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Autore: Lila May    10/09/2017    1 recensioni
/ sequelshipping / introspettivo, slice of life / 2.275 parole secondo word /
❝Se ne stava lì, appoggiato contro la colonna, solo come un cane nel suo metro e novantadue d’altezza. La gente gli passava dinanzi, stringeva le spalle dello zaino e accelerava il passo per sfuggirgli, quasi si aspettasse di venire presa per il collo.
Uno spettacolo quotidiano ormai, che si era costretto a farsi andare bene. Quella era la sua reputazione attuale. Aveva senso cambiarla, ora che si era radicata in modo tanto ossessivo?
Bevve un altro sorso, l’ultimo, e proprio mentre stava per sgualcire la lattina tra le mani, la vide.
Lei, Rina.
Camminava verso di lui, con quelle ridicole gambe a momenti più lunghe del corridoio strizzate in un paio di banali, oscene calze rosa retrò.
Arrossì e mostrò i denti in un ghigno, accogliendola tra le spirali del falso pericolo che gli aleggiava intorno come un’aura maledetta. Ecco, ecco che la signorina veniva a dargli del mostro.
Del pazzo isterico, prima di scappare tra le braccia protettive delle nuove amichette sante.❞
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hue, Mei
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Solace.

► Sequelshipping



<< Ragazzi, prestatemi un attimo attenzione! Vi presento Rina! Sarà la vostra nuova compagna di classe a partire da questo anno, per cui datele un caloroso benvenuto! >>
Mentre un monotono coro di timidi saluti si faceva strada tra i ventidue banchi presenti nell’aula, Toni parve risvegliarsi dal mezzo trance in cui era sprofondato da quando aveva posato le natiche su quella scomoda sedia, pronto a sottomettersi alla mercé dei professori per un altro, lungo anno scolastico.
Si grattò tra i capelli bluastri e guardò la nuova arrivata, imitando la finta curiosità che scorreva ipocrita sui visi degli altri.
Rina, o almeno così gli era parso di udire, stava appoggiata contro lo spigolo della cattedra, gli occhi fissi sul pavimento in attesa che la professoressa le affibbiasse un posto in cui potesse sedersi e sparire dalla faccia della terra per almeno le prossime sei ore di lezione. Era magra, fragile nella sua felpa caliginosa di qualche taglia più grande, e a malapena si reggeva sulle gambe, snelle e allampanate come quelle di una modella storta; portava i capelli in due ordinati chignon, dai quali partivano lunghe ciocche castane che le si arricciavano dolcemente sulla punta.
Sembrava a disagio, anzi, lo era e basta.
Sembrava una bambolina di carta, pronta a prendere il volo alla minima folata di vento.
La fecero accomodare accanto a lui, che accolse la notizia con uno sbuffo scocciato prima di fare posto alla giovane tra quaderni aperti su pagine a caso e penne dall’inchiostro quasi finito. Tra tanti posti, proprio vicino a lui dovevano mettere quella sprovveduta di dio? Cristo, sembrava scema.
Si scrutava intorno come se non avesse mai visto i muri di una maledetta aula.
Rina prese subito posto, estrasse i libri dalla borsa rosa confetto e li posò con nonchalance sul banco macchiato d’inchiostro.
Poi, con un movimento del tutto inaspettato, gli porse la mano e gli rivolse un grande, fastidioso sorriso traboccante d’aspettativa. << Piacere, Rina. Tu come ti chiami? >>
Quel tentativo di amicizia lo costrinse a irrigidire le spalle in uno scatto di autodifesa. Che cavolo stava facendo quella tipa? Perché socializzava con uno come lui? Anni di solitudine e ora una perfetta sconosciuta gli si presentava al capezzale con tutte le intenzioni di farselo amico. Che stronzate. Non le rispose neanche, a malapena le concesse il lusso di uno sguardo.
Rina parve farselo bastare, e abbassò la mano con un mesto sorriso di sconfitta.
