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Autore: The Masked    08/09/2017    2 recensioni
Da quando suo padre era stato arrestato, tutti avevano evitato lui e sua madre come se fossero portatori della stessa malattia che aveva condotto il genitore ad imboccare il sentiero dell’illegalità fino a condurlo in gattabuia. Come se fossero degli appestati, delle persone di cui non fidarsi, da tenere lontani e da trattare con sufficienza. Da guardare dall’alto in basso. Era stato, dunque, isolato a scuola, additato da tutti come "il figlio del carcerato" quando ne percorreva i corridoi a testa bassa ed aveva stupidamente cominciato a pensare che quello sarebbe stato il suo destino, come se non potesse discostarsi dallo stesso fato, ora che era tracciato in ogni vaso sanguigno. L’atteggiamento aggressivo, scostante nei confronti del mondo che lo circondava, era arrivato subito dopo e la rabbia gli aveva permesso di forgiare uno scudo attorno a sé per schermarsi dai commenti mortificanti, dalle risatine, dalle accuse, da quella sensazione di essere così fuori posto in mezzo a dei ragazzi apparentemente perfetti. La pecora nera in un universo che non concedeva sfumature diverse dal bianco.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: He Tian, Mo Guan Shan
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il Tempio della Fragilità
 
 
 
 
Mo Guan Shan stava finendo di lavare i piatti, quando il suono del campanello della porta di casa spezzò il placido ritmo provocato dallo scroscio dell’acqua e dallo strofinio della spugna e del detersivo. Pensò che sua mamma avesse dimenticato per l’ennesima volta le chiavi e che fosse tornata per recuperarle, ma – quando dallo spioncino vide l’espressione tronfia di He Tian che sembrava osservarlo dall’altra parte – fu tentato dal non aprirgli la porta.
“Col cazzo che ti apro” disse, tornando alla sua postazione davanti al lavandino, terminando il compito assegnatogli dalla madre. Non che avesse bisogno di raccomandazioni, in realtà: nonostante nella sua stanza regnasse un disordine tale da far pensare che un esercito di bisonti avesse deciso di pascolare in quei pochi metri quadri a sua disposizione, considerando ogni oggetto un nemico e caricandolo in quanto tale, in cucina l’ordine e la pulizia regnavano sovrane.
“Non fare lo stronzo e aprimi!” brontolò He Tian dall’altra parte della porta, attaccandosi al campanello e bussando ripetutamente. “Giuro che ti faccio male, se mi lasci qui fuori come un cretino!”. Fu costretto ad aprirgli davvero, alla fine. Non tanto per la minaccia che, ormai da anni, aveva perso il suo effetto minatorio, quanto più per non farsi esplodere le meningi a causa del mal di testa che gli stava procurando quel suono disturbante. Lo fissò malissimo, mentre l’altro – totalmente a suo agio - si accomodava come se nulla fosse sulla sedia della cucina, poggiando il sacchetto di plastica che reggeva in mano sul tavolo, facendo scivolare fuori alcune lattine di birra.
“Che scortese. Io ti porto le birre e tu non mi offri niente?” domandò con un sogghigno, mentre il rosso sistemava ordinatamente i piatti sulla mensola.
“Vuoi qualcosa?”.
“Un caffè sarebbe magnifico” annunciò He Tian, piegandosi all’indietro sulla sedia; le mani intrecciate dietro la nuca e uno sguardo ammiccante.
“Bene. La moka sai dov’è… fattelo da solo” rispose l’altro, sfilandosi gli improponibili guanti di gomma rosa della madre e gettandoglieli in faccia, mentre si dirigeva nella sua stanza per accomodarsi davanti alla postazione della playstation.
