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Autore: _Frame_    10/09/2017    2 recensioni
Perché sono un insicuro. Perché ho bisogno costantemente dell’approvazione degli altri e di sentirmi dire che sto riuscendo nei miei doveri, che sto facendo la cosa giusta. E io mi impegnavo. Mi impegno anche adesso. Non faccio altro che impegnarmi, provando e riprovando anche quando fallisco. Mi impegno ogni giorno per far colpo sugli altri, per fare la cosa giusta, ma tutta la mia famiglia mi tratta lo stesso come se qua dentro non valessi niente. Rick che faceva per questa famiglia? Era lui la causa di tutti i nostri guai, eppure sembrava davvero che fossi l’unico ad accorgermene. Questa è una cosa di cui ho sempre cercato di convincermi.
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[Ambientata fra la Seconda e la Terza Stagione]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jerry Smith
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La versione di Jerry

 

 

“Il primo sentimento che ho provato?” Jerry Smith smise di far tamburellare le dita sulle nocche, sciolse l’intreccio delle mani sul petto, si portò l’indice al labbro inferiore e picchiettò il polpastrello arricciando l’angolo della bocca. Un’espressione pensosa gli mascherò il volto. Reclinò la nuca contro il guanciale del divano del soggiorno, rivolse gli occhi al soffitto, dove il riverbero del sole che penetrava dalla finestra allungava l’ombra del lampadario spento, e si accigliò. La fronte corrugata e gli occhi assorti come quando stava per dare un colpo di mazza alla pallina da golf. Scosse le spalle, infilò la mano fra il guanciale e la testa e si strofinò la nuca. “Sollievo, direi.” Si affrettò a mostrare il palmo aperto alla presenza seduta sulla poltrona accanto a lui e lo sventolò, giustificandosi. “Ma con questo non voglio dire che quando è successo io sia stato contento, solo che...” Si morse il labbro, rimangiandosi le parole che formicolavano sulla punta della lingua, e girò la coda dell’occhio verso la poltrona. “Solo che io ero...” Agitò le punte dei piedi che giacevano sul guanciale opposto del divano. “Ecco, io...”

Due acuti e luccicanti occhietti neri lo scrutarono da dietro l’orlo della cartellina degli appunti che la creatura reggeva fra le mani. Occhietti penetranti come spilli nel cuore.

Jerry deglutì. Un gelido brivido di disagio e soggezione gli corse lungo la spina dorsale, come un cubetto di ghiaccio lasciato scivolare dentro il colletto della camicia. Tornò a rivolgere lo sguardo al soffitto, spinse le spalle contro l’imbottitura che gli reggeva la nuca, e intrecciò di nuovo le mani sul petto. Riprese a tamburellare le dita sulle nocche e sospirò a fondo, sciolse quel nodo di nervosismo che si era ingarbugliato nel petto. Si massaggiò la fronte con profondi movimenti circolari attorno alle tempie. “D’accordo, d’accordo, ero felice, va bene?” sbottò. “Ero felice quando ci hanno detto che Rick era stato catturato e portato in prigione, ero felice quando ho realizzato che la nostra vita sarebbe tornata quella di un tempo, con...” Gettò un braccio verso una parete del soggiorno. “Con il garage libero, senza creature disgustose intrappolate sottocasa, senza invasioni aliene a occupare e distruggere il soggiorno, senza viaggi spaziali o altre stramberie da Rick.” Accavallò le gambe adagiate sul bracciolo del divano, annodò le braccia al petto, e si strinse nelle spalle. Aggrottò la fronte e un leggero broncio gli rese il viso più buio, gli occhi si animarono di una luce più dura. “La nostra normale e felice vita di prima: ecco cos’ero contento di aver di nuovo conquistato.”

La punta di una penna a sfera sbucò da dietro la cartellina di appunti, la tozza mano azzurra che stava prendendo appunti la sventolò, bacchettandola in direzione di Jerry. “La vostra normale e felice vita di prima, Jerry, o la tua normale e felice vita di prima?” esclamò una vocina stridula.

Jerry gettò lo sguardo in disparte, schivando i sottili occhietti neri che lo scrutavano da dietro la cartellina, e tornò a strofinarsi la nuca, di nuovo colto da quel bruciore di nervosismo che gli formicolava nel petto e nello stomaco. “E-ecco,” balbettò, “io...” Tornò a scrollare le spalle. “Non saprei. Io...” Farfugliò a labbra strette, le parole scivolarono rapide. Troppo rapide. “Io non lo so.”

“Ah-ah, Jerry,” lo rimproverò la vocina, “non erano questi i patti.” Mister Miguardi abbassò la cartella di appunti da davanti il viso, svelò uno sguardo sorridente animato dai due occhietti neri come carbone celati da un paio di occhiali dalla montatura di plastica, finti, che aveva recuperato dal baule dei vecchi costumi di Halloween che custodivano in soffitta. Tornò a bacchettare Jerry con la punta della penna a sfera sporca di inchiostro nero. “Devi essere sincero con te stesso, altrimenti io non posso aiutarti con il compito che mi hai incaricato di svolgere.” Sollevò il braccio e sventolò la mano sopra la testa. L’orlo della manica appartenente a uno dei vecchi camici di Rick che avevano trovato in lavanderia gli oscillò attorno al polso. “Sono Mister Miguardi, guardami!”

Jerry emise un altro profondo sospiro e tornò a stringersi la fronte fra le dita. “S-sì, ti guardo, ti guardo,” gli lanciò un’occhiata di sbieco e aggrottò un sopracciglio, “ma è proprio necessario ripeterlo?”

Mister Miguardi annuì con decisione. Il largo sorriso smagliante riempì l’intero faccione azzurro. “Ooh, assolutamente, Jerry!” Tornò ad abbassare lo sguardo sulla sua cartellina di appunti e posò la penna sull’ultima riga che aveva scarabocchiato. Si sistemò la montatura degli occhiali finti e annuì, pronto a continuare a scrivere. “Ora che mi stai guardando devo chiederti di rispondere sinceramente: era la vostra vita felice o era la tua vita felice? È importante se vogliamo continuare l’analisi.”

