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Autore: IndianaJones25    12/09/2017    5 recensioni
Dopo quindici anni, Indiana Jones fa ritorno nelle gallerie della montagna di Penglai, per scoprirne i segreti più arcani. Ma, qui, dovrà confrontarsi con il più subdolo nemico in cui si sia mai imbattuto: i fantasmi del suo passato…
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Short Round, Wu Han
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   NELLE OSCURE GALLERIE

   Montagna di Penglai, 1950

   Ritrovarsi a camminare lungo quei cunicoli tetri e contorti, dopo quindici anni, quindici lunghi anni durante i quali avvenimenti incredibili si erano susseguiti senza sosta, fece riaffiorare nella mente di Indiana Jones tutta una serie di pensieri che rischiarono di soffocarlo con il loro crescente peso.
   Barba lunga, dannatamente simile a quella di suo padre, capelli che avrebbero necessitato le cure urgenti di un barbiere, il tutto prematuramente ingrigito, il professor Henry Walton Jones, Jr. appariva decisamente un po’ più vecchio rispetto ai suoi quasi cinquantuno anni, sebbene ciò non avesse per nulla diminuito il suo eterno fascino. Del resto, con tutte quelle che aveva passato, era del tutto concepibile che il suo fisico ne avesse risentito, invecchiando precocemente.
   Per quanto riguardava quella barba che gli incorniciava il volto, la spiegazione era semplice. Dimenticarsi di prendersi cura del proprio aspetto era diventata quasi una necessità, in quegli ultimi e frenetici anni: dopo aver sperato invano di non essere a sua volta coinvolto nella nuova guerra contro la Germania - per non parlare del Giappone - che, ormai, sembrava, inevitabile, fin dall’autunno del 1941 era stato precettato come spia delle forze Alleate, il che lo aveva più volte costretto a recarsi sotto falso nome, oltre che nel Pacifico, in Germania e nei territori occupati dalle potenze dell’Asse; laggiù, però, il suo volto era già noto e segnalato da tempo. Da qui, allora, la decisione di non disfarsi più della barba, per creare un minimo di travestimento che gli permettesse di non dare troppo nell’occhio.
   Quando la guerra era finalmente finita, poi, Indiana Jones si era trovato a soffrire di una sorta di depressione a causa di tutte le barbarie a cui aveva dovuto assistere in quegli ultimi anni, e aveva giurato che non avrebbe mai più combattuto contro nessuno. Si era chiuso in casa a bere whiskey e, per oltre un anno, la sua unica occupazione era stata soltanto quella di continuare a tenere le lezioni al Barnett College, spassarsela con la sua amante - che era anche la sua segretaria all’Università - e ingurgitare alcol nel tentativo di dimenticare l’orrore di cui era stato testimone. In quel periodo, perciò, aveva del tutto trascurato la barba, limitandosi a sfoltirla quando cominciava davvero a essere inguardabile.
   Nel dicembre del 1946, però, era stato convinto a riprendere servizio come agente segreto. Tedeschi e giapponesi potevano essere anche stati sconfitti, ma i pericoli non erano affatto finiti: adesso, il nemico erano i sovietici. Cambiavano i nomi, magari, ma la sostanza non mutava affatto. Il mondo era in pericolo e, dopo una rapida riflessione, Indy era stato molto contento di rimangiarsi quel suo giuramento che gli era stato indotto da un semplice momento di sconforto e approdare di nuovo alla vecchia vita.
   Tornare a indossare il suo vecchio cappello e a impugnare la frusta, in effetti, gli aveva giovato parecchio alla salute e alla mente, perché nel giro di breve tempo era riuscito a liberarsi di quella sua vita sedentaria, a rinunciare alla bottiglia e a tornare a essere l’uomo di sempre, l’archeologo scavezzacollo con il ghigno serafico sul volto. Persino i suoi incontri segreti con Irene, doveva ammetterlo, ne avevano guadagnato positivamente, anche se, purtroppo, aveva dovuto interromperli bruscamente pochi mesi più tardi, quando era stato licenziato in tronco dal Barnett College ed era stato costretto a ritornare al Marshall College, nel Connecticut.
   Il sospirato congedo illimitato dall’esercito, insieme alla Medaglia d’Onore ed alla promozione al grado di colonnello delle Forze Armate Statunitensi, gli era stato infine concesso dal presidente Truman qualche giorno prima, quando già si apprestava a partire per Penglai. A quel punto, dunque, aveva deciso di dimettersi anche dal servizio segreto - nonostante avesse dovuto promettere al suo superiore, il generale William Eaton, che avrebbe continuato a collaborare con lui, di quando in quando, se ce ne fosse stato bisogno - e aveva preso la decisione di disfarsi finalmente della barba e sistemarsi i capelli per poter sottolineare meglio il fatto che, quel capitolo della sua vita, fosse definitivamente chiuso. Tuttavia, essendo in procinto della partenza, aveva dovuto demandare quell’ultima incombenza a quando avesse fatto ritorno a casa.
