Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    13/09/2017    1 recensioni
L'ho già detto altre volte, non so scrivere le song fic... le canzoni mi ispirano molto, ma quando comincio a scriverla mi dilungo e non riesco a seguire semplicemente i versi, mi lascio ispirare e vado dove il cuore mi porta...
In questo caso è Shu che mi ha preso per mano e i versi di Renato Zero hanno fatto il resto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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TU CHE SEI MIO FRATELLO


 


 

Se vuoi,

Resto qui.

Ricomincio insieme a te!

Vedrai, guarirai.

Ti aiuterò a rinascere, se vuoi, se vuoi…


 

Vi è un luogo che più di ogni altro Shin considera un rifugio quando si sente perso, non importa il clima, anche se ora fa freddo. Potrebbe esserci il gelo polare, ma se c'è dell'acqua, il lago in questo caso, lui dimentica...

Riesce a dimenticare persino il disagio del corpo costretto in un clima proibitivo, semplicemente non se ne accorge: ha l'acqua vicino a lui e tanto basta.

Questo mi preoccupa perché, per quel che ne so, potrebbe essersi spogliato e tuffato nel lago, riducendosi ad un blocchetto di ghiaccio senza neanche rendersene conto.

Invece almeno a questa follia non ci è arrivato... non ancora.

Lo trovo seduto sul ponte di legno che si affaccia sul lago, scorgo la sua sagoma nel buio raccolta su se stessa, in un modo tale che non distinguo le varie parti del corpo: è come un bozzolo di pena che si abbraccia per provare un po' di calore. Percepisco persino il suo tremito, nonostante l'oscurità e non sono certo che sia dovuto solo al freddo, per quanto intenso.

È in questi momenti che ho paura.

Non di lui, non potrei neanche pensarlo.

Ciò di cui ho paura sono... le sue paure, la sua tristezza, il suo bisogno di fuggire e, forse, di scomparire: sempre più spesso è questa la sensazione che trasmette e come potrei non esserne terrorizzato?

Tuttavia voglio cacciarla questa paura, perché lui ha bisogno di me, più che di ogni altra cosa.

Non è presunzione la mia e se lo è non mi importa, so quanto conto per lui e so, soprattutto, quanto conta lui per me. Lo amo in maniera così intensa che vorrei gridargli di aggrapparsi a me con tutto se stesso e che io sono disposto a tutto, a raccogliere le sue lacrime, a piangere con lui... e a rimanere tutta la vita con lui.

È terribile pensare che ci separeremo ancora, ogni volta diventa più pesante e difficile da sopportare, forse perché ogni volta, quando ci salutiamo, vedo la luce dei suoi occhi spegnersi sempre un po' di più e ad ogni nuovo incontro è tutto in lui a sembrarmi più spento. Dentro di me temo quasi che, prima o poi, non lo vedrò più tornare, perché si sarà consumato, lentamente, fino a scomparire.

Anche adesso sembra sul punto di svanire; sarà il buio che rende tutto più evanescente, sarà perché è così rannicchiato da sembrare la metà di quel che è davvero, ma penso con orrore che potrebbe scomparire nel nulla se solo provassi a sfiorarlo, potrebbe dissolversi come spuma di mare in questo freddo vento notturno.

I miei passi sono lenti e, infine, mi lascio cadere in ginocchio alle sue spalle. Le mie mani sono più veloci di ogni mio pensiero e della sua capacità di percepire la mia presenza: le poso sulle sue spalle e le mie dita stringono in un energico massaggio.

Si irrigidisce, ma è un attimo. Non riesce mai a rifiutarmi del tutto, io lo so, si è abbandonato a me fin dal primo giorno, anche se all'epoca non lo avrebbe mai ammesso.

Anche adesso sento la sua tensione sciogliersi sotto le mie dita.

“È inutile, non sai resistermi, pesciolino”.

Scuote il capo con una risatina che non riesce a cacciare la sua aura malinconica e lo riabbassa subito, come se fosse troppo appesantito da una prostrazione che non gli permette di stare dritto, nè di guardare dritto davanti a sé.

Esercito con i pollici una gentile pressione sulla parte posteriore del collo e chino la testa in avanti, fino a posare la punta del naso tra i suoi capelli.

“Sei triste... e io non lo sopporto”.

Lo dico con forse troppa rabbia e lui ha un sussulto, in seguito al quale si fa ancora più piccolo sotto le mie mani.

“Scusami” aggiungo subito, strofinando il naso contro la sua nuca.

Scuote ancora il capo.

“Nulla Shu, è che mi dispiace... crearti problemi”.

Dopo una frase simile non posso che arrabbiarmi davvero, tuttavia mi trattengo, perché l'ultima cosa che desidero è litigare e farlo stare ancora peggio.

 

Io e te,

Torneremo,

Quell'attimo smarrito tempo fa…


 

“Sei gelato”.

Il suo corpo contro il mio è freddo, sta tremando e non per il clima, ne sono sicuro: è soprattutto quel che sente dentro di sé a ghiacciare il suo corpo, così come il suo spirito.

Tuttavia non si può negare che faccia freddo davvero e, in questo momento, non c'è Ryo a dare tepore ai nostri corpi.

“Anche tu lo sei” ribatte con la sua risatina deliziosa.

È vero, ma almeno io ho preso una giacca prima di uscire, lui ha addosso poco più della pelle.

“Andiamo dentro... vuoi?”.

Annuisce, contrariamente ad ogni mia aspettativa. Averlo vicino a me, così malleabile, mi ricorda il vecchio Shin, quello che si impiegava poco a far sciogliere e a rendere condiscendente.

In fondo è sempre Shin, solo più grande, più triste ed insicuro, ma ciò che è tanto puro come lui non può annullarsi del tutto nell'oscurità della tristezza, soprattutto se è circondato da chi lo ama. E Shin è amato, dalla sua famiglia e da tutti noi, perché non può essere altrimenti: Shin è fatto per essere amato e questo non cambia, non può cambiare.

Mi alzo tenendolo per mano e lui asseconda di buon grado i miei movimenti, finché ci troviamo in piedi, l'uno di fronte all'altro e i nostri sorrisi si rispecchiano.

