Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Novizia_Ood    05/09/2017    6 recensioni
Sherlock da lezioni di ballo a John prima del suo matrimonio.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dancing on my own
 

Il calore della sua mano partiva dalla mia spalla - primo punto di contatto - per irradiarsi in tutta la mia schiena. Saliva ad avvolgermi la nuca, la testa, mi avvolgeva morbidamente i pensieri, mentre l’altra mano era a stringere la mia, poco più fuori dall’asse dei nostri corpi. La musica che avevo composto al violino ci accompagnava in quella che doveva essere la terza lezione di danza per John, che ad ogni passo si allontanava sempre un po’ di più da me. Il suo matrimonio era qualcosa con cui avevo cercato di scendere a patti per molto tempo dopo il mio ritorno al mondo dei vivi; dopo il mio ritorno nella sua vita ed era stato molto difficile. Un cammino non ancora completo, non mentre la mia mano era posata con attenzione sul suo fianco, per stringerlo appena; non mentre era così vicino da inebriarmi con il suo profumo e la sua morbidezza.

Era strano stringerlo così vicino quando per due anni eravamo stati così lontani.
Ed era stato quello il primo momento in cui ero tornato veramente a casa.
“Non posso non guardare per terra, come faccio? Ti pesterei ancora i piedi.” Disse sotto voce, mentre lo osservavo abbassare la testa per coordinare i suoi movimenti e non farmi del male.

Oh John, più dolore di quello che sto provando adesso non potresti procurarmene.
“Ti guido io.” Gli avevo risposto e il mio corpo si era ammorbidito nello stesso momento in cui l’aveva fatto il suo. Aveva rialzato gli occhi e ora li aveva puntati nei miei.
Si sarebbe mai stancato di farsi guidare da me? Io non mi sarei mai stancato di farlo.
La sua presa divenne più salda nella mia mano e l’altra sulla spalla addolcì la stretta, diventando una carezza leggera.
Provai a sorridere, ma tutto ciò che uscì fu probabilmente una smorfia imbarazzata. Poco contava, comunque, perché lui mi aveva sorriso e aveva annuito per farmi sapere che era pronto a ricominciare.
Il primo passo con il piede destro, poi il sinistro all’indietro.
I suoi occhi erano ancora fissi nei miei, ma lo sapevo benissimo che non mi stava guardando. Era come se il suo sguardo andasse oltre me, era chiaramente preso nella mappa spaziale che aveva del suo corpo mentre cercava di muoversi il minimo indispensabile per non colpirmi con un ginocchio o per non pestarmi un piede.
Cercai di guidarlo il più possibile e dopo qualche altro minuto, i movimenti vennero più sciolti, la sua fiducia stava aumentando e riuscivo a sentirlo dalla fluidità dei suoi passi in armonia con i miei.
“Perfetto.” Mi sfuggì dalle labbra mentre ancora con gli occhi studiavo il suo viso, ora morbido e illuminato da un sorriso soddisfatto. E ancora non sapevo se quella parola fosse un aggettivo per la sua danza o per lui.
John si morse un labbro, probabilmente spinto dall’imbarazzo di quel complimento e io mi ritrovai a rispondergli con un sospiro mentre ancora lo fissavo. Dopo qualche secondo di immobilità ritenni che fosse meglio allontanarmi.
Lo lasciai andare lentamente e feci un passo indietro, aggiustandomi la vestaglia sulle spalle prima di parlare di nuovo.
“Penso sia giunto il momento di farti condurre, John.”
“Certo, vuoi ritrovarti nel muro?” Rise toccandosi il mento distrattamente.
“La tua mappa motoria funziona benissimo in realtà, sei perfettamente capace di non mandarci a sbattere.” Risposi il più concentrato possibile su quello che stavamo facendo.
Ed era così difficile.

