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Autore: Pandroso    08/09/2017    2 recensioni
La Principessa Viola è maledetta, la Principessa Viola è un’assassina. La Principessa Viola è l'amante del Re di Dressrosa Donquijote Doflamingo.
Dal testo: «Violet, oggi abbiamo qui un uomo che si dichiara innocente. In verità, mi ha rubato cose che mi appartengono. Sai quanto io non sopporti i traditori. Viola... – Doflamingo la chiamò col suo vero nome – svelaci la sua colpevolezza, facci godere tesoro»
Coppia: Doflamingo ~ Viola (come Oda ci suggerisce, o qualcosa di più).
Buona lettura!
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Monet, Sugar, Violet
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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EDIT del 20/09/17: il testo ha subito delle modifiche nella forma, ma la storia, per chi già avesse letto il capitolo, non è cambiata. Ci sono dei particolari in più, utili per la comprensione, se aveste voglia di rileggerlo. 

 

 

Daughter

 

3 ~ Tradimento

Schenk mir was
Lass etwas hier
Lass bitte etwas hier von dir
Ein paar Tränen wären fein
Reib mich abends damit ein


Un cameriere servì velocemente l'ordinazione, portandola ad uno dei tavoli esterni del bar di fronte alla piazza.
«Il suo caffè, signore... Gradisce qualcos’altro?», domandò lui al particolare cliente nascosto in un soprabito scuro, e che portava in testa un cappello a tesa larga sotto il quale sbucava della stoffa rosa a infagottargli le orecchie.
C’era pure un fiocco sotto il mento sbarbato dell'uomo, un fiocco che, oltre al cotone rosa, teneva legate insieme la speranza e la pazzia. Segretamente.

L'uomo non rispose: sfogliò il giornale che teneva aperto davanti a sé e poi guardò la tazzina di porcellana appena servitagli. Notò che non combaciavano, la base della tazzina e il rialzo del piattino di coccio non combaciavano. Erano state utilizzate porcellane di due diversi servizi. Il caffè ancora ondeggiava instabile e una goccia era scivolata fuori dal bordo della tazzina, che era appiccicosa adesso e stava precaria.
L’uomo sollevò la chicchera dal piattino, salvandola dal rischio di rovesciarsi, o peggio di andare in frantumi, e la posò sulla tovaglia bianca che vestiva il tavolo.

Le cose diverse non possono stare insieme, finiranno per rompersi.

Pensò, toccandosi il fiocco rosa. Se gliel’avessero chiesto, avrebbe aggiunto che lo stesso accadeva alle persone, persone tra loro diverse, come i pirati e gli innocenti che non potevano vivere una vita insieme senza che questa andasse in pezzi.

«Grazie, per ora basta così».

A quell'ora del pomeriggio il centro della città era gremito di persone: osservata a volo d’uccello, tutta quella gente si riduceva in vibranti agglomerati di punti scuri che risaltavano sul ciottolato beige della piazza e davano ad essa una particolare apparenza, come fosse stata crivellata di pallottole.
La folla iniziava davanti al portico d’ingresso di una chiesa, dove un gruppo di giocattoli funamboli stava dando spettacolo intrattenendo i bambini lì radunatisi. Questi ultimi ridevano felici, spalancavano le bocche dallo stupore, innocenti e opposti a quegli oggetti animati dall’aspetto allegro e gioviale, ma che in verità nascondevano le grida di chi era stato ridotto in schiavitù e per sempre separato dai propri cari.

Sul lato opposto alla chiesa, le bancarelle del mercato attiravano l'attenzione e inondavano il luogo con profumi caramellati, tipici di Dressrosa.
Le bancarelle assomigliavano a casette in miniatura disposte in fila, ordinate, come tutto appariva in quel Regno rigorosamente ripulito da ogni storpiatura.

L’uomo non bevve nemmeno un sorso di caffè, e non stava sfogliando il giornale con l'intenzione di leggerlo. Anche il cielo, come lui, non era sincero: si presentava soleggiato ma rumoreggiava lontano.
L'uomo osservava la gente, epperò gli importava poco o nulla della vita che aveva attorno, eccetto di una persona.

... Mi hanno convocato urgentemente a Marijoa. Mentre io starò lontano dall’isola, voglio che tu non perda mai di vista Violet. Lei non dovrà accorgersi della tua presenza. La affido a te, Señor Pink.