“Sei davvero un terribile padrone di casa, lasciatelo dire” commentò He Tian , dandogli un calcio sulla coscia per vendicarsi sia di quell’affronto, sia per aver dovuto attendere davanti alla porta di casa. Guan Shan rispose con una smorfia, allontanando con evidente fastidio la gamba dell’altro, sperando che quest’ultimo incespicasse nei suoi stessi piedi, cosa che – purtroppo per lui – non accadde. “Fammi spazio” ordinò il moro, prendendo posto al suo fianco ed allungandosi per afferrare un joystick talmente consumato da aver perso i simboli sui tasti. L’invasore si era consolato per non aver ricevuto la sua tazzina di caffè, portandosi appresso le lattine di birra e rubando dalla dispensa una confezione di patatine fritte gusto bistecca al cumino. Mo Guan Shan non sapeva come facesse a piacergli quella roba e non capiva neppure perché, quando andava al supermercato - consapevole di una probabile invasione dei suoi territori - pensasse a lui prendendogliene diversi pacchetti. Si disse che era solo una persona molto gentile a fare la spesa anche per l’altro, senza avvelenargli più il cibo. L’aveva fatto solo una volta, in realtà, aggiungendo come condimento allo stufato di manzo un potente lassativo in polvere e ne aveva pagato le conseguenze scappando per un’intera settimana per i corridoi della scuola come se avesse l’inferno alle calcagna – similitudine quanto mai appropriata, visto che il moro era l’incarnazione sadica di Satana, ma perfino il Diavolo stesso, secondo Guan Shan, sarebbe rabbrividito dinnanzi al suo gemello - ma He Tian non aveva ancora dimenticato e, difatti, guardava il suo sacchetto con sospetto e diffidenza. Nemmeno il fatto che il sacchetto di plastica fosse sigillato sembrava tranquillizzarlo.
Il rosso non lo rassicurò affatto, limitandosi a premere i tasti d’avvio di “WWF SmackDown!” per scegliere il suo personaggio, lanciandogli un’occhiata di sottecchi solo quando ebbe terminato la scelta, scoprendolo sempre assorto sul pacchetto, come se stesse cercando di individuare manomissioni esterne. Trattenne le risate e fu ancora più difficile contenerle quando He Tian si girò verso di lui, domandando: “È una trappola? C’è del lassativo, qui dentro?”, ma, alla fine, ci riuscì, mantenendo un’espressione piatta, la stessa che indossava quando Jian Yi – che era tornato di recente all’ovile, dopo essersi trasferito per diversi anni con il padre - sparava qualche castroneria.
“No” rispose senza espressione, afferrando la birra e sollevando l’apertura dell’alcolico con uno schiocco.
“Me lo diresti se ce l’avessi messo?”.
“Assolutamente no” gli confidò, serissimo, nascondendo un sorriso dietro la lattina, prima di prenderne un lungo sorso.
He Tian lo guardò negli occhi con uno sguardo di sfida e, dopo aver decretato che la lezione impartita la volta precedente fosse rimasta indelebile nella sua memoria – cosa non del tutto infondata, in verità, visto il dolore che provava ancora adesso, a distanza di anni, nel ricordare quando avessero fatto male i calci al sedere che gli aveva tirato - aprì la confezione immergendo la mano nel pacchetto per portare alla bocca una manciata di patatine. Le masticò con evidente soddisfazione, sgranocchiando rumorosamente, consapevole di quanto a Guan Shan desse fastidio, dopodiché scelse anch’egli il suo personaggio e cominciarono a farli lottare sul ring, premendo con ardimento guerrafondaio i tasti del joystick. Quando non c’era Zhan Zheng Xi con loro, il rosso aveva qualche speranza di vincere e di cancellare dalla faccia il ghigno perenne che He Tian era solito indossare per provocarlo.
“Questa volta ti ho grattugiato dentro una pastiglia astringente” dichiarò all’improvviso, mentre He Tian stava per sferrare l’ultima mossa per conquistarsi il primo round, cosa che non era assolutamente disposto a concedere. Questo lo distrasse abbastanza affinché fosse Mo Guan Shan a sferrarla per primo, mandando al tappeto il personaggio dell’altro, tra gli applausi e le urla del pubblico.
“Sei una piccola merda!” lo insultò He Tian, saltandogli addosso e sganciandogli un destro sulla spalla. C’era stato un tempo in cui quei cazzotti facevano male, restando incisi sulla pelle per intere settimane in sfumature violacee e verdognole che spiccavano sulla sua pelle pallida come fari nella notte, ma ora la forza che usava nei colpi era scherzosa, non aggressiva. Si imponeva per gioco, non per volontà di fargli davvero male. E, il peso del suo corpo premuto scherzosamente contro, gli provocava sempre un calore inconfessabile lungo il basso ventre che non aveva niente di giocoso ed era sempre più difficoltoso nasconderlo. Lo disarcionò con un grugnito e, tra un insulto e l’altro, ripresero a giocare per quelle che divennero ore. Alla fine, le scorte alimentari riverse sul pavimento aumentarono a vista d’occhio: aveva fatto dei sandwich per entrambi ed aveva aperto altri pacchetti di patatine e pop-corn. Mosso da pietà d’animo, il rosso preparò anche il caffè dapprima richiesto, sorseggiandolo in una delle pause tra un combattimento virtuale e l’altro.
