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Autore: FuoriTarget    31/08/2017    7 recensioni
Sequel di Relazione clandestina. Credo sia necessario leggere la prima parte per comprendere la storia, ma siete liberissimi di tentare l'impresa.
La vita ha portato i due protagonisti ad allontanarsi completamente dopo una storia d'amore travagliata. Complici il lavoro, lo stress, le bollette da pagare e le rate del mutuo, ognuno dei due è annegato volonariamente nella propria solitudine. Cosa succederà se il matrimonio dei loro migliori amici li costringerà a incontrarsi dopo molti anni? E sopratutto se la sfortuna decide di intervenire rimescolando le carte in tavola?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Travolti da un insolito destino
 

Capitolo 10





 
Il giorno prima di capodanno come da programma partirono di buon mattino per lo chalet che il capo di Charlie gli aveva prestato per le vacanze in una rinomata località trentina. Manuel, che non era mai stato un fan delle alzatacce nel gelo invernale, aveva guidato per due ore filate senza proferire nemmeno una parola, accanto a lui Filo aveva invece chiacchierato incessantemente con Kate e Paolo seduti sul sedile posteriore, un paio di volte aveva provato di coinvolgere anche l’amico ma al secondo grugnito contrariato si era arreso. Guidando a sinistra, il lato da cui aveva imparato, e seguendo l’auto di Jack su strade che aveva percorso decine di volte da ragazzo, era riuscito ad estraniarsi dalle chiacchiere degli altri e dal traffico attorno a loro.
Non riusciva a togliersi dalla mente un piccolo tarlo che Kate aveva insinuato in lui la sera prima, qualcosa di sordo che scalfiva piano e irrompeva nei suoi pensieri quando le difese erano abbassate, tanto piccolo da non avere nemmeno una voce ma solo voglia di farsi sentire.
La sera prima di partire l’aveva bloccato in camera loro, si era seduta sul letto e tutta seria gli aveva detto le parole che nessun uomo avrebbe mai voluto sentir uscire dalla bocca di una donna: -We need to talk.
Ora di sicuro Manuel non aveva paura di sentirsi sbandierare addosso recriminazioni da fidanzata inacidita o drammi di quel genere, ma l’espressione sul volto dell’amica gli fece tremare le budella.
Dopo un breve e imbarazzato giro di parole iniziale, gli aveva raccontato di aver parlato con Paolo della gravidanza di Alice. Manuel conosceva bene il tono che Kate sapeva mettere in certe conversazioni, con lei era peggio che stare attaccati alla macchina della verità. Quindi poteva ben immaginare la faccia e le difficoltà che aveva incontrato un animo onesto e corretto come quello di Paolo. Quella donna era il Male.
Ciò che però aveva fatto germogliare il piccolo tarlo era una frase che Kate giurava di aver riportato parola per parola: “Alice dovrebbe decidere mettere tutte carte in tavolo altrimenti ne viene  fuori un grande casino e farà incazzare”. Ovviamente l’italiano di Kate lasciava un po’ a desiderare ma in inglese diceva di aver capito tutto alla lettera e che l’espressione di Paolo era davvero sospetta.
Sorvolando sulle teorie complottistiche che ne aveva elaborato lei, Manuel non riusciva a spiegarsi quali fossero le carte che Alice avrebbe dovuto scoprire, se non la paternità del bambino.
E da qui il piccolo tarlo aveva iniziato a nutrirsi dei suoi dubbi.
Quando le aveva telefonato in autunno aveva fatto calcoli su calcoli e tutto sembrava tornare, ma lei aveva in effetti negato che lui fosse coinvolto, non aveva ragioni per non crederle sebbene sapesse quanto lei fosse brava a mentire e dissimulare al bisogno, ma quella sarebbe stata una menzogna troppo grossa anche per lei.
Eppure lui quella notte la ricordava bene. Eccome se la ricordava: ricordava la data, l’ora, il colore della sua maglietta, delle mutande e persino delle lenzuola. Ogni volta che si concedeva di scivolare in quei ricordi, il dolore era quasi fisico. E ricordava anche perfettamente di non aver usato il preservativo nemmeno una volta, ma anche che lei non l’aveva mai fermato per farglielo mettere, facedogli supporre che prendesse la pillola.
Quel piccolo tarlo aveva trovato nei suoi ricordi pane per i suoi denti e nei calcoli acqua per le sue membra, crescendo fino ad occupare ore del suo mancato sonno.
Eppure Alice aveva negato, con lui e con tutti, non aveva prove per accusarla, ne ai suoi occhi esistevano ragioni sensate per tenere nascosta la paternità di un figlio.
Manuel era rimasto in empasse ancorato ai suoi calcoli alla logica e alle ragioni mentre il tarlo nella sua mente sobbalzava gioioso come fosse stato chiamato all’erta e tentava di urlargli nelle orecchie che quella era la strada da seguire per scoprire la verità.
Immerso nei tentativi di sopprimere il suo tarlo, quasi non si era accorto di aver imboccato dietro la station wagon di Jack una piccola strada di montagna che aveva mezzo metro di neve su ogni lato della carreggiata. La pendenza aumentava e le curve iniziavano a farsi sempre più strette, la povera Fiat a noleggio arrancava sotto il peso di quattro persone e i bagagli di Kate ma teneva duro. In momenti come quello nonostante il freddo e la neve rimpiangeva la sua moto chiusa in un garage nel Sussex: l’asfalto vicino al ginocchio, il rombo del motore che sale di giri, quarta terza seconda e poi giù a infilarsi nella curva, sentire l’equilibrio vicino al punto di rottura e poi su una spinta e la moto che ritrova l’assetto e di nuovo dentro la terza poi quarta e via veloce.
