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Autore: Alicat_Barbix    05/09/2017    1 recensioni
Nel 2130 il mondo non è più contaminato dalle diversità. Diversità che hanno portato a lotte e guerre sanguinose nel corso dei tempi. La nuova società si impegna ad eliminare tutti gli Incompleti. Il diverso deve essere schiacciato. Ma come in ogni organizzazione, anche in questa c'è una falla.
Sherlock Holmes e John Watson si incontreranno quando meno se l'aspettano, ma saranno dalla stessa parte? Ma se così non fosse, cosa comporterebbe la nascita di qualcosa di forte, qualcosa di pericoloso?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 CUORE SUL GRILLETTO
Capitolo 1

 
Un quadro. Uno come quelli di Leonardo da Vinci, di Caravaggio, o ancora, di Picasso. Uno di quelli che suo fratello amava ammirare, studiare, cercando di  scovare ogni minimo dettaglio nelle pennellate, nella scelta dei colori, nella prospettiva.
Sherlock Holmes si trovava davanti a un quadro. Un quadro vivo, animato. La cornice era il rettangolo di una piccola finestra. Il dipinto raffigurava una scena rara, anzi, rarissima. Una scena che in quei tempi non poteva essere contemplata. Non doveva essere contemplata.
Il soggetto che il pittore si era minuziosamente impegnato a rappresentare era un ometto dall’altezza infima e dai capelli dorati. Sì, un ometto. Come definirlo altrimenti? Sherlock si dovette persino interrogare sul perché un artista avesse provato il desiderio di dipingere un soggetto così irrilevante. Insignificante. Doveva esserci un motivo. E fu per la sua sete di sapere che rimase lì, ad osservare la scena con i suoi occhi di ghiaccio.
Un particolare. Doveva scovare un particolare importante. Un particolare che mettesse a tacere i suoi quesiti. L’ometto si muoveva rigidamente per l’ampia stanza su cui la cornice della finestra si affacciava. Un postura singolare, militare. Un soldato. E poi cosa? Cos’altro era importante? Il suo modo di sorridere? Quel fare rassicurante e comprensivo? Come poteva essere così…così sciocco e irrazionale da voler aiutare quella feccia che lo fissava come fosse Dio?
L’ometto fermò il suo su e giù imperturbato davanti ad una bambina. O – almeno – così sembrava a Sherlock. Quelli come lei erano tutti uguali anche fra le varie fasce d’età. Il suo sguardo inquisitore si soffermò su quegli occhi enormi, quel nasino schiacciato, quel collo corto e incassato nelle spalle esili. Affinando l’udito poteva quasi sentire quella parlata strascicata. Una bambina down. Che cosa ci trovava il pittore di interessante in un’handicappata? Che cosa ci trovava in quell’ometto che si chinava su di lei e le baciava la fronte?
Tutta quella strada e si ritrovava soltanto con una manciata di nemici dello stato e un ometto insignificante.
La segnalazione era arrivata circa una settimana prima. Se ne stava tranquillamente nel suo studio in quello che un tempo era Buckingham Palace, perso nel suo palazzo mentale, fregandosene della montagna di scartoffie che si erigeva con fare dittatoriale sulla sua scrivania, quando Mike Stanford aveva fatto la sua solita entrata plateale. A Sherlock era bastata un’occhiata per capire che aveva qualcosa di importante da spiattellargli. E si era augurato vivamente che non avesse niente a che fare con i suoi sospetti sull’infedeltà della moglie – cosa effettivamente non eclatante o inaspettata –.
“Devo parlarti.”
“Immaginavo.”
Holmes non si era curato neanche di spostare la pila di fascicoli e documenti intonsi e ricoperti da una leggera lamina di polvere per vedere meglio il suo visitatore.
“Credo di aver trovato un covo di Incompleti.”
L’espressione sul volto di Sherlock si era fatta immediatamente interessata. Finalmente un po’ d’azione dopo settimane e settimane recluso in quella stanza troppo lussuosa per i suoi gusti, in un marasma totale, annegando nell’inattività e beandosi soltanto grazie ai suoi inseparabili cerotti alla nicotina.
“Si trova nel Sussex.”
Holmes aveva inarcato entrambe le sopracciglia, stupefatto. “Nel Sussex? Ma dopo il bombardamento dello Stato Jihadista quel luogo è una terra brulla e inospitale. Non c’è niente a parte il nuovo aeroporto addetto al trasporto merci.”
Stanford gli aveva fatto cenno di avvicinarsi, come se volesse confidargli uno dei suoi più oscuri segreti. “All’inizio pareva strano anche a me. Ma ho saputo da fonte certa l’ubicazione del rifugio di un gruppetto di Incompleti.”
Sherlock aveva aggrottato la fronte. “Fonte certa?”
“Giri di amicizie varie che non starò qui a spiegarti.” Mike si era guardato intorno, come preoccupato che le sue parole giungessero ad orecchie indiscrete. “E a proposito di amicizie…” Altro sguardo apprensivo in giro. “…Un mio amico…Pare che ci sia un mio vecchio amico dietro a tutto questo.”