“Uhm.” Jerry tornò a girarsi, dandogli le spalle, e raccolse le ginocchia più vicino a sé facendo scivolare i piedi giù dal guanciale. Si strofinò le braccia conserte, come per sfregare via dei brividi di freddo, e guardò in basso. Un’ombra di colpevolezza gli attraversò lo sguardo. La voce perse la nota di durezza, tornò fioca e insicura. “La...” Sospirò, strizzò le dita sulle maniche della camicia. “La mia vita felice,” mormorò.

Mister Miguardi alzò un braccio al soffitto. “Ooh, perfetto!” esclamò, entusiasta, e riprese a scrivere sulla sua cartellina. “Vedi che ci riesci? Fai un sacco di progressi!” Girò pagina, picchiettò la punta della penna sul foglio bianco. “Ora devi solo rilassarti e partire da questo punto per capire quello che provavi dentro di te prima dell’arrivo di Rick.”

Jerry provò una fitta al cuore, triste e nostalgica. La mia vita prima dell’arrivo di Rick, pensò. Tirò le ginocchia ancora più vicino al ventre, sollevò la schiena dal guanciale del divano e si mise seduto. Dondolò avanti e indietro tenendo le braccia conserte al petto e gli occhi rivolti ai piedi foderati dai calzini a righe. “Era...” Disastrata, frustrante, deprimente, sfiancante ai limiti dello strazio, a volte persino confusa. Dondolò un’altra volta avanti e indietro, assicurandosi di non incrociare lo sguardo con quello di Mister Miguardi. “Era la mia vita normale,” farfugliò. “Più o meno. È solo che...” Staccò una mano dall’intreccio sul petto e rivolse il palmo al soffitto. “Da quando Rick era entrato nelle nostre vite, ho avuto come l’impressione di,” tornò a grattarsi dietro l’orecchio, più nervoso, “non so... di sentirmi sempre in competizione con lui per guadagnarmi l’affetto della mia famiglia. E lui...” Una familiare vampata di rabbia nacque nel petto, in fondo al cuore, e gli fece aggrottare la fronte. Rese la voce più aspra e graffiante. “E lui non si impegnava nemmeno!” esclamò. “A Rick non importa di quello che pensa la gente di lui, tantomeno cosa pensiamo noi quattro.” Sventolò la mano, come per scacciare il problema, e sbuffò. “Lui non era tornato per Beth, lo aveva fatto solo per... perché gli serviva un tetto sotto il quale vivere, immagino, dopo vent’anni trascorsi nello spazio o Dio solo sa dove.”

Mister Miguardi scribacchiò un’altra riga con la penna a sfera e annuì senza sollevare gli occhietti dalla cartella. “Ma perché era necessario viverla come una competizione, Jerry?”

Jerry indirizzò tutta la fiammata di rabbia attraverso il braccio, stritolò un pugno sul ginocchio e lo sbatté contro l’imbottitura del divano. “Perché lo era! E perché...” Le labbra vibrarono. Assieme alla rabbia, traboccò un violento e bruciante sentimento di frustrazione che lo fece sentire ancora più piccolo e vulnerabile, rannicchiato sul divano come un topolino nell’angolo della stanza. Prese un respiro profondo, placò il rigetto d’ira, e tornò ad abbandonarsi con la schiena sulla curva del guanciale. Flesse le sopracciglia in un’espressione triste, gli occhi luccicarono di vergogna, un sapore amaro gli riempì la bocca. “Perché sono un insicuro,” disse. “Perché ho bisogno costantemente dell’approvazione degli altri e di...” Intrecciò le dita e giocherellò con le unghie, pizzicandosi le nocche. “Di sentirmi dire che sto riuscendo nei miei doveri, che sto facendo la cosa giusta.” Si posò una mano sul petto e girò lo sguardo premendo l’orecchio sul cuscino, andò incontro agli occhietti di Mister Miguardi. “E io mi impegnavo,” affermò con un tono di voce più deciso. “Mi impegno anche adesso. Non faccio altro che impegnarmi, provando e riprovando anche quando fallisco. Mi impegno ogni giorno per far colpo sugli altri, per fare la cosa giusta, ma tutta la mia famiglia mi tratta lo stesso come se qua dentro non valessi niente.” Corrugò le sopracciglia, agitò la mano come per cacciare un insetto, e di nuovo sul suo viso calò una maschera di buio. “Rick che faceva per questa famiglia? Era lui la causa di tutti i nostri guai, eppure...” Tornò a battersi entrambi i palmi sul petto, e un lampo di incredulità gli passò attraverso gli occhi. “Eppure sembrava davvero che fossi l’unico ad accorgermene. Questa è una cosa di cui ho sempre cercato di convincermi.”

Mister Miguardi sollevò un sopracciglio, smise di scrivere. “Hai sempre cercato di convincerti che Rick fosse la causa dei tuoi guai?”

“Dei nostri guai,” specificò Jerry. Accavallò una gamba sul ginocchio e fece dondolare il piede. “Forse, nemmeno prima trascorrevamo quella che poteva definirsi una vita felice e spensierata, questo lo so. Voglio dire...” Rivolse lo sguardo al soffitto, e contò sulle punte delle dita. “Litigavo lo stesso con Beth, il lavoro era uno schifo, però facevo del mio meglio.” Batté il pollice sul petto. “Facevo del mio meglio per costruirmi la mia piccola felicità fatta di semplici soddisfazioni, come ho sempre voluto. Quando poi Rick è arrivato, io ho subito cominciato a credere che le cose sarebbero di nuovo tornate a girare per il meglio se lui se ne fosse andato. Io avrei continuato con la mia vita, con il mio lavoro, magari avrei addirittura finto che andasse tutto bene, sia con Beth sia con i ragazzi sia con tutto il resto. Forse sarebbe stata una felicità finta e forzata.” Si strinse nelle spalle e abbassò la voce, trasformandola in un mormorio. “Un po’ come nel simulatore.”Ma Mister Miguardi lo sentì lo stesso. “Però mi sarei accontentato,” continuò Jerry. “Avrei saputo dare valore a quella felicità.” Sospirò. La gola cominciava a bruciare, le labbra a seccarsi, il cuore a formicolare per tutto il flusso di emozioni che stava facendo traboccare. “Ho sempre cercato di convincermi che fosse Rick la causa di tutti i nostri problemi,” scosse il capo, “e invece sembra proprio che la sua presenza abbia fatto bene a tutti tranne che a me. E ora che è in prigione...” Morty non si dà pace ed è sempre più avvilito, Beth continua ad avercela con me. Non è cambiato nulla. Jerry concluse la frase con un freddo sospiro. “Sembra quasi che i nostri problemi siano aumentati invece che essere diminuiti come credevo.”