   Adesso, l’isola su cui s’innalzava Penglai era un luogo sicuro, disabitato, non più infestato dai membri della Triade del Drago Nero e dai nazisti. Gli ultimi avanzi della terribile setta che, per millenni, aveva messo a ferro e fuoco la Cina, difatti, erano stati spazzati via dalle truppe della Repubblica popolare all’inizio di quello stesso anno, ed all’archeologo era stata concessa la licenza di esplorare la misteriosa montagna e di svelarne finalmente al mondo i più arcani segreti. Quindi Jones, insieme all’amico Short Round ed al fidato George McHale, entrambi compagni di tante avventure, vi si era recato, per portare a termine lo scavo della tomba di Xu Fu, il cui ingresso lui stesso ebbe modo di individuare casualmente, molti anni prima, quando passò di lì in compagnia di Wu Han e di Mei Ying.
   E fu proprio su queste due persone del suo passato che, adesso, cominciarono a vagare i suoi pensieri.
   Se avesse saputo quale fato avesse riservato ad entrambi il destino nelle poche settimane successive alla loro fuga da Penglai, una volta usciti da quelle gallerie avrebbe lasciato perdere tutto e li avrebbe condotti con sé negli Stati Uniti, dove avrebbero potuto cominciare una nuova vita. Invece, non era stato così.
   Mei Ying era stata uccisa dalle sue stesse brame di potere e dalla sua follia - certo, nulla da recriminarsi su questo - mentre Wu Han… Wu Han aveva perduto la vita a causa dell’ostinazione di Jones, che si era creduto invulnerabile e capace di sfidare il mondo intero. Se l’archeologo avesse dato retta ai timori del vecchio amico, una volta raccattato per la strada il piccolo Short Round se ne sarebbero dovuti tornare tutti e tre subito in America, senza accettare di lavorare per quel gangster infido di Lao Che. I due uomini, invece, avevano accolto l’invito ad andare per lui alla ricerca dell’urna di Nurhaci e quando, dopo un paio di settimane di scavi, l’avevano trovata e gliel’avevano portata, Lao Che li aveva traditi, giocando d’anticipo sulle loro mosse. E Wu Han, che in quel momento non avrebbe voluto essere lì, era morto.
   Nei concitati momenti successivi, Indiana Jones non aveva potuto fermarsi a riflettere molto a lungo sull’accaduto: avvelenato, aveva corso il rischio di essere a sua volta ucciso, e si era salvato per miracolo grazie all’intervento di Shorty. Ma la fuga sua e del bambino, in compagnia della cantante Willie Scott, non era certo stata una passeggiata da niente: precipitati sull’Himalaya, erano capitati in India, dove avevano dovuto affrontare antiche maledizioni e fanatici della setta dei Thugs.
   E non era certo finita lì: la strada per Delhi, come lo stesso Jones aveva preventivato, si era rivelata davvero molto lunga ed irta di pericoli, tanto che, una volta giunti nella grande città, la bella cantante aveva deciso di continuare il viaggio per l’America da sola, sostenendo che Jones attirasse i guai come una calamita.
   Peccato, perché per quanto rude e scontroso potesse essere, l’archeologo in quei pochi giorni si era davvero affezionato a quella donna bionda e formosa e avrebbe tanto desiderato approfondire ulteriormente il loro incontro: non che non ne avesse già approfittato - e fare l’amore con lei, prima in una capanna del villaggio di Mayapore e poi nelle acque limpide di un laghetto, era stata un’esperienza davvero indimenticabile - però gli sarebbe tanto piaciuto poter trascorrere qualche altro giorno felice, in sua compagnia. Ma quella era la vita e lui aveva fatto l’abitudine a prenderla così, come veniva.
   Tornato finalmente in America, l’archeologo aveva affidato il piccolo Shorty ad una famiglia di orientali suoi conoscenti, che si sarebbero presi cura di lui, promettendogli che sarebbero stati sempre in contatto e che lo avrebbe condotto ancora con sé in qualcuna delle sue avventure, ed aveva ripreso ad insegnare all’Università.
   Ma lì, infine, era arrivata la consapevolezza, che gli si era rovesciata addosso come una doccia fredda.