Questo era stato l'ordine di Donquijote Doflamingo. Señor Pink, il particolare cliente del bar, non si era posto domande e, dopo aver visto la Principessa uscire dalla reggia, le era andato dietro.
L'aveva seguita fino al ponte di Green Bit, poi a sud-ovest, ad Acacia, nella città portuale dove lei si era attualmente fermata.
La sorvegliava ora, inseguendola con gli occhi.
Il caffè si sarebbe freddato.
 

 

In piazza, al mercato, davanti al chiosco di una macelleria:
 

«Cosa posso servirle?»

La domanda arrivò inaspettata e con un ingiustificato tono indagatore, o almeno così sembrò.
Viola non poteva rispondere, pensava ininterrottamente a cosa le era accaduto quella mattina, quando c’era stato troppo poco tempo per riflettere e per dubitare. 
Strappare quel pezzo di carta e far finta di non averlo mai avuto sotto gli occhi avrebbe dovuto essere la sola cosa da farsi. E lo aveva stracciato, ma ormai il messaggio lo portava scolpito nella mente:

 

Il Re non sa che sei viva. Se vuoi rivederlo raggiungi Sevio e attendi la sera. 
Non parlare con nessuno. Brucia la lettera.


Nonostante possedesse il dono della chiaroveggenza, Viola non era mai riuscita a trovare suo padre e, durante due anni di buio e cecità, la paura che fosse malato e che fosse stato rinchiuso e tenuto prigioniero in un luogo dove nemmeno i suoi poteri riuscivano ad arrivare stava diventando una annientante convinzione. Leggere quel messaggio, trovato sul proprio guanciale in una lettera chiusa e ripiegata in una busta, aveva fatto sbocciare in lei una piccola speranza. 
Ma l
a presenza della lettera aveva innumerevoli e altamente rischiose origini facili da intuire: qualcuno si era intrufolato nella sua camera, qualcuno che stava rischiando la vita per aiutarla a rivedere suo padre o che, più verosimilmente, voleva incastrarla.
Lei era giunta ad una decisione affrettata poco prima dell'arrivo della brulicante servitù corrotta.

«Abbiamo i migliori quarti di bue, signora, la lombata, guardi come è bella!», il macellaio si rivolse ancora a Viola, concentrata su altro, attenta alle mosse dell'uomo che Doflamingo aveva assoldato per pedinarla. Si era accorta che Señor Pink la stava seguendo. E scoprirlo non era stata una novità, bensì l'ennesima conferma che il fenicottero non si fidava completamente di lei. Ma muoversi a Dressrosa, tra la gente, era ancor meno facile che seminare Señor Pink: se fosse stata riconosciuta, avrebbe potuto imbattersi nella potenziale dormiente rabbia del suo popolo; per questo, il suo volto era coperto, solo gli occhi ambrati si svelavano al pubblico.

Arresosi, il macellaio incartò una decina di salsicce con alcuni fogli di giornale e passò ai clienti a seguire.
Viola comunque non si mosse, davanti a lei un agnello veniva smembrato, le viscere inutili scivolavano in un secchio.
Non poté evitare di fissare la scena: ad ogni accettata le ossa tenere venivano spezzate, la lama batteva secca sul tavolaccio di legno, meccanicamente, continuamente. 

L'agnello finì sbattuto sul bancone, la testa da una parte e il corpo in bocconcini da un’altra.
Viola poteva vederlo da vicino, metà cranio con un solo occhio nero ricoperto di un velo d'azzurro. Quell'occhio la stava fissando e... l’agnello pareva sorriderle col ghigno spellato, viscido, mortifero, identico a quello che aveva visto e vedeva ancora abbondante sulle labbra di tutti gli appartenenti alla Famiglia.
Un ghigno che sicuramente avrebbe assunto anche lei, viva... o morta ammazzata che fosse stata.

Non voglio, non come loro!

Si allontanò dalla macelleria dove era finita per caso, si sentiva confusa, disorientata. Cercò Señor Pink. Lo trovò. Lo guardò così tanto e intensamente che lui le sorrise da lontano. Ora si giocava a carte scoperte.


Non stava andando come Doflamingo avrebbe voluto, ma per l'ufficiale pirata era meglio così: consapevole di non essere sola, alla Principessa sarebbe passata la voglia di fare qualunque scherzo.
E a
l tramonto del sole mancavano tre ore, e più della metà di queste servivano a Viola per raggiungere Sevio a piedi da Acacia. 
 

