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Autore: Caramell_    30/08/2017    2 recensioni
John e Sherlock crescono assieme una bambina, Violet Holmes fa la nonna e Mycroft, semplicemente, perde la testa per Greg.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Invecchia insieme a me, il meglio deve ancora venire
George Sand

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Violet Holmes è un angelo con i bambini. O almeno, ragiona John, lo è con la sua. Si poggia Rosie sulle ginocchia e saltella.
John si chiede spesso, in quei momenti, se, a suo tempo, lo facesse anche con Sherlock o, dio ce ne scampi, con Mycroft. Solo immaginare la scena è esilarante. Ma, comunque, è orribilmente confortante sapere che, in quella casa, sono stati amati. Loro ed Eurus, anche se poi è finita come è finita.
- È davvero una piccina adorabile
E John sorride, tutto orgoglioso – Si – dice – ovvio che lo è
Bacia la piccola sulla fronte e va a sedersi accanto alla signora Holmes, sul divano. Rosie ha due occhi azzurri bellissimi. Per adesso. Si spinge piano verso John e ridacchia – Io però credo di essere di parte, non è vero tesoro? – e le bacia il mento, quel suo naso minuscolo. Viene ricompensato con un sorriso sdentato e, soddisfatto, si alza e torna alla finestra.
Violet lo segue con lo sguardo, continuando a giocare con la bambina – John – lo richiama
- Mhn?
- La prego – sussurra – non sia così preoccupato. Fa preoccupare anche me
John scuote la testa – Non sono preoccupato – dice e Rosie gorgoglia – Un po’ ansioso, forse – ammette. Violet scuote le spalle – Perché non è andato con lui, allora?
- Oh andiamo, Violet – protesta – è Natale
- Lo so, caro. Ma sappiamo com’è fatto, no? – e John incrocia le braccia, chiude gli occhi per attimo – Ovvio che sì – bisbiglia
- Sono sicura che torneranno presto – dice e si sistema meglio Rosie tra le braccia, le riempie il viso di baci.
John sospira, afflitto, ma Violet se la sta godendo un mondo. È talmente felice da essere un pelino inquietante.
- Perché non va a fare un tè? – propone dopo un po’ – Sa, per tenersi impegnato – e John stacca un attimo gli occhi dal giardino – Oh – dice – ma sì, certo
È già sulla soglia quando la Violet lo ferma – Il mio con-
- Un sacco di latte – la interrompe John – Lo so – e le fa l’occhiolino.
La cucina degli Holmes non è grandissima, ma è ben accessoriata e Violet, da brava donna di casa, la tiene in perfetto ordine. John ne è parecchio intimidito. In confronto, ed è il primo a riconoscerlo, casa loro, a Baker Street, è un porcile. Pulito, certo, ma di un tale disordine da far spavento. John ci pensa mentre posiziona il bollitore sul fuoco. Colpa di Sherlock, naturalmente. Un casinista nato, non c’è che dire. John ormai ha perso il conto degli oggetti impensabili che ha trovato in luoghi altrettanto impensabili. Probabilmente, se solo qualcuno chiedesse alla signora Hudson, lei li additerebbe come i peggiori affittuari della storia, muri dipinti, rumori molesti e cadaveri inclusi.
Quando torna di là, le tazze in mano, Rosie si è addormentata in grembo alla signora Holmes e lui ha stampato in faccia il sorriso più ebete che si sia mai visto. Porge il tè a Violet e poggia il suo sul tavolino basso di fronte al divano. Poi afferra Rosie e, dopo averle baciato i riccioli biondi, la porta nella camera degli ospiti e l’adagia, piano, nella culla che Mycroft ha regalato loro nemmeno due mesi prima. Quando l’aveva vista Violet aveva sbattuto le mani per la felicità – Così potrete venire a trovarci spesso – aveva detto – Rosie potrà dormire quanto le pare – John non aveva avuto di che lamentarsi, dopotutto.
Violet sorseggia il suo tè lentamente – È davvero buono, John – dice – Complimenti – e John, in risposta, arrossisce quasi. Non è ancora abituato alla madre di Sherlock, nemmeno a suo padre, in verità. Non crede si abituerà mai.
- Sono contento che le piaccia – ridacchia – Ho dovuto imparare a farlo. E bene, anche. Sherlock stava quasi per buttarmi fuori di casa
Quando ci pensa ancora gli viene da ridere. L’aveva minacciato davvero, durante i suoi primi giorni a Baker Street e John, come la maggior parte delle cose che riguardano Sherlock, si era adattato. Giusto un po’.
Violet gli concede un sorriso dolce, poi lancia uno sguardo oltre il salotto e sospira – Stanno davvero facendo tardi, vero?
John poggia una mano sulla sua. Finiscono di bere il tè in silenzio.
 
