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Autore: KeyLimner    06/09/2017    0 recensioni
L'umanità ha deciso, dopo tanto tempo passato a distruggere il suo pianeta sempre più martoriato, di adottare finalmente l'estrema misura che appare da tempo l'unica soluzione alla loro situazione insanabile: ritornare alle origini, nella Foresta. E gli abitanti di questa gigantesca Foresta - in particolare, la giovane e vivace Sole - diventano protagonisti, facendosi portavoci dell'incredulità del loro popolo di fronte all'assurdità dell'ultima Città rimasta sulla Terra.
Un futuro che è in realtà un ritorno al passato. Sarà una scelta giusta?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccolo di nuovo lì. Sembrava che la Foresta lo attraesse a sé come una calamita: da quando vi era entrato la prima volta non riusciva più a staccarsene.
Aveva parlato con Alice. Le aveva raccontato ogni cosa. Lei lo aveva fissato a bocca aperta per tutto il tempo, ed era rimasta in quello stato per parecchio anche dopo che aveva finito, incapace di proferire parola. Poi naturalmente si era ripresa e aveva iniziato a sommergerlo di domande, a cui lui aveva risposto con pazienza. Confidarsi con lei era stata una liberazione: gli era parso che all’improvviso tutta la sua storia uscisse dai confini del sogno e assumesse finalmente dei contorni reali, ben definiti.
Il secondo passo era stato naturale. Si era avventurato nella Foresta, lungo il tratto che ormai conosceva come le proprie tasche – lui, nato e cresciuto in Città, fra i palazzoni grigi e le strade asfaltate. Arrivato a Cordignola, aveva trovato tutto il Cerchio ad aspettarlo. Erano sorpresi di vederlo, dopo l’ultima volta che era parsa a tutti un addio definitivo. Tutti tranne Nube Solitaria, che l’aveva guardato con un sorrisetto soddisfatto.
«Ci ho pensato a lungo», aveva detto, guardandoli uno per uno mentre lo fissavano in attesa delle sue spiegazioni. «E non ho cambiato idea. So che non posso far parte di questo Cerchio… perché non è questa la mia casa. Però ho capito una cosa». Il suo sguardo cadde su Nube Solitaria, che gli riservò un guizzo complice degli occhi. «Quest’esperienza mi ha insegnato molto… e voglio che anche altri possano impararlo. In Città abbiamo tante cose che voi non avete, certamente, ma voi avete qualcosa che nessuno di noi possiede, e che vale la pena conoscere anche se si proviene da un ambiente totalmente diverso. Per questo ho deciso di fondare un Cerchio, nel mio distretto».
Versi di stupore si levarono da tutti i ragazzi lì riuniti.
Jared alzò le braccia per placarli. «Ovviamente non sarà una cosa facile. Dovrò chiedere delle autorizzazioni per portare gli altri nella Foresta per il Cammino, parlare con il Consiglio e con l’Ufficio degli Affari Esteri per farmi dare il via libera… e ci saranno un mucchio di scartoffie da compilare. Ma… penso ne valga la pena. È troppo tempo che ci facciamo la guerra, quando abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri».
Dopo il suo discorso ebbe inizio una cascata di domande. Volevano sapere cosa aveva in mente, come avrebbe organizzato ogni cosa. Lui rispose a tutti con solerzia, dopodiché rimase a lungo a chiacchierare.
Pian piano gli altri si ritirarono e rimase solo Volpe Azzurra, che gli si avvicinò con una luce divertita negli occhi.
«Ma sei certo che troverai qualcuno disposto a fare questa cosa? Sai bene che in Città ci odiano… come molti del Popolo della Foresta odiano voi Grigi».
Lui alzò le spalle. «Pensavo la stessa cosa di voi, prima di conoscere Sole. Secondo me c’è molta più gente aperta di quel che credi. E per molti altri quell’odio non è che una patina superficiale… che si può riuscire a rimuovere con un po’ di sforzo. Ho già parlato con Alice e lei è stata entusiasta dell’idea: vedrai che non farò fatica a trovarne altri. E chissà, magari un giorno diventerà una cosa diffusa».
Volpe Azzurra ridacchiò. «Sei ambizioso».
«Qualcuno deve esserlo. Altrimenti non si comincia mai».