Invece lì aveva Kate sul sedile dietro di lui che era tutta un urletto di giubilo a destra e a sinistra, gli tormentava una spalla, parlava in inglese di slancio, poi subito si affrettava a tradurre, continuava a gridare Amazing! Amazing! ad ogni paesino che attraversavano, e Paolo accanto a lei se la rideva alla grande.
Dopo quasi un’ora di tornanti e salite approdarono alla loro meta: una piccola radura con una costruzione deliziosa immersa nel bosco, una casa in legno su tre piani con grandi vetrate e l’aria di costare molto più di quanto chiunque di loro potesse permettersi.
Parcheggiarono a fatica le tre auto nel piccolo spiazzo antistante la casa, dopodichè tutti si precipitarono dietro a Charlie per vedere l’interno dell’abitazione.
Gli interni erano a tutti gli effetti in linea con l’esterno, un misto di tocchi modernità nella solidità della tradizione montana. Il piano terra era occupato in gran parte da un enorme salone che comprendeva cucina e sala da pranzo, una stufa in ceramica dominava un angolo del salotto assieme a grandi divani bianchi cuscini e ad un massiccio tavolo di legno. La vera attrazione però erano le vetrate che ricoprivano la parete sud del salone e davano accesso ad un patio esterno.
Come ai tempi del Liceo si litigarono le stanze da letto e Manu che si era estraniato per fumare si ritrovò a dividere la stanza con Filo e Paolo mentre Kate era stata spedita con Alice. La sua migliore amica ovviamente sprizzava cuoricini dagli occhi per la felicità e gli aveva bastardamente dato una gomitata complice che lui nemmeno aveva capito del tutto.
 
Già dalle prime ore il soggiorno in montagna si era rivelato una vacanza all’insegna dell’ozio totale per tutti. Avevano giusto scaricato i bagagli nelle stanze dopodichè si erano abbandonati alla pigrizia. Paul per primo aveva preso possesso di un divano, vi aveva bivaccato tutto il pomeriggio dormicchiando per recuperare le ultime 36 ore di guardia che aveva fatto in ospedale, Filo in convalescenza che non faceva altro che sfumacchiare e giocare ad Angry Birds sul tablet di suo nipote mentre Charlie si era sacrificato ed aveva accompagnato Laura e Chiara in paese per far scorta di cibo e pellet per la stufa. Il silenzio era rotto solo dalle voci di Jack e suo figlio che si divertivano nella neve in giardino. Kate che si supponeva fosse la sua unica ancora in quella bolgia di matti, l’aveva mollato per tradurre un faldone enorme rilegato in pelle e finiture dorate che puzzava come un animale morto. Secondo lei era un pezzo unico ed estremamente raro, per lui solo spazzatura incomprensibile che probabilmente lei aveva fatto uscire dal paese illegalmente.
Rassegnato Manuel si dondolava con i piedi sul parapetto della veranda pur di tenersi ben lontano da Alice, quando venne raggiunto da un Filo zoppicante di ritorno dal bagno: -Non so se si diverte più mio fratello o mio nipote –
-Facile: tuo fratello! –
L’amico accanto a lui era frustrato dal inattività - Che invidia – blaterò sistemando la gamba infortunata su un cuscino.
-Per fortuna che ha una madre coscienziosa, se per disgrazia avesse avuto solo te o tuo fratello sarebbe cresciuto a Nesquik e caramelle gommose.
-E hamburger - aggiunse il più vecchio dei due già con due sigarette in mano.
-Ma se voi italiani non sapete nemmeno cosa sia un hamburger - Manuel gli rise in faccia - La prossima volta che vieni a casa mia ti porto a mangiare un hamburger decente e vedrai che qui non riuscirai più a mangiare quella roba secca e stopposa.
Ricevette un mezzo pugno in risposta.
-Ma sentilo! “Voi italiani…” ti ricordo che il tuo passaporto e il tuo cognome appartengono ancora a questo merdoso Paese.
-Fanculo! - si sorprese a fissare la cenere della sigaretta che bruciava, improvvisamente conscio di aver fumato molto più del normale in quelle feste.
Filippo nemmeno si rendeva conto di quanto di vero e intenso ci fosse nel fondo di quelle parole per Manuel.  
Alice per puro caso scelse quel momento per rompere la tensione.
-Ehi voi due! - si girarono in sincrono a guardarla sorridenti, come ai vecchi tempi da ragazzi, quando lei si era insinuata come sabbia tra le pietre nella loro vita ed era diventata compagna necessaria e amica insostituibile per entrambi.
Solo che dopo tutti quegli anni assieme era naufragato tutto, ed ora Manuel aveva abbandonato subito il sorriso e si era voltato verso le montagne con l’espressione più vuota del suo repertorio, mentre Filo l’aveva guardata con la dolcezza di un amante e non con il ghigno furbo di un tempo.
-Cici è tornata e come al solito non riesce a reprimere il suo istinto di nutrire il mondo - posò un vassoio sul tavolino accanto a loro: - Ha fatto cioccolata calda per tutti. Avevo appena finito di digerire il pranzo di Natale ed ora già lei ricomincia.
Filo aveva già ritrovato tutta la sua verve trattandosi di cibo, si era seduto meglio e aveva subito posato il tablet: -Quanto mi ama la mia cognatina.
-Ti ama al punto da tentare di mandarti in coma iperglicemico – prese la tazza più voluminosa per porgergliela: - Tieni tanta panna e doppio zucchero.
Manuel quasi scoppiò a ridergli in faccia: -Sei viziato come un bambino.