Guan Shan era in vantaggio di ben sette round, quando He Tian – con uno sbuffo frustrato – abbandonò la presa dal joystick, dichiarandosi sconfitto di quella sessione. Il padrone di casa ghignò, soddisfatto, riprendendo ad appoggiarsi contro il bordo del letto, posizione dapprima abbandonata per avvicinarsi maggiormente allo schermo, come se attaccarsi con il naso alla tv aiutasse a vincere.
 “Quanti ricordi” disse He Tian all’improvviso, squadrando la stanza come se fosse la prima volta che la vedeva, studiandone i dettagli con quei suoi occhi scuri. “Ricordo ancora la prima volta che sono venuto qui: tu ti stavi per masturbare consultando l’oroscopo—”.
“Non mi stavo per masturbare con l’oroscopo!” protestò Mo Guan Shan, dandogli una gomitata sul fianco.
“Ed indossavi quei bellissimi pantaloni bianchi, aspettandomi sul letto a petto nudo. Tutto bagnato e pronto. Così, senza pudore”.
“Ero appena uscito dalla doccia! Di certo, se avessi saputo che avresti fatto un’improvvisata qui, invadendo la mia stanza senza il mio permesso, avrei indossato almeno una maglietta, pronto per spedirti fuori a calci in culo”.
“Hai sempre brillato per le buone maniere” commentò He Tian, sarcastico, fingendosi contrariato. “Eri e sei un pessimo padrone di casa. Ti sembra il modo di trattare gli ospiti?”.
“Ti sei autoinvitato a casa mia senza nemmeno annunciarlo. Come fai sempre, del resto. Le persone non hanno impegni, una vita sociale, secondo te”.
“Perché, che vita sociale hai? Odi tutti indistintamente”.
“Ti stupirà saperlo, ma qualche amico ce l’ho pure io”  rispose l’altro, piccato.
“Amici che si rivelano dei teppisti imparentati con la malavita. Tipo, She Li. Brilli anche per la capacità di saper scegliere i tuoi amici, devo dire”.
“Infatti, sono amico tuo e di Jian Yi. Vedi come sono ridotto” borbottò, ruttando. “Con She Li non abbiamo più rapporti, comunque. Sono stato stupido a fidarmi di lui, ma non è che fossimo così legati in passato”.
“Perché affidarti a lui in quel modo, allora? Non sei stupido. Perché metterti nelle mani di una persona che ti voleva solo sfruttare?”.
“Che ti importa?” scattò Guan Shan; lo sguardo contrito e la fronte corrugata.
“Dai… Non abbiamo passato la fase del ‘che cazzo te ne frega’?” domandò He Tian con un sorrisetto. “Non ne abbiamo mai discusso, ma sono curioso”.
Guan Shan giocherellò quasi senza pensare con l’orecchino che il moro gli aveva regalato anni prima, lo stesso che aveva scagliato lontano tanto per farlo irritare, concentrandosi sulla sensazione fredda del metallo a contatto della pelle, piuttosto che sullo sguardo intenso che He Tian gli rivolgeva.