“Ah, un nemico dello Stato!” aveva esclamato Holmes imitando la voce irritante di suo fratello.
“Sherlock, per favore! Sono sicuro che ci sia una spiegazione a tutto questo. E’ un amico di vecchia data che stimo molto.” Prese un respiro profondo, tergendosi il sudore con la manica del trench. “Vedi…Ci siamo rincontrati dopo tanti anni per caso, abbiamo chiacchierato un po’ e la discussione si è incentrata sugli Incompleti. Lui s’è lasciato scappare qualcosa a proposito di una causa ingiusta e di un modo per cambiare le cose. Poca roba, ma mi ha messo comunque in allerta. Ho fatto una piccola ricerca e pare che lasci il lavoro ad orari inconsueti, prenda l’auto e sparisca per mezza giornata.”
“Sì, è veramente sospetto il fatto che un uomo voglia avere un po’ di pace. C’è da avvertire l’Esercito al più presto!” aveva ironizzato l’altro con un sorrisetto schernitore.
Il viso di Mike si era fatto paonazzo di sdegno. “E’ una questione seria. Ho fatto una chiacchierata con una sua collega che ha detto che una volta lui le ha raccontato di andare spesso nel Sussex. I motivi, ovviamente, sono anche a lei ignoti.”
Stanford si era interrotto e Sherlock aveva atteso, le mani giunte sotto il mento. “E?” aveva domandato ad un certo punto Holmes piccato dal mutismo dell’altro.
“E basta. Non sono io quello che fa parte dell’Inquisizione. Posso avere un bicchier d’acqua?”
Incredibile come il senso di colpa potesse far salire una tale sete! La gola dell’uomo era completamente arida. Persino il Sahara sarebbe risultato meno riarso. L’aveva fatto. Aveva tradito un suo amico. Era accorso alla Sede dell’Inquisizione appena il suo cervello era stato in grado di fare due più due, con il cuore greve di rimorso per ciò che di lì a poco avrebbe fatto, ma con la speranza che una volta che la verità fosse fuoriuscita dalle sue labbra lui sarebbe finalmente stato capace di sentirsi libero.
Ma dal peso che gli gravava all’altezza del petto non sembrava aver funzionato.
“Molto bene. Indagherò senza coinvolgere né Mycroft né nessun altro dell’Inquisizione. Se le tue ipotesi si riveleranno veritiere, non ti nascondo che la situazione del tuo amico non sarà affatto semplice. Dopotutto è un traditore.”
Sherlock aveva sorriso a quel punto. Parlava esattamente come suo fratello o suo padre. Era impregnato di quei valori razziali con cui gli avevano farcito la testa sin da quando era piccolo.
Gli Incompleti sono il male, Sherlock. Sono loro che hanno portato alla disfatta il nostro Paese. Così come la zizzania va estirpata dalle piante buone, il diverso va eliminato per non compromettere l’unità e la pace del nostro mondo.
E lui ci credeva. Ci aveva sempre creduto. La loro terra era uno scheletro. Un frammento imperfetto. Un qualcosa che non poteva competere con lo splendore di un tempo.
Tutto a casa dei diversi. Tutto a causa della guerra. Tutto a causa dello Stato Jihadista.
Nei primi anni del 2000, vi erano stati solo dei piccoli focolai. Attentati. Terrorismo. Esecuzioni capitali. Quello che un tempo era conosciuto come ISIS – che corrispondeva a Islamic State of Iraq and Siria – aveva accresciuto lentamente il proprio potere sotto il naso di potenze come Russia, Stati Uniti, Corea del Nord… Sotto lo sguardo inconsapevole del mondo aveva armato sicari impietosi, emissari di morte…Un’armata inarrestabile. Ogni attentato, ogni atto di terrorismo, erano tutti espedienti per eludere la sorveglianza del resto del pianeta, attirare la sua attenzione il più lontano possibile dalla realtà. Una realtà impastata di armi, odio e guerra. Una corsa agli armamenti avvenuta nell’ombra.
Ma un qualcosa di così devastante non può restare celato per troppo tempo. Nel 2054 ci fu un esplosione.
Non un reattore. Non un’eruzione vulcanica. Non una stella.
Una guerra. Una guerra che chiamò a sé la maggior parte dei Paesi della Terra. Una guerra che infuriò per più di vent’anni. Una guerra che si concluse solo nel 2078. Una guerra che non vide un vincitore vero e proprio.
Il mondo era crollato. Si era trasformato in qualcosa di molto simile a un cumolo di macerie.  La gente era a pezzi. Troppi morti. Troppi, troppi, troppi. Troppa serenità frantumata. Troppe famiglie alla deriva.
Tutto questo per colpa della diversità. Una diversità che cominciava a fare paura. Che aveva scavato un solco profondo all’interno della gente. Nel 2083, in Francia, ci fu la prima emanazione della Lex Discriminis, un codice di leggi scritte in cui veniva abolito ogni rapporto con il diverso.
I punti principali di tale codice erano i seguenti:
 
