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Autore: ale93    31/08/2017    1 recensioni
Gli L.S.F., band amatissima, annunciano un ritiro improvviso dalle scene. Settimanali, tabloid e fan s'interrogano da molto sui motivi dello scioglimento. Ian Gordon, frontman e cantante, offre una sua versione dei fatti.
Dal podcast primo del blog Gordie (aperto da Ian Gordon dopo lo scioglimento del gruppo):
«Ho sempre avuto quattro certezze: non capisco e non capirò mai il rugby, mia madre non sa preparare il chili, non posso diventare David Bowie. E la quarta… la quarta è che Joel Mitchell è parte della mia musica. Della mia vita. Che è come dire la stessa cosa, praticamente.»
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Disclaimer: I personaggi e gli eventi narrati di seguito sono frutto della mia fantasia così come le citazioni di blog, tabloid, riviste e profili tumblr. 
Note: L.S.F. o Lost Souls Forever, nome della band, è un chiaro omaggio ai Kasabian e all'omonima canzone. La canzone These arms of mine non esiste. In questa storia sono inseriti fatti ispirati a svariate vicende realmente accadute ai membri di alcune band degli anni 90 e primi 2000, come raccontato dagli stessi in alcune interviste (alcuni esempi: Duncan James, Blue; Lance Bass, *NSYNC, Ricky Martin; Jonathan Knight, New kids on the Block; e potrei citarvene tanti altri, ma vi basterebbe una velocissima googlata per restare sconvolt* da quanti siano i casi simili a quelli ricostruiti nella fic.)

























Da un articolo redatto da Ellie D. Grossman per il tabloid CosmoGirl.
 
“La scorsa settimana, la band statunitense di fama internazionale L.S.F., composta da Ian Gordon, Joel Mitchell, Ewan Stinson e Chad Denvey lanciava un annuncio shock ai fan tramite i social network della casa discografica che la rappresenta:
 
E.S.: «È con dispiacere che annunciamo il ritiro temporaneo dalle scene degli L.S.F. È un’avventura che speriamo di continuare a vivere in futuro!»
 
I.G.: «Il vostro supporto è incredibile! È solo una pausa, torneremo presto. È una promessa!»
 
C. D.: «Torneremo da voi con nuovi progetti! Restate in ascolto!»
 
La notizia ha gettato i fan in uno stato di disperazione che li ha spinti a mandare in trend l’hashtag #tellusthetruth, sulla scia delle sempre più numerose teorie riguardo all’improvvisa ed ingiustificata interruzione del progetto musicale.
 
In uno dei forum dedicati alla band, si legge:
 


| SickSara: Pensateci bene Soulless (termine con cui si autodefiniscono i fan della band in giro per il mondo, N.d.A.), non è la prima volta che la casa discografica ci nasconde informazioni riguardo ai ragazzi. Vi ricordate quando Ian ebbe quell’incidente in moto e per non farcelo vedere sfigurato, s’inventarono che era partito per un viaggio di famiglia e chiedeva privacy? Ma per favore, c’è qualcosa sotto e nessuno me lo leva dalla testa.
 
DeathLeni: Non cominciamo con le teorie complottiste. Erano mesi che ci si lamentava dei concerti scarsissimi, per non parlare del fatto che l’ultimo album fosse una roba scadente che neanche le canzoni dei Teletubbies. Dai.
 
SickSara: @DeathLeni come me lo spieghi il fatto che Joel sia l’UNICO a non aver twittato niente?
 
Kiwi6: che Joel e Ian fossero in crisi si vedeva e tutti, ma proprio tutti, avevano ipotizzato tantissimo tempo fa che questo potesse portare alla rottura. Non registravano neanche più nello stesso studio. Non si sopportavano. Che cosa pensavate che sarebbe successo?
 
DeathLeni: Lo sapevo che sarebbe venuta fuori la questione del conflitto insormontabile. Fatemi capire, voi non litigate mai con i vostri amici? Vivete la perfetta vita da pubblicità del Mulino Bianco? State girando il vostro personalissimo film tutto nella vostra testa. |
 


La sconvolgente notizia dello scioglimento della band ha portato così a galla dubbi sulla mancanza di commenti in proposito da parte del chitarrista Joel Mitchell, autore di gran parte dei testi degli L.S.F. e co-fondatore degli stessi. Non c’è testata giornalistica che non abbia cercato di farsi concedere un’intervista, l’agente dell’artista ha dovuto cancellare l’indirizzo di posta creato appositamente per i fan, a causa dell’inimmaginabile numero di email inviate, alcune contenenti spaventose minacce di suicidio da parte delle groupies più sfegatate.
 
I fan parlano senza mezzi termini di presunti insabbiamenti da parte della SonicRecords. Non sono nuove, infatti, le voci di corridoio riguardo all’esteso controllo esercitato dalla casa discografica sugli artisti della sua scuderia.
 
Ma dove si nasconde la verità? È davvero un litigio tra amici di vecchia data la causa dello scioglimento di uno dei gruppi musicali più acclamati degli ultimi anni? E nel caso la risposta a questa domanda fosse positiva… perché la SonicRecords vorrebbe tenerlo nascosto al pubblico? Non è poi un avvenimento così sconvolgente, in questo ambito.
 
Restiamo in attesa di ulteriori aggiornamenti o magari, chissà, di un’intervista proprio con Joel.”
 
 
 

Estratto di un’intervista radio a Chad Denvey, batterista della band L.S.F, per il canale NWU.
 