“Non pensavo di avere delle prospettive. Ero scarso a scuola, continuavo a venire sospeso per delle cazzate, non avevo nessuno che credesse in me – nemmeno io credevo un minimo in me stesso, in realtà e forse mi stavo sabotando da solo – e She Li mi stava offrendo una via d’uscita semplice e a portata di mano. Mi stava sfruttando, sì, ma pensavo anche io di sfruttare lui, venendo assunto dall’azienda della sua famiglia e ottenendo guadagni immediati. Sono stato un vero idiota, non c’è bisogno di ricordarmelo. Lo so. Accettare l’accordo con lui è stata la cosa più stupida che io abbia fatto”. Mo Guan Shan era un ragazzo di poche parole ed era difficile che si aprisse in questo modo con qualcuno: non si fidava mai abbastanza per rivelare quello che si portava dentro e gli costò un grande sforzo confessare a cuore aperto le sue debolezze e quanto si fosse sentito solo ed insignificante in passato. Quanto si fosse sentito patetico nel non riuscire ad ottenere gli stessi risultati dei suoi compagni di classe con la media sempre alta o la serenità nel poter vivere in pace la sua adolescenza senza il pensiero nefasto di quanto sarebbe stata dura la vita di un figlio di un carcerato in un sistema che non ammetteva errori. Da quando suo padre era stato arrestato, tutti avevano evitato lui e sua madre come se fossero portatori della stessa malattia che aveva condotto il genitore ad imboccare il sentiero dell’illegalità fino a condurlo in gattabuia. Come se fossero degli appestati, delle persone di cui non fidarsi, da tenere lontani e da trattare con sufficienza. Da guardare dall’alto in basso. Era stato, dunque, isolato a scuola, additato da tutti come il figlio del carcerato quando ne percorreva i corridoi a testa bassa ed aveva stupidamente cominciato a pensare che quello sarebbe stato il suo destino, come se non potesse discostarsi dallo stesso fato, ora che era tracciato in ogni vaso sanguigno. L’atteggiamento aggressivo, scostante nei confronti del mondo che lo circondava, era arrivato subito dopo e la rabbia gli aveva permesso di forgiare uno scudo attorno a sé per schermarsi dai commenti mortificanti, dalle risatine, dalle accuse, da quella sensazione di essere così fuori posto in mezzo a dei ragazzi apparentemente perfetti. La pecora nera in un universo che non concedeva sfumature diverse dal bianco. “Perché non prendi esempio dai tuoi compagni?” gli domandavano con disprezzo i professori; “Perché non puoi diventare come loro?” continuavano, indicando gli studenti più brillanti tra cui vi era anche He Tian, il terzo migliore della scuola: talentuoso in tutte le materie, bravo negli sport, popolare con le ragazze… il ragazzo perfetto, il ragazzo che persino sua madre avrebbe voluto come figlio. Lo odiava per questo, ma, soprattutto, lo invidiava: avrebbe voluto essere come lui, ottenere i suoi stessi risultati o, forse, molto semplicemente, avrebbe voluto avvicinarglisi. Ogni volta che lo vedeva fermo davanti a una finestra circondato da una mandria di ragazzine innamorate, provava una gelosia che si rendeva conto essere immotivata ed irrazionale. Non lo conosceva nemmeno, non gli aveva mai rivolto la parola, né l’altro gli aveva mai prestato la benché minima attenzione, quindi per quale motivo sentiva le budella attorcigliarsi quando posava il suo guardo su di lui? Guardarlo con Jian Yi era la tortura peggiore, poi: con le ragazze non poteva competere, ma Jian Yi era un ragazzo come lui e, sapere che un maschio fosse riuscito ad ottenere in qualche modo il suo affetto e la sua lealtà, lo riempiva di acredine immotivata.
Non avevano senso, quei suoi stati d’animo.
Non li comprendeva razionalmente, all’epoca, non aveva ancora la maturità sufficiente per analizzare a mente lucida il turbino emotivo che lo pervadeva nel profondo, ma adesso aveva un senso l’astio che provava, il rancore che aveva proiettato addosso a Jian Yi aveva un’origine, seppure infantile: stava scoprendo la sua sessualità e He Tian era stata la sua prima cotta, il suo amore impossibile. Capito questo, il resto del puzzle era stato semplice da unire: aveva cercato di odiare He Tian, di disprezzarlo, ma, al tempo stesso, non era riuscito a scrollarsi di dosso la bile che provava nel guardare Jian Yi riuscire ad approcciarsi serenamente a lui ed aveva approfittato di una scusa stupida per riversargli addosso la sua malevolenza. L’urto alla spalla era stato solo un pretesto per sfogare la sua idrofobia sull’altro, per convogliarla contro qualcuno e non contro se stesso, non contro quel suo continuo sentirsi sbagliato e, quando Zhan Zheng Xi si era messo in mezzo alla rissa per proteggere l’amico, trattenendolo per il