Avere qualcuno davanti e volerlo così intensamente era qualcosa di distruttivo e di paralizzante e l’inesperienza che mi accompagnava rendeva il tutto ancora più complicato. In situazioni del genere qualcuno si sarebbe buttato su di lui scegliendo di avere almeno un minimo di contatto sessuale; qualcun altro magari avrebbe puntato sul farlo desistere dallo sposare quella donna; qualcun altro... e qualcun altro che non ero io.

Io cosa avrei fatto se non restare a guardarlo da lontano? Sarei rimasto nell’angolo ad osservarlo mentre baciava lei, mentre la mia testa si sarebbe chiesta all’infinito perché non riusciva a vedermi.
Avrei continuato a ballare da solo.

E probabilmente me lo meritavo, incasinato com’ero potevo solo essere un peso e io non volevo rovinare la vita di John. Ogni giorno speravo che la sua potesse essere tranquilla, facile, felice. L’opposto della mia.
Ma tutto per John.

“Va bene, ci provo, ma se ti faccio male non prendertela con me.”

Non mi potrei mai arrabbiare con te, John.

Un passo e mi fu di nuovo davanti.
La sua mano scivolò sul mio fianco, sotto la vestaglia e la mia pelle bruciò come mai sotto la camicia. Mi irrigidii sotto il suo tocco e mi sorrise divertito.
“Hai più paura adesso, vero?” Preso alla sprovvista, ci misi più di qualche secondo ad elaborare quelle informazioni: la sua voce, la sua presa ora dietro la mia schiena, forte e decisa e la sua mano che stringeva sicura la mia.

Conducimi ovunque tu voglia.
Allungai la mano sulla sua spalla e mi schiarii la voce prima di dargli il tempo per farlo partire. Poi partimmo.
La musica ci avvolse ancora e la sua testa si chinò più volte per vedere i movimenti dei propri piedi, ma i suoi occhi tornavano sui miei poco dopo aver capito che a condurre lui non correva nessun pericolo. Saremmo potuti andare dove voleva e io lo avrei seguito.
In ogni passo.
In ogni decisione.
In ogni matrimonio.
Il suo petto era caldo contro il mio adesso e il tepore del suo corpo mi sconvolgeva i sensi. Era come non essere lì in quel momento, ma altrove e forse in quell’altrove mancava anche il pavimento, il soffitto, tutta Londra.
“Rilassati,” mi disse con un altro sorriso e io tornai con la testa in quel salotto. Un tempo finito e uno spazio chiuso. Non saremmo andati oltre.
“Sono rilassato. Il maestro qui sono io,” risposi raddrizzando appena le spalle e cercando di ricompormi, di reindirizzare i miei pensieri che ora più che mai sembravano la cosa più difficile da domare.
“Non sembra.” Rispose in un soffio. Gli occhi ancora inchiodati ai miei e ad accompagnare quelle parole ci fu il movimento della sua mano sulla mia schiena. Forse non l’aveva fatto apposta, poteva essere stato un riflesso.
Il fatto che i miei sensi funzionassero male e le sue deduzioni fossero precise mi mise a disagio e probabilmente mi irrigidì ancora di più, perché lui si appiattì ancora sul mio corpo, esplorando di qualche centimetro in più la mia schiena.

Oh John...
Il suo profumo era maschile e pungente, lo avrei riconosciuto tra altri mille.
E mi lasciai guidare, questa volta cercando di focalizzarmi su qualcosa che non fossero le sue mani, i suoi occhi o le sue labbra.

E dopo qualche minuto di silenzio totale e di sguardi persi l’uno dentro l’altro, John si fermò nonostante il mio corpo proseguì per inerzia verso avanti, mandandomi a sbattere contro di lui.
Lo fissai.

Espressione vaga, pupille dilatate, ma labbra incerte, con gli angoli leggermente verso il basso. Presa sul mio corpo ancora salda, forse troppo.
Che cosa c’è che non va, John?
I suoi occhi caddero sulle mie labbra e un macigno si posò sul mio cuore, qualcosa che non avevo mai provato prima. In quel momento temei che avrebbe fatto un altro movimento al quale non avrei saputo come rispondere.

