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Autore: Alley    09/09/2017    4 recensioni
“Devi intensificare gli allenamenti” gli dice, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia raccolte al petto. Il tepore delle fiamme è una debole eco che si disperde nel gelo di quell’Inverno mortifero e spietato. “O non durerai un minuto sul campo di battaglia.”
“Gli Estranei non sono agili quanto te.” Ora che è libera di osservarlo senza il timore di venir scorta, Arya ne studia i tratti per raffrontarli a quelli dell’immagine stipata nella sua memoria – un ricordo che ha sempre nutrito il terrore di veder svanire. “Non ho mai conosciuto una lady che sapesse combattere in quel modo.”
“Non chiamarmi lady.”
“Come vuoi, mia---”

“No.”
[post S7; Gendrya-reunion]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Gendry Waters, Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fiumana di uomini scorre come una lunga parata, inondando ogni angolo del cortile di Grande Inverno.

Tra la miriade di volti intirizziti che sfila, Arya cerca l’unico che brama di veder comparire; quando lo individua, viene pervasa da un senso di casa che ha il potere di annullare per un istante il freddo tutt’intorno.

Jon ha gli stessi occhi neri e buoni con cui l'ha guardata quando le ha detto addio, ma una gravità tutta nuova a pesargli sulle spalle. Il macigno gli getta addosso un’aura che lo fa apparire più vecchio, e più simile a loro padre.

Arya sguscia tra la calca per raggiungerlo anziché attendere che avanzi fino al punto in cui è appostata. Prima che Jon abbia il tempo di accorgersi della sua presenza, gli si lancia contro e gli getta le braccia al collo.

Lui impiega qualche momento a ricambiare la stretta. Quando lo fa, Arya si lascia assorbire dal suo abbraccio.

“Sei viva.”

La presa delle braccia di Jon si allenta e Arya indietreggia per guardarlo in viso. “Come Sansa ti ha scritto.”

“Avevo bisogno di vederti per crederci davvero.”

In quel momento, intravede una sagoma massiccia stagliarsi alle spalle di Jon. Per un istante, la familiarità che le suscita riesce a suggestionarla – si affretta a scacciare il moto di speranza prima che la figura si delinei e lo trasformi nell’ennesima delusione.

Sono fin troppi gli sconosciuti in cui ha creduto di riconoscere il volto di Gendry nel corso degli anni.

“Oh, eccoti! Vieni, vi presento.”

Questa volta, però, la messa a fuoco non dà l’esito atteso.

 “Arya, lui è Gendry. Gendry, lei è---”

“Lo so, maestà.” Questa volta, l’illusione non si scioglie come neve al sole. “Ci conosciamo.”

*

Sansa è seduta davanti ad una montagna di pergamene, affaccendata con gli oneri a cui Jon non ha il tempo di dedicarsi. Prima di parlare, ne afferra una dal mucchio. “Quindi, conosci l’amico di Jon.”

“Non è suo amico.

Sansa scrolla le spalle, rimuovendo il sigillo per dispiegare il foglio. “Jon si fida di lui abbastanza da reclutarlo per una missione al di là della Barriera e lui abbastanza da prendervi parte” osserva, scorrendo la missiva con lo sguardo “In più, è l’unico a cui ha fatto fare il giro turistico di Grande Inverno. Scortandolo personalmente.”

“Prima che partissi per Braavos, abbiamo viaggiato insieme per un po’.”

“E…?”

A quella domanda, la scarica di ricordi la colpisce come una sfilza di aghi acuminati. Arya li ricaccia indietro prima che possano infilarsi più a fondo nella carne.

“E poi lui se n’è andato.”

*

Presto, Arya comincia a spiare Gendry mentre si allena in cortile. Lo fa dallo stesso rifugio in cui si rintanava da bambina nell’attesa che i suoi fratelli terminassero le sedute di tiro con l’arco per poter sgattaiolare fuori, raccogliere le frecce lasciate ai piedi dei bersagli ed esercitarsi di nascosto, in modo da sfuggire ai rimproveri di septa Mordane che le avrebbe intimato di tornare al ricamo e alle altre occupazioni in cui era dovere di una nobile fanciulla eccellere.