collo e schiacciandolo a terra come un insetto, il panico gli aveva invaso le sinapsi portandolo ad agire d’impulso, senza pensare e mandando il ragazzo in ospedale, sferrandogli un colpo alla testa che ancora adesso non si riusciva a perdonare. Ricordava bene cosa aveva provato guardando il corpo riverso a terra davanti a sé, la pozza di sangue che andava allargandosi in un lago appiccicoso e nauseabondo che odorava di rame, la paura di avergli fatto troppo male, di essere diventato esattamente come suo padre, di non avere più vie di uscita da quel destino che stava già erigendo delle sbarre attorno a lui, ma, fortunatamente, il colpo non aveva provocato danni gravi se non una piccola cicatrice. E, dopo questo avvenimento da dimenticare – che ancora adesso, a distanza di anni, gli pesava sulla coscienza, sebbene si fosse scusato con Zhan – He Tian aveva cominciato a dedicargli le attenzioni che andava a cercando. Solo qualche mese prima avrebbe gioito, ma, averlo vicino proprio in quel momento di inabilità emotiva e confusione, proprio quando era riuscito a dimenticarselo e a metterci una pietra sopra, perché ragazzi del genere non sarebbero mai stati amici di uno come lui, lo aveva fortemente disturbato. He Tian, poi, aveva un carattere terribile e tirannico che cozzava con il suo desiderio di libertà e di essere lasciato in pace. Lo cercava, lo trascinava con sé per dargli ordini a destra e a manca, gli aveva trovato un lavoro, lo obbligava a cucinargli il cibo e a pulirgli la casa – non senza una cospicua retribuzione, ma era evidente quando disprezzasse stare alle sue direttive – lo aveva terrorizzato con minacce e baciato ed il tutto in pochi giorni, confondendolo e spaventandolo più di quanto non fosse. Non gli era piaciuto il modo in cui si era imposto su di lui, baciandolo senza curarsi di ciò che pensava, prendendola come uno scherzo, come una cosa da poco. Era profondamente sbagliato, ciò che aveva fatto, ma He Tian, a modo suo, si era fatto perdonare prendendo le sue difese e pestando She Li, il ragazzo che aveva cercato di farlo espellere per molestie sessuali. Non si aspettava davvero che qualcuno lo sostenesse, in quel momento. Era già rassegnato al fatto di venire espulso per una colpa raccapricciante, si sentiva addosso gli sguardi di biasimo di tutti i suoi compagni, quelli sdegnati dei professori e quello amareggiato della madre. Come l’avrebbe guardato, se non avesse avuto He Tian, Jian Yi e Zhan al suo fianco a portare davanti al naso dei professori le prove della sua innocenza? Come avrebbe fatto se non avesse avuto loro, se fosse rimasto abbandonato a se stesso? Cosa sarebbe diventato, dopo un episodio del genere?
Era strano ripensarci adesso, dopo così tanto tempo passato davanti ai videogiochi o su un campo da basket a sfidarsi, a ridere e scherzare ed anche a litigare, perché He Tian non aveva mai perso del tutto quel carattere che gli faceva credere di essere superiore e di poter imporre indisturbato il suo dominio, senza che gli altri si ribellassero. Lo odiava e lo amava anche per questo, in realtà, perché – se He Tian non si fosse imposto su di lui in certi momenti – le cose non sarebbero mai mutate e non sarebbero mai diventati amici, tuttavia, a volte non riusciva a scrollarsi di dosso l’irritazione per gli atteggiamenti dell’altro. Entrambi avevano sempre avuto problemi ad interagire normalmente con le persone, ma He Tian era rimasto solo così a lungo da non sapere nemmeno come iniziare un rapporto umano nella maniera corretta.
Rialzò lo sguardo su He Tian, scoprendolo ancora intento a studiarlo, le iridi immerse nelle sue.
“Montagna…” lo richiamò il moro, portando un dito sulla sua mano e cominciando a tracciare delle linee invisibili sopra la sua pelle. Lo chiamava con quel nomignolo solo quando voleva farlo infuriare o quando stava per dire qualcosa di estrema importanza, tentando di camuffarla col gioco. “Non c’è niente di sbagliato a fidarsi, ma mi chiedo per quale motivo una persona indipendente come te volesse legarsi in quel modo distruttivo a uno come She Li. Dovevi immaginare che fosse una serpe, dannazione!”
“Te l’ho detto: mi sentivo solo, fuori posto e pensavo che lui potesse aiutarmi ad avere una vita più semplice. Sono il figlio di un carcerato, lo sai, no? Pensavo di non avere un futuro e che tutti fossero miei nemici. Scoprire di essere finocchio e per giunta cotto di te non ha aiutato la situazione e mi sono ritrovato a desiderare che qualcuno… non so, mi accettasse”.
Il silenzio regnò nella stanza per minuti che parvero eterni. Niente parve muoversi e loro sembravano addirittura aver smesso di respirare.
“Eri attratto da me?”.