-Fortunato vorrai dire: ho una donna che adoro che si occupa di me come una moglie e mi vizia come mia madre, e in cambio mi occupo di mio nipote quando serve – fece una pausa strategica –E posso comunque scopare chi mi pare. Ho vinto all’Enalotto.
Ci furono attimi contemplativi in cui solo uno dei tre stava gongolando come un quindicenne.
-Sei uno stronzo. A me Kate fa prendere integratori probiotici e mangiare macrobiotico ogni giovedì.
-Macro che? - alle sue spalle Alice sospirava senza speranze - A me Cici manda una teglia di lasagne ogni lunedì così ci campo tutta la settimana
Manuel si sarebbe tirato un pugno nelle palle da solo.
Alice comprese il disagio di Manuel e tentò di deviare il discorso: -Cici tenta di rifilare lasagne anche a me ogni volta che mi vede. Che strazio! Non so più dove metterle ho il freezer pieno.
-Che ne diresti di mangiarle di tanto in tanto, così giusto per ricordarsi che le mentine non sono cibo per gli umani – si era tirata in un vicolo cieco da sola.
Filo la guardava dal basso all’alto sghignazzante, ma prevedendo uno sbuffo e una fuga l’abbracciò e se la portò sulle ginocchia, tutta infagottata in strati di lana com’era.
-E’ il momento giusto per prendere peso e dare la colpa alla gravidanza no?
Al solo nominare la gravidanza si era irrigidita. Non ne voleva più parlare, non davanti a Manuel.
-Eddai, lo sai che anche fagiolino mi darebbe ragione.
Fagiolino? Manuel non resistette all’impulso di guardarli confuso, ‘fagiolino’ era chi stava immaginando?
Filo scoppiò a ridere per l’espressione imbarazzata e il tentativo di fuga della sua amica, ma sopratutto per tutto il sottotesto che lui e forse solo lui, vedeva in quella scena.
Alice annaspava tra le sue stesse menzogne, il suo cuore palpitava davanti a quell’altro stronzo ma rifiutava categoricamente di ascoltarlo, e creava strati su strati di balle ben costruite. Mentre lui, Manuel, l’uomo che ancora la guardava come una bistecca alla griglia ben cotta con salse e patatine, faceva il finto tonto, drizzava le orecchie ad ogni suo respiro ma fingeva di non vedere.
Che due polli.
Filo li amava tanto quanto la sua famiglia. Non era capace di fare distinzioni, tutte le persone in quella casa erano parte della sua vita e tutte godevano del suo amore incondizionato.
Decise che nonostante gli sguardi di rimprovero dell’amica era tempo di infilzare quei due in uno spiedo e metterli sul fuoco a rosolare per bene, altrimenti non sarebbero mai stati pronti.
-Allora a proposito ce l’abbiamo un nome? – proseguì con disinvoltura su quel campo minato, tenendosi Alice  ben salda sulla gamba sana: - Non è che possiamo chiamarlo Fagiolino per sempre.
La tensione era palpabile, Manuel si ostinava a guardare le montagne dritto davanti a se come se nessuno stesse parlando, ma tanto lei non osava voltarsi verso di lui quindi non avrebbe potuto vederlo in ogni caso. Solo Filo si godeva le loro reazioni da spettatore.
-Ancora no.
-Ma come! Non avevi detto Filippo per celebrare il suo zio migliore.
Alice lo fulminò e persino Manuel lo guardò di traverso.
-Che cretino che sei – glì tirò uno scappellotto debolissimo: -Sei una piaga me ne vado! - aveva sbottato infastidita e si era liberata della sua presa.
Filo scoppiò a ridere per l’espressione imbarazzata e la fuga della sua amica.
Erano due polli lessi quei due.
 
A capodanno avevano passato una bella serata, la cena di Cici come al solito era stata molto più che pregevole. Avrebbero campato di avanzi fino alla fine del soggiorno.
Dopo cena avevano smaltito l’affanno sui divani come trichechi spiaggiati sugli scogli, ad ascoltare musica, giocare a carte e chiacchierare fino a mezzanotte.
Manuel non ricordava un capodanno così in panciolle da molti anni.  A Londra il clima era decisamente diverso, gli ultimi due capodanni li aveva passati a sbronzarsi di brutto con Andrew, mentre Kate lo rincorreva per i locali tentando di trascinarlo a casa vivo.
Di gran lunga preferiva quell’atmosfera rilassata al frastuono di Londra.
Non c’era la girandola di abiti che Kate lanciava fuori dall’armadio prima di ogni festa, lì erano tutti in ciabatte e calzettoni, ne c’erano sconosciuti a vomitarti sulle scarpe, ma i capelli di Kate tra le dita che sonnecchiava sulle sue ginocchia. Niente sigarette fumate in strada a meno dieci con l’uccello che chiede asilo nello stomaco o cocktail annacquati a 10 pound, piuttosto una grappa di Filo aromatizzata all’alloro e il punch al mandarino fatto in casa dalla zia di Charlie. E c’era Alice, dettaglio che tentava di ignorare per non dar voce al piccolo tarlo, sempre a distanza di sicurezza, ma mai troppo lontana dal suo sguardo, con dei jeans strettissimi e un maglione blu che mostrava la sua pancetta tonda e sfacciata. La gravidanza le stava facendo bene, i capelli le si erano allungati fino quasi alla vita, aveva il volto disteso e le guance più piene, o forse quella era la cucina di Cici, persino i fianchi parevano più torniti.
La mezzanotte arrivò e passò senza grandi festeggiamenti. Un brindisi in giardino e qualche stelletta luminosa per far contenti Tommaso e Kate, tanti abbracci e auguri di rito.
La sua amica lo tenne stretto a lungo e insieme un po’ brilli caracollarono nella neve, gli mormorò contro la barba qualcosa sul fatto che amava l’Italia ma lo archiviò come una delle sue stronzate e fine della storia.