Arya si è allenata all’insaputa di tutti fino a quando, un giorno, non ha scorto suo padre che la osservava dall’alto. Da quel momento, il suo sorriso è diventato l’unico benestare di cui avesse bisogno.

Gendry partecipa alle sedute d'addestramento tenute da Brienne, ma gli occorre più pratica di quella che accumula con le ore spese agli ordini di lei per migliorare. Gli occorre un tempo che non hanno, con la minaccia degli Estranei che incombe sulle loro teste come una spada di Damocle pronta a calare.

Per questo motivo, provvede ad esercitarsi da solo con la spada. A distanza di anni, continua a non avere familiarità con quell’arma – la presa delle dita attorno all'elsa è troppo contratta e il torace troppo sbilanciato in avanti durante gli affondi -, eppure, Arya nota che si premura di correggersi ogni volta che assume la posizione frontale.

Devi offrire il fianco.
Offrire il fianco?
Metterti di profilo.
Perché? 
Bersaglio più piccolo.

Con il martello, invece, è tutta un’altra storia: il martello è un’appendice del suo corpo e non ha importanza la postura, quando lo brandisce, perché un avversario con il braccio spezzato è un avversario incapace di contrattaccare.

Gendry si allena senza sosta ma, di tanto in tanto, si ferma per mettere in pratica qualche espediente contro il freddo, come raccogliere le mani a coppa e alitare sui palmi prima di sfregarli uno contro l’altro – il Nord è un posto per i lupi, non per i tori, ma Gendry ha abbastanza caparbietà da riuscire ad adattarsi.

Una volta, Arya lo ha visto interrompersi per tendere la mano schiusa e permettere ad un fiocco di neve di depositarvisi sopra; dopo averlo avvicinato al viso, Gendry lo ha scrutato con la meraviglia che si riserva ai miracoli, poi ha chiuso il pugno lasciando che gli si sciogliesse tra le dita.

Quando lo osserva, Arya è colta da fitte pungenti di nostalgia e di qualcos’altro a cui non riesce a dare un nome.

Non ha voglia di indagare né di interrogarsi per scoprire di cosa si tratti, così, acquattata nel suo nascondiglio, spegne i pensieri e continua a guardarlo.

*

Ormai, ci aveva fatto l’abitudine. Il ricordo di Gendry era come il dolore per una vecchia ferita: penoso ma troppo familiare per risultare straziante.

Vederlo ha riaperto la cicatrice. Ha rotto un equilibrio che, per quanto precario, era riuscita faticosamente a garantirsi.

La ferita è tornata a stillare sangue e a bruciare. Arya la sente allargarsi ogni volta che se lo ritrova intorno, ogni volta che si impone il silenzio in luogo delle parole che sente salirle alle labbra, ogni volta che è animata dall’istinto di avvicinarlo.

Si dice che non ha senso. In fondo, Gendry non le ha mai dovuto nulla.

Non ha il diritto di avercela con lui.

Eppure.

*

“Gli avevo espressamente vietato di farlo.”

Il brusio proveniente dall’altra parte del tavolo è un sottofondo che non scavalca il rumore dei suoi pensieri; Arya non vi presta attenzione mentre rimesta con la forchetta la cena ancora intonsa.

“A giudicare da com’è andata, non deve aver recepito troppo bene il messaggio.”

Quando fa indietreggiare la sedia per alzarsi, Sansa le rivolge uno sguardo carico d’apprensione. “Non hai mangiato nulla” le dice, indicando il piatto con un cenno “E nemmeno a pranzo.”

“Non mi sento molto bene” mente “Preferisco cenare in camera” aggiunge, prendendo il piatto al fine di tranquillizzarla. La verità è che il cibo è l’ultima delle sue preoccupazioni e che, al momento, riesce a sopportare a stento il baccano che risuona nella sua testa.