Mister Miguardi annuì, segnò un altro appunto. “E questo ti fa sentire in colpa, Jerry?” Sollevò gli occhietti dalla cartella, continuando a sfoggiare il sorrisone largo da guancia a guancia, e fece spallucce. “Ma non è colpa tua se Rick è in prigione, anche se tutti credono che sia stato tu a fare la spia.”

Jerry fece roteare lo sguardo. “Sì, lo so che non è colpa mia, ma...” La mano posata sul petto strinse, si aggrappò al triste e doloroso battito del suo cuore. “Sento che è come se lo fosse,” piagnucolò. “Io sono felice se la mia famiglia è felice, e ora la mia famiglia non lo è, perché loro volevano bene a Rick.”

“E ti sei mai chiesto perché loro volessero più bene a lui che a te?”

Jerry scattò sobbalzando contro il bracciolo del divano. “Ehi.” Si girò, puntò l’indice minaccioso contro la figura di Mister Miguardi seduto alla poltrona, e lo fulminò. “La mia è solo una supposizione! Non ho mai detto che loro vogliano davvero più bene a Rick che a me.”

Mister Miguardi allargò il sorriso. “Ooh, ma io devo essere sincero con te, Jerry,” alzò entrambe le braccia al cielo, facendo sventolare anche la cartella, “perché sono Mister Miguardi! E da quello che dicono le tue parole posso capire che anche tu ritieni che loro vogliono più bene a Rick che a te.”

Jerry sbatacchiò le palpebre, mimò uno sguardo perplesso. “Be’, ecco...” Tornò a sedersi e a dare le spalle a Mister Miguardi, rannicchiò le ginocchia al petto e si dondolò avanti e indietro. “È ovvio che Beth voglia più bene a suo padre che a me, no? Credo. E anche se lui è un padre degenere che la abbandona per vent’anni per poi ripresentarsi come se non fosse successo nulla...” Le parole gli morirono in bocca. Le labbra socchiuse e fossilizzate, di colpo gelide come ghiaccio, e di nuovo quel sapore amaro a spandersi sulla sua lingua. Inspirò fra i denti stretti. “Padre degenere,” gorgogliò. Strinse le dita sui pantaloni, strizzandone il tessuto, e di nuovo percepì il groppo di dolore chiudersi attorno al cuore, e il senso di impotenza e inutilità schiacciargli le spalle, facendolo accartocciare su se stesso. Padre degenere. Jerry si morse il labbro per non far notare che la bocca aveva ripreso a tremolare. Un forte bruciore gli appannò gli occhi, pizzicò fra le palpebre come quando stava per scoppiare a piangere. “Chi...” Si rannicchiò abbracciando le gambe piegate contro il petto, si dondolò ancora avanti e indietro con le spalle. “Chi prendo in giro?” piagnucolò. “Rick è un genitore migliore di me, migliore persino dei miei genitori. Lui...” Si strofinò gli occhi, anche se non aveva pianto, e fece mulinare la mano per riordinare le parole. La voce tornò macchiata da quella punta di sarcastico disprezzo. “Lui è uno scienziato, è una specie di genio iper-quantico-mega-galattico, o che ne so.” Girò la mano che aveva agitato in aria e si guardò il palmo. Le dita divaricate, sottili, leggermente tremolanti, le davano un aspetto piccolo e fragile. La strinse a pugno. Di nuovo il senso di impotenza gli pesò sulle spalle e dentro il petto. Il braccio tremò assieme alla sua voce che vibrava di dolore. “E io cosa sono?”

Mister Miguardi scosse la testa e il ciuffo di capelli rossi oscillò. “Non lo so, Jerry, devi essere tu a dirmelo.” Gettò le braccia al soffitto, le maniche del camice scesero attorno ai polsi troppo sottili. “Io sono un Mister Miguardi, guardami!”

Jerry non lo guardò. Aggrottò le sopracciglia continuando a fissare le sue nocche sbiancate, le unghie arrossate che premevano contro il palmo, le sottili vene bluastre che erano emerse da sotto la pelle per la pressione. Inspirò di nuovo dal naso. Fu un risucchio di aria aspra. “Sai chi sono?” Batté il pugno contro l’imbottitura del divano, e non fece alcun rumore. “Sono un fallito, ecco cosa sono!” Quelle parole bruciarono sulla lingua, ma pronunciarle gli causò lo stesso sollievo di sputare un dente malato cavato via dalla gengiva. La vista tornò ad appannarsi, il peso del pianto gli traballò fra le palpebre. “Sono un fallito che si fa mantenere dalla sua stessa moglie, sono un sempliciotto che ha vissuto la giornata migliore della sua vita dentro un simulatore regolato al cinque percento di realtà, e sono uno smidollato che non sa cavarsela da solo nel mondo, in nessuna situazione che mi capita di fronte.” Tornò a vivere il senso di vergogna e di umiliazione che aveva provato quando si era ritrovato a trascorrere la giornata all’Asilo dei Jerry, a giocare nella piscina di palline colorate, a guardare Midnight Run abbracciato alla Beth finta, circondato da altri se stesso provenienti dalle altre dimensioni. Trovandosi faccia a faccia con la sua stessa misera e patetica immagine moltiplicata per venti. Tirò su col naso e ne strofinò la punta. “Un miserabile omuncolo che ha bisogno di un asilo nido spaziale da cui non ha nemmeno il coraggio di scappare.”

