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Autore: Xeimona    09/09/2017    1 recensioni
amore di un tempo non lontano, al sapore di mare
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Giovani partenze.
 
Avevo sedici anni quando lo vidi per la prima volta: ero andata al mercato con la bici, faceva caldo e avevo i capelli biondo cenere legati da un nastro azzurro abbinato alla lunga gonna cucita da poco. Stavo camminando alla ricerca di un po’ d’ombra quando me lo ritrovai davanti: era alto, il sole gli aveva dorato la pelle, capelli castano chiaro mossi dal vento e occhi azzurro mare; rideva spensierato insieme ad un gruppetto di amici. Forse restai per un po’ ad osservarlo, il mondo aveva smesso di girare. Quando tornai a casa mi sentivo un più leggera, scuotevo i capelli al vento mentre la sua risata mi risuonava nella testa. Per tutto il giorno fui distratta, continuando a pensare ad ogni tratto del suo corpo che i miei occhi erano stati in grado di memorizzare. La mattina dopo tornai nel luogo dove facevano il mercato e mi sedetti nello stesso posto ombrato, guardandomi intorno speranzosa. La gente passava ma lui non dava cenno di arrivare, comprai una limonata per rinfrescarmi e l’avevo appena poggiata alle labbra…
-Penso che tu abbia perso qualcosa. – le parole improvvise dello sconosciuto mi fecero sussultare. Il nastro con cui il giorno precedente avevo legato i capelli pendeva dall’alto sul mio naso, facendomi starnutire. I suoi occhi si intonavano perfettamente a quel filo di raso.
-Ti hanno rubato la lingua? -
La sua voce era scherzosa, ma io ero senza parole. Il ragazzo che ieri avevo osservato così insistentemente adesso si trovava davanti a me e ad aveva in mano il mio nastro.
-Allora? -
Ero paonazza, non riuscivo a mettere in ordine i pensieri. Anche se quella mattina mi ero alzata nella speranza di rivederlo, in realtà non ci credevo davvero.
-Lo rivuoi o no? –
Mi risvegliai dal mio torpore e lo guardai:
 -Grazie per averlo ritrovato. – tentai di sorridere ma non penso di esserci riuscita benissimo perché il suo di sorriso si ingrandì ancora di più vedendo la mia espressione impacciata. Allungai la mano per prenderlo ma lui lo sollevò al di fuori della mia portata.
-Adesso è mio. –
Sorrise di nuovo e mille farfalle presero vita nel mio stomaco.
-Ti ho visto ieri, mentre mi fissavi, non sei brava a passare inosservata. –
Tentai di negare inutilmente, lui continuava a ridere e questo mi infastidiva fino all’inverosimile.
-Se non ti dispiace, rivorrei il mio nastro. –
Lui scosse la testa: -Sei più bella con i capelli sciolti. –
Le mie guance diventarono ancora più rosse e una parte di me voleva solo fuggire. Mi alzai per andare via ma lui saltò giù dal muretto dove era seduto e mi afferrò la vita.
-Dove credi di andare? Non ci siamo neanche presentati. Io sono Nate. –
Mi guardò aspettando una risposta, io girandomi di scatto e ripresi la mia strada. Lo sentivo seguire i miei passi e istintivamente sorrisi. Una volta giunta al portone di casa guardandomi alle spalle mi resi conto che lui non c’era più e fu un colpo al cuore. Aiutai mamma nelle faccende di casa, mio padre e mio fratello lavoravano, noi ci occupavamo dell’orto e dell’organizzazione domestica; così facendo la nostra vita proseguiva felice e, sebbene non fossimo benestanti, comunque ce la cavavamo. Quel giorno, come il precedente, non mi sentivo del tutto presente, una parte di me era ferma a quella mattina e alla sua voce cristallina.
Giunta la sera, affacciandomi alla finestra della cucina, trovai un pacchetto:
“Alla ragazza sconosciuta dal nastro blu che non mi ha voluto dire il suo nome.”
Sorrisi e con le mani tremanti sciolsi lo spago che teneva insieme la scatola, trovando al suo interno tanti nastrini colorati ed un altro bigliettino:
“Più ne perderai, più possibilità avrò di poterti parlare.”
Mi sporsi dalla finestra e lui era lì, appoggiato al muro della casa confinante, in attesa di una mia reazione. Quando mi notò il suo viso si illuminò e mi fece cenno con la mano di uscire fuori. La mamma cuciva in camera e mio fratello e il papà dormivano, stremati dalla lunga giornata, quindi mi feci coraggio e, tentando di non far rumore, uscii dalla porta di casa per raggiungerlo.
-Non dovevi, non posso accettarlo. – gli tesi il pacchetto per restituirglielo.
-Dimmi il tuo nome e ne sarà valsa la pena. –
Strinsi le spalle: -Mi chiamo Sofia. –
-Allora, Sofia, che ne dici di uscire insieme, così potrai osservarmi più da vicino? –
Sorrise ammiccandomi, era insopportabilmente dolce.
Così cominciò la nostra storia. Per qualche giorno vivemmo di attimi rubati, lui aveva sempre il mio nastro azzurro avvolto intorno al polso.
La mattina presto preparavo la colazione ed uscivo di casa, tornavo in tempo per svolgere le mie faccende senza far notare la mia ripetuta assenza; la sera dopo aver terminato i miei compiti sgattaiolavo fuori casa per incontrarlo di nuovo.
I suoi occhi azzurri vivevano nei miei e il suo profumo era rimasto impresso sulla mia pelle a ricordarmi dei momenti passati insieme. Eravamo felici come non mai. Lui era più grande di me di qualche anno, faceva il militare, era in licenza ed aveva deciso di trascorrere l’Estate nel paesino dove abitavo. Ci innamorammo come solo i giovani sanno fare, prima piano piano e poi sempre più velocemente fino a trasformare i minuti in giorni senza rendercene conto. Era dolcissimo, forse un po’ superbo, rideva sempre e mi faceva sentire benissimo. Passavamo le serate in riva al mare, mi insegnò ad arrampicarmi sugli alberi e scivolare giù senza farmi male. Passeggiavamo per ore, lui cantava canzoni di altre frontiere, a me sconosciute, che sapevano di terre lontane. A volte iniziavamo a correre, lui per un po’ mi lasciava vincere per poi accelerare e sollevarmi da terra facendomi volteggiare.
 