“Se lo avessi saputo, non gli avrei inventato una storia di copertura. Tempo ed ingegno sprecati per sentirgli dire sono Gendry, vostra maestà. Il figlio bastardo di re Robert.”

Arya realizza d'aver lasciato andare il piatto solo quando questo impatta contro il pavimento, infrangendosi e disseminando schegge tutt'attorno.

Gli sguardi di Jon, di Davos e degli altri presenti convergono nella sua direzione.

“Io--- scusate.”

Si allontana lasciando i cocci a terra.

*

Il giorno dopo, quando si incrociano, Arya gli riserva il solito trattamento: lo ignora, superandolo con lo sguardo puntato dritto di fronte a sé. Questa volta, però, non può impedirsi di rivolgergli la parola. “Sei un Baratheon.”

Gendry impiega qualche istante a girarsi, quasi la constatazione fosse una freccia arrivata tardi a bersaglio. Voltatosi, studia Arya per un lungo momento prima di parlare. “Più o meno.”

“Tuo padre era re Robert.”

“E mia madre una locandiera” osserva lui di rimando “Sono solo un bastardo.”

Arya avverte il tempo riavvolgersi a mò di spirale, lo sente ripiegarsi su se stesso fino a tornare al punto in cui aprì il suo cuore all’unica persona al mondo che le fosse rimasta, nel disperato tentativo di trattenerla.

Non saresti la mia famiglia. Saresti la mia lady.

“Sono felice che tu stia bene.”

L’anch’io le muore in gola prima che possa dargli voce.

*

Una Ragazza non ha sogni.

Arya, invece, ne ha sempre avuti.

Ha aspettato che l’addestramento facesse effetto, spazzando via gli incubi in favore di un sonno cieco e anestetizzante.

L'attesa è risultata vana.

Anche quando la sua identità è diventata un’eco che faticava ad afferrare, i sogni hanno continuato a tormentarla; da quando l’ha recuperata, si sono ripresentati più nitidi che mai.

Arya sogna la sua famiglia. Sogna la testa di suo padre che rotola lungo il patibolo, quella di Robb che si torce e si distorce fino ad assumere le fattezze di un muso di lupo; sogna il sangue che schizza dalla gola recisa di sua madre, il corpo senza vita di Rickon trivellato di dardi.

Altre volte, sogna l’Orfana che la insegue e la uccide; sogna di emettere un urlo muto mentre la spada la trapassa da parte a parte e di morire circondata dalla solitudine.

Altre ancora, sogna Gendry. Nel sogno lui è ad un passo da lei, eppure, quando Arya si sporge nella sua direzione, non riesce a toccarlo.

Si tende ancora, ma non serve a nulla; più si sforza di raggiungerlo, più Gendry s’allontana.

Arya chiama il suo nome a gran voce, lo implora di aspettarla, di andarle incontro, di restare, ma lui continua ad indietreggiare, affondando in un mare di tenebre profondo come un pozzo senza fine.

Una Ragazza non ha incubi.

Arya, invece, non ha mai smesso di averne.

*

Quel giorno, mentre è in procinto di acquattarsi al solito posto, la voce di Gendry la raggiunge alle spalle, pietrificandola. “Lady Brienne è stata convocata da lady Sansa. Niente seduta di addestramento, oggi.” Arya ingoia la vergogna, la relega in un angolo dove spera non sia visibile, e si volta. Se Gendry è infastidito dall’averla colta in flagrante, non lo dà a vedere. “Ho più bisogno di esercitarmi a duello che di brandire la spada contro il nulla. Mi aiuteresti?”

Presa alla sprovvista, Arya non assente né rifiuta. Purtroppo per lei, Gendry ha sempre saputo quali tasti toccare per smuoverla. “Sempre che tu non sia troppo impegnata a stare nascosta.”

Seguendo un istinto che brucia il declino suggeritole dalla ragione, Arya lo supera e guadagna il centro del cortile. Quando Gendry la raggiunge, sfodera Ago con un gesto fluido e l’allunga nella sua direzione. Prima che Gendry abbia il tempo di imitarla, Arya gli intima di fermarsi. “Non sei abbastanza bravo con quella” dice, con un cenno alla spada rinchiusa nel fodero “Usa il martello.”