***

 


«Mangia la Principessa! Mangia la Principessa!»

«No, ti supplico, non uccidermi!»

«Meriti di morire per aver tradito il tuo popolo!»

«Aiutatemi, io sono innocente!»

«Soffri! Soffri come hai fatto soffrire anche noi e muori!»

«Uccidila, uccidila!»

Qualcosa di azzurro, biondo e molto grazioso, volò via rovinando impietosamente a terra. 
Un attimo di calma, passarono una decina di minuti, poi: «... Uffa!» si lamentò Sugar. La piccola si trovava nella camera padronale del Signorino, sul letto immenso, intrufolata fra morbidi cuscini e lenzuola pulite. Un soldatino, un drago, e la principessa schiantata sul pavimento, erano le bambole che aveva portato con sé per giocare insieme a chi sfortunatamente non aveva trovato. Ragion per cui s'era dovuta accontentare di fare da sola. La storia era andata così: il soldatino aveva catturato la principessa in fuga dai sudditi infuriati e aveva incitato il drago a divorarla, e lei era morta.
Ma non era stato divertente, piuttosto breve, grossolano, senza una fine sublime. Non come quando c’era il Signorino ad animare le bambole, muovendo i fili con quei movimenti nobili e aggraziati che tanto la incantavano.
«Mi sto annoiando... noia, noia, noia, noooia!»
Sparpagliò i giocattoli sul letto e rotolò esasperata fra le lenzuola, ricacciò fuori il viso soffocato fra i cuscini e guardò l’orologio pesante e tutto d'oro ch'era appeso alla parete davanti a lei: segnava le diciotto spaccate.
Nella sua squilibrata testolina stavano dandosi battaglia due pensieri: in uno la Principessa guastafeste sarebbe stata finalmente eliminata, per davvero, come le aveva promesso una persona, che però le aveva anche fatto giurare di non dire nulla al Signorino; nell'altro c'era la voglia di rivederlo, per giocare con le bambole insieme a lui. Ed era una vera voglia di bimba la sua, insostenibile e capricciosa.
Sugar sapeva che quando il Signorino
 partiva alla volta di Marijoa poteva star lontano da Dressrosa per due o anche tre lunghi giorni. Un’attesa improponibile per la sua impazienza. Ma la piccola biscia era furba, un modo per far tornare prima il Demone esisteva. E lei ne era a conoscenza.

 

 

***

 

Pioveva ad Acacia, anche il cielo aveva mostrato il suo vero volto. Al mercato ci si sbrigava a chiudere; il vento tirava tanto forte che le bancarelle venivano trascinate via e la merce finiva sparsa nella piazza, la quale divenne presto un buco vuoto e allagato.
«Signore, la prego, venga dentro! Non resti lì, potrebbe essere pericoloso!» urlò il cameriere invitando Señor Pink a mettersi al riparo nel bar, senza ancora aver capito quale fosse le sua vera identità, a parte quella del cliente vestito in modo bizzarro e con tendenze suicide.

I fulmini cadevano a catena; il pirata rimaneva impassibile, perché la pioggia precipitava furiosa e lo infracidava nostalgica. Señor Pink avrebbe detto punitiva, si lasciò inzuppare col medesimo atteggiamento di chi non poteva esimersi dallo scontare un castigo.
L’acqua veniva giù a secchiate. Il caffè straripò dalla tazzina.

«Come piace a te, Russian»

Disse, e portò la chicchera alle labbra, tenendola tra le dita delicatamente, quasi stesse stringendo un neonato.

«Come piace a te, Russian»

Lo ripeté ancora, invaghito di un ente invisibile che solo lui poteva vedere, completamente dimentico del suo compito, degli ordini di Dofy.
Era la pioggia che sempre gli faceva scordare di essere quello che era, e lo riportava indietro, ai suoi ricordi. In queste occasioni, si sentiva salvo e felice.
Assaggiò il suo caffè scomparso, inghiottì la pioggia e sorrise.
 

 

Sevio, dodici chilometri di distanza da Acacia:
 


Raccapricciante.

