulla nella vita, la sua moda non piaceva a nessuno. O almeno era quello che lei credeva. Non osava mostrare a nessuno i suoi modellini, li teneva per sé, e quando aveva ispirazione, ne creava altri o arricchiva quelli vecchi. In realtà, Alyssa aveva un grande talento, che ai suoi occhi era solamente un hobby da non portare oltre.

Ma ora Diana se ne stava tornando a casa, e probabilmente non si sarebbero più viste. E le dispiaceva, perché l'unica cosa che voleva in quel momento era trovare qualcuno con cui instaurare un rapporto.

«Ci vediamo, Diana...» urlò Alyssa, cercando di farsi sentire dalla rossa. Ma lei non la sentì, o probabilmente fece finta di non sentire la voce speranzosa e delusa allo stesso tempo di Alyssa.

Diana attraversò la strada, avvicinandosi al posto esatto in cui aveva visto la figura maschile. La pioggia continuava e la rossa si bagnava sempre di più: a quei vestiti ci teneva, e non le andava proprio di comprare nuovi capi. Allora decise che non era importante sapere chi fosse quella persona, e come ogni volta, riprese il suo basso sulle spalle, e cominciò a correre verso casa. L'unico posto che poteva nasconderla dalle persone.

Scappò da quel posto, da quella strada, da Alyssa, che senza un vero motivo le era apparsa come una ragazza gentile, ma allo stesso tempo come un pericolo. Corse, scappò, senza preoccuparsi di nulla. L'unica cosa che importava era lì con lei.

I suoi capelli; la sua frangia era completamente appiccicata alla sua faccia, ma non le dava fastidio. Era completamente immersa nei suoi pensieri un po' contorti, un po' malati. Talmente persa che non si accorse che davanti a lei c'era qualcuno, fermo, che la fissava. Gli andò a sbattere contro. Due grandi mani l'afferrarono per le spalle, impedendole di cadere. D'istinto, Diana cercò di divincolarsi, ma non ci riuscì. I suoi capelli rossi vennero fermati dietro un orecchio e una voce roca e stanca.

«Yo, stai bene?»

Abituati a quella luminosità, i suoi occhi misero a fuoco un ragazzo dai vestiti troppo larghi, gli occhi azzurri e un sorriso gentile. Aveva un incarnato chiaro e uno sguardo misterioso.

«Marshall, per favore, devo andare a casa, non chiedermi ora se sto bene, okay? Non serve, mi hai vista. Sai come sto» commentò lei, liberandosi finalmente dalla presa del ragazzo.

Percorse alcuni passi, camminando, non correndo, perché forse voleva che lui la seguisse. «Ti porto in macchina, gli autobus non ci sono più a quest'ora. Casa è lontana, e in più dobbiamo andare nello stesso posto. O sbaglio? Non sei tu la vicina rompi coglioni? Quella che alle due di notte mi urla contro dalla finestra di camera sua perché sto ascoltando la musica?» chiese lui, sapendo di colpire il bersaglio, di provocarla. Sapeva quanto Diana fosse irritabile e brava a provocare le persone.

Diana si fermò, guardò Marshall negli occhi, poi si avvicinò a lui. «Preferirei sentire tua madre e quel ventenne scopare per tutta la notte che la tua musica inutile e ripetitiva, Rabbit.»

«Yo, non dire nulla di mia madre» ridacchiò lui, avvicinandosi a Diana. «Potrei dire lo stesso della tua, che si scopa pure le zingare.»

Diana volle reagire, tirargli un pugno, sputargli in faccia, ma non fece nulla. Marshall aveva colpito nello stesso identico modo con cui lei aveva fatto poco prima. Rise e basta, poi abbassò lo sguardo. La pioggia finalmente stava cominciando a smettere.

«È un peccato, è proprio una bella donna... ma toglimi una curiosità. Mariah non è la tua vera sorella, no?» chiese lui.

Diana scosse la testa, non aveva voglia di parlare di quella biondina che le aveva distrutto l'adolescenza e l'infanzia. «No, legalmente sì» disse solamente.

Marshall annuì, poi porse la sua mano verso la rossa, la quale lo guardò con uno sguardo confuso, in cerca di risposte. «Ti ho detto che non ti lascio andare a casa da sola, Robinson.»

Diana alzò lo sguardo al cielo. «Non posso accettare, Rabbit. La mamma mi ha insegnato che non si accettano mai» disse facendo una leggera pressione sull'ultima parola, «passaggi dagli sconosciuti.»

Lui rise. «Ma noi non siamo sconosciuti!» esclamò sorpreso.

«Siamo perfetti, sconosciuti.»

Marshall sospirò, poi prese con forza le spalle della rossa, dirigendola verso la sua macchina, dove Chris li avrebbe aspettati. Diana non cercò di liberarsi, si fece guidare da Marshall, fino alla vettura all'apparenza normale, ma in realtà distrutta e usata.

Diana abbassò lo sguardo appena si accorse dell'amico di Marshall. Non lo conosceva, e Diana aveva paura di chi non conosceva. Gli occhi del ragazzo sembravano persi nel pensiero di qualcosa sconosciuto a tutti, il che fece preoccupare la ragazza, senza darlo a vedere.

«Chris, lei è Diana.»

Il ragazzo era un omone di quasi due metri, di colore, dai corti e castani dread. All'apparenza poteva sembrare cattivo ed egoista, ma la realtà era che nessuna di queste caratteristiche gli si addiceva. Aveva un carattere dolce e simpatico quasi con tutti, era sempre disponibile e divertente. Una specie di burattino, a volte. Faceva tutto quello che volevi, per quello molto spesso si metteva nei guai. Era fatto dalla mattina alla sera, e casa sua era ricoperta da piantine di Maria.

Chris porse la sua mano alla rossa, la quale la strinse. «Piacere mio» dissero all'unisono. Non sapevano che quella sarebbe stata solamente una delle prime volte, così.

Chris fatto.
Marshall indifferente.
Diana spaventata.

Come il solito.

  
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