  • Agli individui appartenenti a determinate Nazioni è severamente vietato spostarsi liberamente in altri Paesi non munito di un permesso speciale di Espatrio.
  • Coloro che verranno scoperti in Paesi differenti dal proprio non muniti del permesso di Espatrio verranno costretti al Rimpatrio e reclusi nei carceri della madrepatria per violazione del decreto soprastante.
  • Chi, alla nascita, presenterà difetti di ogni tipo – fisico o psicologico – verrà sequestrato alla famiglia dalle autorità e – a seconda del ceto e delle possibilità economiche dei familiari – verrà destinato ai laboratori come cavia avendo così salva la vita. In caso il compenso monetario non si riveli sufficienti per espiare la colpa dell’impurità, l’individuo verrà bruciato pubblicamente in modo che il suo corpo imperfetto venga purificato mediante l’Incinerazione.
  • Chiunque venga sorpreso ad avere orientamenti immorali – quali l’omosessualità, la transessualità, la pansessualità o l’intersessualità – verrà giustiziato in pubblica piazza come esempio di impurità.
 
Il diverso doveva essere schiacciato. Espulso. Umiliato.
Alla prima emanazione della Lex Discriminis erano seguite tante altre: nel Settembre 2083 in Germania e in Italia, nel 2084 nel Regno Unito, nell’Irlanda del Nord e in Danimarca, nel 2085 nei Paesi dell’Europa orientale, tra cui la Russia, e così via, fino ad arrivare al 2092, anno che vedeva tre di cinque continenti dominati da leggi razziali pari a quelle di Hitler. Soltanto Oceania e Africa erano rimaste in un angolo a guardare, senza prendere posizioni – attivamente, dato che anche in questi due continenti ben presto comparvero regimi dittatoriali basati su discriminazioni di vario tipo.
Nel 2098, venne istituito il Tribunale dell’Inquisizione – su modello di quelli più antichi – che aveva il compito di stanare ogni piccolo scarafaggio in mezzo alle mantidi e di procedere di conseguenza. Nel Regno Unito, a Londra, Buckingham Palace venne preso d’assalto nello stesso anno, re e regina reclusi in prigione, e venne istituito il primo Governo comandato dall’Inquisizione stessa. Il capo supremo dell’Inquisizione? Siger Holmes, padre di Mycroft e Sherlock Holmes.
Erano passati trentadue anni da allora. Dopo la presa della reggia dei sovrani, il Regno Unito si era trasformato nel modello ideale da imitare. Una belva feroce che serrava le sue fauci mastodontiche sulle prede che vedeva più deboli, più indifese. Diverse.
Negli ultimi anni, il lavoro all’interno del Tribunale si era fatto sempre meno attivo: la maggior parte degli Incompleti – come venivano definiti tutti coloro che non rispecchiavano l’esempio di purezza e moralità – era stata estirpata. E nell’ufficio di uno dei figli del grande Holmes, non era rimasto che un noioso lavoro di catalogazione e cose così. Il caso di Stanford aveva risvegliato il completo interesse di Sherlock. Era deciso: si sarebbe recato nel Sussex sulle tracce di quello stupido individuo che aveva avuto il coraggio – che Sherlock aveva però classificato come stupidità – di mettersi contro lo Stato. Contro di lui.
E quello stesso individuo, ora era lì. Davanti ai suoi occhi. Era riuscito a rimediare proprio un bel nascondiglio, Sherlock doveva ammetterlo. Era una vecchia fattoria, a giudicare dalla forma allungata, dalle numerosi recinzioni e da una costruzione leggermente distaccata che aveva proprio tutta l’aria di essere una stalla in disuso.