Eee...” Mister Miguardi prolungò il suono continuando al posto suo. Fece sventolare la penna sopra la cartella. “Una persona che non è nemmeno in grado di far salire di due punti la sua media a golf e che fa impazzire un’intera tribù di Mister Miguardi, trasformandoli in feroci assassini psicotici,” aggiunse con entusiasmo, senza la minima traccia di sarcasmo.

Jerry grattò le unghie sul tessuto del divano e ricacciò le lacrime negli occhi. “Non rigirare il dito nella piaga!”

“Ma devo farlo, Jerry,” esclamò Mister Miguardi, “sto solo portando a termine la missione di cui mi hai incaricato!”

Jerry sbuffò, fece roteare lo sguardo al soffitto. “Già...” Lo posò sul pavimento, accanto alle gambe del tavolino davanti al televisore, e una scintilla metallica color azzurro pallido catturò la sua attenzione. Corrugò le sopracciglia, si strofinò gli occhi inumiditi. “E sai qual è l’ironia, in tutto questo?” Jerry indicò la scatola dei Mister Miguardi sormontata dal bottone azzurro che aveva premuto poco prima per evocare la creatura. “È che io sto cercando di risolvere il mio problema con Rick usando te: un affare iper-quantico di Rick!”

Mister Miguardi abbassò l’estremità della cartellina rigida, si batté la punta dell’enorme dito azzurro sulla linea della bocca, e fissò anche lui il soffitto da dietro le lenti finte degli occhiali di plastica. “Uhm.” Rivolse l’indice al soffitto e tornò a sorridere, come se una lampadina si fosse accesa sopra la sua testa. “Se davvero odiassi Rick come dici, allora non vorresti avere niente a che fare nemmeno con me.”

Jerry flesse il capo di lato, gli rivolse un’occhiata interrogativa, dubbiosa, ma anche più morbida. “Dici?” Si strofinò la nuca, arricciò un angolo della bocca. “Già,” borbottò, “a questo non avevo mai pensato.”

“Ooh, ma allora è facile!” Mister Miguardi batté le mani tenendo la penna schiacciata fra i palmi. Il suo sorriso smagliante fece brillare gli occhietti color carbone. “Devi solo imparare a riconoscere il vero sentimento che tu provi per Rick.”

“Io...” Jerry si morse il labbro, e un improvviso guizzo al cuore gli chiuse il respiro nel petto. “Io forse...” Disegnò piccoli cerchi sul divano con la punta dell’indice, raccolse la sensazione di malessere che si era appena aggrovigliata nel suo stomaco, la districò, e si chiuse in se stesso, proteggendosi. Gli occhi assunsero una sfumatura di tristezza. “È che forse...” Ammetterlo gli faceva male quanto un pugno alla bocca dello stomaco accompagnato da un calcio sugli stinchi, lo umiliava quanto un doppio sputo su entrambi gli occhi. Jerry, si rotolò sul fianco come un feto, sospirò e mormorò sfiorando la stoffa del divano con le labbra. “È che forse io invidiavo Rick.”

Mister Miguardi sospirò di meraviglia. “Ooh, invidia!” Riprese la cartella di appunti fra le mani e tornò a scribacchiare partendo dall’ultima riga. Annuì con convinzione. “Hai fatto un altro passo avanti, Jerry! Ora devi solo chiederti perché invidiavi Rick.”

“I-io...” Jerry strizzò il pugno, le unghie grattarono la stoffa, un altro groppo di lacrime bruciò all’altezza degli occhi. “Io lo invidiavo perché...” Singhiozzò. Tornò la coltellata di dolore e di consapevolezza a perforargli il cuore, e dovette posarsi la mano sul petto per placare quell’ondata soffocante. “Perché lui si meritava la stima e la felicità della mia famiglia molto più di me,” stridette, la voce rotta dal pianto incastrato in gola. “Lui sapeva rendere loro felici e io no. E ora che se n’è andato lo riesco a vedere ancora meglio.” Come a contrastare le sue parole, abbondanti lacrime sorsero ad appannargli la vista. “Beth ha ripreso a bere. A bere più del solito. Morty è sempre triste. E persino Summer è giù di morale. E la cosa peggiore è che io non sono in grado di fare niente per aiutarli.” Jerry si raschiò via il pianto incastrato fra le palpebre, e una scia umida rimase a luccicare sulla sua mano. Si raggomitolò incastrando il capo dentro l’incavo del gomito, e tornò a chiudersi a guscio. Gli occhi vacui e lucidi di disperazione rivolti al pavimento, dove avrebbe voluto essere lui. “Non ho abbastanza carisma per sostenere mia moglie, non posso consolare mia figlia perché io, dopotutto, sono quello che va a chiederle soldi in prestito. E Morty...” Lo pervase un violento sentimento di sconforto che gli fece tremare il labbro inferiore, come un bambino. “Io non sono in grado nemmeno di aiutarlo quando non ha il coraggio di dichiararsi a una ragazza, o quando è minacciato da un bullo, o di preparare il progetto per la lezione di scienze.” Si chiuse nelle spalle e tornò a guardare la sua piccola e fragile manina umida di lacrime. “Cosa può fare uno come me in una situazione simile?”

Mister Miguardi sollevò la punta della penna dal foglio di appunti. “Ma allora...” La puntò su Jerry, spalancò gli occhietti neri che brillarono di realizzazione. “Tu semplicemente vorresti essere come Rick?”