Il resto della serata era passato una partita a carte dietro l’altra: Alice in braccio a Filo gli rubava le carte ad ogni mano facendo infuriare Laura, Charlie che distribuiva alcolici, Jack e sua moglie si alternavano a cullare Tommy. Avevano riso e urlato fino oltre le due. Manuel non si divertiva così da parecchio, sbraitava contro Filo, scherzava con tutti, rideva come un bambino e Kate che non l’aveva mai visto così disinvolto da sobrio, lo guardava con il cuore in mano e gli accarezzava i capelli.
 
Il mattino del primo gennaio aveva nevicato e i davanzali delle finestre erano imbiancati di neve.
Manuel si alzò molto presto, la casa era avvolta nel silenzio, tutte le stanze erano ancora chiuse, persino Tommy che di solito tirava in piedi tutti di buon mattino, ronfava nel lettone dei suoi. Scese al piano inferiore in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, ricordava una teglia di biscotti al cioccolato che Laura gli aveva nascosto nel pomeriggio e non vedeva l’ora di metterci le mani sopra per primo.
Arrivato in cucina si cercò una tazza e il tè, ma afferrato il bollitore lo trovò già caldo. Qualcuno doveva averlo usato da poco. Si guardò attorno, ma nel salone a parte il caos che avevano lasciato la sera prima non c’era nessuno, solo una finestra scorrevole accostata.
Avvicinandosi piano notò qualcuno fuori nel patio: era Alice di spalle seduta in poltrona con le cuffie nelle orecchie, lo sguardo verso la vallata e una tazza fumante in mano.
Il primo istinto fu quello di urlarle che accidenti stesse facendo lì fuori a prendere freddo nelle sue condizioni, aveva già una mano sulla maniglia ma si fermò. Non erano affari suoi e non aveva voglia di discutere con lei, non era sicuro di voler inaugurare così il primo giorno dell’anno.
La osservò in silenzio dallo spiraglio aperto della porta finestra, una figura offuscata nella penombra della terrazza, aveva un berretto di lana lilla e i capelli quasi scomparivano nella giacca, stava rannicchiata sotto una grossa coperta e in quel momento si accorse che stava parlando a bassa voce.
Voleva andarsene, avrebbe voluto davvero, ma se ne sentiva quasi ipnotizzato; lei parlava con un interlocutore immaginario credeva, a stento percepiva le sue parole, un mormorio basso e confuso nella brezza.
Voltò la testa per porgere l’orecchio vinto dalla curiosità. Carpiva solo pezzi di frasi qua e là.
-Quando crescerai magari di queste cose potrebbe non importarti nulla, chissà magari il mondo non sarà più nemmeno come lo conosco io... – si fermò a sorseggiare dalla tazza - ed anche la casa chissà.. ..c’è un grande terrazzo e una bella vista…La senti? Questa canzone è bellissima.
Sopraffatto dall’intimità che sentiva di violare, fece per andarsene quando una parola gli incollò i piedi al suolo.
-Tuo padre avrebbe voluto una grande casa col giardino.. – il cuore di Manuel prese a galoppare e si perse qualche frase - ..almeno questo spero tu l’abbia preso da lui, ha un modo tutto suo di sorridere... quando eravamo giovani mi diceva sempre che sembravo fatta di latte e di talco.. ti insegnerò a sedurre una donna...
Manuel gelò.
Quella frase.
Quelle parole erano sue.
Era lui che le diceva che era fatta di latte e di talco.
Non poteva essere nessun altro.
Quindi era suo, era sempre stato suo quel bambino.
Lei gli aveva mentito. Filippo gli aveva mentito. Paolo, Jack, tutti avevano mentito.
Il mondo perse spessore, persino il pavimento sembrò perdere stabilità sotto i suoi piedi.
Era suo. Suo. Suo. Loro.
Nostro figlio.
 
Per prima arrivò la rabbia.
D’istinto colpì la finestra abbastanza forte da attirare la sua attenzione e lei si voltò.
Uno sguardo attraverso il vetro ed entrambi sapevano che le carte erano scivolate tutte in tavola.
Alice presa dal panico tentò di alzarsi più in fretta possibile e raggiungerlo, ma Manuel fu più veloce.
Un passo, poi un’altro, sempre più lontano dalla finestra, da lei.
Di volata imboccò il corridoio, afferrò la giacca e le chiavi della macchina, e poi via.
Cinque minuti ed era già in paese, in strada a quell’ora non c’era nessuno, in dieci sulla provinciale, in mezzora sarebbe arrivato all’autostrada e poi via, il più lontano possibile. La macchina correva veloce sull’asfalto, gli serviva un autostrada, qualcosa che lo inghiottisse, una linea bianca infinita da rincorrere.
Non esisteva nulla di più distensivo della guida per lui. Forse solo la corsa.
Solo in autostrada dopo mezz'ora di silenzio nell’abitacolo tornò a respirare regolarmente.
I pensieri vorticavano in lui senza pace, non riusciva a tenere il loro ritmo, si perdeva rincorrendoli, poi fuggivano via e altri arrivavano distogliendolo dai precedenti. Si rendeva conto di essere nel panico eppure non riusciva a uscirne.
Lei era la costante di ogni parola nella sua mente. Lei e il suo sguardo duro.
Perché aveva deciso di tenere un figlio così scomodo?
Un figlio suo che però non voleva condividere con lui.
Un figlio che fosse stato per lei non avrebbe mai avuto un padre.
