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Autore: Angie Mars Halen    05/09/2017    0 recensioni
Dopo anni trascorsi senza mai vedersi, Nikki e un’amica di vecchia data, Sydney, si rincontrano durante il periodo più difficile e turbolento per i Mötley Crüe. Questa amicizia ritrovata, però, non è sconvolgente quanto la scoperta che la ragazza vive da sola con suo figlio Francis, la cui storia risveglia in Nikki ricordi tutt’altro che piacevoli. In seguito a ciò il bassista comincia ad avvertire un legame tra loro che desidera scoprire e rinforzare in nome della sua infanzia vissuta fra spostamenti e affetti instabili. Si ritrova così a riscoprire sentimenti che aveva sempre sottovalutato e che ora vorrebbe conquistare, ma la sua peggiore abitudine è sempre pronta a trascinarlo nel buio più totale e a rendere vani i suoi sforzi.
[1987]
[Pubblicazione momentaneamente sospesa]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NIKKI





T-Bone, ora stravaccato sulla poltroncina di velluto verde smeraldo della mia stanza, si lasciò sfuggire un immenso sbadiglio per poi stiracchiarsi vistosamente le gambe allungandole sulla moquette. Quando tornò a prendere una posizione quasi composta, arricciò il naso e si grattò la pancia con spossatezza. “Ehi, bro, quand’è dobbiamo trovarci giù con gli altri per il soundcheck?”

Diedi un’occhiata al mio orologio da polso abbandonato sul comodino e mi sentii salire la nausea. “Ci mancano ancora tre ore.”

Tommy roteò gli occhi e spense la sigaretta sulla superficie di vetro del tavolino, schiacciandola appena. “Che palle. Cosa facciamo noi due qui da soli per altre tre ore?”

Mi misi a sedere sul letto e scrollai le spalle, proponendo di ordinare il pranzo.

“Non ho fame,” si oppose Tommy, il tono sempre più insofferente e capriccioso. “Quella roba che ci siamo presi stanotte mi fa venire voglia di vomitare, non di mangiare.”

Le sue parole rimbombarono nella mia testa e l’unica cosa di cui avevo bisogno non era più un piatto di raffinato cibo giapponese, ma una dose e un po’ di silenzio assoluto. Sapevo dove avrei potuto trovare la prima, ma il secondo, ora che avevo Tommy in camera, era impossibile da ottenere. Tornai dunque a sdraiarmi, mi girai su un fianco in modo da voltargli la schiena, e mi coprii gli occhi col cuscino nonostante la tenda spessa filtrasse quasi completamente la luce esterna. Avrei voluto schiacciare un pisolino prima di lasciare l’hotel, ma Tommy si alzò rumorosamente dalla poltroncina e prese a girovagare per la stanza con passi lenti e dal ritmo scandito. Lo sentivo camminare e, dagli altri rumori che i miei sensi alterati riuscivano a percepire, intuii che stesse aprendo i cassetti e frugando in giro per scuriosare nell’attesa che il tempo passasse. A un certo punto lo udii trafficare con del materiale simile al cartone o a buste di plastica, ma non me ne curai e continuai a restare sdraiato in silenzio: ero troppo stanco per preoccuparmi di capire cosa stesse sfasciando Tommy.

“Ehi, bello!” esclamò qualche minuto dopo, tutto estatico. “Guarda qui che figata!”

Rotolai sul materasso per girarmi e, una volta messa a fuoco la scena, mi ritrovai davanti il mio amico che rimirava un aquilone giapponese a forma di carpa viola e celeste.

“Mettilo via,” lo intimai svogliatamente mentre tornavo a sedermi e mi stropicciavo gli occhi impiastricciati di trucco sciolto e sudore.

“Cazzo, Sixx, è fortissimo! Ti sei comprato un aquilone a forma di pesce!” disse estatico mentre ne toccava il tessuto lucido e colorato.

“Avanti, rimettilo nella scatola. Preferirei che arrivasse a Los Angeles ancora intero,” biascicai consapevole che, probabilmente, non avrebbe obbedito.

Invece Tommy, sentita la destinazione di quell’oggetto, lo piegò alla meglio e lo abbandonò sul tavolo abbozzando un sorriso. “Scommetto che è un regalo per il ragazzino.”

“No,” mentii senza neanche guardarlo in faccia.