Da mettere in quarantena, da dimenticare.
Così si presentò il piccolo borgo agli occhi della Principessa Viola, fuggita grazie al caos scatenato dalla tempesta.
A Sevio il tempo si era fermato alla notte in cui il Re Riku, seguito dal suo esercito, aveva commesso ogni sorta di brutalità contro i sudditi indifesi. 
La maggior parte della case ancora in piedi erano resti carbonizzati, abitate solo dal vento che, passando attraverso ogni crepa, le faceva guaire minacciando di farle crollare.
Nulla era stato ricostruito da allora.
Isolata dalla grazia del nuovo Re, Sevio era l’unica zona che mostrava il reale aspetto di Dressrosa.
Col cuore straziato, Viola procedette verso l'interno del borgo.

Tremava per il freddo, aveva addosso vestiti zuppi e gelati, era stanca per il lungo cammino, sporca. Ma il pensiero che di lì a poco avrebbe rivisto suo padre, come sperava, la risollevava da ogni fatica.

Proseguì per i sentieri sterrati. La pioggia le aveva dato una piccola tregua e non cadeva più. Poi, guardando lontano, Viola vide del fumo uscire da alcuni comignoli, segno evidente che qualcuno era sopravvissuto. Non sapeva di preciso quale fosse il luogo dell'appuntamento e con chi avrebbe parlato, quindi, decise di dirigersi là.
L'aria era densa di un forte odore di legna arsa che misto a quello della terra bagnata le pungeva fastidiosamente il naso.
Giunse a un bivio e in fondo a questo, sulla strada a sinistra, Viola avvistò una donna: era seduta vicino all’uscio aperto di una casa; era una vecchia in realtà.  Le andò incontro.

Tutt'attorno taceva. Calma cimiteriale, interrotta solo dai passi della Principessa.

«Porti sventura qui...»

Era stata la vecchia a mormorare. Però Viola non la udì, le era ancora troppo lontana.

«Vattene.Vattene via...» continuò quella, ma Viola non si fermò. Non aveva capito le parole e anzi, la vista di qualcuno la rassicurava a proseguire.
Giunta davanti all'anziana donna, stava per rivolgerle la parola quando:

«Tu, ci farai morire tutti!»

Urlò la vecchia.

«Il Re tornerà ad ucciderci! Il Re tornerà ad ucciderci!»

Gridò ancora, stonata, gracchiante. E Viola, spaventata, con le parole abbattute prima ancora che potesse pronuncialre, fu inevitabilmente catturata dagli occhi dell'anziana. Erano azzurri, ingoiavano il cielo plumbeo sopra di loro e in cambio cacciavano fuori un orrore incontenibile che si tramutava in odio vivo ed ira. Un cavallo bianco e un uomo che brandiva una spada, c'era anche questo in quegli occhi spettrali. 

Non voglio vedere...

I poteri del frutto Fix Fix si attivarono sfuggendo alla sua volontà. Sapeva cosa avrebbe visto.

Questo no, no... Lasciali stare, lasciali!

L'uomo a cavallo era suo padre.

«Mamma vieni dentro, subito!»

Una donna più giovane comparve interrompendo così l'incantesimo, prese la vecchia sottobraccio e la accompagnò velocemente all’interno della casa. La porta venne sbattuta e il rumore del chiavistello spinto in fondo per blindarla fu come un chiodo infilzato nei sensi di colpa della Principessa. La ferita era aperta.

«È colpa dei Riku, loro ci hanno traditi!»

Gridò qualcun altro senza farsi vedere.
S'udirono altre porte sbattere e le finestre chiudersi come indignate dalla presenza di lei, la figlia di Riku Dold III.

Viola,
 pietrificata dalla visione, talmente sconvolta, non si curò del fatto che era stata inspiegabilmente riconosciuta, quasi che tutti la stessero come aspettando.
Rimanere lì era pericoloso adesso e si stava facendo buio.
Ma lei voleva solo rivedere suo padre, quello vero, non il mostro, e accertarsi che stesse bene. Quindi, attese ancora, in piedi, sola, attese a lungo, fino a quando li sentì posarsi a terra e su di lei: granelli bianchi. Li toccò, erano freddi e cristallini e si scioglievano fra le sue dita.

Neve...?

Neve. Ovunque. Un brivido la scosse, capì quanto sciocca era stata. 
Braccata sin dall'inizio, aveva dimenticato che a Dressrosa la speranza veniva alimentata sempre con l'inganno.