“Potrei farti male.”

“Potresti provarci, al massimo.”

A quelle parole, una scintilla gli si accende nello sguardo. La reazione suscita ad Arya un rigurgito di soddisfazione che si premura di non mostrare.

Senza aggiungere altro, Gendry accantona la spada e si china sul martello, lo solleva e se lo rigira tra le mani prima di serrare la presa attorno all’impugnatura. L’istante in cui si scrutano prima di attaccare sembra dilatarsi all’infinito, trasformandosi in uno scampolo eterno.

Alla fine è Gendry a rompere gli indugi, colmando la distanza che li divide con ampie falcate che lo conducono dritto dinnanzi a lei. Il tempo che impiega a sferrare il primo colpo è più che sufficiente ad Arya per spostarsi ed evitarlo; quelli successivi vengono elusi con altrettanta facilità.

Arya l’ha osservato abbastanza a lungo da sapere che è in grado di fare di meglio.

“Fai sul serio” gli ringhia con rabbia, e si ritaglia uno scorcio per scattare in avanti – la punta di Ago sfiora appena la coscia di Gendry prima che lui si ritragga, impedendole di affondare più in profondità. “Non sono di vetro.”

Spronato dall’ammonimento, Gendry comincia a dispensare martellate più insidiose, che fendono con violenza l’aria intorno a lei. Una parte di Arya sa che non la colpirebbe – non davvero, non con quella potenza –, ma la pericolosità degli attacchi basta ad impedirle di ribattere.

Ad un certo punto, Gendry posiziona il martello in orizzontale; s’abbassa per livellarsi all’altezza di Arya e usa il manico per colpirla al fianco. L’urto è così forte da atterrarla e farle scivolare Ago dalle dita – Gendry è così forte che potrebbe battersi con un Estraneo a mani nude. Il pensiero le invade la mente mentre il dolore al fianco si acuisce, e Gendry approfitta della distrazione per allontanare Ago con una pedata. Adesso è fuori dalla sua portata, troppo distante perché possa recuperarla senza venir braccata.

Arya resta a terra, esposta, ma Gendry non è abbastanza veloce ad eseguire la mossa successiva; le dà il tempo di piegare le braccia all’indietro per trovare l’appoggio del terreno e rimettersi in piedi con un balzo.

Alzatasi, lo colpisce ad un ginocchio con un calcio ben assestato. Gendry si piega appena e Arya tende la gamba per picchiare quello che sta utilizzando come piede d’appoggio; complice il peso del martello, Gendry perde l’equilibrio e lascia andare l’arma per poter piantare i palmi a terra e smorzare la caduta. Si affretta a risollevarsi, facendo leva sulle mani, ma Arya gli si getta addosso, sovrastandolo e costringendolo con la schiena contro il terreno.

A quel punto, comincia a colpirlo – una volta e poi un’altra e un’altra ancora, una raffica disordinata di pugni che si abbatte all’altezza del petto e delle spalle.

Ha solo una vaga percezione dello spesso strato di cuoio contro cui si infrangono i suoi colpi, del freddo che ristagna nell’aria, dei battiti accelerati che le esplodono nel petto – l’unica cosa che avverte distintamente è quell’impeto risalito da un recesso profondo e nascosto, che non riesce più a fermare ora che è arrivato in superficie.

Non bada a quanto Gendry sia volutamente arrendevole, al fatto che potrebbe scrollarsela di dosso senza sforzo, se solo lo volesse – seppellisce la consapevolezza sotto il bruciore alle nocche, la sigilla dietro le lacrime che le pizzicano gli occhi senza oltrepassare le ciglia, la copre con tutto il dolore che lui le ha causato.

Si ferma soltanto quando le braccia cominciano a dolerle. Della rabbia che le infuriava dentro è rimasto un mucchio di ceneri ardenti, uno scheletro vuoto attraverso cui, adesso, riesce a vedere con chiarezza quello che ha davanti.