«[…] non è mai stato facile avere a che fare con loro. Joel e Ian… loro sono due cazzo di geni della musica: uno scrive i testi e l’altro compone, non sembrano neanche umani… ma sono come cane e gatto. Ghiaccio e fuoco. Non è che non si vogliano bene… è che ultimamente non riuscivano a comunicare. C’erano solo urla. Sempre urla. Per la nostra musica, per i concerti, litigavano anche per il ristorante in cui mangiare. Se non ci sei dentro non puoi capirlo, non puoi capire fino a che punto questa vita ti scava nel cervello. Cominci a credere che ogni passo che fai ti si ritorcerà contro, prima o poi. E questo era quello che provava Ian, questo era diventato nell’ultimo periodo: un ratto impaurito. E Joel non l’ha mai sopportato. Sono sicuro che risolveranno i loro problemi, perché quei due bastardi sono molto più che fratelli, quello che li unisce non si può spiegare a parole, si può solo sentire a pelle. Troveranno il modo di venirsi incontro, ma ora come ora abbiamo tutti bisogno di prenderci un po’ di tempo per pensare. Soprattutto Joel. Sempre che non mi mandino al diavolo dopo aver sentito quest’intervista.» [risate dello speaker di trasmissione]
 
 
 

Dal podcast primo del blog Gordie (aperto da Ian Gordon dopo lo scioglimento del gruppo):
 
«Ho sempre avuto quattro certezze: non capisco e non capirò mai il rugby, mia madre non sa preparare il chili, non posso diventare David Bowie. E la quarta… la quarta è che Joel Mitchell è parte della mia musica. Della mia vita. Che è come dire la stessa cosa, praticamente
 
 
 



These Arms of Mine
 
 
Qualche mese prima.
 
Non c’era una nuvola in cielo, quella mattina di Giugno a Cleveland. Si erano persi in una strada senza uscita mentre cercavano di raggiungere l’hotel in cui avrebbero alloggiato, e intanto il sole minacciava di cuocergli le budella: batteva sul parabrezza del minivan ed irradiava un calore che l’aria condizionata riusciva a malapena a contrastare. Ian odiava sudare, trovava disgustoso passarsi una mano sulla fronte e trovarla umida, non sopportava l’idea che la camicia gli si bagnasse a contatto con la pelle della schiena. Quando si sventolò una mano davanti al viso, Joel rise e disse: «non conosco nessuno che sia più diva di te, Ian Gordon.»
I ragazzi risero quando Ian alzò il dito medio in risposta.
Era il tipico siparietto di Ian&Joel a metà mattinata. I nuovi impresari della Sonic che avevano conosciuto a Memphis il mese prima dicevano che avrebbero potuto mettere su una sitcom e sarebbero stati perfetti. Ian si era dovuto trattenere dal mandare affanculo anche loro.
 
Quella sera avrebbero dovuto suonare all’inaugurazione dei Music Summer Days. Non si trattava di un evento particolarmente in vista, ma c’erano questi tizi, i Lifehouse, avevano una discreta presa sul pubblico. Non quanto gli L.S.F., no. Quella sarebbe stata un’impresa irripetibile per chiunque. Ian osservava le reazioni delle ragazze ogni volta che mettevano piede sul palco, quando Joel si lanciava sulla spalla la fascia della chitarra, o mentre Chad faceva roteare le bacchette e Ewan piegava il basso verso la platea, mandando tutti i visibilio. Era desiderio, quello che leggeva sulle facce di ogni spettatore. Le ragazze speravano di essere le loro donne, di mollare tutto e seguirli in tour. I ragazzi volevano essere come loro.

Essere sul palco lo rendeva euforico. All’inizio, era stata l’unica droga da cui dipendesse. Poi, alla fine del primo tour internazionale, si era sentito vuoto, gli era venuta voglia di comporre blues. Era depresso. Si era chiuso in una stanza fino a quando Rick Honovan aveva chiamato dalla Sonic; «abbiamo un paio di apparizioni televisive», aveva detto.
«Non è lo stesso, Rick. Non è lo stesso.»
«Proveremo con i concerti di Natale. Vedremo che si può fare.»
Due settimane dopo, avrebbe ucciso pur di trovare qualcosa che sapesse mandarlo in estasi come le urla a squarciagola delle diciannovenni senza reggiseno dal sottopalco. Coca, eroina, LSD, speed... sembravano tutte la stessa cosa. E lo facevano volare sul serio, più in alto dell' Empire State, più leggero di un moscerino. Volava, volava, volava. Ma tornava sempre giù; ogni volta, la caduta era più rovinosa.

Joel lo aveva trovato con la gola gonfia e violacea la notte della vigilia di Natale, nel bagno della sua suite.
Gli aveva messo una bistecca ghiacciata sotto le palle e la prima cosa che Ian aveva sentito, riprendendo i sensi dopo lo shock termico, era stato un ringhio animalesco: «se muori, ti giuro che finirai nella bara sfigurato, perché ti riempio di pugni anche da cadavere, testa di cazzo.» Una dichiarazione d’affetto, senza dubbio.