Immaginava quel bambino galleggiare nel ventre di Alice, ignaro di tutti i casini che l’avevano portato lì. Ignaro dell’ardore che lui provava ancora guardando sua madre. Del fuoco che lei gli accendeva nelle ossa. Inconsapevole di tutto ciò che l’aveva condotto da lei e poi lontano da lei. All’oscuro delle sue debolezze, delle sue paure, delle sue fughe, del suo evitare le responsabilità verso gli altri. Della sua tossicodipendenza, che ancora gli faceva tremare le vene ai polsi.
Ignaro di quanto cinque lettere potessero fare paura.
Padre. Amore. Colpa. Gioia. Alice.
 
Poi la paura.
Era pronto per questo? Sarebbe mai stato pronto per questo?
Avrebbe significato mettere da parte tutto se stesso per qualcun altro probabilmente. Avrebbe imposto regole e necessità diverse dalle sue, gli avrebbe imposto di crescere e smettere di vivere solo con poche aspettative.
D’istinto aveva odiato Alice per averlo escluso a priori, ma dopo la rabbia ne vedeva tutte le ragioni. Lei lo conosceva da sempre meglio di se stesso. E lui non era pronto.
Pochi caselli prima di Brescia si accese la spia della riserva di benzina facendolo imprecare. Non aveva preso nemmeno il portafogli con se.
Questa idiozia della fuga senza nemmeno premurarsi di prendere il portafogli acuì la sua paura.
Era un cretino irresponsabile incapace di prendersi cura di se stesso, incapace di reagire in modo adulto ad una notizia importante, incapace di pensare lucidamente in un momento di crisi.
Che avrebbe potuto combinare con un bambino?
Come avrebbe potuto prendersi cura di un altro essere umano?
Come poteva pensare di rendersi responsabile della crescita di qualcuno?
L’unica testimone della sua rabbia fu la Fiat che si prese innumerevoli pugni sul cruscotto, finchè Manuel non trovò qualche banconota nelle tasche dei jeans e si fermò al primo distributore.
Un pensiero, mentre entrava in autogrill a pagare quel mezzo pieno, volò a Kate.
Non le aveva detto nulla, non l’aveva visto imboccare la porta senza una parola e scappare via. Non l’avrebbe trovato al suo risveglio e questo l’avrebbe fatta impazzire.
Si tastò tutti i vestiti, non aveva nemmeno il telefono.
Quasi gli veniva da ridere, rassegnato a tornare sui suoi passi al primo casello.
Era un idiota, un cretino integrale. Alice non aveva colpe.
Tornò alla macchina pensando a suo padre.
Di sicuro avrebbe reagito bene perchè Alice era la madre di questo bambino, mentre lui si sarebbe preso l’ennesima tirata. In fondo però anche suo padre si era trovato con un bambino da gestire da un giorno all’altro.
Non ci aveva mai pensato pienamente dopo la disintossicazione, anche lui doveva aver avuto il suo bel trauma con la morte di sua madre, trovarsi un ragazzino che lo guardava dal tavolo della cucina affamato e bisognoso di risposte forse era ben peggio di trovarsi con una ragazza incinta.
Se ci era riuscito Sergio in fondo perché non avrebbe dovuto farcela anche lui? Lui non era venuto su poi così male no?
Aveva ancora tempo forse per mettersi in pari?
Si rimise al volante con entusiasmo, pronto a tornare da Alice, senza sapere bene dove fosse nata quella foga.
Ma chilometro dopo chilometro scemò per lasciar spazio alla realtà.
 
E infine la resa.
Alice ormai era una sconosciuta per lui e lui per lei. Come avrebbero potuto essere genitori? Bisogna andare d’accordo almeno sulle basi, sui principi, sull’educazione.
Quali cavolo erano i suoi principi?
E poi era evidente che non lo volesse accanto. Gli aveva nascosto la verità, e forse sì lui era un cretino perchè era così evidente che nessun altro le avrebbe creduto, ma lui si fidava, lei invece no. Come avrebbe potuto farle cambiare idea ora?
E il lavoro. Che cavolo avrebbe detto a Mms Sullivan? E la casa? Kate non poteva permettersi quell’affitto da sola se lui avesse deciso di tornare in Italia. Avrebbe costretto anche lei a trasferirsi.
Non poteva fare il padre a un continente di distanza.
Questo significava buttare al vento anni di gavetta da Sotheby’s, anni di sudore e di studio. In Italia non aveva agganci ne connessioni con nessuna casa d’asta, come avrebbe fatto a trovare lavoro? Non aveva abbastanza soldi da parte per mantenere un figlio e sopravvivere senza un lavoro per oltre sei mesi.
Era tutto illogico.
Arrivato di nuovo all’uscita dell’autostrada alle pendici delle montagne aveva finito le opzioni, aveva vagliato ogni possibile compromesso, ogni eventuale strategia e nulla avrebbe funzionato con lui in Inghilterra e lei in Italia.
Passò davanti ad un bar ma non si fermò, i soldi che gli erano rimasti in tasca bastavano a malapena per un caffè figurarsi per le sigarette che desiderava da ore. Inoltre era quasi ora di pranzo, probabilmente Kate gli avrebbe fatto la pelle, o le palle.
Si perse un paio di volte prima di ritrovare la strada giusta e una volta parcheggiato davanti alla casa si fermò ad osservarne le luci accese dietro i vetri.
Jack l’avrebbe ammazzato, e anche Filo, e di sicuro anche Laura. Forse persino Charlie e Chiara. Per non parlare di come l’avrebbe guardato Alice.
Era lunga la lista dei suoi possibili aguzzini.
Quanto desiderava quella sigaretta ora.
Si convinse a rientrare, tanto lì fuori chiuso in auto che ci stava a fare, e appena varcata la soglia lo avvolse un gran silenzio, tutti i presenti si erano congelati al suono della chiave nella serratura.