Ho un tuffo al cuore non privo di inquietudine, mentre mi sembra di tornare al passato: il timore che si tratti di illusione, di effimeri istanti, è pressante quanto il sollievo che provo nel contemplare una simile espressione sul volto di Shin

Restiamo in silenzio mentre camminiamo verso casa, Shin è del tutto abbandonato a me e io non voglio interrompere quest'attimo di incanto che si è creato tra noi, ardo dal desiderio di farlo durare il più possibile.

Sto pensando, mi sto interrogando con disperazione: come posso preservare questo Shin un po' più felice? O, forse, solo un po' più rilassato, ma come inizio va anche bene. Col tempo... col tempo forse potremmo tornare a parlare anche di felicità, quella su cui fantasticavamo quando eravamo ancora dei ragazzini ingenui, con le testoline piene di sogni.

È triste, però, pensare che si trattasse solo di ingenuità e infantile innocenza, io voglio crederci ancora e voglio che Shin ci creda ancora, voglio crederci per lui, per continuare a vedere questo sorriso, per continuare a percepire questa fiducia con la quale si appoggia a noi.

Lo so che non si può tornare indietro, non sono così ingenuo, anche se mi si dà spesso dell'infantile sognatore.

È vero, tendo ad illudermi costantemente e sono consapevole che questo mi ha già portato e mi porterà a tante delusioni, ma i miei nakama no, Shin no, loro non mi deluderanno e che lo si pensi pure che, anche in questo caso, pecco di eccessivo candore. Io mi fido di loro e questo non cambierà, anche se non posso rigirare la clessidra del tempo per farla ripartire daccapo.

Mi fermo e, senza lasciare la sua mano, faccio un mezzo giro per ritrovarmi di fronte a lui, che si blocca, con un adorabile punto interrogativo nello sguardo. L'altra mia mano accompagna la prima e cerca l'altra mano di Shin, afferrandola saldamente: ora siamo come due bambini in procinto di suggellare un giuramento. “Lottiamo insieme”.

Apre la bocca, è evidente che questo mio improvviso fervore lo abbia colto alla sprovvista e mi osserva, come stranito.

“Lo abbiamo... sempre fatto” sussurra poi, incerto.

Scuoto il capo, anche lui sa essere ingenuo a volte, davvero tanto.

“Non in quel senso, non parlo sempre di battaglia io!”.

“Non... non intendevo...”.

Ed eccolo che teme di avermi offeso.

Gli lascio le mani, ma solo per portare le mie al suo viso...

Kami-sama, quanto è in alto il suo viso rispetto al mio...

Ma quando è stato il momento in cui ha cominciato a potermi guardare così, dall'alto in basso? Con quegli occhi sempre da cucciolo poi, da fochetta un po' spavalda e un po' impaurita al tempo stesso.

Trema sotto le mie dita, la sua pelle è così fredda che viene da chiedermi con terrore se scorra ancora del sangue in lui, viene da chiedermi se sia davvero reale questo meraviglioso ragazzo che sto concretamente toccando o se sia tutto un sogno, anche la concretezza che percepisco.

Deglutisco: cosa mi sta succedendo?

Per rendere effettivi questi istanti, per sfuggire ai miei pensieri malsani, lo fisso con un'intensità alla quale il suo sguardo non può sfuggire, perché le mie mani sono salde, come la mia determinazione.

“Lottiamo insieme... per non perderci”.

Sussulta, i suoi occhi si fanno così grandi che la luna si smarrisce nella loro profondità.

“Sh... Shu...”.

Di colpo i suoi occhi non li vedo più, trema così forte che forse proprio per questo si lascia cadere in avanti, fino a posare la fronte sulla mia spalla, il corpo contro il mio con tutto il suo peso, tanto che devo piegarmi all'indietro e i miei occhi incontrano le stelle e la luna. Le sue mani si posano sul mio petto e afferrano con tale disperazione il mio cappotto da strattonarlo, quasi con rabbia.

Mi ha colto così di sorpresa che, nell'immediato, rimango inerme, la testa reclinata all'indietro a contemplare quello spettacolo di astri notturni che piacerebbe tanto a Touma, le braccia abbandonate ad oscillare lungo i fianchi e la bocca spalancata in una muta esclamazione di stupore.

Poi il bisogno di proteggerlo prende il sopravvento, la consapevolezza che non posso lasciarlo così, immerso nel suo dolore, senza fargli sentire la mia presenza, il mio conforto che mai gli mancherà. Così abbasso lo sguardo, con la coda dell'occhio intravvedo i suoi capelli castani che la luna tinge di sfumature dorate e le mie braccia lo circondano, gentili. Anche io, Shu di Kongo, forte come una roccia, so essere delicato... sono il più delicato del mondo con chi merita solo delicatezza.

“Cosa ti succede, pesciolino?”.


 

Noi, noi, noi.

Noi siamo forti, noi.

Abbiamo gli occhi chiari noi,

E un sogno in più.


 

“È che... mi sento debole”.

Sussulto, lo prendo per le spalle e lo allontano da me, ma solo per guardarlo fisso negli occhi.

“Stai male?”.

Sospira e scuote il capo, mentre fugge a quel mio tentativo di scrutarlo abbassando il viso.

“Non parlo del corpo...”.

Che stupido sono, davvero a volte sono così concreto che non so cogliere le sfumature di un discorso, mi sfuggono le metafore, sono troppo semplice, mi sono sempre sentito troppo semplice rispetto ai miei nakama, troppo semplice per capire fino in fondo una mente come quella di Shin, che sa essere così contorta da rasentare l'autodistruzione a volte. E la mia semplicità mi fa temere di non essere in grado di aiutarlo.

“Ho... capito” mi limito a rispondere, un po' imbarazzato. E mi trovo a non sapere cosa dirgli, come confortarlo, come... fargli cambiare idea.

Come posso fargli cambiare idea?

Anche io mi sento interiormente più fragile e vulnerabile di un tempo, per quanto mi sforzi di fare in modo che nulla cambi, neanche io sono più quel ragazzino di allora. Ci si può aggrappare ai sogni, tentare di trattenerli tra le dita con disperazione e trovarsi ad urlare per la frustrazione perché, per quanto lo si desideri, la vita ci porta a cambiare e a lasciarsi sfuggire qualcosa, a lasciare forse indietro qualcosa...