 

 

***

 

 

Uno stuolo di lumacofoni era sotto gli occhi e le intenzioni birichine di Sugar. Il Signorino conservava quegli apparecchi nella sua camera, disposti sul tavolo accanto al grammofono che gli piaceva ascoltare. Da lì, il Demone Celeste imperava sul mondo e compiva i suoi misfatti.
La piccola cercò il lumacofono giusto. Se l’avessero vista fare quello che stava per fare, sarebbe stata messa in castigo. Ma un castigo era un rischio passabile se in cambio riusciva ad ottenere il Signorino tutto per lei.
Afferrò un lumacofono, quello coperto di piume rosa e con gli occhi maligni. Una volta preso, sgambettando veloce, tornò sul letto del Signorino. Si infilò al sicuro sotto le lenzuola.
Eccitata, alzò la cornetta e compose il numero segreto che solo gli ufficiali maggiori conoscevano e potevano usare. Lei lo aveva imparato grazie a Trebol, che scioccamente l’aveva composto in sua presenza senza preoccuparsi di nasconderlo. Sugar aveva assorbito il ricordo come una spugna.
Avviò la chiamata e l’apparecchio iniziò a squillare.
I secondi si dilatarono interminabili, era già contenta. Non immaginava la portata del guaio che stava per causare.
La linea si interruppe, le avevano risposto. Era ovvio chi ci fosse dall'altra parte.

«Sono a Marijoa adesso, lo sapete... e sapete anche che quando sono ospite di questi cani bastardi non gradisco essere disturbato!»

La voce secca di Doflamingo lasciò Sugar malamente sorpresa, non le era mai capitato di sentirlo così severo. E anche se il suo piano aveva funzionato, si rese conto troppo tardi di non aver pensato cosa dire per giustificare la sua chiamata.

«Incomincio a perdere la pazienza, Trebol, sei tu?»

Lei voleva solamente stare in sua compagnia e giocare con le bambole, non farlo arrabbiare. Invece lui si stava infuriando. Sugar precipitò nel panico. Spaventata, prese per buona la prima soluzione che le venne in mente, e non fu quella di riattaccare.

«Sta per essere uccisa!»

Dall’altra parte della cornetta il silenzio, ma durò poco.

«Chi sta parlando?»

Le diminuirono i battiti.

«Lo giuro, non volevo dirlo! Mi dispiace, Signorino!», aveva già la voce intrisa di pianto.

«Sugar, sei tu?»

Era fatta.

«Sì... », gli singhiozzò.

«Sugar, perché mi hai chiamato?»

Le lacrime della piccola colavano copiose e inumidivano le lenzuola di piccole macchie scure.

«Lo sai che è proibito, chi ti ha dato questo numero? Rispondimi»

Sugar non riusciva a tenere ferme le mani che tremavano, stava per svenire dal terrore, e l'espressione che aveva assunto il lumacofono non era per nulla rassicurante: era torva e cattiva.

«Io... – non poteva certo rivelare che aveva rubato con gli occhi il numero segreto a Trebol –​  Io non volevo farti arrabbiare Signorino però lei sta per essere uccisa!», ripeté ancora, troppo veloce, accavallando le parole una sull'altra.

«Sugar, adesso calmati...»

Doflamingo cambiò tono; detestava la confusione, questa non portava nulla di buono, a meno che non fosse lui a scatenarla; il Demone s'addolcì per Sugar, per farla parlare chiaro. Era già preoccupante che lei sapesse come chiamarlo, inoltre, ciò che la piccola gli stava ripetendo insistentemente iniziava a seccarlo  donandogli uno spiacevole presentimento.

«Tranquilla, ci sono io, ma ora su, dimmi, chi sta per essere ammazzato?»

Sugar, riconoscendo una voce più simile a quella a cui era abituata, quella sempre premurosa nei suoi confronti, proseguì: «Lei, perché lei oggi è andata a Sevio e lì ci sono quelle persone che la odiano... Io so che la uccideranno.»
Sugar continuò a non specificare il soggetto in pericolo.

Doflamingo si passò una mano fra i capelli, come a ricaricare la pazienza.