Non era facile trovare edifici ancora in piedi in quella zona della Gran Bretagna. La parte meridionale dell’isola era stata quasi completamente rasa al suolo e quella vasta area era stata denominata semplicemente Sussex, riprendendo il nome di quelli che un tempo erano il West Sussex e l’East Sussex.
Sherlock studiò l’ometto dai capelli biondi fino a quando il sole, in lontananza, non cominciò a tingere il cielo di un colore che sfumava dal carminio al rosa pallido all’arancio. E se fosse stato un tipo che di fronte a quei piccoli ma grandiosi fenomeni del giorno si impressionava o peggio commoveva, si sarebbe fermato a riflettere sulla bellezza di quel paesaggio, sulla comunione fra i colori che sebbene non c’entrassero niente l’un l’altro, si sposavano perfettamente assieme. Se solo l’avesse fatto…
Stanco di quella visione ripugnante, Sherlock fece un giro di perlustrazione della fattoria, la sua mente che sferragliava come un treno in corsa. Terra brulla, priva di coltivazioni, recinzioni vuote, vuota anche la stalla. Si sedette in disparte, in un punto dove non sarebbe stato individuato ma che gli consentiva una vista nitida sull’intera fattoria.
Dalla tasca interna del suo cappotto tirò fuori un fascicolo scarno di informazioni e prese a sfogliarlo con attenzione.
 
Nome e Cognome: John Hemish Watson
Data di nascita: 8 Settembre 2096
Luogo di nascita: Londra
Cittadinanza: Britannica
Residenza: Londra
Via: Wigmore Street 139
Stato civile: ---
Professione: Medico
Statura: 1.69
Capelli: Biondo scuro
Occhi: Azzurri
Segni Particolari: Nessuno
 
Sherlock lesse qualche riga su una carriera militare abbandonata però per frequentare i corsi di laurea in medicina alla Barts. Nessuna conoscenza particolare – a parte evidentemente quella di Mike Stanford –, e anzi, sembrava un tipo piuttosto solitario. Relazioni traballanti, mai serie, finite dopo pochi mesi. Una sorella alcolista distaccata dalla famiglia per ragioni al dossier ignote. Genitori comuni, fedeli al Governo…
Poco. Troppo poco.
Con un movimento nervoso, lanciò il fascicolo, esasperato. John Watson…Un mistero. Un problema di geometria da risolvere. Nemmeno l’archivio dell’Inquisizione – a quanto pareva – poteva fare un po’ di luce sulla storia di quell’ometto.
Effettivamente, la fattoria era gremita di Incompleti: immigrati, disabili…A quanto pareva vi erano persino delle coppie gay/lesbiche.
Non si poteva negare l’affronto di quel Watson nei confronti dello Stato. Sherlock avrebbe potuto benissimo irrompere nella stanza e dichiarare tutti in arresto, minacciandoli con la sua Colt 2000, e avvisare suo fratello dell’arresto. D’altro canto, però, sarebbe stato un rischio: John Watson non poteva di certo fare tutto da solo. Doveva per forza essere immischiato in qualcosa di più grande, come un’organizzazione a delinquere, o un traffico illegale di Incompleti…
No. Non poteva agire. Non con così poche informazioni e così tante domande. Sherlock Holmes poteva essere un apatico, un menefreghista, ma di certo non uno sprovveduto. Presto, molto presto avrebbe fatto luce sulla questione Watson.