Quel qualcosa che ci rendeva ingenui e tanto più felici: quei sogni che non sappiamo più ritrovare, ai quali non sappiamo più credere.

Scuoto il capo e rigetto con forza ogni malsana idea che mi impedirebbe di aiutare il mio amore e le mie mani sono sulle sue guance, impediscono al suo viso di scappare, con fermezza, i nostri occhi si specchiano gli uni in quelli dell'altro.

Mi ritrovo a pensarlo, come tante altre volte: sono strani i nostri occhi. Cinque ragazzini nati in Giappone da famiglie giapponesi, cinese la mia e tutti, tutti e cinque abbiamo gli occhi chiari: azzurri, verdi, violetti.

Un altro segno del destino, altro marchio a fuoco di una predestinazione alla quale non potevamo sfuggire?

Oppure...

Oppure simbolo dei nostri animi incorrotti, nei quali vi è sempre un sogno in cui sperare?

È questo ciò in cui voglio credere, ciò in cui voglio che Shin continui a credere: che il sogno di noi cinque, dei nostri cuori che battono come uno, non cesserà mai di esistere.


 

Mai, mai, mai.

Non tradiremo, mai,

La verità!


 

Nei suoi occhi si rispecchiano le stelle e lo so che anche nei miei esse trovano un posto; vorrei che lui, guardando i miei occhi, provasse le medesime cose che sto provando io perdendomi nei suoi così belli e pieni dell'universo che ha dentro. Significherebbe che crede ancora in noi...

Ma ne è ancora in grado?

“Se ti senti debole, permettimi di essere forte per entrambi. Ce la faccio, sai? Io sono forte e per te posso tutto”.

Sussulta, si morde le labbra e su di esse, subito dopo, prende forma il mio nome, tra un sussurro e un singhiozzo. Io non so se lui si rende conto di quante meraviglie abbia dentro: quegli occhi, quelle labbra, quella voce...

No, non si rende conto o non starebbe così male, continuerebbe a credere in se stesso.

Per questo adesso fa così fatica a credere in noi: se non crede in se stesso, non può neanche credere del tutto al nostro unico cuore.

Le mie mani scivolano giù a cercare le sue, le stringo forte.

“Vieni con me...”.

“Do... dove?”.

“Dove ti sentirai al sicuro, tra le mie braccia... e vicino all'acqua”.

Trema ancora, le sue labbra vibrano senza emettere suono; non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che vorrebbe sorridere, un tentativo non del tutto riuscito che, per ora, mi basta, è come una conferma per me.

Così come una conferma è il suo abbandonarsi, il suo lasciarsi guidare e io riconosco la fiducia, per un attimo ho la sensazione di intravvedere il suo kanji che ammicca sulla fronte, ma potrebbe essere null'altro che suggestione...

O forse no.

Non importa, io percepisco cos'ha nel cuore il mio Shin quando, per un po', mette da parte le torbide acque dei suoi pensieri malsani per lasciar pulsare solo la fonte limpida del suo animo puro.

E in questo momento è il medesimo Shin di quei giorni che sembrano appartenere ad un'altra esistenza, il ragazzo che in battaglia si affidava a noi con tutto se stesso e tutto se stesso donava al gruppo per rendersi utile e nascondere la paura dietro il suo bisogno di proteggerci.

I nostri passi sono leggeri mentre torniamo indietro, ho cambiato idea; se voglio che Shin sia completamente se stesso, che si abbandoni completamente a me e alla gioia di essere insieme, ho bisogno dell'aiuto dell'acqua. Non importa se fa freddo, lui con me non avrà freddo, lo riscalderò con il mio corpo e con il mio cuore, perché io adesso ho caldo, la sua vicinanza, il contatto delle nostre mani, mi dà tutto il calore che mi è necessario. E poi io sono forte, io resisto a qualunque cosa, soprattutto se i miei nakama sono con me.

Mi accuccio sul prato, poco distante dalla passerella di legno che si affaccia sul lago e gentilmente, con una leggera pressione, lo invito a sedersi accanto a me. Non ho bisogno di insistere e, quando mi si accoccola accanto, poggiando la testa sulla mia spalla, rinascono immediatamente in me tutte quelle emozioni che ormai conosco fin troppo bene.

Gli bacio la nuca e lo abbraccio.

“Sei gelato” ripeto per la seconda volta sotto le stelle.

Accompagno la mia osservazione con frizioni lungo le sue braccia e la schiena, nel tentativo di riscaldarlo. Poi mi tolgo la giacca e la drappeggio intorno al suo corpo; lui cerca di ritrarsi e di rifiutare il mio gesto.

“Così avrai freddo tu”.

“Per chi mi hai preso? Starai diventando più alto, ma io ho sempre più carne addosso di te!”.

La mia battuta lo fa ridacchiare e la sua sottile risata mi fa tremare le gambe per il piacere che mi provoca. In ogni modo ottengo la sua resa e si lascia coprire, portando le mani ai lembi del cappotto, per stringerlo di più al suo corpo.

Sotto di noi lo sciacquio dell'acqua sembra farsi più intenso; forse è merito del sorriso di Shin...

Certo che sì, l'acqua è il suo riflesso: se lui ride, anche l'acqua ride.

E anche io rido, sorrido mentre lo contemplo in preda all'incanto che mi trasmette.

Per questa volta ho vinto, noi abbiamo vinto sulla tristezza che, sempre più spesso, ci opprime, non lo so perché, ma sembra che le nostre certezze, a tratti, vacillino. Forse è logico, è il destino di chi deve affrontare eventi troppo grandi di ogni misero essere umano.

Siamo guerrieri. Chi meglio dei guerrieri può oscillare tanto spesso tra fiducia nei propri ideali e senso di vulnerabilità, di precarietà e paura?

Paura che sia tutto sbagliato.

Shin crede che io non lo sappia, che non mi capiti mai di pormi simili dubbi?

Le mie labbra prima sorridenti si stringono e, l'attimo dopo, le mie mani sono di nuovo sul suo viso: lui mi fissa con un misto di inquietudine e aspettativa.

“Non credere mai che io non possa capirti, pesciolino”.