Le prime tre ore di lezione passarono così, tra silenzi imbarazzati e stupidi scarabocchi sul foglio.
Toni cercò di ignorarla per tutto il tempo.
Cercò di ignorare come la sua lunga mano affusolata si tuffava elegante nell’astuccio, come i lunghi capelli castani le profumavano di vaniglia ogni qualvolta che si voltava, come i suoi immensi occhi blu si spostavano dal campo innevato oltre alla finestra a… a lui.
E lo guardavano come se avessero di fronte la persona più bella e simpatica del pianeta.
Gli scrutavano l’anima in un misto di comprensione e affetto che Toni non aveva mai provato sulla pelle, e reagire in modo tanto impacciato ad un simile contatto visivo lo fece sentire infinitamente stupido. Era rimasto solo da troppo tempo perché potesse comprendere le intenzioni innocenti della nuova arrivata.
La gente gli si era allontanata quando per errore si era infilato in una rissa e, in un attacco di rabbia, aveva spaccato il muso a tutti. Ricordava ancora quel giorno, come se fosse accaduto ieri.
La sospensione era stata solo il primo dei numerosi problemi che ne susseguirono.
Ora lo incrociavano per i corridoi e lo evitavano, intimoriti dalla sua altezza, i suoi occhi di fuoco che facevano tremare chiunque.
Era diventato il mister rage della scuola, un ragazzo da evitare. Il bad boy del quartiere, che se ti prende da solo ti fa il mazzo e ti lascia a terra sanguinante.
Non ne poteva più di quell’etichetta, non era un mostro, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine. Aveva imparato a portarsi addosso il fardello di quel marchio indecente. Ecco perché, quando Rina lo riguardò per l’ennesima volta in quel lasso di tempo, nascose lo sguardo sotto la frangia blu che gli ricadeva a ciocche sulla fronte corrugata.
<< Cazzo, la smetti? >> sbottò, facendo baluginare gli occhi color rubino.
<< Come? Di fare cosa? >> lei parve stupita da quel rimprovero espresso in maniera tanto rabbiosa.
Toni si morse la lingua.
Iniziamo bene. Ora finisci l’opera e tienila alla larga.
<< Di fissarmi così… io… mi fai venire il nervoso. Sul serio, che c’hai da guardare? >>
<< Non posso fissare un ragazzo carino negli occhi? >>
Quelle emozioni strane lo stordirono con la potenza di una mazzata in testa. Nel giro di qualche giorno, anche lei avrebbe imparato a tenersi alla larga da lui, poco ma sicuro.
Avrebbe saputo dell’aggressione, avrebbe cambiato di banco e lo avrebbe lasciato solo ai suoi drammi.
Ecco perché scelse di erigere subito un muro tra loro: così facendo, nessuno dei due avrebbe sofferto. Era stanco di stare male per le persone.
Stanco di doversi sbattere per loro senza ricevere nulla in cambio. Si diede un’occhiata intorno, incrociando lo sguardo con qualche compagno che da un po’ di tempo a questa parte non smetteva di fissare preoccupato la nuova arrivata.
Questi si voltarono non appena si resero conto di  essere finiti nel mirino, sussurrando qualcosa a bassa voce.
<< Vedremo se domani mattina sarò ancora carino come dici. >> mormorò, chinando le spalle in un sospiro nervoso.
<< Ti da fastidio se penso questo di te? Se penso che sei un bel ragazzo? >>
<< Sta zitta. >>
Lei obbedì, sollevando gli occhi al cielo, e ritornò a sfogliare il libro con fare annoiato.
Toni non volle sentire altro, e la ringraziò per il silenzio che creò tra loro. Quando suonò la campanella, sgusciò fuori dall’aula e la lasciò sola in mezzo a persone del tutto sconosciute. Che fossero loro ad occuparsene, a metterla in guardia sul tremendo criminale che aveva cercato di ingraziarsi.
Lui era troppo cattivo per avvertirla.
Il suo sguardo inondato di blu lo seguì fino a quando non si dileguò oltre la porta, aprendola con uno scatto della mano.
Aveva bisogno di prendere una boccata d’aria, di bere qualcosa per scacciare l’ansia.
Quella ragazza lo irritava oltre ogni dire.
 