Allora Volpe Azzurra fece un gesto di commiato. «Be’, sono contento. Se non altro ci rivedremo ancora».
«Direi di sì».
Il ragazzo si allontanò insieme agli altri. Jared si voltò, e stava per andarsene quando un’improvvisa stretta al braccio lo fermò.
Trasalì. Avrebbe riconosciuto quel tocco fra migliaia di altri.
Si prese del tempo prima di girarsi, per cercare di darsi un contegno. Sentiva il cuore battere così forte che ebbe timore potesse sfondare la gabbia toracica e schizzargli fuori dal petto.
«Jared».
Dio, la sua voce…
Con un sospiro, si voltò. Lei gli parve ancora più bella dell’ultima volta che l’aveva vista, ma di una bellezza diversa… quasi spettrale. Sì, la guardava proprio come si guarda un fantasma, in effetti. Aveva la testa in controluce: proprio dietro di lei, una fessura nel tetto frondoso lasciava passare una lama di luce bianca che le investiva il capo immergendola in un’aura irreale, e accrescendo in lui la sensazione di trovarsi di fronte a uno spirito.
«Sole».
Non riuscì a trovare nient’altro da dire. Tutte le parole che aveva macinato per mesi nella sua testa sembravano essersi volatilizzate di colpo, lasciandosi alle spalle solo una nebbiolina indistinta.
Lei lo guardò in silenzio. Dopo pochi secondi lui non fu più in grado di sostenere il suo sguardo e chinò il capo.
«Avrei voluto incontrarti prima, ma… non sapevo se fosse la cosa giusta».
Jared si lasciò sfuggire una smorfia sarcastica. «Strano. Tu sai sempre qual è la cosa giusta». Si pentì all’istante di averlo detto, quando vide l’espressione addolorata di Sole.
«Sai che non è così. E men che meno in questa situazione».
«Hai ragione. È stata una cosa stupida da dire. Stupida e cattiva».
Rimasero di nuovo in silenzio. Nell’aria aleggiava una tensione palpabile.
«Quando sei tornata?», chiese lui dopo un po’, tanto per colmare quel vuoto.
«Non da molto. Sono venuta per salutare il mio Cerchio e chiedere alcuni consigli a Nube Solitaria… e mi hanno detto che c’eri anche tu».
Jared sorrise debolmente. «So che ti sembra incredibile».
«Niente affatto, invece. Sì, è vero, sono rimasta un po’ sorpresa all’inizio, dopo averti sentito più volte sparare a zero sul Cerchio e sul Popolo della Foresta. Ma io ti ho sempre detto che saresti stato un’ottima Guida. E da quello che mi hanno raccontato, avevo ragione».
Il ragazzo scosse il capo. «Non lo sono per niente, in realtà. Solo che… mi sono reso conto che tenere il punto con il pessimismo storico-cosmico è una faticaccia ancora peggiore, suppongo».
Sole rise, e quando lui vide i suoi zigomi sollevarsi in quell’espressione così familiare, e così familiarmente dolce, non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Vedo che sei sempre il solito testone».
«Ti aspettavi forse qualcosa di diverso?».
La ragazza indicò davanti a sé con un ampio gesto delle braccia. «Perché non facciamo due passi, ti va?».
Lui annuì e la seguì quando lei si incamminò lungo il sentiero sassoso. Passeggiarono per un po’, e pian piano sentì riaffiorare tante di quelle cose che avrebbe voluto dirle da tempo che non disse nulla, non sapendo da dove iniziare.
«Mi sei mancata», disse alla fine, non del tutto certo che fosse una scelta saggia.
Lei lo osservò con cautela prima di rispondere: «Anche tu mi sei mancato».
Non te ne saresti andata, se fosse vero, pensò Jared, ma tenne a freno la lingua. Disse invece: «Dove stiamo andando?».
«Voglio portarti a vedere una cosa. Aspetta». Fece una pausa. «Come stai, Jared?».
Lui si fece piccolo piccolo. Alzò le spalle. «Al solito. Ho finito da poco gli esami, mi aspetta una lunga estate di dolce far nulla».
«No, intendo… come stai veramente?».
Jared sospirò. «Perché me lo chiedi?».
«Perché ti voglio bene. So che non ci credi, e non so davvero più come posso convincerti del contrario. Dopo tutto quello che mi hai scritto…».