In qualche modo, è come se prendesse coscienza soltanto in quel momento del corpo di Gendry sotto di lei, dei fianchi puntellati dalle proprie ginocchia, dei rantoli affannati che fuoriescono dalle labbra di entrambi.

Tutt’a un tratto, ogni cosa diventa più reale.

“Arya---”

Prima che abbia il tempo di registrare il gesto, il suo pugno si abbatte contro il viso di Gendry, ricacciandogli le parole in gola. Il rivolo di sangue che vede scorrergli dal naso la fa scattare in piedi ed arretrare, quasi fosse lei ad aver ricevuto un colpo da smaltire.

Gendry si mette seduto e si ripulisce con il dorso della mano. “Puoi continuare, se serve” le dice, ed è più di quello che Arya possa sopportare al momento.

Recupera Ago e gli volta le spalle, si allontana senza una meta precisa da seguire, con l’unico scopo di frapporre tra lei e Gendry quanto più spazio possibile.

Le lacrime tornano ad offuscarle la vista. Arya deglutisce per ricacciarle indietro – non piangerà, non adesso, non per lui. Non vuole che Gendry abbia quel potere su di lei. Da quando è tornato ha già tirato fuori troppe cose che intendeva lasciare sepolte, debolezze e mancanze che si era ripromessa di dimenticare.

È talmente assorta da accorgersi d’aver incrociato il cammino di qualcuno soltanto dopo lo scontro.

“Brienne.” Arya retrocede di un passo sotto lo sguardo preoccupato della donna. “Non ti avevo vista” dice, strofinandosi gli occhi. Mentre cerca un pretesto per distogliere l’attenzione da sé, le tornano alla mente le parole di Gendry. “Non dovresti essere da mia sorella?”

“Lady Sansa ha richiesto la mia presenza?”

Nella testa di Arya, i pezzi impiegano un attimo ad incastrarsi. “No” risponde “Non lo ha fatto.”

*

Il giorno dopo, Gendry non è in cortile ad eseguire le disposizioni di Brienne con il resto del gruppo. Il posto dove può trovarsi, a quel punto, è uno soltanto.

Varcata la soglia dell’armeria, Arya viene accolta dalla calura della forgia in attività.

Gendry, allertato dai passi, distoglie lo sguardo dal metallo incandescente e lo solleva; le concede una rapida occhiata prima di assestare un colpo a quella che ha già le sembianze di una spada. “Quindi è servito.”

Arya lo ignora e ignora la fitta di rimorso che la attraversa. “L’addestramento si sta svolgendo regolarmente. Esattamente come ieri.”

“Lo so” replica Gendry tranquillo, strofinandosi la fronte con un braccio per liberarla dalle gocce di sudore che la imperlano “Ma le spade di Valyria non sono mai abbastanza.” Altro colpo sferrato, altro clangore metallico che si leva nell’aria. “C’è bisogno di accelerarne la produzione.”

“Volevi prendermi in giro?”

Gendry ripone gli strumenti da lavoro per concentrare l’attenzione su di lei. Quando pianta gli occhi nei suoi, Arya si sente improvvisamente a disagio – si sente nuda e vulnerabile come non è mai stata da quando dispone di così tante maschere dietro cui nascondersi. “Volevo solo parlarti” dice, con qualcosa di simile alla rassegnazione “E dirti che mi dispiace.”

“Per essere stato così idiota da unirti ad un gruppo di fanatici che ti ha quasi fatto ammazzare?”

“Per averti lasciata.”

*

Quella sera, Sansa fa irruzione nella sua stanza come una furia.

“Bussare è passato di moda?”

“Qual è il problema con il bastardo di Robert?”

“Si chiama Gendry” replica Arya seccata “Cos’è, sei ossessionata da lui?”

Sansa incrocia le braccia sotto al seno e le lancia uno sguardo di sbieco. “Non abbastanza da spiarlo.”