“Io...” Jerry sobbalzò, si riparò il petto sgranando le palpebre, e un brivido di orrore si arrampicò lungo la sua schiena, facendolo sbiancare. “C-cosa?” Essere come Rick: ubriaco, cinico, disperato, egoista ed egocentrico, senza cuore e senza speranza, un pessimo esempio per Morty e Summer o per chiunque altro nell’Universo. E un grande stronzo. Jerry sventolò la mano, si fece aria al viso dopo aver sudato freddo, e si allentò il bavero della camicia. “No, no, per carità, nemmeno per idea.” Sbuffò, strinse le braccia al petto strofinandosi le spalle, sdrammatizzò con un sorrisetto. “Piuttosto che ridurmi come lui, io...” Si rischiarì la voce, il sorrisetto cadde, Jerry si passò una mano sulle guance ancora umide e mostrò un palmo a Mister Miguardi, come a bloccare quell’ipotesi. “Io non so se davvero vorrei essere un uomo diverso da quello che sono ora. Perché non credo che essere un uomo diverso mi renderebbe automaticamente più felice. E l’ho visto.” Si batté le punte di due dita sulla tempia, dove tempo prima aveva appoggiato il peso del visore di realtà alternative. “L’ho visto con il visore delle realtà alternative, dove ero una star del cinema che andava a letto con Kristen Stewart nello yacht di Leonardo Di Caprio. Alla fine...” Si posò la mano sul cuore, dove sentì spandersi un dolce e caldo sentimento di affetto. Un timido ma sincero sorriso gli incurvò le labbra e imporporò le guance. Gli rese gli occhi umidi e sognanti. “Era sempre da Beth che tornavo. Con una siringa di cocaina infilata nel petto. Ma il punto è questo: è con Beth che voglio costruire la mia felicità, ed è ai miei figli che voglio trasmetterla. Voglio solo essere fiero di essere un buon padre. Non un pubblicitario di successo, non un qualsiasi scalatore sociale che deve farsi strada a morsi e a unghiate in questa società che comunque mi sbranerebbe vivo.” Sospirò. I suoi occhi tornarono tristi e malinconici. La voce fioca e intimorita dall’insicurezza. “Vorrei semplicemente fare una vita che mi permetta di affacciarmi allo specchio e di dire: sono fiero di me.”

“Ma fiero di cosa, Jerry?” ribatté Mister Miguardi.

Jerry fece spallucce. “Di cose piccole,” spiegò. “Fiero di essere stato capace di consolare mia figlia dopo una brutta giornata a scuola, fiero di me perché ogni notte io mi infilo nel letto assieme a mia moglie e posso dire di avere accanto una donna felice, una donna orgogliosa di avermi come marito. Fiero di aver aiutato mio figlio a costruire il plastico per il progetto di scienze.” La parola plastico gli scivolò sulla lingua come una cucchiaiata di aceto. Evocò un familiare sentimento di frustrazione che gli lasciò un’impronta di amarezza nella bocca. Jerry si voltò piegando il gomito sul bracciolo del divano e rivolse un’occhiata sottile e scettica al profilo di Mister Miguardi nascosto dietro la cartellina. “Mister Miguardi,” gli domandò con tono cauto, “tu credi che Plutone sia un pianeta?”

Mister Miguardi abbassò gli appunti e scosse la testa. “Non posso dirtelo, Jerry.” Si posò la mano sul petto coperto dal camice. “Io sono Mister Miguardi, posso solo occuparmi della missione che mi hai affidato quando mi hai evocato.”

“Oh.” Jerry chinò la fronte, un profondo senso di delusione gli piombò sulle spalle, come una cariolata di mattoni. “Capisco.” Strinse i pugni e una fiammata di determinazione gli arroventò il sangue. Non si diede per vinto. Quella storia gli era rimasta incastrata nell’anima come un sassolino nella scarpa che continua a punzecchiare la pianta del piede a ogni passo. Jerry tornò a rivolgere lo sguardo per terra, sotto il tavolino, andando incontro alla scintilla grigio-azzurra proveniente dalla Scatola dei Mister Miguardi. Restrinse le palpebre, si massaggiò il mento, ed esibì un goffo sorriso da furbo. Allora so come scoprirlo definitivamente.

Jerry si sporse dal divano e tese le braccia per raggiungere la scatola dei Miguardi. La appoggiò sulle ginocchia, appiattì un palmo, e schiacciò la mano sul bottone azzurro.

Puf!

Una nuvola bianca esplose davanti a lui, il fumo si dissolse, un paio di braccia azzurre sbucarono dalla foschia e sventolarono verso il soffitto. Una familiare vocina stridula riempì le pareti del soggiorno. “Sono Mister Miguardi, guardami!” Un largo sorriso di gioia era stampato sulla faccia azzurra del nuovo Mister Miguardi.

Il primo Mister Miguardi seduto sulla poltrona e vestito con camice e occhiali posò gli appunti, lo salutò agitando le braccia al soffitto ed esibendo anche lui un largo sorriso di benvenuto. “Ciao, Mister Miguardi, sono Mister Miguardi, guardami!”

Il secondo Mister Miguardi si rivolse a lui e allargò il sorriso, saltò da un piede all’altro. “Ciao, Mister Miguardi!”

Jerry rivolse una mano verso ciascuno, come a separarli. “Va bene, va bene, vi siete salutati, ora zitti.” Tenne la scatola sulle ginocchia, chiuse un pugno davanti alla bocca e si schiarì la gola. “Eh-ehm.” Rivolse il palmo al secondo Mister Miguardi e sollevò le sopracciglia, mimò un’espressione seria, un sorriso saccente. “Mister Miguardi, potresti aiutarmi a scoprire se Plutone è un vero pianeta?”

Il secondo Mister Miguardi spalancò gli occhi che scintillavano di meraviglia. “Ooh, sì!” Strinse l’enorme pugno azzurro, sorrise con entusiasmo. “Sissignore, posso farlo!” Si girò, acchiappò l’i-Pad che giaceva sul tavolino, sopra vecchie riviste di gossip di Summer e al Vet Practice dove Beth aveva lasciato il segno su un articolo che discuteva riguardo le infiltrazioni di cortisone come trattamento sui cavalli da corsa azzoppati. Mister Miguardi sbloccò lo schermo dell’i-Pad e lanciò la pagina del motore di ricerca. Digitò un paio di volte – Jerry si chinò di lato per sbirciare ma non riuscì a vedere nulla – e dopo meno di un minuto ebbe finito. Mister Miguardi scosse la testa ma mantenne il sorriso stampato sulle labbra. “No, Jerry,” esclamò. “Nel duemilasei è stato declassato a pianeta minore, e nel duemilaotto è stato coniato il termine plutoide per indicare quei corpi celesti come Plutone che sembrano pianeti ma non lo sono.”