***
 
 Nemmeno cinque giorni interi trascorsi appollaiato ai margini della fattoria gli avevano permesso di carpire qualche informazione in più su John Watson. Al dossier del medico aveva aggiunto una pagina bianca su cui si era meticolosamente impegnato ad appuntare ogni suo spostamento. Ma la situazione sul foglio di carta attaccato con una graffetta era questa:
 
  • ore 19:33 arrivo alla fattoria
  • ore 24:48 ritorno all’appartamento a Wigmore Street
  • ore 7:14 partenza per l’ambulatorio medico
  • ore 13:05 pausa pranzo
  • ore 18:20 partenza per il Sussex
  • ore 23:40 ritorno all’appartamento a Wigmore Street
 
Sempre la solita, snervante routine. La routine di un uomo insignificante. Come si poteva sopravvivere a tanta noia? Ma la domanda più consona era: come poteva Sherlock sopravvivere a quell’abitudinarietà? Gli orari di John Watson erano anche i suoi. Gli spostamenti di John Watson erano anche i suoi. La vita di John Watson era anche la sua.
Cinque giorni passati all’inseguimento di un medico traditore. Tempo sprecato. Ore e ore in fumo. Com’era possibile che quel John Watson mandasse avanti la baracca per conto suo? D’accordo, aveva una collaboratrice, una certa Molly, che gli dava il cambio mentre lui lavorava all’ambulatorio.
Molly Hooper, 30 anni, laureata in medicina legale, nata e cresciuta a Londra, più precisamente a Westminster. Viveva da sola, fidanzata con un certo Will Smith – laureato in ingegneria navale, 35 anni, disoccupato –. Ceto sociale: medio-alto. Da piccola durante un tema in classe aveva parlato del suo migliore amico: Omar Madani – arabo, 9 anni, vissuto con la sua famiglia nascosto in una casa in rovina, trovato dall’Inquisizioni grazie al tema di Molly e cacciato dal Regno Unito –. Da quel giorno, Molly aveva sempre confidato alle sue amiche di sentirsi mortalmente in colpa per aver costretto il suo migliore amico al Rimpatrio e al carcere a soli nove anni.
Da questo fatto si evinceva perfettamente la motivazione della presenza di Molly Hooper in quella fattoria, fra quei rifiuti umani. E queste informazioni erano solo un terzo di tutto quello che compariva nel fascicolo della giovane dottoressa.
Ma John Watson… C’erano tre domande che assillavano Sherlock:
 
  1. Chi era veramente John Watson?
  2. Che cosa lo spingeva a rischiare così tanto aiutando degli Incompleti?
  3. Tutto quello era una sua iniziativa o c’era qualcosa o qualcuno di più grosso a guardargli le spalle?
 
Fu al sesto giorno inconcludente che si decise. Doveva elaborare un piano efficace, un piano che facesse abboccare il medico… Qualcosa di estremamente ingegnoso nella sua semplicità…
Un’idea gli balenò in mente, accompagnata da un sorriso vittorioso. Poteva già pregustare la sua rivalsa. La sconfitta di John Watson. Tuffò la mano in tasca e ghermì il cellulare come una pistola.
Digitò in fretta il numero di Lestrade sulla casella del destinatario del sms. Per spiegare tutta la situazione sarebbe bastata una chiamata. Anzi, forse sarebbe stata più praticata. Ciononostante odiava dover parlare con le persone, conversare, sprecare tempo. Con i messaggi poteva tranquillamente andare dritto al punto.
Ho bisogno di un favore SH.
 