Guan Shan emise un grugnito. “Possiamo evitare di parlarne?”.
“Stai scherzando, vero? Quando ti ho baciato, avevi una faccia così scioccata e disgustata che sembrava ti fosse andato di traverso qualcosa e ora mi vieni a dire che ti piacevo? Ora? Dopo cinque anni, cazzo?”. Il moro aveva gli occhi così sgranati che Guan Shan pensò che stessero per esplodere comicamente fori dalle orbite, ma in quel momento il nervosismo che cominciava a provare non gli permise di vedere alcun lato divertente in quella situazione.
“Era tutto nuovo per me e tu ti divertivi a provocare come un coglione! E mi avevi baciato solo per prendermi per il culo, non di certo per un reale interesse nei miei confronti”.
“Tu… sei davvero idiota! Perché pensavi che non fossi interessato?”.
“Non serve guardarmi per capirlo?”.
“Non lo so, quando ti guardo vedo un pirla. Ecco cosa vedo”.
“Beh, grazie tante, stronzo” sbottò Guan Shan, contraendo le labbra in una smorfia.
“No, sul serio, sei un deficiente. E di dimensioni megagalattiche anche. Cos’è questa stronzata del sentirsi inferiore? Siamo in un libro per ragazzine dove la protagonista deve comportarsi da demente per far sospirare le coglione che leggono, in attesa che il cattivo ragazzo della situazione la salvi? Porca puttana, Guan Shan, vuoi darmi un po’ di fiducia?”.
L’altro sbuffò, incredulo. “Fiducia? Qualche anno fa mi trattavi alla stessa stregua di uno schiavo, dandomi ordini come se tu fossi il padrone e io non possedessi la libertà decisionale. Mi minacciavi, mi pagavi per farti da domestica e mi vieni a dire che dovevo darti un po’ di fiducia? Quale cazzo di fiducia pretendevi, esattamente? Quale?”. Guan Shan si alzò in piedi di scatto, cominciando a camminare per la stanza nervosamente per mettere distanza tra lui e il ragazzo che gli si ergeva di fronte con uno sguardo furibondo che non gli dipingeva il viso da tempi immemori. “Non sapevo nemmeno se mi stessi prendendo per il culo con il tuo comportamento… con il bacio e tutto il resto”.
“Parliamo di te, invece. Di come allontanassi ogni persona che si preoccupava seriamente per te, domandandoti che cosa ti passasse per la testa. Hai mai pensato che, quelle domande non erano fatte per infastidirti, bensì per capire davvero come ti sentissi? Hai mai provato a valutare l’ipotesi che non ti stessi prendendo per il culo, ma che ci tenessi?” domandò He Tian, assottigliando gli occhi e tirando fuori dal pacchetto di sigarette un cilindro di tabacco che portò subito alla bocca.
“Avevamo quattordici anni! Non capivo nemmeno che cosa mi passasse per la testa in quel periodo, cazzo! E tu e quel tuo atteggiamento non aiutavate per niente la situazione! Non sapevo nemmeno se fossi interessato davvero a me o ti sentissi talmente solo da aggrapparti a qualcuno e non importava chi, se colmava il vuoto lasciato da Jian Yi”.
“Cosa stai dicendo? Jian Yi se n’è andato dopo” rispose il moro con voce quieta, seppure la sua espressione non ne riflettesse la tranquillità. Espirò il fumo in una marea di onde sottili che volteggiarono prima di separarsi l’una dall’altra, ognuna percorrendo direzioni differenti prima di disperdersi nell’aria.
“Infatti. Ma eri cotto di lui” bisbigliò.
“Cosa vuoi dire?”.
“Sai benissimo che vuol dire”.
“No. Intendo che vuol dire questo con noi? Che cos’ha questo a che vedere con te? È vero mi ero preso una bella sbandata per lui e allora? Cos’è, sei geloso?”.
“Non è questo il problema!”.
“E allora qual è, Guan Shan? Spiegamelo, dato che non sono così perspicace come pensavo, perché, davvero, non capisco come tu possa credere che…”. He Tian rimase in silenzio per qualche secondo; il fuoco stava divorando la sigaretta lentamente, tramutandola in cenere. “Tu pensi che ti abbia usato come sostituto, non è così?”. I suoi occhi sembravano pericolosi in quel momento: vuoti, remoti, come due pozzi oscuri privi di emozioni. Quando He Tian rivolgeva a qualcuno quello sguardo, l’esito dell’incontro era scontato fin dal primo istante, scandito nel momento stesso in cui quegli occhi si posavano sull’inconsapevole vittima sacrificale e quel qualcuno era condannato a trascorrere dei bruttissimi momenti in sua compagnia, prima di riuscire a scappare via. Sempre che fosse riuscito a fuggire via sulle proprie gambe, poi.