Questa a Cleveland era la prima volta che Ian saliva su un palco dopo la disintossicazione: avvertiva su di sé gli sguardi ansiosi dei ragazzi e di Rick, ma mai quello di Joel. Joel lo conosceva abbastanza da sapere che gli effetti della disintossicazione avevano disgustato Ian quel tanto che bastava da tenerlo lontano dalle droghe per le prossime mille reincarnazioni. Joel lo aveva visto vomitarsi sulle mutande, sudare freddo fino a svenire. Lo aveva visto lanciare in aria tavoli e sedie, in preda ad una crisi d’astinenza che era stata la prima di una lunga serie. Negli occhi Joel c’erano stati disprezzo, rabbia, confusione, ad un certo punto doveva aver desiderato di prenderlo a cazzotti fino a stordirlo, ne era certo, ma nelle sue mani Ian aveva sempre e solo trovato una bizzarra delicatezza. C'era qualcosa di tenero nel modo in cui gli sfilava le scarpe a tarda notte, quando Ian tremava tanto da non essere in grado di muoversi come si deve, o nella maniera in cui lo aveva consolato, quando era apparsa una lesione sulla pelle del viso, un regalo della sua polvere di stelle senza dubbio; «non si nota neanche, su quella faccia da culo che hai», diceva Joel.
Una volta, a tarda notte, Joel aveva preso a parlare a vanvera di qualsiasi cosa gli passasse per la testa pur di distrarre Ian dalla sua insonnia e dalla voglia di chiamare quel certo Pete che si diceva facesse piovere la neve più candida del mondo proprio al centro dello star system. Così aveva sganciato la bomba, tra un pour parler e un altro: «perché non vuoi andare in un centro di disintossicazione?»
Ian aveva stretto i denti, guardando ostinatamente il soffitto. Perché, gli chiedeva quell’idiota. Perché avrebbe dovuto sbattere sulle prime pagine la faccia dell’ennesimo, drogato, frontman di un gruppo di successo e dare ragione a tutti i cliché. Patetico. Ma questo non poteva dirlo, e non ce n’era neppure bisogno, prima o poi Joel ci sarebbe arrivato, perché era quello che aveva sempre fatto. Così Ian si era disegnato un sorriso sul viso e aveva risposto: «Perché se mi chiudono in una stanzetta per fare terapia di gruppo finisce che non sapete comporvi neanche mezzo jingle e falliamo tutti. Vuoi veramente fare questo ai ragazzi?»
«Chad mi ammazzerebbe. Ha appena comprato una Jaguar.»
Dopo qualche secondo, la risata si era bloccata nella gola di Ian. «Hey,» aveva detto, la voce strozzata. «Come sapevi che fare quando... quando mi hai trovato nel bagno?»
Joel aveva studiato a lungo l'espressione sul viso di Ian, poi aveva allontanato lo sguardo dal suo. «Mia madre faceva le stesse cose per mio fratello.»

La questione si era conclusa con un pacco di sigarette e una telefonata in anonimo in casa Denvey per denunciare un falso incidente ai danni di una Jaguar Racing color blu elettrico, avvenuto nel garage di proprietà di Chad. Avevano riso fino a farsela nei pantaloni. Era sembrato tutto così semplice, quella notte.

Solo qualche giorno dopo erano iniziate le telefonate dei giornalisti, i primi assedi dei fan curiosi sotto la sua finestra.
Le minacce di Rick riguardanti l’inizio del tour successivo erano arrivate veloci come un destro sullo zigomo; «se non ti dai una svegliata», continuava a dirgli, «la giostra smetterà di girare, Ian. Se non ti rimetti subito in pista, non ci sarà più nessun palco, nessun tour, nessun fan. Non resterà niente degli L.S.F. La dichiarazione ufficiale è che sei in pausa, per via di un po’ di spossatezza. Restiamo su questa linea. Non rispondere al telefono, non rilasciare interviste finché non te lo dico io, ci siamo capiti?»
Joel l’aveva presa di buon grado sulle prime, doveva essergli sembrata un’idea sensata. In accordo con la casa discografica, aveva dato una versione perfetta della temporanea uscita di scena di Ian. Non era stato colto in fallo neppure una volta. Un attore nato, ecco cos’era. Ma Ian aveva cominciato a vederla quella vena di irrequietezza che correva appena sotto il carattere mansueto di Joel. Erano bastati due brani scartati perché “poco appetibili per il pubblico”, per farlo esplodere. «Macchine da soldi, questo siamo per la Sonic. Se ne fottono di quanto ci metta di me per scrivere quei testi, e se ne fottono della tua salute, cristo santo.»
 
Fino a quel momento, nessuno si era reso conto di nulla, ma Ian riusciva a vedere l’insofferenza con cui Joel rispondeva alle richieste di Rick. Sta volta, per far scattare la piccola molla nella testa di Joel era stata una cosa da niente, un po’ azzardata forse, ma erano tutti abituati alle pretese discografiche.  
«È l’occasione ideale per testare il feedback dal vivo del nuovo singolo. Che ne pensate, eh? Ian? Tu che ne dici, te la senti di cantarlo? Te lo ricordi il testo o vuoi il gobbo?»
Joel inspirò rumorosamente dalle narici. «Rick,» disse minacciosamente, «mancano venti minuti all’apertura del concerto. Venti minuti e non abbiamo mai provato quella canzone dal vivo.»
«Oh, avanti,» farfugliò Rick, «non c’è bisogno di agitarsi, in live non avete mai avuto problemi.»
«Cristiddio, sei mai stato nel backstage di un concerto? No, perché per la iella che ci hai appena buttato addosso si direbbe di no.»
Rick Honovan era sempre risultato un ometto insipido, al fianco di Joel Mitchell. Il primo calvo, un amante dei grassi saturi a giudicare dallo strato di grasso sull’addome, leggermente curvo su se stesso, occhi piccoli da topo; il secondo alto in modo imbarazzante, magro come un chiodo, i capelli lunghi e biondi acconciati come quelli di una rockstar anni ’80, palpebre velate di ombretto argentato e rima delle ciglia disegnata di eyeliner. Eppure in quel momento, con il solo potere di un ghigno ben posizionato sulla faccia, Honovan riuscì a sembrare sprezzante nei confronti dell’uomo che gli stava davanti.
«Mi dispiace, Joel. Continuo a dimenticare quanto siate inclini a certe debolezze come la superstizione, voi artisti e il vostro animo fragile. Bisogna fare attenzione,» fu l’ultima frase che disse Rick, lanciando un’occhiata lunga e significativa a Ian, prima di alzare i tacchi e lasciarli.
Fu solo una delle tante, irrilevanti battute in riferimento alla sua breve crisi depressiva. Per quanto gli infiammasse gli occhi, per quanto lo costringesse a stringere i denti, aveva imparato a convivere con quell’atteggiamento di Honovan. D’altronde era il loro manager, si occupava di far filare liscio l’intero progetto musicale, e Ian si era macchiato della colpa di diventare un ostacolo sulla strada degli L.S.F.: era piuttosto comprensibile che Rick gliela facesse pagare in ogni modo e in ogni occasione. Non c’era niente di personale in questo. Chiunque di loro avesse perso di vista l’obiettivo sarebbe diventato una mina vagante, un pericolo per tutti gli altri. C’era una certa logica distorta, dietro tutto questo.
Ma Joel non la pensava così. Ian glielo lesse nello sguardo, e nel modo in cui le sue mani si ancorarono brutalmente al braccio della chitarra.
 