“Sh... Shu...”.

“Non crederlo mai!”.

Sono insistente, voglio che si imprima nella mente queste mie parole.

“Il fatto che tu abbia un gran casino dentro intendo... lo so... è questo che voglio che tu capisca, abbiamo tutti un gran casino dentro, saremmo degli idioti a non averlo!”.

“Oh, Shu”.

Il suo tono adesso è tenero e un po' ironico; il mio improvviso e maldestro fiume di parole gli ridona il sorriso. Mi sento arrossire e abbasso lo sguardo, mentre il mio tono si fa più incerto:

“Non sono proprio bravo a esprimerlo, ma...”.

Un'altra risatina e questa volta è lui ad afferrarmi il viso.

“Sei bravissimo invece, in poche parole hai espresso quello che io non riuscirei ad esprimere con diecimila!”.

Lo guardo dal basso in alto e faccio una linguaccia, per sdrammatizzare il mio imbarazzo:

“È perché sono uno che va subito al sodo”.

“Hai ragione”.

Risatine e sospiri leggeri, come le nostre conversazioni di un tempo, come a poter far tornare indietro le lancette di un orologio che invece va avanti e ci concede sempre meno istanti simili a questo.

“Quello che ti voglio dire...”.

Si stupisce per il mio improvviso entusiasmo, per la determinazione che infondo nelle mie nuove parole e torna a fissarmi con la sorpresa sul volto... e con quell'aspettativa nei miei confronti che mi fa sentire in grado di arrivare sulla luna per potergliela donare tutta intera!

Deglutisco tutta l'emozione che mi trasmette quello sguardo prima di proseguire:

“Quello che voglio dire è che, anche in tutta questa incertezza, c'è una certezza ben salda, cioé noi. In tutto questo casino ci siamo noi, non è vero? E allora... qualcosa di certo, di stabile, c'è... siamo noi, il nostro cuore che è uno, sempre uno solo!”.

Si morde le labbra e mi è subito chiaro che, adesso, la sua emozione non è minore alla mia.

Spero che capisca quello che intendo, non so esprimermi meglio di così; spero che capisca che la nostra forza è proprio questa, il nostro legame è ciò che ha creato la nostra verità, la realtà che supera ogni incertezza.

È tutto ciò che ci permetterà di andare oltre i nostri dubbi.

 

Tu che sei mio fratello,

La mia donna, il mio dio.

Tu che vivi in silenzio,

Non scordare il nome mio!

 

Abbassa lo sguardo e si accoccola ancora di più nel mio cappotto. Vorrei che sorridesse ancora invece, purtroppo, mi sembra di nuovo triste. Non posso credere che per lui le mie parole non contino più come un tempo.

Mi chino verso di lui e cerco il suo sguardo, quasi con disperazione:

“Shin... non mi dici niente? Tu credi a quel che ti ho detto, vero? Perché sembra che...”.

Scuote il capo e la sua voce, quando mi risponde, è un lieve trillo che si accorda con lo sciacquio del lago:

“Non fraintendermi Shu. Se non fosse per noi, se non fosse per la forza che mi date, a volte temerei di non avere proprio altro. È questo che mi spaventa. Ci siete voi, ma se dovessi perdervi cosa mi resterebbe?”.

Sussulto. Le sue parole sono terribili, cosa va a pensare?

“Perderci... perché pensi una cosa del genere?”.

Non risponde subito, a volte ho la sensazione che non abbia il coraggio di esprimere cosa ha davvero dentro.

“Ogni volta che combattiamo... che vi vedo in pericolo...”.

Si interrompe ancora.

Certo... lo capisco...

Pensa che io non viva di queste paure? Che non mi senta impazzire ogni volta che sento le loro grida di dolore, mentre subiscono i colpi del nemico in battaglia?

Eppure sento che non è tutto qui, non sono solo questi i suoi timori; c'è qualcos'altro che non riesce ad esprimere.

Non ci riesce perché lo spaventa e io non so come convincerlo che non deve temere niente se io sono con lui.

Non so come convincerlo perché non conosco l'entità dei suoi pensieri, lui non me lo permette, lui in apparenza così limpido ha una parte di sé che non osa svelare, lo so da tempo e di quella parte ho paura quanta ne ha lui.

Non voglio ammettere che esista quella parte sepolta di Shin, perché temo che possa portarlo via da noi. Per me è angosciante il solo riconoscere un simile pensiero che mi gira nella testa.

Lo vedo sparire nella mia giacca, come se volesse proteggersi da qualcosa, forse da quel suo se stesso che temiamo entrambi.

Sussurra qualcosa, ma non riesco a sentirlo. Mi accosto ancora di più a lui.

“Che hai detto, amore?”.

“Mi piace stare qui dentro... ha il tuo odore...”.

“Allora, non è meglio qui? Lo sentirai di più”.

Allargo le braccia e lui accetta di buon grado.

Non vorrei che il discorso finisse, c'è tanto non detto ancora e io non riesco a fare altro che questo: stringerlo a me, fargli sentire la mia presenza. Ma non insisto, non scavo di più, anche se dovrei.

“Bravo pesciolino, così riscaldi anche me”.

“Ecco, vedi? Avevi freddo e non me lo dicevi”.

Sussurri e vani discorsi, che non vanno oltre le nostre carezze, i baci che ci scambiamo. Una parte di me mi suggerisce che non è il momento di andare oltre, di far salire altro in superficie, ma allora quando sarà il momento? Quando sarà troppo tardi?

“È solo una battuta, per farti capire quanto mi piace farmi abbracciare da te”.

In risposta mi stringe più forte:

“Ti basta chiederlo, non hai bisogno di trovare scuse”.

Solleva il viso e i nostri occhi si incontrano, la luna si specchia nei suoi insieme alle stelle e illumina il suo sorriso: quanto vorrei far durare quel sorriso per sempre, ma ora esso accentua la mia tristezza, perché quel brutto presentimento dal mio cuore non se ne vuole andare.

“Torniamo dentro scimmietta. Se ti venisse il raffreddore non me lo perdonerei”.

“Per un raffreddore? Cosa vuoi che sia?”.

Le sue labbra si sporgono nel broncio che conosco bene e al quale non so resistere, quell'espressione che gli vale, da tutti noi, l'appellativo di mammina Shin.