 
 
 
La porta d’ingresso si apre solo due ore dopo, quando uno Sherlock eccitato oltre ogni limite fa il suo ingresso in casa il più rumorosamente possibile.
- John – lo si sente urlare dal giardino – John
Mycroft è subito dietro di lui, composto come sempre.
- John – dice Sherlock – Non ci crederai mai. Un triplice omicidio. Triplice. E-
Violet non gli dà nemmeno il tempo di finire la frase – E niente, Sherlock Holmes – lo redarguisce – Abbassa la voce. Tuo padre sta ancora dormendo.
John lo vede incassare un poco la testa nelle spalle, assottigliare gli occhi come un bambino – D’accordo – sussurra e torna a posare lo guardo su John – Triplice omicidio – ripete, mentre si sfila guanti e sciarpa, la voce più bassa di un paio di ottave. Mycroft ha già preso posto in poltrona, di fronte al camino acceso e, quando John gli lancia uno sguardo di traverso, muove impercettibilmente la testa in un cenno di saluto. John fa lo stesso, poi torna ad ascoltare Sherlock.
- Tre cadaveri – gli sta dicendo, contento ai limiti della decenza – in una stanza chiusa dall’interno, tutti vestiti uguali e nella stessa posizione. Oh, saresti dovuto venire anche tu, l’avresti adorato – e John non ha davvero il cuore di contraddirlo.
- A quanto pare – soffia Mycroft, mellifluo – Sherlock l’ha trovato parecchio divertente – e qui John sente chiaramente Violet esalare un – Santo cielo! – mentre, a parer mio, non era che raccapricciante – ma Sherlock è così esaltato da non rendersi conto di niente.
Solo quando si lascia cadere di fianco a lui sul divano, le gambe lunghe completamente distese, sembra ritrovare un minimo di contegno.
- Rosie? – domanda.
- Camera degli ospiti – dice John – l’ho controllata poco fa – e poi, come da routine – Allora? – chiede e riesce a sentire chiaramente Mycroft sollevare gli occhi al cielo.
- Allora cosa?
John sorrise, accondiscendente – L’hai risolto, no?
Sherlock non si sforza nemmeno a nascondere il suo essere schifosamente compiaciuto e così finiscono a parlare di morti accoltellati la sera di Natale. Solo loro due, in verità, con Violet che si alza e si rintana in cucina perché – Questo è troppo – e Mycroft che, sdegnato, li lascia per andare a svegliare il padre. John non vuole sapere con quale metodo ma, conoscendo il soggetto, di sicuro non a furia di paroline dolci.
Comunque succede che, ad un certo punto, Sherlock si allunga su di lui e gli poggia le cosce sulle ginocchia e John lo lascia fare fino a che Violet non infila la testa in salotto e – Sherlock – urla – via immediatamente le scarpe dal mio divano! – e Sherlock lo fa, terrorizzato come se avesse ancora cinque anni e poi lui e John scoppiano a ridere.
Mycroft, da lontano, rotea di nuovo gli occhi.
 
 
 