Guan Shan si morse la lingua, tacendo; lo sguardo fisso sulla cenere che cadeva a terra e, come i granelli di una clessidra, sembravano scandire il tempo che stava trascorrendo. In un’altra circostanza, He Tian avrebbe afferrato un bicchiere per accatastare i mozziconi e non sporcare in giro, oppure il rosso gli avrebbe rivolto contro i peggiori epiteti, tempestandolo di pugni, ma, in quel momento, nessuno badava razionalmente alla sigaretta. Guan Shan non la stava davvero guardando, come se fosse distante interi universi da quella serata, ma il continuo calare dei granelli scuri lo riportò alla realtà.
“Rispondimi” ordinò l’altro, senza che lo sguardo si ammorbidisse minimamente, assottigliandosi anzi, ogni minuto che passava. L’aria che si respirava era pesante, claustrofobica e Guan Shan si domandò come fossero finiti a litigare dopo aver trascorso un pomeriggio piacevole assieme. Non era sua intenzione veder le cose precipitare a quel modo, ma, ormai, era fatta e i risentimenti passati e la rabbia stavano emergendo, come se fossero stati riesumati.
Per qualche motivo la sua voce continuava a fermarsi in gola, senza produrre alcun suono.
“L’ho pensato” riuscì a dire, infine.
“Lo pensi tutt’ora?”.
Dovette fare un altro sforzo per imporsi di rispondere senza che la voce tremasse troppo. “Sì”.
“Come puoi… Come puoi aver pensato che io fossi così crudele?”.
“Oh, ma lo sei. Non fingere di non sapere di esserlo: mi hai usato allo stesso modo in cui mi ha usato She Li. Anzi, sai cosa? Almeno She Li ha ammesso di sfruttarmi per i suoi scopi, non mi aspettavo mi incastrasse per una violenza sessuale, non pensavo volesse davvero rovinarmi, ma non ha mai preteso di essere diverso. Almeno lui è stato sincero fin dal primo momento, con la sua scorrettezza. Tu ti sentivi solo e hai trovato una persona altrettanto sola che ti aiutasse a sentirti meno triste e patetico. Tu, con la tua casa enorme e con la tua ricchezza, non avevi nessuno e hai avuto bisogno di comprarlo con soldi e regali per tenertelo stretto. Come ti fa sentire questa cosa, mh?”. Fu brutale. Scagliò quelle parole contro He Tian con violenza, volendo che capisse i suoi errori, volendo fargli male, perché non sarebbero riusciti ad andare più avanti con così tante cose in sospeso che, ormai, erano emerse in superficie.
“Non è così” sussurrò He Tian; la voce strana, a tratti tremante. “I regali erano—”.
“Imposizioni. Così come tutti i tuoi comportamenti. Non sia mai che qualcuno rifiuti qualcosa al sommo He Tian” sbertucciò, afferrandosi il lobo per strattonare via l’orecchino. “Non mi hai trovato un lavoro per pura bontà d’animo. Non mi hai regalato l’orecchino per gentilezza, He Tian. L’hai fatto per legarmi a te, devi solo avere le palle per ammetterlo. Forse, persino tu hai pensato che un collare fosse fin troppo esagerato”. Sentiva scorrere la rabbia in ogni vaso linfatico, facendogli provare solo rancore. “Beh, sai che ti dico? Vaffanculo”. Gettò l’orecchino dalla finestra e, quando si girò, si trovò stretto nella presa dell’altro, schiacciato tra il suo corpo e il muro. Le sue mani stringevano così forte le sue spalle da obbligarlo a trattenere un gemito sofferto di dolore. Cercò di spintonarlo via, ma la presa era irremovibile ed anzi, si rinserrò ulteriormente. Gli occhi di He Tian erano talmente furiosi che Mo Guan Shan poté leggervi alla perfezione l’ira che contenevano, la voglia di scagliarsi contro di lui con un pugno, di fargli male. Non si sorprese granché quando vide l’altro portare indietro il gomito e rinserrare il pugno.