   Aveva capito di essere colpevole, di aver provocato la morte immeritata del suo caro amico Wu Han. La depressione non aveva tardato a farsi strada nel suo animo, sebbene avesse cercato in ogni maniera di ostacolarla: dapprima, intrecciando brevissime relazioni, per lo più fisiche, con tutte le bellissime studentesse incapaci di resistere al suo fascino, poi dandosi al bere, sempre di più, spingendosi al limite dell’alcolismo. Di conseguenza, le lezioni del professor Jones erano calate drasticamente di qualità, tanto che l’archeologo, molto spesso, preferiva starsene a languire nel letto, senza presentarsi in aula.
   L’inverno tra la fine del 1935 ed il gennaio del 1936 era stato certamente uno dei periodi più tragici, nella vita di Indiana Jones. L’archeologo aveva perduto il sonno e continuava a vedere dinnanzi a sé il fantasma vitreo e opalescente di Wu Han, venuto a chiedergli conto della sua morte. E, insieme a lui, riaffioravano molti altri ricordi, tutti tormentosi: vedeva suo padre e sua madre, riviveva i litigi con il suo mentore Abner Ravenwood, provava di continuo il dolore e il rimorso per aver abbandonato Marion quando era poco più che una bambina, una ragazzina che lo amava e che lui stesso non era mai riuscito a smettere di amare con tutto se stesso. La consapevolezza degli errori commessi gli si era fatta largo nell’anima, amplificata dall’alcol che gli scorreva nelle vene.
   Ad un certo punto, aveva anche cessato di bere e di portarsi a letto le ragazze, ormai ridotto come una sorta di vegetale. Non riusciva a darsi pace, non riusciva a pensare ad altro che al momento della morte di Wu Han. Rivedeva in ogni istante il proiettile perforare la carne del suo amico, riviveva l’attimo in cui gli si era accasciato tra le braccia. Si sentiva colpevole, era una consapevolezza di cui non riusciva a liberarsi. E, a dire il vero, non si era sforzato neppure troppo di sbarazzarsi di tale pensiero doloroso.
   Era stato a quel punto, allora, che era intervenuto Marcus Brody.
   Il curatore del museo, amico di suo padre e suo padrino al battesimo, quasi un secondo genitore per Jones, non lo aveva mai abbandonato, in quei mesi difficili. E, alla fine, aveva escogitato il modo per distrarlo, per farlo tornare ad essere quello di un tempo. Come curatore del museo, era sempre alla ricerca di nuovi manufatti con cui arricchire le collezioni del suo istituto. Con una mossa da maestro, quindi, aveva messo a punto numerose spedizioni archeologiche, tutte guidate da Indy, indirizzate verso i più remoti angoli del pianeta. E, così facendo, un poco alla volta Indiana Jones era tornato l’uomo di sempre, l’intrepido archeologo capace di gettarsi nelle più disparate imprese e, allo stesso tempo, amante del lusso e delle comodità, a cui faceva sempre ritorno dopo aver incassato il compenso per il suoi lavori.
   In maggio, quando ormai Indy era tornato appieno l’avventuriero cinico, freddo e calcolatore che sempre era stato, Marcus lo aveva spedito nel Sud America, alla ricerca dell’idolo della fertilità custodito in uno sperduto tempio nella foresta, incitandolo a darsi da fare per arrivarci prima del concorrente Forrestal, partito da oltre un anno alla sua ricerca e mai ritornato. Ed era stato un bene persino che René Belloq, il rivale di una vita intera, si fosse messo di mezzo; ritrovato completamente lo spirito di competitività di un tempo, Indy aveva infine scordato gli ultimi, drammatici mesi.
   Ed il periodo successivo, poi, era stato colmo di momenti che gli avevano restituito la sua vita, colpo su colpo: la ricerca dell’Arca dell’Alleanza, il rinato amore per Marion, l’unica vera donna della sua vita - escludendo solamente i terribili momenti in cui aveva creduto di averla persa per sempre, quando il mondo gli era crollato un’altra volta addosso e lui aveva nuovamente, anche se fortunatamente per poche ore soltanto, trovato conforto nella bottiglia - e, poi, la partenza con Marcus, Sallah e la stessa Marion alla volta di Marrakech per riappropriarsi definitivamente dell’idolo della fertilità rubato da Belloq, la ricerca - poi non portata a termine, anche se interrotta solo in maniera momentanea - delle vestigia di Atlantide in compagnia di Shorty… insomma, il resto del 1936 era stato un periodo che aveva visto rinascere completamente Indiana Jones.