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Dal podcast secondo del blog Gordie:
 
«Joel… è sempre stato una di quelle acque chete che bisogna sempre tenere d’occhio. Accumula, accumula, accumula, fino a quando non lo vedi trasformarsi in una sorta di Hulk, ed è a quel punto che esplode. Mi ha sempre divertito questo lato del suo carattere, sin da quando eravamo due marmocchietti. Mi piaceva istigarlo. Forse lo tormentavo un po’. Non so perché non mi abbia mai mandato a quel paese. Facevo un sacco di cazzate per spingerlo sempre un po’ oltre il limite. Ma il massimo che mi meritavo era una risata da parte sua. Non si è mai veramente incazzato, non con me. Non fino a quel momento. E, credetemi, è stato meglio così.»
 
 
Dalla dichiarazione di Ewan Stinson agli MTV Awards:
 
«Gli L.S.F. non sono mai morti veramente. Suonare con i ragazzi è stata un’esperienza che mi ha formato e mi ha permesso di entrare a far parte del mio attuale gruppo. Mi sentirò sempre parte degli L.S.F. […] Purtroppo una serie di circostanze ci hanno allontanati. Pensavamo che avremmo risolto, ma i rapporti con le persone non sono pezzi di vetro, non si possono incollare e basta. […] Certo che ho ancora contatti con i ragazzi. […]Dovresti chiedere direttamente a Joel ed Ian in che rapporti siano, al momento. Quei due sono un casino totale, non sai mai se si amano o si odiano.»
 
 
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Joel usò il palco come un diversivo, quella notte. Non gli era mai importato di dare spettacolo, le sue erano sempre state mosse basilari: accostarsi ad Ian durante un assolo di chitarra, addossarsi ad Ewan quando la canzone toccava le melodie più basse... Di tanto in tanto, dare le spalle al pubblico per suonare verso Chad e la sua batteria. Chiunque sarebbe risultato anonimo, in quel modo. Ma non Joel. Non il ragazzo di origine francese, un metro e novanta di pelle ed ossa e muscoli solo poco accennati sulla cui cima spiccava quella specie di scoiattolo morto che lui chiamava capelli. Le ragazze avrebbero pagato per passare una notte con lui. Dovevano essere le mani, mani grandi dalle dita affusolate, agilissime sulle corde, poco curate, ruvide, forse per questo affascinanti. O forse era per gli occhi truccati. C’è qualcosa, negli occhi truccati degli uomini, che manda in orbita le ragazze. Quella notte non fu diverso. A Joel bastò schioccare le dita a tempo di musica sulle prime note del singolo “These Arms of Mine” per far levare un boato quasi inumano dal basso del sotto palco. La voce di Ian fu sommersa dalle centinaia di persone che cantavano con lui i primi versi del brano. Qualcuno tese un braccio oltre le transenne, nel tentativo di richiamare l’attenzione di Ewan.
 
Joel sembrava nel pieno di un orgasmo. Piegato sulla sua fender, i capelli a coprirgli lo sguardo. Sollevò gli occhi su Ian quel tanto che bastò per sorridergli, poi alzò le mani dalla chitarra e ignorò i tempi del suo assolo, smise di suonare. A riempire il vuoto, là dove avrebbe dovuto esserci il suono elettrico delle corde, arrivò la sua voce. «Lo sapete per cosa sta L.S.F.?» chiese con le labbra incollate al microfono. Il pubblico esplose in un suono univoco: Lost Souls Forever.
Ian si lasciò sfuggire una risata lontano dal microfono. Dal retro, lo sguardo di Honovan li fulminò tutti per aver sporcato la performance.
 