 
Non è la prima volta che passano le feste a casa Holmes. Sherlock dovrebbe, a ragione, esserne perplesso o, per lo meno, giustamente incuriosito. Oltre che, s’intende, parecchio disgustato. Se ne riscopre, in realtà, perfettamente a suo agio. Sua madre poi, ha dedotto da un po’, ha un’inopportuna e parecchio imbarazzante cotta per John. E per Rosie, ovvio. Anche Sherlock ha una cotta per Rosie. Forse anche per John. Ma comunque.
È parecchio soddisfatto, a dirla tutta. Ha da poco risolto un complesso triplice omicidio, John è al sicuro, sembra contento e lui si sta fumando la prima agognata sigaretta della giornata. Presenza molesta a parte, si sente più che bene.
Mycroft ha quest’assurda abitudine di metterlo alle strette nei momenti peggiori della giornata e sempre in modo inopportuno. Sherlock aspira e gli lancia l’occhiata più infastidita che gli riesce – Cosa c’è, Mycroft? Hai l’aria terribilmente compiaciuta
L’altro non gira nemmeno la faccia, ondeggia impercettibilmente sui talloni. Muore dalla voglia di stuzzicarlo un po’ – In verità, fratello, credo di essere felice – dice e Sherlock quasi si strozza con la saliva – Felice? – rantola – E da quando in qua tu sei felice?
Mycroft adesso sorride come un pazzo – Potrei, ad onor del vero, elencarti una serie di motivi e di situazioni, diciamo così, che mi rendono profondamente e davvero poco elegantemente felice, ma, se permetti, preferisco evitare ad entrambi l’imbarazzo
Sherlock solleva un angolo della bocca, tira – Ad onor del vero, fratello – scimmiotta – non voglio nemmeno immaginare a quali situazioni ti riferisci – poi, messa su la sua migliore faccia da schiaffi – A proposito – sibila – Come sta Gavin? Giles?
- È Greg – lo corregge Mycroft per abitudine e a quel punto Sherlock sa di aver vinto. Cielo, quanto lo detesta!
- Ma comunque – sogghigna, già pronto ad un nuovo attacco – io mi riferivo a te
- A me? – oh no, no e poi no, Sherlock preferisce morire piuttosto che dargli quella soddisfazione.
Mycroft solleva le sopracciglia, ringalluzzito – Ti prego di smetterla di mortificare quel poco di intelligenza che ancora ti è rimasta, fratello – miagola – Mi spezza il cuore
Sherlock, dal canto suo, trema come un serpente a sonagli – Ovviamente – dice – Hai finito?
- Per adesso
Sherlock butta via la sua sigaretta tre minuti dopo. È ancora a metà e la schiaccia sotto il tallone. Vuole tornare da John, e da Rose e sì, liberarsi di quella palla al piede che è suo fratello. Il quale però, armato di faccetta angelica e tono zuccheroso – e precisiamo: Sherlock non si fida di lui nemmeno quando dorme – lo ferma un attimo prima che metta un piede dentro casa.
- Dicevo sul serio, Sherlock – mormora – Hai una bella famiglia – e si volta verso di lui, lo fissa a lungo – Sono felice per te
Sherlock annuisce una volta sola, non lo guarda in faccia – E io per te
Questo, si dice, è tutto l’amore fraterno che riescono a gestire.
 
 
 
 
Dormono insieme, naturalmente, lui e John. Spostano la culla di Rosie vicino al bordo del letto e si addormentano con l’orecchio teso. È una cosa che fanno da un po’ – quattro mesi e vent’uno giorni, per essere precisi – e non è nemmeno lontanamente imbarazzante rispetto a come l’avevano immaginato. Comunque. Sherlock dà le spalle a John, il viso rivolto verso il faccino addormentato di Rosie. Dorme poco, come sempre. Alle volte rimane sveglio tutta la notte.
Ogni tanto Rosie gorgoglia nel sonno, si lamenta ad occhi chiusi e Sherlock infila le dita nella stoffa azzurra della culla, la fa dondolare avanti e indietro per un paio di minuti.
A quanto pare, il sonno quieto e profondo non è nella genetica della famiglia Watson.
Sherlock sorride, nel buio, accoglie tacito le mani di John che gli si aggrappano alla maglia leggera del pigiama. Per tenersi occupato conta la cadenza del suo respiro. Uno, due. E la fronte di John si infila tra le sue scapole. Uno, due. E Rosie mugola, apre e chiude i pugni chiusi. Uno, due. E Sherlock ruota in polso, fa oscillare la culla. Uno, due. E John prende a russare piano. Uno, due. E il suo respiro gli riscalda il collo.
Sherlock sospira, beato. Non potrà muovere un muscolo fino al mattino dopo, ma, dopotutto, non gli importa. Uno, due. Adesso si rende conto; dormire, pondera, non è poi così male.












































Note: Sono bravissima a riesumare storie - farne una raccolta era il passo successivo. Spero che siano delle buone letture - sono a tema libero, a rating variabile - e di riuscire ad aggiornare più o meno ogni 10 giorni.
Solo, grazie per essere arrivato fino a qui.

  
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