John aveva quella strabiliante capacità di non vedermi affatto o di mettermi completamente a nudo ed era frustrante, pericoloso. Abbassai la testa per guardare i nostri piedi che puntavano l’uno nella direzione dell’altro e poi sospirai prima di rialzare gli occhi su di lui, che era ancora lì a guardarmi, ad aspettare i miei occhi per costringerli a guardarlo.

La sua mano si mosse leggera sulla mia schiena, potevo sentire il palmo premuto contro la mia spina dorsale.
“Avresti dovuto insegnarmi a ballare molto prima,” disse. Era amareggiato, lo percepivo nel suo tono, e il mio sguardo non riuscì a reggerlo a lungo. Sembrava deluso, sconfitto. Eravamo fuori tempo e lo sapeva anche lui.

Lo guardai per qualche altro secondo, poi provai a parlare.
“Ma adesso ti-”
“Avrei voluto che mi insegnassi molto prima, Sherlock.” Mi interruppe con voce triste e il fatto che stessi capendo perfettamente l’allusione alle sue parole non fece altro che spezzarmi in piccoli pezzi, uno ad uno che a breve sarebbero crollati.
“Non avevo idea che ti interessasse.” Riuscii a dire e lui lasciò uscire uno sbuffo rassegnato dalle narici mentre ancora mi stringeva, senza darmi la possibilità di allontanarmi. “Qualsiasi cosa che tu abbia mai fatto mi interessava,” fece una pausa mentre con il corpo cominciò ad oscillare di nuovo, seguendo la musica in sottofondo che era appena ricominciata. “Mi affascinava in un modo che... solo tu ci sei riuscito. A catturarmi in quel modo.” E le sue parole sembravano perse in un mondo che era così lontano da quello in cui eravamo in quel momento. Appartenevano ad un passato che pareva lontano di secoli. Provare a dedurre qualcosa da quelle parole mi sembrava così azzardato. Non sarei riuscito a capirci nulla comunque, perché era sempre di John che si parlava ed era proprio questo a renderlo così irraggiungibile sotto tutti i punti di vista.
Seguii i suoi passi, incerto sulle parole da usare in quella conversazione che sembrava stesse avvenendo su di una fune a più di mille metri d’altezza.
Un passo falso e saremmo caduti nel vuoto.
“Adesso te lo sto insegnando.” Perché evidentemente solo in quel momento avevo trovato il coraggio di chiederglielo e lui aveva trovato il coraggio di dirmi di sì; il coraggio di affrontare una vicinanza che con Mary di mezzo non avrebbe fatto del male a nessuno. O almeno così doveva aver pensato John.
“Adesso me lo stai insegnando per ballare con qualcun altro,” rispose piano e sempre attento alle sillabe che gli scivolavano fuori dalle labbra. “Io avrei voluto... ballare con te.” Terminò appoggiando la fronte sulla mia spalla senza smettere di dondolare e di stringermi.
Le membra mi si incendiarono e congelarono nello stesso istante.
“Sherlock-”
“Mi dispiace.”
E mi dispiaceva davvero.

Mi dispiaceva per la persona che ero, sempre in ritardo sui tempi; sempre osservatrice in tutto, ma il più ottuso sui sentimenti.
Mi dispiaceva per il tempo perso, per le bugie dette a fin di bene e per quelle dette per niente.

Mi dispiaceva per il modo in cui sembravo starci così bene tra quelle braccia. Mi dispiaceva che quello non fosse il posto al quale appartenevo.

E forse non lo sarebbe mai stato.




 

So far away but still so near,
the lights come up, the music dies,
but you don’t see me stading here.

I just came to say goodbye.







  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Novizia_Ood