Nel giorno più caldo dell’Estate, mentre il sole tramontava io uscii di casa e, per la prima volta dopo il nostro secondo incontro, non lo trovai ad aspettarmi. Iniziai a cercarlo, correndo lungo le strade del paese… gridavo il suo nome, incurante di essere scoperta. Lo trovai sulla spiaggia dove eravamo soliti giocare, era seduto per terra e aveva le ginocchia strette al petto, grosse lacrime gli scendevano giù dagli occhi, simili a gocce di rugiada. Aveva una lettera in mano. Quando mi vide me la porse con mano tremante.
Lo richiamavano al fronte, sarebbe dovuto partire il giorno dopo.
-Non potevo dirti addio, non avrei saputo come farlo, non volevo ricordarti piangente alla mia partenza, ma felice come sei stata in questi giorni. –
Lo strinsi a me, le sue lacrime calde mi bagnavano il petto mentre gli accarezzavo i capelli.  –Non è un addio. –
Lui sollevò il suo viso e spalancò gli occhi: -Ti aspetterò, non ho fretta. – protesi il mio viso verso il suo e per la prima volta le nostre labbra si incontrarono. Era dolce, sapeva di estate, aveva lo stesso sapore della limonata che bevevo quando mi aveva parlato la prima volta, in quel bacio c’erano tutte le cose belle della vita. Ricambiò il mio gesto e in poco tempo ci ritrovammo avvolti nella sabbia, mentre ridevamo di gusto, incuranti di ciò che sarebbe successo la mattina dopo. Quella notte non tornai a casa, ci tenemmo stretti pregando che il tempo si fermasse… ma ci sono preghiere che non possono essere esaudite. Quando il sole si alzò nel cielo lui mi svegliò spostandomi una ciocca di capelli dal viso, i suoi occhi azzurri erano rossi di pianto, ma questo non faceva che renderli più belli. Lo accompagnai alla stazione, un treno lo avrebbe portato lontano da me. Aveva una piccola borsa, con dentro lo stretto necessario, non avevamo foto da scambiarci… i ricordi sarebbero stati la nostra unica ancora. L’intera durata dei miei sedici anni mi sembrava nulla, in confronto al mese passato con lui. Non riuscivo a lasciarlo andare, lo guardavo e mi sentivo male al pensiero di non sentire più il suo profumo, la sua voce, la sua risata. Il resto del mondo, la guerra per me erano cose insulse se paragonate al nostro amore. Lui mi sollevò da terra un’ultima volta, mi fece volteggiare a lungo, finché le lacrime non si mischiarono a risate. Nei nostri sguardi, nei nostri gesti, si leggeva la paura opprimente di non vedersi più. Continuò a stringermi a sé a lungo, per un po’ parve veramente che il tempo si fosse fermato, come un quadro: lui vestito da militare, con la sua borsa a tracolla… ed io, con la gonna azzurra fino al ginocchio che portavo il giorno del nostro primo incontro e la camicetta sporca di sabbia, con i capelli al vento. Il capotreno fischiò la partenza e una nuova ondata di lacrime iniziò a far capolino dai miei occhi.
-Ti amo. –
Le sue parole sussurrate e mi colsero di sorpresa, non me l’aveva mai detto, il mio cuore perde un battito. Si allontanò da me e sfilò dal suo collo una catenina d’oro per avvolgerla al mio:
-Così saprò dove tornare per ritrovare le due cose più preziose che ho. –
Mi baciò di nuovo, questa volta con più passione, poi si spostò, mi guardò negli occhi e sorrise.
-Aspettami, tornerò. –
Si girò e salì sul treno, lo vidi portare al volto il mio nastro azzurro. Quando il treno partì gli corsi dietro ricordandomi che non gli avevo detto la cosa più importante:
 
 
-Ricordati che ti aspetterò, ti amo. –
 
 
 
Le mie parole si persero nel vento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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