“Io non lo---”

“Ti ho vista” la interrompe Sansa, una punta di esasperazione nel suo tono “E gli hai dato un pugno.”

“Beh, non sono l’unica che spia, a quanto pare.”

“Non ti stavo spiando. Podrick passava di lì e vi ha visti.”

“Ed è venuto a dirtelo?”

“Lo ha detto a Brienne che lo ha detto a me.”

“Riferirti quello che faccio non dovrebbe rientrare nei suoi compiti.”

“Stavate insieme?”

A quella domanda, qualcosa le si agita dentro, un malessere indefinito che le attorciglia le viscere. Qualunque cosa voglia dire, Arya si obbliga ad ignorarla. “È questa la conclusione a cui ti ha fatto arrivare il fatto che gli abbia dato un pugno?”

“Trattandosi di te, sì.”

“Non siamo stati insieme” risponde alla fine, il risentimento che cola dalle parole come veleno “Non siamo stati niente.”

“E allora si può sapere perché---?”

“Gli ho detto che potevo essere la sua famiglia e lui ha preferito abbandonarmi, okay?” Arya la riconosce a stento, la sua voce, fragile come un ramo secco a cui basterebbe una folata di vento per spezzarsi. “E da quel momento sono stata maledettamente e irrimediabilmente sola.”

A quel punto, emette un sospiro e si siede sul bordo del letto. È come se una stanchezza immane le fosse piombata addosso tutt’a un tratto.

Ha lasciato che il rancore sedimentasse dentro di lei tanto a lungo da renderlo parte di sé; tenerselo dentro è stato doloroso, ma lasciarlo uscire è come strapparsi via un arto.

“Mi dispiace.” Un tocco caldo le sfiora le dita. “Davvero.”

“Ci sono successe cose peggiori.”

“È vero.” Sansa le copre il dorso della mano con il proprio palmo. “Ma sarebbe stato meglio affrontarle con qualcuno accanto.”

“Ce l’ho con lui. A morte.”

“Non vorrei essere nei suoi panni.”

Arya si sorprende nel sentirsi sorridere. Con la coda dell’occhio, vede Sansa sollevare gli angoli della bocca di riflesso.

“Credo che voglia parlarmi.”

“Prova ad ascoltarlo. Se non ti piace quello che ha da dire, puoi sempre prenderlo di nuovo a pugni.”

Sansa le sorride ancora, e Arya si sente un po’ meno stanca.  

*

Gli uomini disposti attorno al fuoco si defilano, diretti verso il calore delle proprie stanze; alla fine, ne resta soltanto uno a cercare di rubarne al cumulo di legna scoppiettante che arde al centro del cortile.

Raggiunto il falò, Arya gli si siede di fronte, prendendo posto su uno dei ceppi lasciati sgombri. La naturalezza con cui Gendry accoglie il suo arrivo lascia intendere che lo stesse aspettando; Arya scaccia il sentore, trincerandosi nella rassicurante convinzione che lui non la conosca così a fondo da riuscire a prevedere le sue mosse.

“Devi intensificare gli allenamenti” gli dice, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia raccolte al petto. Il tepore delle fiamme è una debole eco che si disperde nel gelo di quell’Inverno mortifero e spietato. “O non durerai un minuto sul campo di battaglia.”

“Gli Estranei non sono agili quanto te.” Ora che è libera di osservarlo senza il timore di venir scorta, Arya ne studia i tratti per raffrontarli a quelli dell’immagine stipata nella sua memoria – un ricordo che ha sempre nutrito il terrore di veder svanire. “Non ho mai conosciuto una lady che sapesse combattere in quel modo.”

“Non chiamarmi lady.”

“Come vuoi, mia---”

No.”

Sorprendentemente, le risultano del tutto sovrapponibili.

“Credevo che non ti avrei più rivista.” Ed eccola, la discrepanza che si aspettava di trovare – la riscontra nel tono greve totalmente estraneo alla leggerezza con cui il vecchio Gendry era solito canzonarla, nell’ombra che cala a rabbuiargli lo sguardo allora libero da qualsiasi nube. “Anche se ho sempre sperato il contrario.”