«Mi dispiace. Mi dispiace per tutto».
Sole lo guardò con gli occhi colmi di tristezza. «Non dovresti essere tu a dispiacerti. O a sentirti in colpa».
«Invece sì», mormorò lui. «Ho fatto un sogno stanotte, sai?», disse poi, cambiando bruscamente argomento.
«Che sogno?».
«Ero nella mia vecchia camera, nel nostro appartamento a Cricket… sai, quando vivevo ancora con mamma e papà. Avevo un letto a castello, per quando venivano i miei cugini a stare da noi. Be’, c’era un uomo lì nella mia stanza, nel sogno. Non ricordo neanche la sua faccia: era buio. Ricordo solo che lui era prigioniero, per qualche ragione, e ogni tanto entrava un tale che lo afferrava per le spalle e lo insultava, gli diceva delle cose orribili, e poi lo picchiava… e lui stava lì, impassibile, lasciandosi maltrattare. Io stavo sul letto di sopra a guardare la scena, e mi sentivo malissimo per lui. Avrei voluto scendere giù e scuoterlo con violenza. A un certo punto il suo aguzzino dopo essere entrato lasciava inavvertitamente la porta aperta: ecco, finalmente l’uomo poteva scappare. Era la sua occasione. Ma lui se ne stava lì, immobile, a fissare quello spiraglio senza muovere un passo. Nel vederlo così inerte mi saliva una rabbia cocente… non potevo sopportarlo. Iniziavo a urlare: “Vattene! Vattene!”, con tutta la forza che avevo in corpo. Mi sono svegliato continuando a gridare quelle parole, prima di rendermi conto che era stato tutto un sogno».
«Jared…».
Il ragazzo continuò senza ascoltarla: «Credo… credo che fossi io l’uomo prigioniero nella stanza. Nel sogno. Sono stato io a rinchiudermici: potrei uscire, ma non lo faccio. E mi merito le conseguenze. Per questo… per questo sento di dover chiedere scusa».
«Sai che non è così. Non c’è niente di sbagliato in te. Non è colpa di nessuno se… non ha funzionato. Siamo diversi, tutto qui».
Lui scosse la testa. «Sì, siamo diversi. Tu sei molto migliore di me: sei una persona buona. Io no».
«Smettila con queste sciocchezze».
«No, perché è vero. Ho avuto un brutto periodo… ho scaricato tutto su di te, e tu non te lo meritavi. E invece di mandarmi al diavolo continuavi a darmi spago e a subire i miei sfoghi. A volte…». Chinò il capo. «A volte ho la sensazione di occupare solo spazio».
«In che senso… spazio?».
«Spazio. Spazio fisico, spazio mentale. È proprio la sensazione stessa di esistere. Mi sento così… ingombrante. Vorrei sparire, o diventare trasparente. Quando mi prende male mi metto a letto, mi rannicchio su me stesso e cerco… di occupare meno spazio possibile. Mi dico: “Adesso passa”. Ma non passa. Non passa mai».
«Come puoi dire questo, Jared?».
«È così. Occupo così tanto spazio che non riesco più a vedere niente, a concentrarmi su niente. Vorrei essere d’aiuto, a tutti, vorrei poter essere utile. Ma occupo troppo spazio… così tanto spazio che non riesco a muovermi. E allora cerco di mettermi in un angolino e restarci». A quel punto il ragazzo fu costretto a fermarsi, perché le lacrime che gli bruciavano in gola gli spezzarono la voce. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. «Ecco. Lo sto facendo di nuovo. Mi dispiace… mi ero ripromesso di non essere più così. Non so nemmeno… se riuscirò più a guardarti in faccia».
«Non devi scusarti di niente. Io voglio aiutarti».
Una lacrima traditrice sfuggì al controllo di Jared e gli scivolò lenta lungo una guancia. La asciugò rabbiosamente. «No. Non voglio farti questo. Non più». Tacque un attimo, cercando di controllare la voce. «Sarebbe stato meglio se non ci fossimo mai incontrati. Io sarei stato male lo stesso, colpa del mio cervello difettoso… ma tu no. Non avresti passato mesi a cercare di capire, quando non c’era niente da capire. Io volevo solo sparire, e invece continuavo ad occupare così tanto spazio…».
«Queste parole…». Sole sospirò. «Ci fanno stare male entrambi. A che servono?».