Al suo ingresso nel salone Kate per prima si mosse, lo guardò con lo stesso sguardo che gli riservava quando faceva qualche stronzata delle sue, ma gli andò incontro e lo abbracciò stretto: -Lo sapevo che torni.
Evidentemente qualcun altro non ci credeva così tanto.
Fu lui a risponderle in inglese, quasi inconsciamente: - Avevo bisogno di farmi un giro.
-Immaginavo.. qui è scoppiata la terza guerra mondiale. Filo Alice e Jack hanno litigato di brutto, credo li abbiano sentiti fino a Verona-
Al contrario delle sue parole non c’era ironia nel suo sguardo, era davvero molto preoccupata e gli accarezzava le spalle come per calmarlo.
Senza preavviso lo abbracciò di nuovo stretto stretto mormorandogli rassicurazioni che solo loro due potevano capire. Come al solito su di lui ebbe un effetto balsamico.
Il resto della compagnia li guardava come due animali selvatici pronti a fuggire. Jack era rintanato in cucina accanto a sua moglie, Filo su un divano dalla parte opposta della stanza, non li aveva mai visti in tanti anni così scazzati l’uno contro l’altro, evidentemente solo Alice poteva provocare questo disastro.
Ora comprendeva la frase che Paolo aveva detto a Kate.
Tutti fuggivano il suo sguardo, chi per una ragione chi per un’altra, solo Laura lo fissava dal bracciolo di un divano. Se avesse potuto l’avrebbe sgozzato seduta stante a giudicare dal grugnito che emise.
-Devo parlare con lei.
Non era una domanda, ma l’unica a muoversi per dargli risposta fu lei indicadogli il piano di sopra.
Cinque passi, venti gradini, altri tre passi ed aveva raggiunto la sua personale corte marziale.
Trovò Alice di spalle nella stanza che divideva con Kate, intenta a buttare roba in un borsone. Indossava ancora il maglione della sera prima e i capelli sciolti sulle spalle catturavano la luce di tutta la stanza.
-Te ne vai?
-Quanta perspicacia - non si voltò nemmeno a guardarlo.
Manuel era troppo sopraffatto dai suoi pensieri per dar corda anche al suo sarcasmo, si avvicinò fino a sedersi sul letto dietro di lei ignorando il caos nella stanza e la sua ostinazione nel far la valigia.
-Perché me l’hai tenuto nascosto? – ancora non lo guardava, e a dirla tutta Manuel si sentiva più a suo agio così – Capisco che tu possa ancora odiarmi, ma qui si tratta di tutt’altro.
Alice perseverò a scaraventare vestiti nella borsa senza alzare lo sguardo, il grumo d’astio che le gravitava attorno era palpabile nell’aria.
-Sei stata vigliacca e sleale.
Non si voltò ma la fece incazzare abbastanza da costringerla a smettere di piegare e ripiegare magliette .
-Sleale!? Tu sei stato un cafone arrapato e menefreghista per metà della tua vita ed ora io sono la vigliacca sleale? Non sono io quella che è scappata oltremanica senza dire una parola - Quello fu un colpo basso ma totalmente meritato: -E guarda un po’, come sempre sei scappato; hai scoperto il grande mistero e poi ti sei infilato in macchina senza dire una parola – accecata da una furia degna di un essere mitologico prese a vuotare il borsone che prima aveva riempito – Ed ora eccoti qui di nuovo a fare il figliol prodigo, per far vedere a tutti il tuo buon cuore e assumere il ruolo che ti è toccato in sorte. Poverino eh.
-Ora sono qui.
La interruppe consapevole che quella frase non le sarebbe bastata di certo.
-Eri lì anche quella sera ma non sei stato capace di pensare alle conseguenze - percorsa da brividi che lui non poteva sentire si strinse nelle spalle. Ancora non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
-Non ero venuto da te per una sveltina! E poi non è una colpa che deve assumersi solo uno di noi direi. Io... – incespicò alla ricerca delle parole giuste, arrancando tra i ricordi di capelli rossi tra le dita e di un profumo che non avrebbe mai dimenticato.
Si prese la testa tra le mani, non vederla in faccia era tormento e sollievo: -Pensavo, anzi non pensavo affatto, ho agito come un cretino, non ti ho chiesto nulla ne mi sono sentito dire nulla quindi preso dalla mia frenesia me ne sono fregato.
Alzò lo sguardo ma non su di lei bensì sulla sua schiena esile e su quello che cresceva lì dentro: -Ed eccolo qui.
L’accenno di tenerezza nella sua voce la prese alla sprovvista si era aspettata una delle sue solite espressioni indolenti e quasi annoiate, lasciò perdere per un momento la sua stizza per osservarlo. Dopo averlo sentito rientrare in casa non aveva guardato altro che le assi di legno del muro.
Manuel era ancora il ragazzo bellissimo dei suoi diciotto anni. Aveva ancora i capelli nerissimi e il suo ciuffo stravolto un po’ buttato a caso, la mandibola dura e l’espressione arruffata di qualcuno che non ha ancora trovato una ragione alla sua vita.
E i suoi occhi, quegli occhi che l’avevano spogliata di ogni cosa e rivestita di una se stessa più vera. Ora la guardavano dal basso, lui era seduto sul letto i gomiti sulle ginocchia e un solco profondo tra le sopracciglia che in un’altra vita avrebbe appianato passandoci un dito. Non avrebbe voluto essere guardata in nessun altro modo, Manuel la stava aspettando: era tornato, aveva fatto un passo e forse le aveva perdonato le bugie, ed ora attendeva solo che quel passo lo facesse pure lei.