***
 
Era una grigia mattina di Novembre. Uno di quei soliti giorni uggiosi caratteristici della capitale. Era accomodato sulla sua solita sedia, la mente stanca e le palpebre pesanti. Rispettare quegli orari era veramente, VERAMENTE difficile. Andare a letto tardi per poi svegliarsi presto cominciava ad essere destabilizzante. E soprattutto in quel periodo dell’anno, la percentuale di probabilità di ammalarsi era alta e lui non poteva certo permettersi di starsene a casa, al calduccio.
Anche perché, se tutto andava come stava andando, presto una casa non l’avrebbe avuta più. Si passò pollice e indice sugli occhi, cercando di sfregare via la leggera nebbiolina di sonno che gli offuscava appena la vista.
Addormentarsi a lavoro! In tutti i suoi anni di carriera non gli era mai capitato niente del genere.
Fortunatamente, un toc toc alla porta si rivelò essere la sua salvezza. Il periodo tra Ottobre e Novembre era sempre frenetico, l’ambulatorio pullulava di malati che riempivano la calma ovattata portata dalla pioggia con i loro starnuti e la tosse.
“Avanti.”
La porta candida si aprì e sul rettangolo lasciato da essa si stagliò la figura di un uomo dall’aspetto singolare. Era un tizio come tanti altri, ma c’era qualcosa in lui che lo attirò da subito. In effetti, dalla sua sagoma asciutta e vestita da un pesante cappotto nero spirava un’aura carismatica, che metteva quasi in soggezione. Ma quello che più lo colpì furono gli occhi: freddi, scrutatori, profondi.
“Prego.” lo invitò indicando la sedia dall’altro lato della scrivania.
Il nuovo arrivato si sedette gemendo appena e raschiando la gola un paio di volte. “Dottore.” fece con voce in falsetto a causa del raffreddore e della raucedine. “Le ruberò solo pochi minuti: non voglio farle sprecare il suo tempo.”
“Oh, ma si figuri! Sono qui perché voi pazienti mi facciate sprecare il mio tempo.”
L’uomo sorrise appena ma insistette comunque. “Davvero, ho solo bisogno della prescrizione di un antibiotico. E’ il mio solito febbrone che viene a trovarmi una volta l’anno in questo periodo. Di solito mi rivolgo alla dottoressa Sawyer, ma a quanto pare ho beccato il suo giorno libero.”
“Sì, Sarah oggi non c’è. Si dovrà accontentare di me. Ora, si stenda sul lettino: non posso prescriverle un antibiotico senza prima aver un quadro clinico esatto.”
Quadro. Il quadro della fattoria. Il soggetto insignificante. Il pittore incompetente. L’ometto illeggibile.
Sherlock seguì le istruzioni del dottore: si stese, tirò su la maglia e lasciò che la membrana metallica dello stetoscopio gli passasse tra le costole, studiando il suo battito regolare e le sue funzioni respiratorie per niente compromesse.
Due giorni prima aveva chiesto a Lestrade di incontrarsi per discutere meglio della situazione. Gregory era un detective di Scotland Yard che doveva un paio di favori a Sherlock – favori che la loro amicizia non era riuscita a sanare – e così, quando l’amico gli aveva chiesto di corrompere il proprietario di un piccolo appartamento situato a Wigmore Street, si era visto costretto ad accettare.