A quel punto Jared crollò. Fece un passo indietro, come per tentare di difendersi dalla marea che stava per travolgerlo. Batté un paio di volte le palpebre, poi le lacrime presero a scorrergli copiosamente lungo le gote. Sole lo guardò con aria impotente. Gli si avvicinò lentamente, con titubanza, e gli sfiorò una spalla con la mano. Nel sentire il suo tocco, anche gli ultimi argini si sfondarono e Jared si ritrovò a singhiozzare disperatamente, senza più ritegno. Lei gli si avvicinò ancora di più, e alla fine lo abbracciò, prima timidamente, poi con forza, stringendolo a sé come per assorbire tutto il suo dolore. Lui inizialmente stava per respingerla, quasi per istinto, ma poi si abbandonò fra le sue braccia, aggrappandosi a lei come a un’ancora, e all’improvviso pensò che loro due erano proprio così: lei uno scoglio solido, ben piantato sul fondale, lui il mare, che continuava a infrangervisi contro nel suo moto irrequieto come per afferrarlo, ma essendone respinto ogni volta. Poggiò il capo sulla sua spalla morbida, aspirandone il profumo inebriante che sapeva di muschio e alberi… di vita.
Rimasero così per un tempo che parve infinito.
Pian piano i singhiozzi si placarono, le lacrime cessarono di scorrere e Jared rimase lì, svuotato. Immobile. Se non per quel lieve tremito che non riusciva a controllare… come la prima volta. Lei se ne accorse e lo strinse più forte, finché anche il tremito non si fu calmato. Solo allora si allontanò.
«Vieni con me».
Stordito, Jared la seguì mentre si avventurava fuori dal sentiero lungo una salita scoscesa. Faceva quasi fatica a starle dietro, tanta era l’agilità con cui si muoveva fra le rocce appuntite che costellavano il suolo.
Giunsero in cima a una rupe. Solo a quel punto lei si girò verso di lui, ritta a pochi passi di un precipizio vertiginoso. Gli sorrise, e indicò la quercia che svettava al suo fianco.
Jared la fissò senza capire.
«Questo è il mio albero», disse lei.
Un’espressione colma di stupore si aprì all’improvviso sul volto del ragazzo. Si avvicinò, pieno di timore reverenziale, fino ad arrivare al suo fianco. Seguì con lo sguardo il profilo ruvido del tronco, a partire dalle radici nodose fino ad arrivare all’intrico possente dei rami. La quercia sembrò scrutarlo di rimando, altera, maestosa come la sua sorella umana… e altrettanto misteriosa. Si sentì minuscolo, sotto la sua ombra.
Jared conosceva l’enormità del gesto di Sole. Sapeva che il Popolo della Foresta era legato agli alberi che la componevano e poteva percepire il loro dolore come sulla propria pelle: se avesse voluto, avrebbe potuto conficcare il taglierino che portava in tasca nel legno tenero, e una smorfia di sofferenza avrebbe solcato il volto della ragazza. Quasi nessuno mostrava mai a un proprio simile la pianta con cui aveva praticato la Fusione… un po’ per paura di subire violenza in una parte di sé che non era in grado di difendersi, un po’ per pudore, perché quel legame intimo svelava molto dell’interiorità di una persona. E infatti a Jared quella quercia diceva molto di Sole. Con un barlume di divertimento, pensò che se fosse stato legato a un albero, probabilmente sarebbe stato un salice. Un piccolo salice storto, chino su uno specchio lacustre come a cercare di vedervi attraverso, oltre l’immagine che l’acqua gli restituiva.
Guardò Sole, che lo guardò di rimando, con un’espressione indecifrabile. Poi si voltò nuovamente verso la quercia e lentamente posò una mano sulla corteccia. Sotto la sua pelle, l’albero parve quasi rispondere al tocco con un guizzo.
Dopo un po’, Sole poggiò la mano sulla sua, e la strinse dolcemente.
Rimasero lì in silenzio, respirando piano, finché il sole non iniziò a declinare oltre il bordo del dirupo. E la Foresta parve impregnarsi del suo calore e avvolgerli, come una coperta. La Foresta che aveva dato la luce all’uomo e che l’aveva riaccolto a braccia aperte dopo essere stata da lui martoriata e offesa. Senza una parola di biasimo.
  
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