Ci fu un tour quell’estate. Non un grosso tour internazionale come quello dell’anno precedente, ma fu abbastanza lungo da tenere Ian lontano dalla depressione e Joel troppo in prossimità di Rick.
«Ci sono volte,» disse Joel, aspirando dalla sigaretta, «in cui mi chiedo se è lui che ha bisogno degli L.S.F. per campare o se siamo noi ad aver bisogno di lui.»
Era l’alba. Il tetto dell’hotel sembrava un grande mare di cemento; dall’alto del parapetto a cui erano affacciati uno accanto all’altro, la strada era solo un serpente dalle scaglie coloratissime, i rumori erano troppo lontani per starli ad ascoltare davvero. C’era solo la voce di Joel. E la sua tristezza. E il cielo viola e arancio sulle loro teste.
«Una non esclude l’altra.»
Joel guardò a lungo davanti a sé, tenendo ferma la sigaretta tra l’indice e il pollice. «A me sembra di vivere in prigione. E nessuno può aver bisogno di un uomo in prigione.»
Ian gli diede un leggero colpo con la spalla. «Ti stai solo lagnando perché non ti lasciano tornare a casa durante l’estate.»
Dopo qualche lungo istante, Joel mollò la presa sulla sigaretta e la guardò volteggiare verso il basso fino a quando fu un puntino indistinguibile. Una delle sue mani esitò, prima di chiudersi su quelle unite di Ian. «Non voglio tornare a casa. Non è quello.»
Ian fuggì dalla stretta per un riflesso incondizionato. «E allora qual è il problema?» chiese più bruscamente di quanto intendesse.
Joel torturò la pelle intorno al pollice con l’unghia dell’indice. Guardava in basso e mai nei suoi occhi. «Lo sai.»
«Jo-.»
Joel rise istericamente; si allontanò, tirandosi i capelli indietro sulla fronte. «E' ridicolo che tu non riesca neanche a parlarne. Cos'è, hai ancora cinque anni?», calciò via una pietra. «Che cazzo, Ian.»
«Ma noi ne abbiamo parlato. È una cosa fra me e te. È successo. Non lo deve sapere nessuno. Fine»
«Fine?»
Ian si tirò via dal parapetto, le spalle improvvisamente irrigidite. «Fine.»
«Perché?»
«Sei un cazzo di idiota incredibile. Non lo capisci che basta una diceria, una sola, e Rick vorrà le nostre palle? Le mie e le tue. Su un piatto d’argento.»
 
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Joel aveva scritto These Arms of Mine durante il periodo di disintossicazione di Ian. Quando passava ore chiuso con lui in quella suite che puzzava di stantio, con le pareti che sembravano restringersi ad ogni minuto. Le rare volte in cui Ian riusciva ad appisolarsi, era svegliato dal grattare della penna di Joel su qualche tovagliolo. Quando Joel finì di scrivere l’ultimo verso, raccolse tutti i pezzi di carta pieni dei suoi scarabocchi e li mise in grembo a Ian: «dimmi che ne pensi.»
Aveva pensato che fosse meravigliosa, ecco che aveva pensato.
I wish I had you in these arms of mine. I wish you could see me, feel me, have me. I wish. But you’re a lost soul and I’m in chains. I wish I had you in these arms of mine. Please, come back in these arms of mine.
«Se non ti vedessi scrivere dalla mattina alla sera, non riuscirei a crederci.»
«A cosa?»
«Al fatto che queste parole siano tue, Joel. C’è dell’anima viva, qua dentro. È roba di qualità. Fa piangere.»
Joel lo aveva guardato nel buio della stanza talmente a lungo e in maniera così intensa che Ian aveva sentito ogni muscolo irrigidirsi, a disagio. Poi, all’improvviso, «ho avuto paura di vederti morto,» disse Joel in un soffio di voce, accigliandosi, «brutta testa di cazzo.» Fece per voltarsi e scendere dal letto. Poi sembrò ripensarci, perché tornò a fronteggiarlo e lo baciò sulla bocca con aggressività, le sopracciglia unite in un’espressione concentrata.
Non poteva dire di esserne veramente sorpreso, c'erano state mille altre occasioni simili a quella notte: tutte volte in cui le labbra di Joel catturavano l'intera luce della stanza ed Ian ci si avvicinava come una falena al fuoco. Non si aspettava quel sapore. Un misto di caramelle alla fragola e Vigorsol. Era terribile. Era perfetto.
Calò un silenzio denso di incertezza, che Ian si sforzò di trovare fastidioso. Non ci riuscì.
«Ian… c’è la possibilità che ti dimentichi di questa cosa?»
Ian ignorò il mai che aveva sulla punta della lingua. «E perché l’hai fatto se vuoi che me lo dimentichi?»
Joel restò con la fronte appoggiata alla sua, a respirargli sul viso. «Prima o poi avrei dovuto farlo per forza.»
 
 
 
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Da un tweet di Ian Gordon:
 
«La gente può credere di vedere e di sapere quello che vuole. Lo rispetto
 
 
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Il sudore che correva lungo la schiena di Joel non se lo sarebbe mai dimenticato. Lo asciugò con entrambi i pollici alla base della sua schiena. Era perfetto.
«Sei una cazzo di diva anche quando scopi, Ian Gordon.»
 
 
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Non era mai più accaduto in sei mesi. Mai. Joel continuava a guardarlo come se si aspettasse qualcosa da lui, qualsiasi cosa. Un gesto, un segno d’intesa, una parola più dolce delle altre. Lo aspettava nei corridoi quando la troupe finiva di portare gli strumenti giù dal palco. Gli lanciava sguardi al di sopra della testa di Rick.
«Sei un pisciasotto,» urlò una sera, battendo il pugno contro la stanza dell’hotel in cui alloggiavano a New York. Erano alla quarta serata del tour. E Joel era più ubriaco di quanto lo avesse mai visto in vent’anni di conoscenza. Ian aprì in fretta la porta per evitare che qualcuno dal corridoio di sotto li sentisse.
«Sei un pisciasotto,» ripeté Joel una volta dentro la camera, sta volta a voce più bassa, puntandogli l’indice al petto. «Lo so che mi vuoi scopare di nuovo. Quella sera nella tua suite me lo hai detto, “non farei altro che scoparti”.»
«Joel, mettiti a letto e tappati la bocca.»
«Ora sì che ci siamo. Lo vedi? Non aspettavo nient’altro. Non sei davvero un pisciasotto.»
Ian lo spinse verso il materasso e Joel vi si accasciò di peso, i capelli troppo lunghi gli ricaddero sugli occhi. «Intendevo mettiti a letto a dormire
Joel lo accarezzò dal gomito alla spalla, fino a prendergli una guancia nella mano. Con il pollice premette sulla sua bocca. «I wish I had you in these arms of mine,» canticchiò, sorridendo. «Ian, Ian... non ci vede nessuno dietro questa porta.»
 