“E allora cosa te ne fai? Lo leghi sul tetto di casa tua e aspetti che tiri una folata di vento?” esclamò, poi si degnò di riporlo all’interno della scatola decorata con ideogrammi dorati. “Dài, non dire stronzate. Ti conosco, io, sai? Hai fatto una cosa carina.”

Mi lasciai scivolare sul bordo del materasso finché non mi ritrovai seduto per terra, sotto lo sguardo indagatore del mio amico.

“Come sta Sydney?” domandò poi Tommy dopo aver preso posto sulla poltroncina verde sulla quale aveva passato buona parte della nottata.

Appoggiai il viso sul copriletto impregnato di fumo e umidità, e riportai alla mente l’ultima volta in cui ci eravamo visti. “Se la cava. Vuole anche che ogni tanto le telefoni, forse perché vuole tenermi d’occhio.”

Tommy abbozzò un sorriso e unì le mani. “Credo che voglia solo essere sicura che tu stia bene.”

Annuii fingendo disinteresse. “Può essere. L’altra sera, comunque, mi ha passato il ragazzino e... oh, T-Bone, continuava a chiedermi quando sarei tornato perché vuole che gli insegni a suonare quella maledetta chitarra che gli ho regalato!”

Tommy si mostrò più incuriosito del solito. “Ti ci vedo a insegnare a suonare a un bambino di sei anni, proprio tu che non hai nemmeno voglia di spiegare qualcosa a Mick per la seconda volta.”

Allungai una mano a fatica, sentendo i muscoli del braccio dolere, e arraffai il pacchetto delle sigarette e l’accendino da sopra il letto.

“Infatti non credo di poterlo fare, anche perché per Natale non tornerò a Los Angeles,” gli occhi scuri e arrossati dal sonno e dall’erba di Tommy si spalancarono all’improvviso, le pupille fisse su di me. “Ho deciso di fare un viaggio in Thailandia e dintorni. Non ho voglia di tornare a casa.”

“Doc non ti lascerà mai partire,” fu l’unica frase che riuscì ad articolare dopo essere sbiancato tutto d’un colpo, poi ingollò un sorso di birra ormai calda e appoggiò la lattina sul tavolo con poca grazia. “Non puoi andare laggiù da solo. È... è pericoloso.”

“Pericoloso?” ripetei, non convinto di aver sentito bene. “Ho vissuto per strada fino a quattro anni fa, cosa può esserci di più pericoloso?”

Tommy si passò una mano aperta sul volto rivolgendo gli occhi verso l’alto, come a implorare l’aiuto di una divinità nella quale non credeva nemmeno, spinto dalla disperazione.

“Non sono posti sicuri, bro,” farfugliò accompagnando le parole con gesti confusi e frettolosi. “Girano malattie strane.”

“Anche nei nostri backstage girano malattie strane,” ribattei atono prima di lanciare un mozzicone spento nella sua direzione, mancandolo miseramente.

Tommy lo spostò con un lato dello stivale. “Non appena saprà dei tuoi progetti, Doc farà un sacco di storie. E sai anche cosa? Sono pronto a scommetterci le palle che quel tipo che ci sta seguendo per tutto il Giappone pretenderà di accompagnarti.”

Sospirai rumorosamente e mi spostai verso di lui strisciando il sedere sulla moquette, poi lo guardai dritto negli occhi, sperando di instaurare un contatto più profondo. “Ho bisogno di andare via da L.A. per un po’.”

“Certo, Sixx, capisco,” rispose secco. “Anche perché là dove vuoi andare sono pieni di droghe di ogni tipo.”

Abbassai lo sguardo come un cane con i sensi di colpa. Tommy non era stupido e non ci voleva una laurea per capire quale fosse la ragione per cui volessi recarmi in quella zona dell’Asia.

“Perché non torni a casa?” insisté, stavolta quasi implorandomi. “Così ci andiamo a fare qualche giro in motocicletta io e te da soli. Eh, che ne dici, bello? Niente Vince e niente Mick, solo noi due. Dài, Billy ha bisogno del suo Captain America, non può andare in giro da solo!”

Scossi il capo, seccato, perché sapevo che sarebbe stato troppo impegnato con le vacanze di Natale insieme a sua moglie per trovare mezza giornata per lanciarsi all’avventura con me.