“Se mi vuoi bene non disobbedirmi e non farmi preoccupare!”.

“Agli ordini” rispondo, soffocando una risata.

Ci alziamo e, mano nella mano, ci avviamo verso casa, di nuovo e questa volta arriviamo a destinazione.

Il silenzio che ci accoglie rende in qualche modo ancora più intenso il buio intorno a noi, il costante ticchettio di un orologio mi dà la sensazione dell'inesorabile scorrere del tempo e non è piacevole ciò che mi trasmette.

In qualche modo so che Shin condivide il mio improvviso malessere e mi sento in colpa, perché lui percepisce gli stati d'animo come uno specchio riflettente. Eppure, al tempo stesso, ho come il sentore che questa volta sono io a riflettere un malessere che in realtà è il suo. O forse, dopotutto, sono due facce del medesimo disagio, perché entrambi sappiamo che qualcosa non va, che qualcosa non è più come un tempo e che il tempo, appunto, non ci è affatto amico in questo momento.

Intanto l'orologio mi ricorda che mancano poche ore e dovremo separarci, per tornare ciascuno alle nostre case, alla nostra quotidianità, ad una normalità che ci sembra appartenere ad un'esistenza alternativa... e noi non sappiamo più se la realtà autentica sia questa o quell'altra.

Shin si sentiva meglio vicino all'acqua, io tra le voci della terra, all'esterno. Adesso queste quattro mura fanno tornare a galla ciò che eravamo riusciti, momentaneamente, a seppellire.

La mano di Shin scivola dentro la mia e si allontana; è solo per imboccare le scale che conducono alla nostra stanza, eppure alle mie percezioni è come un nuovo distacco. Abbasso lo sguardo e lo seguo, tentando di soffocare ogni cattivo pensiero.

Interpretando il mio desiderio, che evidentemente è anche il suo, si precipita subito ad accendere la luce, ma il mio sospiro di sollievo è di breve durata: se possibile quella luce artificiale, bassa, direi persino sporca, è ancora più sgradevole delle tenebre notturne. La luna e le stelle erano molto meglio, sento persino più freddo di quando stavamo fuori.

Shin si spoglia e saltella per dar calore al proprio corpo, mentre cerca i pezzi del pigiama. Io invece rimango incantato.

Non ne posso fare a meno, quel corpo nudo, perfetto in ogni suo frammento, mi rapisce in un modo che adesso è struggente. Non posso credere che non potrò più vederlo... per quanto?

In pochi passi lo raggiungo e le mie braccia sono intorno a lui, bloccano ogni suo movimento; la sua schiena sinuosa, accogliente come un'onda del mare, è per me un porto sicuro e non resisto alla tentazione di baciare la pelle morbida. È come bere acqua pura, il suo sospiro è come ascoltare la voce dolce dell'oceano.

È il mio mondo, tutto quello che per me conta e quando non sono con lui, quando non posso sfiorarlo, toccarlo, mi manca l'alito vitale, neanche il cibo conta più nulla per me, perché tutto ciò di cui ho bisogno è ciò che adesso sto toccando, abbracciando, baciando.

L'amore assoluto...

È grazie ai miei nakama, grazie soprattutto a lui che ho definitivamente compreso cos'è l'amore per me, ho compreso che non ha confini quando è totale fino a questo punto.

Shin racchiude in sé tutto ciò che un uomo come me ritiene indispensabile: è un fratello in più, per me che ne ho tanti, un altro fratello da proteggere e da preservare dai mali del mondo, un fratello che vorrei rinchiudere in una campana di vetro e che invece sono costretto a veder combattere al mio fianco. È bello averlo al mio fianco, non fraintendetemi, ma non sono in grado di sopportare quando i colpi dei nemici si abbattono su di lui.

Lo so che così rischio di apparire come il principe con la sua principessa e forse potrebbe non sembrare molto dignitoso per lui, ma io non la vedo in questo modo, è solo che, appunto, lui per me è davvero tutto: è degno di avere in dono ogni frammento della mia vita, perchè tutto il mio essere ruota intorno a lui.

Vorrei coccolarlo come un fratello, desidero ogni parte di lui, come un tempo, un momento in cui non conoscevo ancora l'amore, credevo un giorno avrei desiderato una donna e invece amo e desidero lui, che racchiude in sé il meglio di ogni cosa, lui che è il dio del mio universo.

Le mie mani passano lungo ogni frammento della sua schiena, lo fanno tremare, ma non sono certo ci sia solo piacere in quel tremito. D'altronde le sue emozioni sono sempre così poco lineari, potrei definirle ambigue: forse ci sono stati momenti in cui ha sperimentato la totale felicità con me, giacendo tra le mie braccia, preda della passione dalla quale veniamo sopraffatti ogni volta che facciamo l'amore, eppure anche in quei momenti percepisco tutte le ombre che si agitano dentro di lui, le sue maree oscure, le sue paure senza nome che non gli permettono di afferrare in toto quella felicità.

Abbassa il capo e con una mano cerca la mia che si è posata sul suo petto. Per un istante si limita ad accarezzarla, poi la prende tra le dita, la solleva e se la porta alle labbra.

Ora sono io a rabbrividire, ma non c'è solo piacere, neanche in me: il tocco della sue labbra sulla mia pelle mi genera una commozione inspiegabile, un senso di nostalgia per qualcosa che c'è, ma si ha la consapevolezza di dover perdere.

Mi viene da piangere, ma non voglio, lui è così sensitivo, se ne accorgerebbe subito. Mi limito così a emettere un sospiro profondo, sperando che sia sufficiente a ricacciare il nodo che mi si è formato in gola.

Sembra funzionare, anche se il senso di perdita mi aggredisce di nuovo, ancor più violento, quando Shin si stacca, annullando ogni contatto tra noi e non intendo solo fisicamente: con quel gesto ha dato l'idea di voler creare uno stacco fatale. Spero sia suggestione la mia, ma ho la terribile impressione che abbia voluto allontanarsi, generare una separazione, per quanto dolorosa per lui, come se lo ritenesse necessario.

“Shin...?”.

Non riesco a fare a meno di ricercare, almeno con la voce, la sua presenza mentale.