“Avanti, fai del tuo peggio. Cosa hai detto che avresti fatto, se avessi avuto le palle di gettarlo via? Picchiarmi?”. Avanzò di un passo, obbligando He Tian ad indietreggiare. “Avanti. Avanti!” urlò, spintonandolo ancora, finché He Tian non gli afferrò il capo, strattonando i suoi capelli rossi per attirarlo possessivamente a sé in un bacio iroso, pieno di risentimento, ma anche di emozioni che scaldavano il petto e che bruciavano dietro le palpebre. Mo Guan Shan strinse i denti così forte sulle sue labbra da sentire in bocca il sapore rugginoso del sangue, mentre He Tian lo sbatteva contro il muro, serrando così tanto la presa sui suoi capelli fino a farlo gemere di dolore.
Faceva male.
Non fu un vero bacio, in realtà. Fu una lotta vera e propria.
Guan Shan si contorse, graffiando il moro sul collo, affondando le dita fino a lesionare la pelle morbida lasciando striature insanguinate lungo il percorso che tracciavano e, in risposta, He Tian sollevò il ginocchio contro il cavallo dei pantaloni, schiacciando l’erezione nascosta dietro ad essi fino a procurargli fitte intense di dolore. A Guan Shan mancò il fiato, sia per il dolore, sia per l’inevitabile stimolazione e He Tian ne approfittò per conficcare la lingua nella sua bocca fino a togliergli del tutto il respiro e la capacità di parola, fino a fargli dimenticare cosa stavano dicendo qualche istante prima o sul perché stessero litigando in maniera così aggressiva. Il rosso mugolò contro la bocca del compagno, rilassando i muscoli e abbandonandosi a lui. Era come se quel bacio gli stesse risucchiando ogni energia nell’impiegare resistenza, come se non avesse più un motivo valido per protestare o combattere. Erano semplicemente loro, dopotutto, due ragazzi imperfetti che si attraevano e respingevano senza tregua, nella rabbia e nel dolore.
Stava per rispondere al bacio, per far crollare ogni barriera, accantonando la rabbia, la frustrazione, la tristezza, arrendendosi una volta per tutte a quell’attrazione che li univa e che aveva sempre cercato di ripudiare, quando He Tian si staccò di colpo. I suoi occhi non sembrarono più furenti, bensì angosciati. Non gli aveva mai visto un’espressione così mesta e sconfitta riflessa su quel viso sempre sicuro e arrogante. Non sembrava nemmeno lui, in quel momento e le lacrime che scorrevano sulle sue guance sembravano così fuori posto su un viso che non sembrava mai provare sentimenti.
“Non pensavo mi odiassi ancora così tanto, ma questo bacio sarà l’ultima cosa che ti imporrò. Anche tutto questo è stato un errore, perché è evidente che tu non provi più gli stessi sentimenti che provo io o, forse, inconsapevolmente, al posto di avvicinarti a me, ti ho fatto allontanare. Ed è colpa mia, alla fine. Mi dispiace” sussurrò con voce roca, indietreggiando fino a raggiungere la porta della stanza. “Non sarai più obbligato ad avere a che fare con me, da oggi in poi” disse, prima di andarsene, voltandogli le spalle.
Guan Shan non lo seguì, rimanendo immobile nella stessa posizione, schiacciato contro il muro. Sentiva ancora il sapore dell’altro sulla lingua e la pressione del suo corpo contro il proprio, il calore dove le mani di He Tian l’avevano stretto. Quando sentì la porta di casa chiudersi piano, si lasciò cadere per terra, appoggiando la nuca contro il muro e portandosi le mani tremanti a coprire il viso paonazzo. Era stavo lui a condurli a quel punto di non ritorno. Quel litigio era stato a causa sua e non pensava di aver pronunciato frasi sbagliate: era ciò che pensava, alla fine, negare l’evidenza sarebbe stato come prendere in giro se stesso, quindi perché provava quella tristezza infinita? Perché le lacrime non smettevano di scorrere? Non riusciva a pensare a niente se non all’espressione distrutta che He Tian gli aveva rivolto. Non era stato il suo obiettivo ferirlo ed allontanarlo? Quindi perché adesso provava quella sensazione di sconfitta?
 
 
 
- FINE (?) -
 
 
 
 
 
Come al solito ringrazio
Robin per supportarmi (e sopportarmi) e gli appassionati di questo bellissimo manhua per aver letto ^^
 
  
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