«Sugar, piccola mia, devi dirmi il nome di questa persona, altrimenti non potrò aiutarti»

Parlò quasi in falsetto, tanto era scocciato dal non riuscire a capire cosa stesse
 accadendo e la reticenza repentina di Sugar era un ulteriore brutto segno. 
La piccola tentennò, rivelare l'identità di quella persona significava tradire la promessa fatta ad un'altra persona. 
Tuttavia, in fondo, era il Signorino a volerlo, e la volontà del Signorino non si discuteva. Mai.

«... la Principessa Viola, è lei che morirà.»

Tuuuuuuuuuuu....


La cornetta del lumacofono fu violentemente riagganciata e la monotona eco della linea interrotta annunciò l'inizio della catastrofe.
Ora, il Demone Celeste era veramente arrabbiato.

 

 

***

 

 

Qualcosa simile ad una morsa le stringeva la gola. Viola si portò una mano al collo, le sue dita sfiorarono una pietra liscia e fredda. Fu come sentirsi succhiare via la vita. Era un collare fatto di agalmatolite marina. Ma come ci era finito lì, sulla sua gola?
Cercò di ricordare, rivedeva la vecchia con le orribili memorie e dopo... cosa c'era stato dopo?
Niente, l'oblio, anzi, ricordava di aver visto la neve. Ma per quanto le faceva male la testa non riusciva a capire se questo ricordo appartenesse a lei o lo avesse assorbito dalla vecchia. 
E comunque, ora la neve non c'era più, l'ambiente che la circondava adesso sembrava l'interno di una di quelle case distrutte che l'avevano inorridita al suo arrivo.
Lei era a terra, immobilizzata e la luce che la illuminava pareva danzarle attorno galleggiando nell'oscurità. Erano lanterne,
c'era qualcuno a tenerle, un gruppo di persone, tante persone. Viola udiva le loro voci, la stavano offendendo, incolpavano lei e suo padre, le gridavano assassina e la minacciavano augurandole la morte.
Cercò di alzarsi, il massimo che ottenne fu stare in ginocchio, era frastornata e troppo debole.
Avrebbe voluto difendersi dalle accuse, dire la verità; ma la sua verità non esisteva.
Ora, aveva ripreso completamente coscienza, distingueva bene ogni cosa e gli uomini che la circondavano, le loro facce, sembravano bestie affamate di giustizia. E i loro occhi specchi, in ognuno Viola vedeva riflesso suo padre.
D'improvviso,
 la colpirono alle spalle, lei cadde di nuovo giù, sulla terra umida. 
C'era febbre macabra nell'aria, lo sentiva, stava per accadere ciò che aveva sempre temuto e non passò molto tempo, il branco le si scagliò contro: le strapparono il vestito, le strattonarono i capelli, la graffiarono e le gridarono in faccia come il Re, suo padre, avesse massacrato senza pietà una donna incinta, un uomo disarmato, un bambino che tentava di mettersi in salvo, e di come l'ex sovrano avesse dato alle fiamme Sevio.

Era colpa sua.
Lei doveva bruciare all'inferno.

Le tornò alla mente l’agnello fatto a pezzi.
Subito dopo, un colpo alla nuca le fece perdere i sensi.
L'avrebbero uccisa.

 

Nessuno ebbe il tempo di accorgersene ma tutti furono trapassati. 
Bastò un filo e un eccellente tempismo. 
Non una goccia di sangue fuoriuscì fino a quando Lui non tirò via il filo per lasciarli morire. Uno tra loro venne risparmiato per liberare la Principessa dal collare di agalmatolite. Quella Lui non poteva toccarla.
Dopo, il disgraziato fu schiacciato al suolo.
«Chi ha organizzato la festa?»
Chiese il Demone, puntando un piede sulla gola di quello. Gli lasciò aria quel tanto che bastava per farlo confessare: 
«S-sapevamo che l'ultima figlia di Riku sarebbe giunta a Sevio... Noi dovevamo ucciderla p-per vendicarci di suo padre... ma ci hanno anche detto che ammazzarla era un suo ordine, Re Doflamingo»

Adesso il fenicottero aveva il doppio delle domande, qualcuno imperava al suo posto. Avrebbe dovuto approfondire, ma non aveva assolutamente voglia di continuare a parlare con il parente di un verme. Gli faceva schifo. Così, schiacciò la laringe dell'uomo fino a sentirne un piacevole crac.

E adesso lei.