 
 
Toni affogò la frustrazione in una lattina di gassosa acquistata qualche minuto prima alle macchinette della caffetteria.
Faceva schifo, detestava la roba piena di bollicine, eppure continuava a mandarla giù a grandi sorsate, sperando che l’acidità gli alleviasse la tensione.
Se ne stava lì, appoggiato contro la colonna, solo come un cane nel suo metro e novantadue d’altezza. La gente gli passava dinanzi, stringeva le spalle dello zaino e accelerava il passo per sfuggirgli, quasi si aspettasse di venire presa per il collo.
Uno spettacolo quotidiano ormai, che si era costretto a farsi andare bene. Quella era la sua reputazione attuale. Aveva senso cambiarla, ora che si era radicata in modo tanto ossessivo?
Bevve un altro sorso, l’ultimo, e proprio mentre stava per sgualcire la lattina tra le mani, la vide.
Lei, Rina.
Camminava verso di lui, con quelle ridicole gambe a momenti più lunghe del corridoio strizzate in un paio di banali, oscene calze rosa retrò.
Arrossì e mostrò i denti in un ghigno, accogliendola tra le spirali del falso pericolo che gli aleggiava intorno come un’aura maledetta. Ecco, ecco che la signorina veniva a dargli del mostro.
Del pazzo isterico, prima di scappare tra le braccia protettive delle nuove amichette sante.
Ridicolo, cazzo. Se avesse saputo prima che difendersi da un branco di bulli avrebbe comportato una simile conseguenza, si sarebbe lasciato pestare a sangue.
Si preparò mentalmente alla strigliata, ammirando il fulgido giallo che colorava la lattina. L’unica nota di colore, in quella triste scuola dai muri fatiscenti.
<< Allora, mister rage? >>
Si finse stupito, ma in realtà gli fece male sapere che Rina avesse già appreso il suo marchio di fabbrica. Chissà quante altre stronzate le avevano appena inculcato, nella breve permanenza in classe. Si immaginò un’orda di ragazze circondarla al banco, ansiose di raccontare vicino a che soggetto era capitata. Si immaginò la sua espressione tramutare in puro sdegno, e ciò gli provocò ancora più dolore. << Sì? >>
<< O forse dovrei dire Toni? Toni è più appropriato, sì. Penso che ti chiamerò così. >>
La ragazza incrociò le braccia al magro petto, aspettandosi una qualche spiegazione per ciò che le era appena stato testimoniato da alcune compagne di classe.
Toni rimase zitto a fissarla divertito. Non si sarebbe difeso.
Alla fine tanto la gente faceva sempre come cavolo le pareva. Perché sforzarsi, dunque?
<< E’ vero, Toni? >>
<< Dimmelo tu. E’ vero? >>
<< Mi hanno detto che hai fatto strage, l’anno scorso. Hai spaccato la faccia a tutti. Da vittima a predatore in mezzo secondo. >>
<< Per difendermi. Mi stavano massacrando. E comunque, hanno sospeso sia me che loro. Solo che ora si cagano in mano appena mi vedono. Ci siamo scambiati i ruoli. >>
Rina si strinse nella felpa troppo grande, a scacciare una violenta corrente fredda che era appena entrata da una finestra lasciata aperta. Toni cominciava ad odiarla, quella fottuta felpa.
Era davvero immensa per lei.
<< Sai cosa credo? Credo a quello che dici tu, non a quello che dicono loro. E credo che tutta questa paura nei tuoi confronti sia incorretta, ingiustificata e senza senso. >>
Sollevò un sopracciglio. Wow, che eroina, miss ovvietà proprio.
Voleva anche le medaglie, adesso? Oppure un pugno in faccia?
<< Però, penso anche che… >> gli si avvicinò pericolosamente, con le mani che scendevano dal petto ad avviluppare la vita snella.
Il suo odore di vaniglia gli infestò le narici, facendolo sospirare appena. Era buonissimo, maledizione. L’odore più dolce che avesse mai sentito in tutta la sua vita.
Lo mise in trappola contro la colonna, impedendogli ogni via di fuga.
Sì, esatto, fuga.
Toni aveva sentito l’impellente bisogno di andarsene, ma lei gli aveva appena calpestato ogni speranza di poter togliersi di mezzo.
<< Che sei un debole. >>
<< Come, scusa? Debole io? >>
<< Sì, perché ti lasci dire di tutto senza fare niente. Non combatti, non ti frega niente di te stesso. Sei rimasto solo come un cane, e te lo fai andare bene perché pensi di non meritare niente di bello dalla vita. Fai un po’ schifo, fattelo dire, e tanta tanta compassione. >>