In risposta si lascia cadere sul letto, su un fianco, il viso rivolto al muro e, in questo modo, ancor più distante da me.

Non si è messo il pigiama, esclusi gli slip si è gettato sul materasso così, completamente nudo... e infreddolito.

“Ho sonno...”.

“Vuoi dormire?”.

“Forse...”.

“Non ti vesti? La notte non è calda”.

Scrolla le spalle, come se la questione non fosse per lui di alcuna importanza.

“Almeno infilati sotto le coperte”.

Un'altra scrollata di spalle.

Per me è frustrante, non se ne rende conto?

Come posso stare dietro ai suoi repentini cambi d'umore senza perdere la pazienza o scoraggiarmi?

In effetti non accade: la pazienza non la perdo e neanche mi stanco di seguirlo, su e giù, in tutte le evoluzioni della sua altalena emotiva.

Non mi stanco, no, perché lo amo troppo, ma non posso negare che mi metta a disagio, perché le sue reazioni ai miei tentativi di stargli vicino si fanno sempre più imprevedibili.

Si raccoglie in se stesso, raggomitolandosi come un cucciolo in cerca di calore e io sospiro di rassegnazione: è così da lui complicarsi la vita quando tutto potrebbe essere più semplice!

Addocchio le lenzuola arrotolate in fondo al letto e faccio qualche passo.

Mi fermo un istante a contemplare un'altra volta le sue forme nella penombra, la curva armoniosa delle ginocchia e dei gomiti ripiegati, la pelle liscia accarezzata dalla luna, quella stessa luna che sembra accendere i suoi capelli di riflessi dorati.

Si è rinchiuso nel suo bozzolo, laddove io non sono mai riuscito ad entrare del tutto.

Afferro le coperte e le tiro lungo il suo corpo: almeno evitargli di congelare nella sua testardaggine!

Le sue mani si muovono a stringere i bordi, come per avvolgersi ancora di più nel loro tepore.

“Grazie” sussurra, più per educazione che perché gli interessi davvero, è quello che percepisco.

Anziché rispondergli a parole, sfioro i suoi capelli con una carezza. Vorrei lasciare la mia mano tra essi con maggior decisione e più a lungo, ma ci troviamo in uno di quei momenti in cui tra noi c'è un muro, che si alza e si abbassa nel giro di pochi istanti, repentini come mutevoli sono gli stati d'animo del mio Shin.

Il mio timore è che prima o poi verrò tagliato fuori del tutto dalle sue emozioni, dal suo mondo e il solo pensiero mi sconvolge, perché al centro della mia vita ci sono i miei nakama, c'è lui. Da quando ha messo piede nella mia esistenza ho capito che mai e poi mai avrei voluto liberarmi di lui, quel giorno mi ha incatenato a sé e sono caduto vittima del suo incanto.

Credevo fosse così anche per lui, mi aggrappo a questa speranza ogni volta che le sue crisi si fanno così distruttive, tuttavia ho sempre più paura, temo i suoi silenzi ancor più delle sue lacrime, perché con le lacrime almeno mi chiede aiuto, con i silenzi mi allontana e sembra dimenticarsi di me.

No, non è capace di farlo, lui non si dimentica degli altri: il problema è che si dimentica di se stesso e per forza di cose esclude tutto il resto, anche ciò che lo lega a noi.

 

Sono qui, quando dormi,

Se hai paura di te,

Quando come un bambino, tremerai, sono qui!


 

Non diciamo più nulla, lui è completamente avvolto dalle lenzuola e so che ogni tentativo di conversazione, ormai, sarebbe inutile. Eppure non mi risolvo ad allontanarmi, resto così, in piedi, vicino al suo letto, a contemplare il suo respiro sempre più profondo. Alla fine si è addormentato davvero, nonostante tutta la sua tristezza; posso solo sperare che i suoi sogni non siano troppo spiacevoli e che riesca davvero a riposare e, magari, a risvegliarsi un po' rasserenato domani mattina.

Da parte mia, il sonno in me si è del tutto estinto e l'idea di abbandonarmi ad esso mi fa persino paura, non so spiegare di cosa...

O forse sì: paura di perderlo del tutto, di svegliarmi e di riscoprire che, anziché stare meglio, lui è ancora più distante o semplicemente paura perché so cosa accadrà domani e voglio solo che quel momento stia lontano il più possibile da noi. Non me ne voglio andare, non voglio che lui se ne vada, potrebbe...

Non tornare mai più?

È questo che temo davvero, questa volta più che mai?

Mi terrorizza il pensiero di non vederlo più, certo ma, soprattutto, lo devo ammettere, ciò che davvero mi sconvolge è sapere che se lui non vorrà più vederci vorrà dire che starà male e io non sarò lì per aiutarlo.

La scena che sto vivendo adesso non è nuova: ci conoscevamo ancora poco quando mi scoprii a guardarlo mentre dormiva, non eravamo neanche ancora arrivati a casa di Nasty.

Lo udii lamentarsi nel sonno e...

Ricordo il momento come fosse ieri...

Lo vidi tremare.

Dopo il primo attimo di sconcerto, d'istinto posai la mano sul suo petto e rimasi sconvolto dalla violenza con cui il suo cuore batteva. Quanto potevano essere forti, persino dolorose, le emozioni di un cuore che batteva così? Tutte quelle che lui nascondeva da sveglio e che venivano fuori come uno tsunami nel momento in cui, con il sonno, crollano difese e inibizioni.

Mi sorpresi quando, in seguito al mio tocco, il cuore si calmò, tornò, piano piano, una pulsazione normale; mi dissi che fu un caso, eppure accadde altre volte in seguito.

Una notte aprì gli occhi e mi scoprì con la mano posata sul suo cuore: finì in un abbraccio, tra le sue lacrime e i miei baci tra i suoi capelli.

Vegliare il suo sonno si è trasformato in un altro dei miei bisogni insopprimibili da allora, da quando ho capito che, dietro quell'apparenza solare, dietro quel suo modo di fare rassicurante, Shin vive di paure e di incertezze.