Sherlock non poteva fare tutto per conto suo. Aveva bisogno di un intermediario per ridurre al minimo le possibilità di una qualche complicazione nel corso del suo piano. E Lestrade faceva perfettamente al caso suo. Ovviamente, tutto era andato come previsto (essere nell’Inquisizione sapeva fruttarti un piccolo patrimonio, sicuramente sufficiente a corrompere il proprietario dell’appartamento del dottor Watson) e ora il suo piano procedeva.
Tossicchiò un paio di volte, per essere credibile, ma alla misurazione della temperatura non poté far molto.
“Be’, lei non ha febbre. E’ ancora un po’ presto per parlare di polmonite o altro. Per adesso le consiglio semplicemente di stare a casa e riposare. Se vuole le firmo un certificato di malattia.”
Sherlock assunse un’espressione amara. “Ah, dottore, ha ragione: credo che dovrei godermi la casa prima di venire sfrattato.”
Un sorriso mesto affiorò sulle labbra del medico. “Non lo dica a me…”
“Anche lei ha problemi con la casa?” domandò Sherlock celando la soddisfazione che cominciava a risalirgli in petto.
“Be’, il figlio del proprietario dell’appartamento in cui vivo tornerà la prossima settimana da Edimburgo e quindi vuole riprendersi la casa. Non posso neanche biasimarlo, ma ora non ho la minima idea di dove andare.”
“Ma davvero? La proprietaria del mio appartamento ha aumentato il prezzo improvvisamente e ora che mi hanno licenziato non posso certo permettermi di pagare la casa tutto da solo.” La sua faccia si fece pensosa. “A meno che…” Le sue parole scivolarono nel silenzio. Il volto del medico era interessato, attendeva pazientemente. “…A meno che non mi trovi un coinquilino.”
“Un coinquilino? Be’, di certo è una buona soluzione. Magari anche io dovrei cercare qualcuno con cui condividere una casa. Mi va bene tutto. C’è solo un problema.”
“Chi mi vorrebbe come coinquilino?”
Si guardarono. Insieme. L’avevano detto insieme. Studiarono entrambi le reazioni dell’altro. Infine, sorrisero.
Sherlock approfittò dello smarrimento del medico. “Perché non viene ad abitare con me? L’appartamento è grande e l’affitto non è così alto diviso per due.”
“Io…Non saprei. Devo…rifletterci su.”
“Ma naturalmente! Non si preoccupi. Prenda tutto il tempo che le occorre. Ma prima di decidere definitivamente, la prego di dare comunque un’occhiata alla casa. Potrebbe aiutarla.”
Il medico annuì, ancora tentennante. “Sicuro, certo.”
L’altro si alzò con un moto gioviale e gli strinse con vigore la mano. “La ringrazio ancora dottore.” e si diresse a passo svelto verso la porta.
“Ma non vuole quel certificato…”
“Non si scomodi, dottore. In fondo, niente lavoro e riposo vanno di pari passo”
Fece per uscire, ma prima di chiudersi la porta alle spalle si girò un’ultima volta. “Il mio nome è Sherlock Holmes e l’indirizzo è il 221B di Baker Street. Buona giornata.” E dopo aver scoccato un occhiolino spavaldo al dottore, sparì.
Il medico si avvicinò alla porta appena chiusa e si fermò lì davanti. Sherlock Holmes… Aveva un suono strano… Già sentito. Holmes… Dove?
Dov’è che il dottor John Watson l’aveva sentito?
Dall’altra parte della porta, Sherlock stava immobile, con la sua postura austera.
E così, John Watson, i giochi sono finalmente cominciati
E di certo si sarebbero conclusi con una vittoria schiacciante da parte del figlio del grande Siger Holmes.
 