   Anzi, a dirla tutta - e questo non era propriamente un vanto - era tornato a tal punto l’uomo di un tempo che, l’anno successivo, a pochi giorni dalla data del suo matrimonio con Marion, senza dire nulla a nessuno era scappato di casa con una ragazza dai capelli rossi conosciuta in Università - non ricordava neppure come si chiamasse, perché dopo neppure un paio di settimane era caduto vittima di un’affascinante biondina - e si era imbarcato in una nuova e spericolata avventura in Africa. All’inizio, si era sentito molto più di un verme, per come si era comportato con la povera Marion, e non era mai riuscito a perdonarsi per quel suo atteggiamento così infantile nei confronti dell’unica donna che avesse mai veramente amato. Ma, ormai, la nave era salpata e tornare indietro sarebbe stato impossibile…
    Insomma, alla fine, Indiana Jones aveva ripreso in mano la sua vita ed era riuscito a relegare Wu Han nell’angolo dei ricordi - dolorosi, certo, ma semplici ricordi. Adesso, però, tornando a camminare nelle oscure viscere della montagna di Penglai, in mezzo al silenzio e tra le raffigurazioni degli antichi idoli di pietra, l’immagine del suo amico riaffiorò con prepotenza alla sua memoria. Si vide ringiovanito di quindici anni, in compagnia del vecchio compagno e di Mei Ying, a fuggire dagli sgherri del Drago Nero ed a perdersi in quei cunicoli, senza sapere verso dove si stessero dirigendo con esattezza.
   Wu Han, più concreto che mai, era lì davanti a lui, ancora vestito da cameriere, il petto macchiato di sangue, come quando era stato assassinato.
   «Perché non hai impedito che mi uccidessero?» sembrò domandargli Wu Han.
   «Mi dispiace molto, Wu Han… io ti giuro che ho provato a fare ammenda…» replicò Jones, abbattuto, con le lacrime agli occhi.
   «Lo so. Hai sofferto e so anche che hai a lungo meditato di rintracciare Lao Che per fargliela pagare, sebbene poi tu non lo abbia fatto. Sono contento che tu non ti sia trasformato in un brutale assassino: questo, infatti, non mi avrebbe di certo riportato in vita, lo sai bene.»
   «Sarei morto io, al tuo posto, dico davvero! Avrei preferito che andasse così!» si lamentò l’archeologo.
   «Ma non lo hai fatto! Sei ancora vivo, Indy!»
   «Potrai mai perdonarmi?» implorò Jones, disperato.
   «Ti ho già perdonato, Indy, vecchio mio. Anzi, non c’è nulla da doverti perdonare, in verità. Sopravvivendo, hai compiuto imprese che io non sarei mai neppure stato in grado di iniziare, che resteranno per sempre nella memoria di tutti, degne di essere cantante come le epopee degli eroi mitologici. Quante volte hai salvato il mondo da una catastrofe? Quante volte hai contrastato uomini malvagi? Non hai forse rischiato più e più volte la tua stessa esistenza per impedire che le forze del male marciassero incontrastate? E non hai servito il tuo paese con onore e fedeltà, ritenendo la tua patria ed i tuoi concittadini - anzi, diciamo pure il mondo intero - più importanti della tua stessa vita? Non hai assolutamente nulla da rimproverarti, Indy! Io ti sono infinitamente grato di non essere morto al mio posto. Quando verrà il momento, ci rincontreremo nuovamente, nel regno del grande mistero. Ma spero che quel momento giunga il più tardi possibile.»
   «Wu Han…» mormorò Jones.
   Ma l’immagine era sparita ed al suo posto rimasero solamente le figure di Mac e di Shorty, che camminavano davanti a lui illuminando la galleria con le loro torce. Il cinese, un ventiquattrenne estremamente atletico, campione di arti marziali, si volse all’indietro, nell’udirlo pronunciare parole incomprensibili.
   «Che cosa succede, dottor Jones?» domandò
   «Sì, Jonesy, perché ti sei fermato?» chiese McHale, girandosi a sua volta.
   Il professore guardò i due amici, un po’ stralunato, quasi sorpreso di trovarseli lì davanti. All’improvviso, tuttavia, gli sovvenne di essere nel 1950 e del motivo per cui era disceso in quelle tetre gallerie.
   Sorrise, sotto la barba alla Henry Senior che non vedeva l’ora di radersi.
   «Ci siamo, guardate.»
   E puntò la torcia contro la parete alla sua sinistra, illuminando una scritta tracciata con un gessetto, che si era conservata come se fosse stata appena redatta:

 
 I. J., Sept. 1935.

   Con entusiasmo, i tre uomini si misero alacremente al lavoro per scoprire quali segreti si celassero oltre la finta parete di roccia.


[scritto: agosto e settembre 2017; revisionato: novembre 2019]
   
 
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