Ci sono state alcune notti durante le quali non sono riuscito a dormire, perché sentivo di dover stare lì, a proteggerlo da qualcosa di impalpabile come i suoi sogni, quasi vinto dal timore che quel suo cuore impazzito potesse esplodere da un momento all'altro se non ci fossi stato io, pronto a calmarlo con la mia mano.

Shin si muove tra le lenzuola e odo con chiarezza il suo lamento mentre si volta con la schiena contro il materasso, agitandosi così tanto che le coperte scivolano lungo il suo corpo, lasciandolo nudo fino all'addome.

“Così avrà di nuovo freddo” dico distrattamente tra me e me.

Solleva le mani al di sopra della testa e le sue dita si intrecciano ai capelli, che stanno crescendo come quando era solo un ragazzino.

Immerso nel sonno com'è non può rendersi conto di come ogni sua mossa, ogni sua curva, sia distruttiva per i miei sensi, di quanto mi sconvolga la sua bellezza.

Mentre ammiro il suo viso sfiorato dalla luna, una smorfia attraversa i suoi lineamenti dolci e la sua voce sottile raggiunge di nuovo le mie orecchie.

Sospiro, perché immagino cosa gli stia accadendo.

Tutti noi abbiamo incubi, fin dai giorni in cui abbiamo combattuto contro Arago, non potrebbe essere altrimenti, ma Shin sembra tanto spesso così spaventato quando dorme...

Nei momenti di coscienza riesce a controllare, persino a nascondere tutto, ma quando il suo inconscio ha via libera esso può diventare incontenibile, persino spaventoso e lo so quanto lui tema se stesso, lui è terrorizzato dalle proprie emozioni, preferisce tenerle prigioniere dentro di sé, perché non vuole che lo travolgano, soprattutto che travolgano i suoi affetti.

Mi inginocchio e la mia mano sa cosa deve fare. Lo sento subito sotto le dita il suo cuore impazzito e percepisco anche il suo tremore. La tenerezza mi travolge, mi sento come quando devo calmare le paure di uno dei miei fratelli più piccoli e invece sto cercando di calmare e cullare il sonno di un coetaneo che cerca sempre di comportarsi come quello grande, quello che si prende cura di tutti noi, che vuole costantemente accudirci.

Piccolo Shin...

Almeno in questi momenti, lascia che sia io a prendermi cura di te.


 

Lo so,

Che cos'hai…

Quei fantasmi intorno a te…


 

Il mattino mi coglie accucciato sul pavimento; è un tocco tra i capelli a svegliarmi, ancor prima che il raggio di sole tiepido. Fuori non deve fare tanto caldo, ma il sole che attraversa il vetro conferisce un po' di tepore alla stanza.

Apro lentamente gli occhi e ritrovo la mia guancia appoggiata alle lenzuola morbide di un letto, ma il resto del mio corpo è acquattato a terra e rabbrividisce al contatto con il pavimento.

La mia mano è allungata sul letto, mi rendo conto che è ancora posata sul petto di Shin ed è sua la mano tra i miei capelli.

Muovo il viso quel tanto che basta per poter focalizzare lo sguardo su di lui e i miei occhi annebbiati dal sonno e dal freddo faticano un po' a scorgere la figura distesa che ha ancora le palpebre serrate. Ha mosso appena un braccio per potermi toccare, per il resto è nella stessa identica posizione nella quale l'ho visto prima di addormentarmi, solo che le coperte sono scivolate ancora più in basso, lasciandolo completamente nudo.

Nudo ed indifeso nella sua tristezza perché, benché mi abbia cercato con la mano, vedo che sta ancora dormendo. Il suo cuore sotto il mio tocco è rilassato, ma da lui emana ancora quell'aura densa e oscura, che neanche la luce del giorno è riuscita a rischiarare.

Mi muovo lentamente, non voglio svegliarlo; oggi è il giorno in cui ci separeremo e vorrei allontanare il più possibile il momento del distacco. Tra l'altro lui, adesso, è relativamente tranquillo, forse può riposare senza incubi spaventosi e sarebbe bello poter restare così per sempre, io a controllare che nulla giunga a turbarlo, lui al sicuro, sotto il mio sguardo e tra le mie braccia.

Cerco, con la mia, la mano posata tra i miei capelli, la prendo e me la porto alle labbra; è fredda. La stringo forte e con l'altra mano la massaggio nel tentativo di ridonarle calore, ma continuo a controllare che i miei movimenti non siano troppo bruschi, troppo improvvisi, vorrei che lui percepisse ogni cosa come una carezza che gli giunge in sogno e che, in sogno, gli portasse qualcosa di bello, di felice... soprattutto che gli portasse il mio amore.

Lo so che non potrò tenerlo addormentato e tranquillo per sempre, per questo sospiro rassegnato quando i suoi occhi si schiudono e rimangono per un po' puntati al soffitto, senza che quell'espressione triste svanisca dal suo volto. Sembra che la veglia prosegua nel medesimo stato di malinconia che ha caratterizzato il sonno.

“Buongiorno, pesciolino”.

Senza che la sua espressione cambi fa scivolare la testa sul cuscino, fino a trovarmi con lo sguardo.

“Ciao” mormora, come se quella semplice parola gli costasse una fatica immensa.

Poi i suoi occhi si fanno più grandi e la sua consapevolezza si fa strada nella coscienza appena ritrovata.

“Shu, sei stato... così tutta la notte?”.

Sorrido, perché quando fa così riconosco il mio Shin in tutto e per tutto, con quell'espressione adorabile che gli conferisce la preoccupazione per gli altri.

Sospira come ho fatto io poco prima e riporta di nuovo lo sguardo al soffitto; perdere i suoi occhi anticipa in me la perdita che subirò tra poche ore, quando giungerà il momento della separazione.

“Shu, mi dispiace tanto. Non so perché faccio così”.

Io lo so invece...

Tutto quello che abbiamo vissuto, le nostre esperienze spaventose, sono come tanti fantasmi che aleggiano intorno a noi e ci tormentano, prendono di mira i nostri nervi, la nostra capacità di sopportazione e Shin, così sensitivo che, oltre ai suoi fantasmi, percepisce anche i nostri, più di tutti noi sente in maniera vivida ciò che proviamo. Siamo tutti connessi, è vero, ma per lui è un dono... o una maledizione... che esula dal legame.