***
 
Quel giorno era più distratto del solito. Visitò i pazienti con scarsa voglia – ovviamente sapeva perfettamente quello che faceva – e anche quando arrivò alla fattoria, la sensazione di tranquillità e di pace non ebbero lo stesso effetto delle altre volte.
Per fortuna, almeno il cielo si stava dimostrando clemente con lui: quel giorno doveva scaricare le coperte e le stufe per permettere ai rifugiati di trascorrere l’Inverno serenamente. Per quanto contasse la parola serenamente per loro. Molly accorse a dargli una mano e gli tolse dalle braccia qualche coperta. Dovettero fare vari giri prima di aver sgombrato la macchina di John – una volta prendeva i taxi, ma per arrivare nel Sussex la situazione si era fatta più complessa e così aveva dovuto acquistare un’auto –.
Si sedette con un sospiro accanto ad una stufa accesa, isolato dal gruppo. Quel giorno aveva bisogno di starsene un po’ da solo: c’erano troppi fattori da valutare per l’eventuale convivenza con quello Sherlock.
In primis, la fattoria. I suoi spostamenti numerosi e sospetti. Non poteva certo pretendere che il suo possibile coinquilino non facesse domande. D’altro canto, era anche per il bene della fattoria che doveva limitare le spese. Tra la benzina per il viaggio da Londra al Sussex, l’affitto, i viveri per l’intera comunità e per se stesso, e i conti da fare in ambulatorio, la situazione economica era pericolosamente in bilico. E poi, gli sarebbe bastato mentire e attribuire quelle uscite e quei rientri tardivi a una presunta fidanzata. Fidanzata che non avrebbe faticato a trovare nella realtà – anche perché con Sarah le cose stavano andando molto bene, ultimamente –.
Provò a pensare ad altri punti critici su quella decisione…ma si rese conto che la fattoria era l’unica cosa che realmente contava. Incredibile come degli sconosciuti potessero cominciare a significare tanto per lui. Come una bambina down potesse strappargli un sorriso anche in quelle giornate in cui si sentiva scoraggiato e impotente. Come un ragazzo cileno lo facesse viaggiare con la fantasia, raccontandogli del suo Paese e della sua casa in cui aveva timore di tornare per la povertà e la carestia.
Incredibile come degli sconosciuti potessero diventare la loro famiglia. Da Alexandra, la bambina down, a Matias, il ragazzo cileno, a Devis e Logan, una coppia gay. Tutti quelli che erano riuniti in quella stanza erano fondamentali per lui. Ognuno, con la sua storia, aveva riportato luce nella sua vita. E ancora, ci sperava. Sperava che il suo sogno si realizzasse. Ci sperava quando nuovi Incompleti bussavano alla sua porta. Ci sperava mentre faceva correre lo sguardo nella stanza. Ci sperava mentre cercava con gli occhi fra quei volti e quelle storie di dolore e rifiuti.
Ma da un lato, non contava più così tanto. Erano passati talmente tanti anni…
“John?”
Watson si voltò e incontrò gli occhi rotondi di Alexandra. “Ehi, piccola, che c’è?”
“Sei triste?”
Quella parlata strascicata e stentata lo fece sorridere. Quanto era stupida la gente. Stupida, stupida, stupida. “No. Penso.”
“A che cosa?”
“A quanto mi piacerebbe adottare un cucciolo di cane e portarlo qui per giocarci.”
Gli occhi di Alexandra si accesero di emozione. “Sì, sì, cagnolino!”
John rise e le scompigliò i capelli con la mano. Girandosi, incappò in un’occhiata di rimprovero di Molly. “Vai da Matias, adesso. Se glielo chiedi per favore magari ti racconta una delle sue storie.”
“Sì, sì, storie! Storie!”
La dottoressa si avvicinò a Watson, mentre Alexandra camminava goffamente verso un Matias stranamente di buon umore e sorridente. “Non possiamo permetterci un cane. Né per i soldi né per lo spazio. Non possiamo tenerlo fuori, attirerebbe l’attenzione!”
John fece un gesto d’insofferenza con la mano. “Nel Sussex non viene mai nessuno. E poi trovare un randagio non è un evento così sensazionale, non credi?”
“E i soldi per il mantenimento? Il veterinario? L’antipulci? Il guinzaglio…”
“Molly, per favore. Ho soltanto voglia di…” Respirò profondamente l’aria che annunciava l’Inverno. “… lasciarmi andare. Fare qualche pazzia.” Si affacciò sulla collinetta davanti alla fattoria. “Ho bisogno di sentirmi libero.”
 
***
 
Il cielo latrava e piangeva. L’ombrello rischiava di venire spezzato in due dal forte vento. Ci mancava solo il nubifragio! Corse a perdifiato per la via, scorrendo i numeri civici con apprensione, temendo che quelle tre cifre e quella lettera slittassero improvvisamente via dalla sua memoria.
222A…
221C…
221B!
Pigiò il campanello con l’indice e prese a sfregare le mani sulle braccia nello strenuo tentativo di ottenere un po’ di calore. Non dovette aspettare molto perché la porta, davanti a lui, si aprisse. La testa di una vecchietta dal viso gioviale e gli occhi furbi fece capolino da dentro casa.
“Sì?”
“Ehm…Io sono…”
“Dottor Watson!”
John si voltò di scatto, sussultando. Davanti a lui, la figura fradicia di Sherlock Holmes. Un sorrisetto arrogante gli illuminava il viso e gli occhi lo fissavano con un fare vittorioso.
“Lieto di rivederla.”
   
 
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