-Ho cominciato a prendere la pillola a diciotto anni, quando stavo insieme a te, e da lì non ho mai messo – sospirò pensando a quando potesse essere stata idiota – quest’anno però ho dovuto fare una sospensione, il ciclo mi era tornato spontaneo solo da un mese, è stata l’abitudine a fregarmi.
Aveva scoperto il fianco davanti a lui che sapeva sempre bene dove colpire, non senza un po’ di timore.
-Siamo stati due imbecilli – concluse lui per entrambi sospirando.
E chi avrebbe fatto le spese della loro idiozia erano in tre.
Chissà se lui poteva sentirli sotto tutti quegli strati di pelle e placenta?
Chissà se poteva sentire il tono strascicato di suo padre? O quello caustico di sua madre?
Aveva sentito tutte le cattiverie che si erano e si sarebbero detti?
Magari sarebbe uscito da quella pancia già incazzato col mondo solo a causa loro.
-Capisco perchè tu non me lo abbia detto – Manuel iniziò un lungo discorso a cui aveva pensato più volte in auto, odiava esporsi così, e comunicare in generale, ma non c’era via di scampo – I miei precedenti non hanno scuse. O perlomeno non più, forse una volta, ma non alla nostra età.
Alice incontrò il suo sguardo, era tentata di fermarlo ma si astenne.
-Però non avresti dovuto. Non sono più quella persona e scoprirlo in questo modo è stato tremendo.
Alice carica di tutte le paure che avrebbe voluto condividere con lui molto prima, gli sputò addosso la verità: -Avresti preferito scoprirlo assieme a me, in pronto soccorso con una flebo nel braccio convinta di avere la gastroenterite e Paul che non riesce nemmeno a guardarti faccia?
Solo allora Manuel si fermò a pensare davvero ad Alice, a quanto si fosse sentita sola in quei mesi, con quel fardello immenso da gestire solo sulle sue spalle.
Pensò più e più volte a quella domanda prima di darle voce. Passarono momenti di silenzio in cui solo il rumore del suo respiro rimbombava nella stanza ed evitarono accuratamente di guardarsi.
-Perchè non hai abortito?
Alice si girò ed ora gli dava di nuovo le spalle completamente immobile. Stava piangendo?
Si pentì di aver dato voce a quella delicata domanda che gli frullava in testa ben prima della rivelazione.
-Per egoismo
-Che vuoi dire?
-Ci ho provato. Mi ero illusa di farlo per lui non per me, che non sarebbe cresciuto in un ambiente sereno. Ho fatto gli esami e le visite, ho avuto l’ok del ginecologo e sono arrivata fino alla sala operatoria, ma quando mi sono trovata lì mi è mancato il coraggio - gli parlava con un filo di voce, senza mostrargli nemmeno un lembo di pelle, chiusa dietro alla massa dei suoi capelli a nascondersi: - Non sarei riuscita a vivere con questo peso sulle spalle. L’idea di aver sacrificato qualcuno che non ne ha colpa per una mia cretinata: mi sarei trascinata il senso di colpa per la vita e non sono così altruista da sobbarcarmi questo peso per il bene di qualcun’altro. Ho scelto di salvare la mia coscienza temo.
Manuel rimase ad ascoltare in silenzio, a guardare le sue spalle incurvarsi, incapace di alzarsi e darle il conforto che avrebbe meritato.
Come tanto tempo prima rimase stupito dai suoi processi mentali, così lucidi, sempre razionali e tristemente realisti.
-Ti ho deluso?
-No, no tutt’altro.
Per un attimo la sua mente si era avventurata nell’inpervia ipotesi di come sarebbero potute andare le cose se lei l’avesse coinvolto prima, ma non aveva più senso chiederselo ormai.
-Come faremo adesso?
Alice non rispose subito, si volse a guardarlo negli occhi e lui seppe esattamente che quella non era lei ma una nuova maschera perfetta e immacolata senza nessun segno del turbamento precedente. Lo guardava dall’alto in basso sicura e granitica con un misto di durezza e sarcasmo.
-Noi non faremo nulla. Tu tornerai a casa tra due giorni come previsto e non ti farai vedere per molti mesi, almeno fino all’estate. Farai come se nulla di tutto ciò fosse mai accaduto. Io sistemerò le cose con Jack, Filo e tutti gli altri, mi inventerò qualcosa. In aprile partorirò, mia madre verrà a stare da me per un po’ e per la fine dell’estate conto di tornare a lavorare. Fine.
-Non puoi prendere questa decisione al posto mio.
-Infatti non ti sto chiedendo di decidere. Mi hai chiesto come faremo, ed io ti ho esposto il piano, devi solo attenerti a quello perchè non c’è nessun noi.
Lei non stava cercando di estrometterlo, l’aveva già fatto.
Non c’erano molte vie d’uscita, non si era mai informato di diritto familiare, non aveva armi per combattere.
E poi per cosa? L’avrebbe trascinata in tribunale pur di riconoscere un figlio che avrebbe visto quante volte all’anno? Come poteva fare il padre dall’Inghilterra?
Si era ripromesso tanti anni prima che non avrebbe mai fatto figli per poi vederli soffrire a causa sua, e non aveva nessuna intenzione di lasciare la sua vita a Londra.
L’unica soluzione era quella che proponeva lei purtroppo.
Frustrato si afferrò la testa tra le mani, lei aveva già previsto e calcolato tutto.
Era sicuro che nelle sue mani e della sua famiglia quel bimbo sarebbe stato protetto e cresciuto nell’amore, per quanto a lei l’idea paresse assurda, lui l’aveva sempre vista come la madre perfetta per i suoi figli.
-Sei sicura che è questo che vuoi?