“Non hai voglia di rivedere Sydney?” chiese poi con una sincerità e una spontaneità quasi impressionante. Sembrava che fosse l’unica domanda che si fosse posto da quando avevamo iniziato a parlare dell’argomento. Ora che mi aveva indotto a cercare una risposta, comunque, mi resi conto di non essere in grado di trovarne una. Da un lato il bisogno di vedere un volto familiare e sentirne la voce rassicurante mi divorava, ma dall’altro sapevo che non mi sarei potuto presentare davanti a Syd nelle condizioni in cui mi trovavo.

“Nikki?” mi chiamò Tommy. “Forse tu non vuoi vederla, ma credo che lei voglia vedere te.”

Corrugai la fronte. “Come lo sai?”

Dondolò le braccia. “Lo so e basta come so che, in fin dei conti, anche tu vorresti incontrarla. Vuoi portare il regalo al ragazzino.”

“Quello posso darglielo anche a gennaio,” borbottai con le labbra premute contro i palmi.

Tommy allungò un piede per colpirmi lievemente su una spalla, finendo per sbilanciarmi di lato. “Non sei curioso di vedere che faccia farà?”

T-Bone ci aveva preso un’altra volta, confermando quanto mi conoscesse. Stavo morendo dalla voglia di vedere la reazione di Francis di fronte a quell’aquilone giapponese. Volevo vedere il suo faccino tondo illuminarsi e sorridere di fronte a quella carpa volante che gli avevo portato, e sapevo che, a modo suo, avrebbe capito che gliel’avevo portata perché l’avevo pensato. Poi mi avrebbe sicuramente chiesto di andare a provarlo in spiaggia, e non c’era periodo migliore dell’inverno per passeggiare in riva al mare evitando di imbattersi in turisti. Ma l’odore acre dell’eroina era più allettante di qualunque altra cosa e aveva ottenuto la priorità su tutto, persino sulle persone che amavo e sulla musica.

Tommy continuava a guardarmi sperando che rimandassi il mio viaggio, ma non risposi e finimmo per interrompere la nostra conversazione. Ci ritrovammo uno seduto per terra a fumare e l’altro a fare zapping tra i programmi della televisione giapponese. Restammo dediti a tali attività finché Doc non venne a bussare alla mia porta, ricordandomi che era giunta l’ora di recarsi all’arena in cui avremmo suonato. Passai le ore successive in uno stato di semicoscienza per niente confortevole di cui ricordo solo le grida del pubblico, un capitombolo giù dalla pedana della batteria con conseguente capocciata sulla griglia metallica del pavimento, e l’incapacità di smettere di pensare a Sydney dopo che, una volta solo nella mia stanza, mi abbandonai sulla poltroncina precedentemente occupata da Tommy. Continuavo a pensare a come nascondere ogni segno di decadenza per farle credere che fossi sulla buona strada sebbene non ne avessi ancora raggiunto la fine, e mi arrovellavo su come avrei potuto chiederle di lasciarmi riabbracciare Francis che, ero pronto a scommetterci, mi stava aspettando, consapevole che gli sarei corso incontro.

Sospirai rumorosamente nella quiete della mia camera e lasciai pendere la testa all’indietro. Erano le tre del mattino e ci mancavano ancora quattro ore alla partenza, il che significava che avrei dovuto trovare qualcosa da fare per ingannare l’attesa ora che avevo anche il naso abbastanza pieno. Scesi dunque nella hall, ora semideserta, e presi a girovagare. Mi imbattei in Doc, che era sceso in ciabatte per andare a prendere qualcosa al bar, riconobbi uno dei roadie con una risma di scartoffie in mano e, in un meandro dell’ingresso, vidi Mick appartato in compagnia della sua nuova ragazza, nonché la nostra corista. Girai subito sui tacchi senza farmi notare e sgusciai fino alla camera di Tommy, alla quale bussai.

“Chi cazzo è che rompe?” tuonò lui dall’altra parte del legno spesso. “Vaffanculo, mi ero appena addormentato.”

“Sono Nikki,” annunciai, poi tirai su con il naso. “Volevo dirti che giù ci sono Mick ed Emi.”

Un attimo dopo la porta si aprì appena e il volto del mio amico fece capolino, rivelando gli occhi più lucidi che mai. “Okay, bello, solo un minuto. Prendo i petardi e arrivo.”




N.D’.A.: Ciao!
Come sempre, grazie a chi continua a leggere!
Se qualcuno volesse esprimere un’opinione, non esiti a farsi avanti. ;)
A presto,

Angie






   
 
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