Toni andò su tutte le furie sentendo quelle parole. Lui schifo? Lui compassione? Ma che andava dicendo quell’isterica? Cosa ne poteva sapere una come lei, abituata ad un tipo di vita ben diverso dal suo?
Quel pensiero gli accapponò la pelle di fastidio. Non poteva tollerare un’altra parola di più sul suo conto, specie se detta da una maledetta sconosciuta.
Stupida pretenziosa, arrogante. Veniva lì, ascoltava quattro favole e poi gli faceva la ramanzina.
In un moto di rabbia incontrollato la prese per le braccia e la schiantò contro gli armadietti, provocandole un gemito di lieve dolore.
Era una bugiarda.
Anzi.
Quella ragazza che ora lo fissava senza paura, dritto in volto, aveva fottutamente ragione. Diceva la verità, senza troppi fronzoli; Toni faceva pena ed era uno schifoso debole incapace di reagire. Che si lasciava schiacciare dagli insulti, dai pregiudizi, e che non era in grado di combattere, tantomeno per se stesso.
La campanella doveva essere già suonata, non vi era anima viva nei paraggi.
Ma Rina non chiamò nessuno.
Lo lasciò fare.
<< Dovresti avere paura di me, Rina. >>
Le loro bocche erano vicine. I loro respiri, erano vicini.
<< Dovresti chiamare qualcuno che venga a soccorrerti. Magari un bel biondino. Con un cavallo. Sai, sono pazzo, malato di rabbia. Te lo avranno detto, lì dentro, dei miei scatti d’ira. Non mi tratterrò solamente perché sei femmina. >>
<< Ti cali bene nel tuo ruolo, eh? >> Rina si scostò dalla fronte un ciuffo di capelli, sfuggito alla presa degli chignon quando il ragazzo l’aveva sbattuta contro gli armadietti.
Toni continuava a tenere le mani strette ai suoi polsi, ma allentò appena la presa quando sentì quella frase. << Sei proprio un codardo. >>
<< Non sono un codardo… >>
<< Non hai considerazione ne per te stesso ne per gli altri. Non te ne frega niente. Eppure, soffri come un dannato. Vorresti rimettere tutto a posto, ma non osi. Hai paura di sbagliare. Hai paura di tutto. >>
 Toni la guardò male, malissimo per quell’affronto gratuito e dannatamente giusto. Ma si rese conto che la ragazza aveva beccato il centro un’altra volta, e che da quella discussione ne sarebbe uscita vincitrice solo e soltanto lei.
La lasciò con dolcezza, poi fece qualche passo indietro, cacciandosi le mani in tasca. Non sapeva cosa dire. O come giustificare il suo atto voluto al fine di spaventarla, sì, che però era andato completamente a vuoto.
Era davvero un debole, miseria, persino lui aveva finito per credere di essere un pericoloso malato di rabbia.
<< Scusami. >> disse, nascondendo il mento nel grosso collo della giacca. << Scusa, spero tu non ti sia fatta male. Cercavo di metterti paura. >>
Rina non rispose.
Si massaggiò le mani con energia, poi gli allungò la sinistra; un dolce sorriso carico di affetto sbocciò sul volto imperlato di gioia nel vederlo sussultare. << Allora, riformuliamo. Piacere, Rina. Ti va di essere amici? >>
Toni sorrise. Sorrise e basta, facendole intendere la risposta.
Poi fiondò tutte le sue speranze nel calore vellutato della mano femminile puntata contro il suo petto, cercando un conforto in grado di riempire gli anni di solitudine che lo avevano devastato.
E, con sua palese meraviglia, trovandolo.





Nda
salve popolo! Era da un po’ che non tornavo con la mia ship preferita del mondo Pokémon. Beh, è giunto il momento di riscriverci su, non so perché ho fatto passare così tanto tempo, devo essere sincera. Sono un mostro.
Che dire! Questa storia è dedicata ad una persona speciale, non dico chi, il soggetto interessato lo sa. 

Ho voluto usare Toni per il suo temperamento rabbioso che, ammetto, da davvero sui nervi, ma di, ce lo facciamo andar bene anche così (?). Ho immaginato un ipotetico incontro con Rina, prima che diventassero migliori amici, e questo è il lavoro finito.
Ditemi cosa ne pensate in una recensione se volete, mi farebbe molto piacere riceverla!
Solace significa conforto in inglese, è un sinonimo di comfort, siccome quest’ultimo non mi garbava manco a morire, ho preferito scegliere l’altro, non vi spaventate (?)
Ho detto tutto!
Spero che la storia vi sia piaciuta, ora scappo che c’ho i compiti da finire e dio solo sa quando mi ci metterò sopra.
 
Lou.
   
 
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