Jerry schiacciò il pugno e lo batté sulla scatola raccolta fra le sue gambe. “Porca...” Fece stridere i denti per rimangiarsi l’imprecazione, le nocche pulsarono di dolore dopo aver battuto sul metallo della scatola azzurra.

Il secondo Mister Miguardi tornò a spegnere l’i-Pad, lo posò sul tavolino sopra le riviste, e sollevò le braccia al soffitto in segno di vittoria. “Missione compiuta!” Esplose in una nuvola bianca. Puf! La nube si dissolve creando una leggera nebbiolina fra le pareti del soggiorno, fino a svanire completamente.

Anche il primo Mister Miguardi esultò sventolando le braccia al cielo. “Ha posto fine alla sofferenza della sua esistenza!”

Jerry gorgogliò a denti stretti, aggrottò la fronte diventando scuro in viso e paonazzo di rabbia, e tornò a buttare la scatola dei Miguardi sotto il tavolino. “Ah, al diavolo.” Gettò le gambe sul divano, si lasciò cadere con la schiena contro il bracciolo, annodò le braccia al petto tamburellandoci le dita sopra, e piantò il broncio. Sbuffò. “Perché me la prendo tanto, poi? Non dovrei prendermela per un pianeta.” Sciolse l’intreccio delle braccia e si premette il pollice sullo sterno. “Io su Plutone ci sono stato, dannazione. Ci sono stato! E so che la colpa è dei plutoniani stessi se il loro pianeta è più stretto rispetto a quando io ero giovane.”

“Era solo un non-pianeta, Jerry.” Mister Miguardi sfogliò la pagina completa di appunti e passò a un altro foglio bianco. “Perché te la prendi?”

Jerry rimase a labbra socchiuse e non riuscì ad assemblare le parole da far uscire dalla bocca. Tornò a fissarsi le punte dei piedi, i calzini sbiaditi, il fioco raggio di luce che si stava abbassando e che stava assumendo le sfumature rossastre del tramonto, allungando e scurendo le ombre del soggiorno. Strinse di nuovo i denti e contenne un mugugno di rabbia che gli soffocò la gola. Perché te la prendi? fece da eco la voce della sua coscienza. È solo un non-pianeta, Jerry. Perché prendersela, eh? Perché? Cresci un po’ e pensa alle cose importanti come a mantenere la tua famiglia, a essere un buon esempio per i tuoi figli, a tenere insieme i cocci del tuo matrimonio, invece che a perderti in queste inutili assurdità solo per una questione di orgoglio. E tu non hai nemmeno un orgoglio! Jerry deglutì, ma la gola era secca e scese solo un boccone amaro. Fu come a ingoiare sabbia. “N-no,” singhiozzò. Tornò a gonfiarsi quel pesante sentimento di angoscia che gli gravava sul petto, dandogli l’impressione di rimanere senza respiro. Si strofinò gli occhi per arrestare il flusso delle lacrime sul nascere, e scosse il capo. “No, tu non capisci.” Si girò verso Mister Miguardi. Piccole ma calde fiammelle di rancore resero più viva la luce dei suoi occhi. “Non è per Plutone, non mi interessa se è un pianeta, o una meteora, o un satellite.” Tornò ad aprire le mani, a guardarsi quei palmi piccoli, tremanti e delicati. Pelle sottile senza né calli, né tagli o screpolature. Fragili mani da inutile impiegato. Le labbra di Jerry tremarono, la vista tornò ad annacquarsi, gli occhi pizzicarono di nuovo, pronti a traboccare. “La questione è che io non ho mai ragione, capisci?” Si posò entrambe le mani sul petto, a proteggersi. “Io ho sempre torto su tutto quello che dico e che faccio! Io...” Le prime lacrime di disperazione gocciolarono lungo le guance, e lui non fece nulla per fermarle, non le asciugò nemmeno. Lasciò che gli bagnassero le labbra, che bruciassero sulla pelle, e che gocciolassero dal mento.

Jerry singhiozzò, si girò sul fianco tenendo la testa sul guanciale del divano, e si accoccolò stringendosi le ginocchia al petto, di nuovo in posizione fetale. Il familiare e caldo profumo del divano rallentò il respiro, lo consolò, e arrestò il flusso delle lacrime. Jerry singhiozzò e raschiò via dalla faccia le ultime gocce di pianto. “Io volevo solo una famiglia,” disse con voce più rauca e ferma. Si chiuse in quell’abbraccio solitario, e le immagini della sua normale vita felice suscitarono un piccolo sorriso che gli fiorì fra le labbra. “Volevo solo una famiglia felice con la quale poter invecchiare serenamente accanto alla donna che amo e accanto a dei figli che mi rispettano e che mi apprezzano per il semplice fatto che sono il loro padre. Il loro padre che gli vuole bene e che farebbe qualsiasi cosa per loro. Volevo solo una famiglia con cui tagliare il tacchino il Giorno del Ringraziamento, con cui guardare i fuochi d’artificio il Quattro di Luglio, con cui scartare i regali sotto l’Albero di Natale.” Singhiozzò un’altra volta, e il senso di frustrazione e delusione spazzò via la sua nuvoletta di immagini incorniciate da stelline e fiorellini. Jerry corrugò le sopracciglia, la sua voce assunse un tono più grave. “E invece mi ritrovo con i miei genitori che si portano a pranzo il loro amante condiviso.” Un’altra frecciata sentimento di angoscia gli attraversò la testa, sollevò vecchi ricordi che non se n’erano mai andati dal suo cuore. “Oppure mi ritrovo la casa infestata dai parassiti alieni, di cui uno di loro era l’unico uomo che mi avesse mai amato. Però...” Aprì una mano sul tessuto del divano, girò la guancia per sfiorarlo con le labbra e percepirne maggiormente il profumo, ora che il cuore stava di nuovo per traboccare di dolore. “Era tutta un’illusione,” sussurrò. Si strofinò gli occhi di nuovo bagnati di lacrime, singhiozzò, carezzò il divano disegnando piccoli cerchi con il palmo della mano. “Dormi-Gary era un’illusione, e questo probabilmente sta a significare una cosa sola: nel mondo vero non esiste qualcuno che mi apprezza o che mi ama per ciò che sono. L’unico che può amarmi incondizionatamente è un parassita che ha ingannato i miei ricordi per poter vivere accanto a me e riprodursi quanto gli pareva.” Serrò il pugno, lo avvicinò al petto, e chiuse gli occhi. La voce soffiò a una piuma dalle nocche, in un malinconico sospiro. “E io devo accettarlo.”