Percepì una euforia strana possederlo, una remota parte di lui stava forse temendo qualcosa.
La Principessa era roba sua, come tutta Dressrosa, gli apparteneva. Rabbia, ecco, era arrabbiato per una possibile perdita di possesso, non poteva essere altro.
Se lei era morta, fine dei giochi.
Le si avvicinò.

Viola respirava.

L'euforia mutò. 

Poteva farla ballare ancora.


Si piegò su di lei: appariva svenuta, coperta a stento dal vestito sbranato e sporco, eppure, Viola non perdeva la sua bellezza.
Ma l'incanto finiva dove iniziavano le tracce lasciate dai parassiti.
E pensare che lui mai l'aveva sfiorata, Viola non aveva mai sanguinato per lui. Lo stava facendo per altri, come si permetteva?
Il perenne sorriso di Doflamingo invertì la rotta verso una smorfia inciprignita.
Tagliarla gli sembrava un'ottima soluzione, tagliare era sempre una soluzione, un modo accelerato per cancellare quello che la feccia aveva lordato. Penetrarla, sfilacciandole il viso ad esempio... come gli appariva semplice. Ma poi, Viola gemette, riprendeva conoscenza, e dischiuse le labbra arrossate e gonfie, fresche delle percosse ricevute. Dofy guardava le osservava, fissava tutto quello che per un attimo stava per essergli rubato, a lui, un Drago Celeste. Afferrò la Principessa, la strinse contro il suo petto, era minuscola, poteva soffocarla. Era sua.
«Non ci provare, Viola, non con me» le disse, parlando a lei ancora priva di sensi «Io ti ho dato il permesso di volare libera nella mia gabbia. Solo nella mia gabbia... »
L'euforia strana, in verità, non se ne era andata e non se ne andava. La strinse più forte, e gli pareva lo stesso che gli stesse sfuggendo. Desiderava toccarla, sentirla, voleva darle carezze diverse. Ma era a palazzo che la voleva.  

La sollevò prendendola in braccio e così qualcosa, rimasto impigliato nell'abito logoro di Viola e ignoto a lui, cadde svelandosi.

Era una piuma, una candida piuma bianca.

La vista di quel dettaglio inaspettato abbrutì spaventosamente il volto del Demone Celeste.
Scelta, libero arbitrio, ogni imprevisto alla sua unica e indiscutibile volontà era sintomo di una malattia chiamata tradimento. Una patologia che lui combatteva da anni; da bambino aveva cominciato la propria crociata abbattendo tutti gli appestati dall'infame morbo. Credeva di esserci riuscito, di aver sviluppato un deterrente che evitava recidive, e invece no, l'infezione tornava puntuale a tormentarlo, a farlo impazzire.

Non mi ubbidisci più... Monet.

 

Gib mir deine Augen
Gib mir dein Licht
Schenk mir deine Tränen
Doch weinen sollst du nicht



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Brano ad inizio e fine testo da ASCOLTARE QUI.

Anche se questa versione non è quella che intendo io, ma su nel web non ho trovato di meglio...
Ritorno, dopo mesi. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro, a parte che mi dispiace aver fatto aspettare tanto chi aspettava.
Dunque, con capacità autocritica credo di avere approfittato di questo capitolo per raccontare altro, e non so spiegarvi la sensazione, ma so che è così.
Comunque, volevo scrivere un po' di righe sulla grottesca figura di Señor Pink, e alla fine lui s'è preso mezza parte del capitolo. Spero non sia stato incomprensibile, non potevo spiegare il suo passato, quello già lo conoscete, e quindi sapete perché per lui è così importante la pioggia.
No, non sono né vegetariana né vegan per quanto possa apparire leggendo il capitolo, povero agnellino.
Sevio non l'ho scelta a caso, se non ricordo male, è quella città che fu attaccata proprio dal povero Riku.
Viola vi è sembrata troppo ingenua? Magari sì, però date le sue condizioni anche un buchino di luce diventa una grande speranza e perché non tentare?
Sugar ha fatto i pasticci, e per lei non è finita.
Devo dire che questo terzo capitolo non sarà il penultimo ma credo il terzultimo, dipende da come mi gira, volevo farci entrare due scene in più ma sarebbe stato troppo. E quando è troppo è troppo!
Con questo chap. ho scosso Dofy, col prossimo tocca pure a Viola, e poi gli farò fare le capriole. ^^

Vi mando un abbraccio (odio l'estate e finalmente è finita).

 

 

   
 
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