 
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Dal canale YouTube di HannaLovesGordie, commenti al video “Jian Bible”:
 
JxI: non c’è verso di convincermi che questi due siano solo amici. MA VI PREGO. Ma li vedete.
 
Rockmyroll: ma vedete gay ovunque? Sono amici da sempre, praticamente fratelli. Smettetela di insinuare queste cose.
 
HanniBall: Canon.
 
JxI: @Rockmyroll cosa li guardate a fare i fanvideo sulle ship se poi state qua a criticare.
 
Cactus88: se andate al minuto 11:23 Ian guarda Joel IN UN MODO ASSURDO. Se lo mangia con gli occhi.
 
JxI: @Cactus88 Joel è sempre quello più esplicito, gli sta sempre appiccicato. Ma Ian non si rende neanche conto del modo osceno in cui lo fissa. È incredibile. E infatti al minuto 11:36 Chad gli dice qualcosa come “stai sbavando” LOL
 
Rockmyroll: so leggere il labiale. Dice: sto sbadigliando, dato che l’intervistatore sta facendo domande noiosissime. Siete veramente ridicole con questa storia. Crescete un po’. Si tratta di persone reali non di personaggi da fanfiction. Vi passa mai per la testa che tutte queste cretinate sulla ship potrebbero fargli girare le palle?
 
 
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Quando cominciarono a girare le prime voci a proposito di una relazione tra Ian e Joel, fu lo stesso periodo in cui Ewan chiese a Lizzie di sposarlo e Chad andò a convivere con la ragazza con cui stava da un anno. Questo non fece altro che gettare sotto i riflettori il fatto che Joel Mitchel e Ian Gordon fossero inesorabilmente e inguaribilmente single. Joel non era mai stato fotografato in compagnia di qualcuno, pur avendo la fama di uno sciupafemmine. Di Ian, anni addietro, si disse che aveva una ragazza nella sua città natale. Non era vero. Era una tizia con cui era uscito due volte prima di rendersi conto che non c’era nessun motivo per fissare altri appuntamenti. Poi era arrivata la fama, e per le relazioni non c’era stato più tempo. Almeno fino a quando Joel e i suoi capelli biondi non si erano infilati nel suo letto.
Fino a quel momento, Honovan non aveva detto una parola in proposito di tutto quel vociferare. Una parte delle loro fan impazzite aveva smesso di sognare di stare con loro e aveva iniziato a volerli vedere insieme, ma erano pur sempre fan. Di certo impazzite. E tanto bastava a lui e alla SonicRecords. Non c’era troppo di cui preoccuparsi, in fin dei conti, non fin quando sarebbero rimaste solo voci.
«Il fatto è vero?» aveva chiesto semplicemente Rick.
«No,» aveva risposto fermamente Ian, nello stesso preciso istante in cui Joel, con un sorriso beffardo, aveva detto: «non vedo come possano essere affari tuoi.»
La faccia di Honovan si era irrigidita in una maschera di gelido disprezzo.
«Sono affari miei, Joel, perché se viene fuori che è tutto vero, se vengono fuori delle foto… tutta l’impalcatura che ci tiene in piedi crolla. Non sarete più credibili. Il pubblico diminuirà in un niente, potete starne certi. Se il fatto è vero-»
«Ti ho detto che non lo è,» insistette Ian. Joel lo guardò come se gli avesse infilato un pugnale nello stomaco.
Rick con voce più decisa di prima, continuò, «ho detto, se il fatto è vero, non deve uscire dalle mura della vostra stanza. Ci giochiamo tutto, vi ho avvertiti.»
 
Non fu come se un interruttore fosse scattato da un momento all'altro nella testa di Joel. Successe gradualmente, come la leggendaria goccia che scalfisce la pietra: ogni restrizione della casa discografica, ogni impedimento, ogni rimprovero, spingevano Joel sempre più vicino al limite. A volte evitava i sound check, altre cambiava le armonie dei brani in piena performance. Ma nella maggior parte dei casi, si limitava a sfiorare le mani e i fianchi di Ian non troppo lontano dagli obiettivi di telecamere e macchine fotografiche, e abbassava la bocca sul suo orecchio in pubblico e sussurrava oscenità. Dopo, gli occhi gli si accendevano di sfida.
«Non ti stancherai mai di me, Ian Gordon,» gli ripeteva, ridendo.
 
 
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Dal podcast terzo del blog Gordie:
 
«[…] su una cosa Joel aveva ragione. Non avrei mai potuto stancarmi di lui. Non ci si stanca di personalità come la sua. Non aveva previsto che lui si sarebbe stancato di… noi.»
 