“Ma Jerry...” La facciona azzurra di Mister Miguardi tornò a sbucare da dietro la cartella degli appunti, il sorriso scintillava nonostante la penombra che stava invadendo il soggiorno. “Tu ti stai valutando solo in base a ciò che gli altri valutano di te.”

Jerry tirò su col naso, si strofinò gli occhi con il dorso della mano e sbatacchiò le palpebre per sciogliere le ultime gocce di lacrime. “Co...” Sollevò la guancia dal divano, rivolse lo sguardo ancora annebbiato a Mister Miguardi. Inarcò un sopracciglio e un pizzico di curiosità gli solleticò la nuca. “Come?”

“Il metro di giudizio, Jerry!” esclamò Mister Miguardi. “Tu poni la tua immagine solo in base a come la gente ti giudica, e non in base alle tue reali capacità. Alle capacità in cui tu stesso credi!”

Jerry sbarrò le palpebre, le labbra caddero socchiuse in un’espressione di sorpresa, gli occhi brillarono di realizzazione. “Intendi come...” Fece leva sui gomiti piegati contro il guanciale del divano, tirò su le spalle, e puntò l’indice verso Mister Miguardi. “Come la storia del...” Fece mulinare la mano, allontanò il volto leggermente arrossato per il calore dell’imbarazzo che stava lentamente crescendo attraverso le guance. “Sai, no,” farfugliò, “del mio, ehm...” Strinse un pugno davanti alle labbra, nascose lo sguardo e tossicchiò, ignorando il fastidioso e improvviso formicolio all’inguine. Lo disse a denti stretti. “Del mio pene trapiantato al posto del cuore dell’Ambasciatore Galattico. O qualunque cosa fosse.”

“Sì,” annuì Mister Miguardi, “proprio come quello! Tu lo stavi facendo solo perché la gente ti giudicasse in una determinata maniera, e non perché credevi davvero nel reale valore del tuo gesto.”

Jerry arricciò la bocca, tamburellò l’indice sul labbro, corrugò un sopracciglio. “Uhm.” Tornò a stendersi sul divano, supino, la nuca premuta sul guanciale e le gambe distese. Restrinse le palpebre e rievocò le immagini di quella giornata. I lampi della sparatoria che lo avevano trafitto, la consistenza dei proiettili che gli avevano lacerato la carne, il sapore del sangue in bocca, le grida d’orrore di Beth e Summer, il pavimento duro e freddo su cui aveva sbattuto la faccia prima di svenire, il risveglio nel letto d’ospedale e gli sguardi della sua famiglia attorno a lui. Persino quello di Rick, anche se gli dava la schiena squadrandolo con indifferenza da sopra la spalla. Jerry annuì a se stesso. “Beth mi aveva detto qualcosa di simile, in effetti.”

Mister Miguardi appoggiò la cartella di appunti sulle ginocchia e tese le braccia al soffitto. “Vedi?” esclamò. “Come puoi farti amare e apprezzare dagli altri, quando tu sei il primo a non apprezzare te stesso e a non credere nelle tue potenzialità?”

“M-ma io...” Jerry tornò a posarsi la mano sul petto. Il senso di sicurezza lo abbandonò di nuovo, lo fece sentire svuotato e freddo. “Io sono solo...” Strinse le mani attorno alle spalle e si strofinò gli avambracci: una solitaria carezza auto consolatoria. “Sono semplicemente nato nel mondo sbagliato. Ecco perché non riesco a essere l’uomo che vorrei diventare.” Sentì di nuovo fiorire una lacrimuccia fra le palpebre, gocciolargli dalle ciglia e attraversargli la guancia. Jerry tornò a girarsi sul fianco, tenne le braccia strette attorno alle gambe, singhiozzò, e dovette strizzare le dita sui pantaloni per trattenersi dalla voglia di rosicchiarsi un pollice come un neonato. La voce suonò annacquata dal pianto. “Rivoglio Dormi-Gary.” Si chiuse a guscio, le braccia attorno alle spalle e le ginocchia al petto. “Rivoglio il mio Rick, il Rick tonto che sapeva capirmi più di chiunque altro.” Jerry girò lo sguardo verso Mister Miguardi, e gli rivolse un’occhiata disperata, infossata fra le orbite annerite e sciupate dal pianto, già colme di lacrime. “Perché ogni cosa che amo deve essermi portata via?”

“Perché l’esistenza è sofferenza, Jerry!” Mister Miguardi si posò entrambe le mani sul petto, sopra il camice, ed esibì un sorriso ancora più largo e smagliante. “Ecco perché noi Mister Miguardi stiamo in vita solo per il breve tempo necessario a esaudire le vostre richieste. Ma per voi esseri umani non è così, e dovete tenere duro fino alla fine.” Innalzò le braccia sopra la testa, le allargò come a disegnare un grande arco. “E la vostra vita sa essere davvero luuunga-luuunga. Ma tu sei arrivato fino a questo punto senza morire e senza impazzire, Jerry. Dovresti essere fiero di te solamente per questo!”

Jerry sbatté due volte le palpebre, sentì il pianto ritirarsi, lasciargli gli occhi lucidi ma più sereni. “A-apprezzare me stesso per...” Flesse il capo di lato, si grattò i capelli dietro l’orecchio, e scoccò una perplessa occhiata interrogativa a Mister Miguardi. “Per il semplice fatto di essere vivo?”

“Esatto, Jerry!” Mister Miguardi tese un tozzo indice azzurro verso di lui reggendo la penna fra le dita rimanenti. Gli occhietti neri e lucidi come biglie gli trasmisero un’inaspettata e calda scintilla di fiducia. “Se tu dici che vuoi trovare la felicità nelle piccole cose, allora dovresti anche iniziare ad apprezzare te stesso per quelle piccole cose, come essere vivo e vegeto senza esserti abbandonato alla disperazione.”