Alice avrebbe voluto avere il coraggio di urlargli di no. Non era affatto ciò che voleva. Lei voleva quella casa con giardino che lui le aveva mostrato, voleva tre figli e un cane, voleva mollare il lavoro tra qualche anno e fare la mamma e la moglie, voleva lui, lui, lui e solo lui.
Le mancò il coraggio, lui era lì la guardava in attesa, ma non poteva fargli questo torto.
-Potrei provare ad organizzarmi in qualche modo.
Ingoiò chili di rimpianti.
-Non si tratta di organizzarsi, ne di tempo, non si tratta nemmeno di noi due o di provare a giocare alla coppietta. Non si può provare a fare il genitore, di punto in bianco lo sei per la vita e basta. E non hai più vie di fuga.
Si sedette ora davanti a lui. Per la prima volta al suo livello e tutto quello che vedeva in lei era stanchezza.
-Ti sto dando la via di fuga che cercheresti tra qualche mese o anno magari. Non sei fatto per il compromesso non lo sei mai stato.
Manuel abbassò il capo vinto e a corto di argomentazioni e lei di nuovo provò un tale moto di tenerezza che gli occhi le si riempirono di lacrime, ma non voleva piangere davanti a lui e si costrinse a mandarle indietro e rimanere salda.
-E io non mi fido di te, non posso fidarmi di qualcuno che scappa, che già una volta mi ha piantata in asso. Non per questa cosa - gli stava mentendo, non si fidava sì ma in cuor suo sapeva che non sarebbe mai scappato, avrebbe litigato con lei ogni due frasi piuttosto ma una volta scelto di riconoscere suo figlio si sarebbe dimostrato un buon padre ne era certa: -Ti sconvolgerebbe la vita e non penso che tu sia pronto per questo.
L’analisi accurata e commossa di Alice non aveva sbavature. Lui era là messo nero su bianco dalle sue parole. Era vero che non era pronto, che avrebbe preferito fuggire da tutto, che non sapeva come assumersi una tale responsabilità; eppure contro tutto il buon senso, contro ogni logica e contro tutto se stesso.. lui non voleva lasciarla sola.
Passarono minuti e minuti di silenzio.
Seduti l’uno davanti all’altra, senza toccarsi, senza guardare altro che non fossero le assi del pavimento e le nervature del legno. Alice fremeva in attesa di quella che sperava sarebbe stata la resa. Manuel che rincorreva i propri pensieri senza concluderne nessuno.
Rassegnata dopo quasi un quarto d’ora di aspettative si alzò e riprese a fare la valigia in silenzio, non c’era più nessuna speranza per loro.
Manuel se ne sarebbe andato da quella stanza entro qualche minuto e lei si sarebbe fatta accompagnare a casa da Filo immediatamente. Lui sarebbe ripartito in due giorni e lei avrebbe potuto finalmente tirare un sospiro di sollievo.
A quel punto avrebbe solo dovuto seppellire ogni fibra di suo martoriato cuore sotto metri di neve, congelarlo e gettare definitivamente alle ortiche la sua vita sentimentale per dedicarsi solo a suo figlio.
-Ho bisogno di fumare.
Lo sentì bisbigliare alle sue spalle.
Passi sul legno fino alla porta, poi sui gradini e infine silenzio.
L’argine che tratteneva le sue lacrime vacillò più volte ma lo trattenne con estremo coraggio. Chiuse il borsone di fretta e raggiunse Filo, prima che tutta quella forza scappasse via doveva andarsene da lì.
Nel salone c’erano solo Chiara e suo cognato, gli altri erano tutti nel patio ma non si soffermò troppo per vedere cosa facessero. Manuel non era a portata del suo sguardo.
Con il suo fidato compagno di disavventure bastò un’occhiata, pochi istanti e lui zoppicando stava già caricando i suoi bagagli nell’auto di Jack. Non voleva sapere che accordi avessero preso per concederle di andare via con l’auto del fratello ma non le importava di nessun altro in quel momento.
Scese nel parcheggio e salì al posto del passeggero, non si voltò, non salutò nessuno. Voleva solo andarsene, lasciarselo alle spalle, dimenticare il suo sguardo, il suo sorriso, i suoi capelli scuri. Aspettava solo di essere sola con Filo per poter rompere l’argine delle sue lacrime, chiuse gli occhi e si strinse il cappotto addosso.
Il baule si chiuse in un colpo secco, sentì Jack e Chiara parlare con qualcuno, poi l’altra portiera dell’auto si aprì e Filo prese posto accanto a lei.
-Temo che sarà un viaggio tremendo, abbiamo molte cose da organizzare.
Non era Filo.
Alzò lo sguardo di scatto e lui era lì.















Inutile spazio autrice:
Ebbene rieccoci qui.
Riassumo velocemente la situazione: non dormo da 36 ore ma non ho sonno quindi probabilmente sto per impazzire (o morire..), c'è una cimice che ronza attorno allo schermo del pc (bleah), non ho controllato ne l'impaginazione, ne la battitura, ne la forma e nemmeno il numero del capitolo...
Ci sono state moltissime versioni di questa parte, ho cambiato molte volte tutto, ma questa è la versione iniziale, quella che avevo scritto tanto tanto tempo fa su una delle mie moleskine. Potevo chiudere la storia qua così, e in realtà quello era il progetto iniziale, ma mi sono venute altre due o tre ideuzze per qualche altro capitolo. Mi dispiace per voi. Ovviamente in questo la parte difficile riguarda Manuel, fatemi sapere che ne pensate.
Grazie in anticipo a tutti quelli che recensiranno e a tutti quelli che hanno letto.
1Bacio. Vale.
   
 
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