Il tempo è una valanga che stravolge tutto al suo passaggio; Gendry non fa eccezione.

“Potevi restare, se ci tenevi tanto.”

“Ti ho detto che mi dispiace.”

“Credi che possa aggiustare le cose?”

“Credo che nulla di quello che ho da dirti possa aggiustare le cose” ammette Gendry, totalmente, completamente sincero. “Puoi ascoltarmi comunque?” le chiede, negli occhi la stessa supplica che porta stampata nella voce. “Per favore.”

Arya resta in silenzio, troppo orgogliosa per elargire la concessione a voce alta. Per fortuna, con Gendry non ha mai avuto bisogno di troppe parole.

“Il punto non era allontanarmi da te. E nemmeno unirmi alla Fratellanza. Volevo dimostrare a me stesso che esisteva un posto per me, da qualche parte. Un posto a cui potessi appartenere. Avevo bisogno di trovarlo. Capisci cosa intendo?”

Forse, un giorno, Arya gli spiegherà quanto profondamente riesca a farlo – per adesso, si limita a concedergli un cenno affermativo del capo.

“Capisco che tu sia arrabbiata con me. Lo sono stato anch’io. Sono ancora arrabbiato con me stesso per essermi fidato di quegli uomini. Ho creduto che potessero farmi da famiglia perché non ne ho mai avuta una. Non so nemmeno cosa significhi, avercela. Non lo so adesso e non lo sapevo allora. L’unica cosa che sapevo era che io non potevo essere la tua. Perché non funziona così, Arya. Non puoi puntare una cosa e prendertela semplicemente perché la vuoi. Non se sei soltanto---”

“---un bastardo.”

“Già.”

A quel punto, entrambi tacciono. Nel silenzio, l’amarezza impregna l’aria come un tanfo.

“È davvero l’unica cosa che credi di essere?”

“È l’unica cosa che sono sempre stato per chiunque.”

“Non per me.”

“Tu non sei chiunque.”

Questa volta, Arya non ribatte. Lascia che le parole le entrino dentro e penetrino in profondità, che le scorrano nelle vene come linfa nuova. Non sono sufficienti a ricomporre il mosaico distrutto dalla loro separazione, ma bastano a farne combaciare i primi pezzi.

Se è davvero disposta ad impegnarsi per mettere insieme tutti gli altri, sarà il tempo a decretarlo.

“Sono anche un idiota, oltre che un bastardo.”

“Sì, lo sei. Un enorme, gigantesco idiota.”

“Mi sono mancati i tuoi complimenti.”

“Tuo padre era molto più simpatico di te.”

“Potrei dire lo stesso di te e tuo fratello.”

“Smetterai di piacergli quando ti conoscerà meglio.”

“O gli piacerò ancora di più.”

“Scusa per il pugno” dice Arya di getto “Non avrei dovuto.”

Sul viso di Gendry cala un velo di sorpresa che muta presto in una specie di tenerezza. Arya lo ricorda, quel suo modo improvviso di addolcirsi, quello che le piaceva credere fosse riservato solo e soltanto a lei.

“Andrò incontro a cose ben peggiori, in battaglia. O almeno credo.”

Arya decide che è giunto il momento di andare. S’incammina senza una parola di congedo e poi, tutt’a un tratto, s’arresta e torna a voltarsi. “Lo hai trovato?” chiede “Il posto che cercavi?”

Inizialmente, Gendry tentenna di fronte alla domanda. L’esitazione, però, impiega poco a dissolversi. “Forse” risponde alla fine e, in qualche modo, è un altro pezzo che torna al proprio posto.

“Domattina fatti trovare nel cortile. All’alba. Se ti azzardi a chiamarmi lady, ti infilzo.”

“Come vuoi, milady.”

Indispettita, Arya torna indietro e prende a spintonarlo; Gendry finisce giù dal tronco, affondando nella neve che ricopre il terreno.

Il suono della sua risata, quello, non è cambiato di una virgola.
 
  
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