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Autore: smolderseyes    02/09/2017    1 recensioni
I suoi abbracci erano come una prigione per la mia mente ma di quelle da cui il cuore non avrebbe mai voluto evadere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Era la notte prima dell’ultimo giorno di liceo. A quella festa c’era andata praticamente tutta la scuola e la musica risuonava tutta intorno a noi. Eravamo lì, seduti sulla parte più alta di tutta la montagnetta di San Siro, le luci di una Milano addormentata facevano da sottofondo ai nostri pensieri e proprio lì ci promettemmo di non perderci mai. Né dopo il liceo, né dopo l’università, mai.
 
Tra una fetta di pizza e un po’ di carbonara Damon se ne uscì con un: “l’amicizia tra ragazzo e ragazza non esiste, è una cosa fisiologica, prima o poi uno dei due finirà con l’innamorarsi dell’altro” e la domanda sorse spontanea nella mia mente “e allora noi cosa siamo?” ma le mie labbra non sillabarono mai quelle parole, forse per paura?
 
L:“dai spostati, voglio sedermi anche io”
D:“puoi anche provare a spostarmi tanto non ci riesci”
E fu così che in un batter d’occhio ci ritrovammo uno sopra l’altro stesi su quel divano un po’ troppo stretto per contenerci entrambi. Io non so perché iniziai a raccontargli di quando da piccola per nascondermi quando ero triste mi rifugiavo sotto il letto o nell’armadio dell’aspirapolvere e allora lui mi raccontò di quando era piccolo e sognava di rimanere intrappolato in ascensore.
 
L: “ah tu mi stai dicendo che non sarei una ragazza sportiva”
D: “esatto”
L: “bene pigrone facciamo una sfida, plank e chi resiste di più vince, ma cosa vince?”
D: “allora se vinco io mi dai un abbraccio”
L: “okay”
Ed effettivamente vinse lui. Anche se io continuo a sostenere che ci sia riuscito solo con l’inganno, mi aveva fatto credere di essere stremato e allora beh, io ho ceduto.
 
Era l’una di notte, eravamo sotto casa di Bonnie ad aspettarla quando Stef se ne uscì con un: “vado su a prendere il tabacco in macchina che me lo sono dimenticato” e intanto io e lui rimanemmo soli in quel porticato, io sdraiata sulla panchina con la testa sulle sue gambe, gli occhi che iniziavano ad inumidirsi e diventare pesanti per il sonno e mi sembrava già di star sognando sentendo le sue mani nei miei capelli.
 
D: “comunque se dovessero ancora darti fastidio sai che cosa devi fare? Mandarli a quel paese”
L:“okay”
D:“no, non hai capito, devi dirlo, dillo, ‘vaffanculo’”
L:“non ci riesco”
D:“è che sei troppo buona”
E aveva saputo risollevarmi il morale anche in quella situazione, anche quando nessun’altro ci era riuscito.
 
 
L:“ma cos’è questo abbraccio moscio?” e allora lui mi strinse forte finchè i miei piedi si sollevarono da terra e mi ritrovai sospesa in aria con le abbraccia attorno alle sue spalle, come nei film, con la sensazione addosso di star volando. “così va bene?”
 
 
L:“basta mi stai antipatico, ti odio, non ti cercherò più”
D: “oh andiamo lo sai anche tu che non è così”
 
 
D: “sei bella quando sei triste” Si, perché ero stata così stupida da farmi vedere con i lucciconi agli occhi un giorno che eravamo usciti a prendere un gelato con Stef  e io avevo raccontato loro di come non sopportassi più il peso dello studio e dei miei compagni di università un po’ troppo saputelli. Io, la ragazza sempre col sorriso sulle labbra e sempre positiva, avevo permesso loro di scoprire le mie debolezze.
 
D:  “sai qual è il mio problema?”
L :“no quale?”
D :“sei tu”
 
Non potevo crederci. Si era dimenticato il mio compleanno, l’unica cosa a cui tenessi davvero erano quei maledettissimi auguri di compleanno e lui si era dimenticato di farmeli. Lo odiavo, con tutta me stessa e quando il giorno seguente trovai una sua chiamata persa sul telefono feci due più due. Ovviamente la mia migliore amica gli aveva scritto dicendogli quanto fosse un coglione e lui per liberarsi del senso di colpa aveva chiamato. E stava richiamando proprio in quel momento, risposi non sapendo che quella conversazione sarebbe stata l’ultima. Ricordo che dopo vari battibecchi lui mi avesse composto una filastrocca per farmi gli auguri, che mi avesse detto “sai ti odio proprio perché tu non hai difetti”. Quando gli chiesi quale fosse il suo ricordo più bello di noi mi rispose “quando tu e gli altri siete venuti al campetto a vedermi giocare a calcio, mi ha fatto davvero piacere”. Il ricordo di quel pomeriggio riaffiorò subito, come se non fossero passati mesi. Io, stef e bonnie seduti sul prato a cercare di capirci qualcosa di calcio mentre lui calciava un pallone destinato ad entrare in rete e poi veniva messo in panchina perché stremato dalla corsa troppo prolungata (ah, quante volte mi aveva detto “ma visto che tu sei medico, com’è che posso fare per migliorare il fiato? Perché dopo dieci minuti mi tocca sedermi”) e stef che mandava messaggi minatori all’allenatore per costringerlo a farlo entrare in campo di nuovo.
E la cosa che proprio non riuscivo a capire era come facessi a stare così bene al semplice suono della sua voce o al tocco delle sue mani sulla mia schiena durante un abbraccio e così male al pensiero di non vederlo più. Perché certo, l’unica che l’aveva sempre cercato ero stata io. Da parte sua non era mai arrivato uno straccio di messaggio o di chiamata. E la cosa divertente qual era? Ogni volta che uscivamo aveva anche il coraggio di dire “si ma fatti sentire ogni tanto”. Così un bel giorno decisi di non scrivergli più. Non perché la cosa mi facesse stare meglio ma perché in un modo o nell’altro odiavo che qualcuno avesse così tanta influenza su di me, sul mio umore e persino sui miei sogni. Non so dire se ne fossi o meno innamorata, credo di non averlo mai capito ma so che quel distacco mi fece stare malissimo, almeno per un po’, poi andò decisamente meglio.
Non esiste sempre il lieto fine ma il ricordo, quello si che resterà per sempre dentro di me come un marchio indelebile e ogni volta che andrò a cercarlo brucerà di nuovo come allora. 
   
 
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