Jerry arricciò la bocca, ancora poco convinto. “Uhm.” Si massaggiò il mento, chinò lo sguardo e mimò un’espressione pensosa. “Ha...” Scosse le spalle. “Ha senso, credo.” Si lasciò di nuovo scivolare con la testa sul guanciale del divano, le spalle rilassate contro l’imbottitura, e rivolse al soffitto gli occhi arrossati e appesantiti dal pianto che prima aveva versato. Distese un braccio lungo la fronte, facendosi ombra, e si lasciò aggredire da un’altra secchiata di sconforto gelato: una doccia fredda che lo fece sentire di nuovo piccolo, tremante e vulnerabile. Tornò la sensazione che nulla avrebbe potuto essere più come prima. “Ma ora che Rick è in prigione, e ora che le cose saranno diverse per tutti, come faccio a mettere in pratica tutto questo, se era lui il problema che stava alla base di tutto?” domandò.

Mister Miguardi scosse il testone azzurro e il ciuffo rosso oscillò. “Il problema non è mai stato Rick, Jerry,” picchiettò la penna sugli appunti con cui aveva riempito un’altra pagina del blocco, “ma soltanto tu.” Sollevò la penna e tornò a puntarla verso Jerry. “Il mondo ora ti sta offrendo una grande opportunità, e dovresti cominciare a dimostrare quanto vali prima a te stesso che al mondo intero.” Si strinse nelle spalle, e la luce del suo sorriso divenne più calda e rassicurante. “Devi solo chiederti che uomo desideri essere per compiacere te stesso.”

Jerry farfugliò un balbettamento. “I-io...” Rick è in prigione, la mia famiglia è disperata, ma io sono ancora qui. Schiacciò entrambi i pugni, restrinse gli occhi riparati dall’ombra del braccio disteso sulla fronte, e una fiamma di coraggio si accese in fondo al suo cuore, gli trasmise una forza che bruciò attraverso ogni muscolo del suo corpo. Io sono ancora qui, ripeté a se stesso. E se sono ancora qui è perché il destino vuole che io cambi le cose, che io cambi la mia vita. Jerry annuì. “Io ora so che uomo voglio essere,” annunciò con una punta di orgoglio a gonfiare il tono di voce. “E so anche come raggiungere quello che voglio.” Girò il capo, rivolse lo sguardo a Mister Miguardi, e i suoi occhi si riempirono di commozione e gratitudine. “Grazie, Mister Miguardi.”

La faccia di Mister Miguardi si illuminò di gioia. “Ooh, sììì, missione compiuta!” Mollò gli appunti e la penna sulle ginocchia e impennò le braccia al cielo. “Sono libero!”

Puf!

Esplose anche lui in una nuvoletta bianca che inghiottì la sua immagine. Il camice si sgonfiò e si accasciò sulla poltrona, la cartella degli appunti vi cadde sopra seguita da penna e occhiali finti che rimbalzarono e giacquero immobili, la montatura di plastica ribaltata sottosopra. I riccioli di vapore nati dall’esplosione di Mister Miguardi si distesero, toccarono il pavimento rotolando sotto le gambe del divano e del tavolino, e la foschia si sciolse, l’aria del soggiorno tornò limpida, svuotata della presenza della creatura che era esplosa sorridendo.

Jerry sospirò. Strinse di nuovo i pugni, annuì a se stesso facendosi coraggio, e fece scivolare i piedi giù dal divano. Si asciugò le ultime lacrime, si rialzò sulle sue gambe, e attraversò il soggiorno imboccando le scale che davano al piano superiore.

Mister Miguardi era esploso, aveva portato a termine la sua missione, aveva esaudito il desiderio di Jerry. E Jerry sapeva quale sarebbe stato il suo compito da quel momento in poi.

 

.

 

Jerry sollevò il mento e agganciò la chiusura metallica del bavero dell’uniforme, appiattì la mano sfiorando la superficie liscia della piastrina che brillava di azzurro, come le placche protettive cucite sulla stoffa della giacca, e fece correre il palmo lungo il petto, sul tessuto nero e arancio della divisa della Federazione Intergalattica. Girò il viso di profilo, senza distogliere gli occhi dalla sua immagine riflessa sulla superficie dello specchio, e ruotò leggermente il busto, quel tanto che bastava per ammirare la fascia rossa stretta sotto la spalla, su cui era marchiato il triangolo capovolto – simbolo della Federazione. Una fitta di commozione gli strinse il cuore, un gonfio sentimento di orgoglio gli scaldò il petto. La divisa gli fasciava il profilo facendolo sembrare più alto, con la pancia più piatta, con spalle più larghe e più robuste, e metteva anche in risalto i pochi muscoli delle braccia. Sulle labbra gli fiorì un sorriso. Le palpebre ristrette tornarono a pizzicare, a riempirsi di pesanti e dure lacrime che stavano per riversarsi sulle guance.

Ma Jerry non pianse. Continuò a guardarsi allo specchio e ripeté la frase che tanto tempo prima aveva pronunciato con le brache calate fino alle caviglie e il pene a pendere fra le cosce, davanti agli infermieri galattici, alle guardie aliene, al corpo smembrato dell’Ambasciatore che stava venendo operato, e davanti agli occhi perplessi di sua moglie e di sua figlia che osservavano la scena a bocca aperta. Jerry inspirò a fondo. “Io sono una brava persona.” Fece scivolare la mano dal petto, stese entrambe le braccia lungo i fianchi, chiuse i pugni e si asciugò l’unica lacrima di gioia che si era staccata dalle ciglia. Continuò a sorridere, le guance si imporporarono, la piacevole sensazione di fierezza rimase a intiepidirgli l’anima. “Ecco cosa voglio essere.”

L’unica differenza era che, questa volta, ci credeva davvero.

 

 

“Mister Miguardi, vorrei che mi aiutassi a diventare un uomo più sicuro di me stesso.”

“Ooh, sissignore, si può fare!”

 

 

 

 

Fine

   
 
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