 
 
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Tutto arrivò al punto di rottura il giorno in cui Ian decise di salire su una moto. Forrse aveva bisogno del vento in faccia, forse aveva bisogno della velocità, per inseguire la chimera di avere una via di fuga qualsiasi. Fu una cazzata.
La sua fu una caduta da niente, non aveva battuto la testa e non aveva riportato danni eccessivi: solo un braccio rotto, delle escoriazioni da pietrisco sulla guancia destra e un’ustione superficiale alla caviglia a causa della marmitta incandescente. Ma mancava una sola data alla conclusione del tour, ed era a distanza di cinque settimane da quel momento. Si sarebbe ripreso per tempo, glielo avevano detto anche i medici, ma Honovan non volle sentir ragioni. «Meglio non dar da parlare sulle tue bravate. Una caduta in moto e la gente comincerà a congetturare su guida in stato di ebbrezza e dipendenze. Non so come hai il ruolo del bravo ragazzo in quel gruppo, Ian, non possiamo proprio mandarlo a puttane.» Inventò un breve viaggio di ritorno dalla famiglia Gordon per la stampa, non si preoccupò neanche di chiedergli se stesse bene, cazzo.
«Chiama Joel,» chiese solamente Ian.
Rick lo guardò con irritazione, ma alla fine annuì il suo consenso.
 
Fu mentre usciva dall’ospedale, la macchina che aspettava sia lui che Joel sul retro, a pochissimi metri dalla porta scorrevole, che qualcuno li fotografò. Nessuno dei due se ne accorse se non fino a due giorni dopo, quando la foto cominciò a circolare. Ian era stato fotografato di profilo, di Joel si vedeva solo il capo nascosto sotto un cappuccio di felpa grigia. Joel gli aveva dato un solo bacio sulla fronte, quel giorno, ed era stato catturato in quello scatto.
 
Honovan andò su tutte le furie, al punto che Chad dovette tenerlo fermo per le spalle mentre gridava: «vi avevo avvertiti! Ci siamo andati vicino tanto così! Ci esploderà tutto in faccia! Questo mondo ci mette pochissimo a sbatterti le porte in faccia! Se avete intenzione di mandare tutto all’aria parlate chiaro, perché non verrò a fondo con voi!»
Joel lo guardò sprezzante e, senza battere ciglio, rispose: «abbiamo diritto ad una vita in cui tu ti fai i cazzi tuoi e noi i nostri. Quando si tratta di tour, apparizioni pubbliche e interviste sei tu il capo. Il resto del tempo… Levati. Dai. Coglioni.»
«Joel, falla finita,» sospirò Ewan alle sue spalle.
Rick sgusciò dalla presa di Chad e si avvicinò a pochi centimetri dal viso di Joel. «Il tuo atteggiamento del cazzo mi sta stancando, Mitchell. Sto facendo il mio lavoro che ti piaccia o meno.»
«Stai andando molto oltre il tuo lavoro. Ian ha la faccia distrutta, un braccio fuori uso, non sappiamo se riuscirà a tenere la chitarra in mano per l’ultimo concerto, e ti stai fissando su una foto in cui non si capisce neanche che siamo noi. Cristo santo.»

Ian smise di ascoltare.
 
 
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Cambiarono hotel, quella notte. Fu la prima volta che Ian bussò alla porta di Joel.
«Ma guarda, la diva si è scomodata.»
«Fammi stare qui, stasera.»
Joel sorrise sull’uscio della porta e gli sfiorò la guancia livida con la punta delle dita. Ian non guardò neppure in fondo al corridoio, prima di baciarlo.
 
Your lips are cruel and I’m in chains.
How I wish I had you in these arms of mine.
 
Si era solo illuso, sin dall'inizio, sin da quando aveva tentato di respingere Joel. Joel e le sue mani, Joel e i suoi occhi pieni di ombre, Joel e la sua bocca. Il suo modo di rendere tutto più complicato solo respirando.
Joel che era meglio delle urla e delle esibizioni, meglio di ogni tipo di droga che lo avesse sballato.
Non c'era una vera via di fuga da lui. Non c'era una via di fuga da niente. Non esisteva qualcosa che potesse liberarlo, niente che potesse farlo evadere da quella sensazione di avere le mani incatenate dietro la schiena. Poteva solo rabbrividire quando Joel sollevava lo sguardo su di lui dall'altra parte della stanza. Poteva solo fingere che di non sentirsi morire ogni volta che rifiutava le sue labbra sul collo, impaurito dall'idea che Rick li trovasse così, uniti. Osceni. Sbagliati. Pericolosi.

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La decisione di far scoppiare uno scandaloso -e falso- flirt tra Ian e una presunta qualunque fan del gruppo fu presa da Rick e Rick soltanto. Ian sapeva di non poterlo evitare, non con tutte le paparazzate e le dicerie sempre più insistenti, sempre più dettagliate. Sapeva di dover accettare le trovate di Honovan, o il prezzo sarebbe stato il benservito.
Joel, d'altra parte... lui diede di matto. Saltò tre interviste. Alla quarta, la sua mente era talmente altrove che rimase in silenzio ed imbronciato per quaranta minuti, mentre gli altri cercavano di coprire i silenzi con parole a vanvera.
L’intervistatrice, una certa Miranda di Turn Up the Music, si rivolse a lui in diretta, con un sorriso perfettamente bianco: «e come mai sei così silenzioso, Joel?»
«Mi creda,» rispose Joel, mentre il cameramen faceva un primo piano del suo viso. «E’ molto meglio così.»
 
Ad intervista conclusa, Ian non attese neppure che lo liberassero completamente della microfonatura: inseguì Joel per i corridoi dello studio, fino agli uffici stampa. Più di qualcuno si voltò a guardarli incuriosito dalla scenetta.
Imbarazzato, Ian lo prese per un braccio. «Joel, è una storia montata, non puoi-»
Joel si liberò di lui con uno spintone. «Inizio a pensare che non ci sia proprio niente di vero. Alla fine, a te sta bene tutto quello che Rick decide per te.»
 
 
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Dal tumblr di L.S.F. Fan Update:
 
holyfoxy: da dove salta fuori questa cafoncella? Chi è? In che senso Ian l’ha conosciuta ad un meet&greet?
 
Janethevirgo: non è romantico comunque che si sia preso una sbandata per una fan?
 
bbo: sì, esatto, fin troppo romantico. È tutto così falso. Stanno coprendo qualcosa, iykwim.
 
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Joel tornò da lui due giorni dopo. Lasciò che Ian gli aprisse la porta e, senza dire una parola, lo spinse contro il muro. La fronte premuta contro quella di Ian, le mani sul suo petto.
«Non mi interessa di quello che vuole inventarsi Rick. Joel, te lo giuro... io so cos’è vero, Joel.»
Ian si lasciò strappare via i bottoni della camicia, la zip dei jeans rimbalzo sul pavimento qualche istante dopo. Ian provò a sfiorargli le labbra con le dita, ma lui si ritrasse come scottato. Joel non lo guardò negli occhi neanche una volta e strinse la presa sui suoi fianchi talmente forte da lasciare segni rossi che sarebbero rimasti per giorni.
 
Scopavano in ogni angolo abbastanza nascosto; dietro le porte chiuse di uno sgabuzzino, Joel toccava con adorazione quella cicatrice sul viso di Ian che doveva essere coperta con il trucco. «Hai bisogno di questo almeno quando me, Ian. Dillo.»
Durante qualsiasi evento pubblico, Rick dava disposizione che Joel e Ian fossero ai poli opposti della formazione. Una cosa infantile, ma necessaria, perché Joel sembrava sfidare la sorte con disperazione.
Per strada, abbassava la testa tra le sue spalle e «perché non mi baci, Ian?» chiedeva, «Fammi vedere che non sei un pisciasotto.»
 
E Ian avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto farlo. Anche se, in quelle parole, c’era più rabbia e tristezza, che calore. C'era qualcosa, negli occhi di Joel... una sfumatura di rancore che Ian non avrebbe dovuto ignorare. Avrebbe dovuto dirgli che se la sarebbero cavata, in qualche modo, che ne avrebbero parlato a Rick con calma, con giudizio. Avrebbe dovuto pregarlo di non stancarsi, di resistere.

Avrebbe dovuto baciarlo. Ma non lo fece.
 
 Una macchina fotografica alle loro spalle emise un flash. Joel sorrise, muovendo qualche passo all'indietro. «Ho capito, Ian. Ho capito,» disse. Poi se ne andò, lasciandolo solo sul retro di un ristorante qualsiasi in una città qualsiasi. Qualcuno dalla strada lo riconobbe, gridò il suo nome. Ma chi lo chiamava non era Joel. Era tutto troppo patetico.


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Dal podcast terzo del blog Gordie:
 
«Temo di aver fatto del male alle persone a cui tenevo di più. Ad un certo punto, non hai più idea di come gestire tutta quella notorietà. Ti dicono cosa fare, cosa dire, come comportarti… ma a lungo andare la maschera si sgretola e tu cominci a dare i numeri. Non sai più chi sei… Quando Joel cominciò ad evitarmi... è stato come una pugnalata. E me lo meritavo.»
 
 
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«Non so più neanche che stiamo facendo, Ian...»
 
 
 
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Il concerto di Capodanno a Milwaukee fu l’ultima volta in cui suonarono insieme. Joel doveva aver già preso quella decisione giorni e giorni prima, ma nessun altro ne era al corrente.
Non aveva più niente da perdere. Né la fama, né il lavoro. Né Ian.
Prese il microfono, lo soppesò qualche secondo nelle mani e poi, guardando davanti a sé, senza poter vedere chiaramente nessun viso tra quelli degli spettatori, così accecato dai riflettori com’era, sussurrò con voce grave: «Chiudiamo con These Arms of Mine… questa canzone è una confessione che ho scritto tanto tempo fa. Spero che a voi porti più fortuna di quella che ha riservato a me. Buon anno, anime perse.»
 
Ian guardò il profilo di Joel per tutta la durata della canzone. Tre minuti e sedici nella speranza che lui si girasse e vedesse ancora qualcosa in lui che valesse la pena di essere salvato. Joel non sollevò gli occhi nei suoi nemmeno una volta.

 
 
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Da un’intervista rilasciata da Ian Gordon per la rivista Music Gold:
 
I: Si è molto parlato del suo rapporto con l’ex membro degli L.S.F., molte fan per mesi dopo lo scoglimento del gruppo hanno continuato a ipotizzare una sua relazione sentimentale con l'artista Joel Mitchell, ha dichiarazioni da fare in proposito?
 
I.G.: La gente non è stupida. Credo non ci sia molto altro da aggiungere.
 
I: Ci sta confermando la notizia?
 
I.G.: Joel Mitchell è sempre stato una parte importante della mia vita, questa è l’unica conferma che vale la pena di fare.
 
 
 

Dal podcast quinto del blog Gordie:
 
«How I wish I had you in these arms of mine…»
 
 
Dai commenti al podcast quinto del blog Gordie:
 
JM: …Bella canzone. Qualcuno mi disse che ha dell’anima viva dentro.
 
 
   
 
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