L'empatia dell'acqua, la sua capacità di assorbire e riflettere...

È come se Shin dovesse combattere costantemente, oltre che con i propri demoni, contro quelli di coloro che ama.

Al tempo stesso temo che ci sia altro, che dentro di lui si agiti qualcosa che non colgo e che non coglie neanche lui; entrambi riusciamo solo a capire che è inquieto e non sappiamo spiegare la causa di questa inquietudine. È come una minaccia che incombe e contribuisce a farci soffocare entrambi nell'angoscia.

Lo conosco, so quanto il suo stato d'animo lo faccia sentire in colpa, un circolo vizioso che di sicuro non lo aiuta, come non aiuta me ad alleviare le sue pene.

Mi alzo e mi siedo sul bordo del letto, gli riempio di carezze le tempie e la fronte, giocando con i suoi capelli.

Continuo a sorridere perchè, nonostante mi senta morire dentro, voglio risultare rassicurante.

Non ho molte speranze di ingannarlo, è difficile nascondere a Shin i propri stati d'animo, ci si sente sempre messi a nudo con lui.

“Non devi preoccuparti di nulla, pesciolino”.

Ci guardiamo e per un attimo, tra di noi, si instaura quella magia di un tempo, tutta quell'intensità, tanto che, ne sono certo, il kanji della fiducia si accende per una frazione di secondo sulla fronte di Shin ed è ancora più bello con quell'aura azzurra e limpida, come l'acqua quando è senza macchie.

È un incanto che dura finché alcuni colpi sordi risuonano contro la porta della nostra stanza, seguiti dal richiamo gentile di Nasty:

“Siete svegli? La colazione è pronta”.

Il brusco ritorno alla realtà.

Di solito accolgo con gioia l'invito ad un'abbondante colazione, ma questa volta ha per me il sapore dell'ultimo pasto, perché i prossimi, senza i miei nakama, risulteranno alquanto insipidi.

Ci guardiamo e Shin riesce persino a sorridere, ma so riconoscere i suoi sorrisi di sincera gioia... e questo non lo è di sicuro. Sorridono le labbra, ma gli occhi trasudano acqua, tutta la tempesta che vorrebbe uscire e che lui, come al solito, trattiene.

 

 

Non dire di no,

Domani sarà certo il giorno tuo, vedrai!

Andrai,

Forte e fiero.

Nel mondo che non ti ha creduto mai!


 

Eccoci qui, a vivere questo momento che nessuno di noi, lo so, avrebbe desiderato giungesse mai.

Lo shinkansen che porterà Shin e Touma lontani da noi sarà qui a momenti.

Le parole tra noi si diradano, fino ad ora abbiamo finto sorrisi, battute, scherzi tra amici, tutto per non parlare di questo istante che si avvicina sempre più.

Solo Touma ci prova ancora a tirare avanti quel chiaccherio insensato al quale non crede neanche lui e, con la sua voce che ancora fa eco nelle mie orecchie, poso i miei occhi su Shin, in tempo per specchiarli nei suoi. Lo scopro a fissarmi, da chissà quanto tempo, mentre io non avevo il coraggio di guardarlo.

Ora però socchiudo le labbra e un sussurro sfugge tra esse:

“Koi...”.

“Un ultimo abbraccio, ragazzi?” ci dice Nasty, come per stemperare la tensione.

Non ce lo facciamo ripetere ma, dopo un po' che siamo stretti gli uni agli altri, Nasty e Jun si sciolgono dal cerchio e ci lasciano soli, discretamente, solo noi cinque. Fanno sempre così perchè c'è un momento, prima della separazione, che deve essere solo nostro.

Seiji è il primo ad interrompere il silenzio, sa che qualcuno deve essere abbastanza forte da trovare la risoluzione necessaria.

“Mi raccomando Shin, fai attenzione che Touma si svegli prima di Osaka”.

Si finge divertito, mentre lascia una leggera carezza sulla guancia di Shin, per poi rivolgere le proprie attenzioni a Touma, i cui occhi lucidi hanno ormai sconfitto, in lui, ogni tentativo di fare dell'ironia.

“Domani ci sentiamo al telefono”.

Touma si limita ad annuire; mi sembra di vederlo il groppo nella gola che gli impedisce di parlare, d'altronde è molto simile al mio. Ryo si fa avanti e li abbraccia entrambi, con una foga che gli invidio: vorrei riuscire a lasciarmi andare come fa lui.

Non so cosa mi succede, ma non riesco a muovermi e mi chiedo perché questa volta sembri tanto diversa dalle altre, tanto più dolorosa.

Perché ogni volta è peggio, maledizione?

Mi accorgo di non avere mai distolto lo sguardo da Shin e quando l'abbraccio si scioglie del tutto le nostre mani si ritrovano ancora allacciate. Allora lo sento quel tremito irrefrenabile e comprendo di colpo quel che c'è nei suoi occhi: tanta, troppa paura.

È una paura senza nome, paura del futuro e delle sue incognite.

Forse è proprio questo che ci fa sentire tutti sempre più confusi e tristi quando ci allontaniamo gli uni dagli altri: restare insieme ci dà sicurezza, mentre quando siamo da soli ecco che le domande sul nostro futuro, sul senso della nostra esistenza al di là delle yoroi, si fanno sempre più pressanti e caotiche e sempre più lontane e difficili le risposte che cerchiamo.

Chissà poi se esistono delle risposte.

All'improvviso non so più se sono io o è Shin a porsi questo dubbio, perché di colpo sono certo di sapere cosa leggo in quello sguardo stravolto, mi sembra di sentire la sua richiesta di aiuto: non so chi sono, non so cosa fare, lontano da voi non sono nulla, cosa ne sarà di me se ho paura a restare e tanta paura di tornare alla mia vita? La mia risposta è solo il nulla.

Ciò che più mi terrorizza è che neanche io ho risposte da dargli, anche io sono inerme ed indifeso di fronte al nostro futuro e soprattutto di fronte a questo ragazzo spaventato che spesso non riesco a riconoscere.

Lui teme di perderci, ma io...

Io percepisco sempre più concreto il rischio di perdere lui.

Vorrei rassicurarlo, stringerlo ancora a me, ma se non siamo riusciti, tutti insieme, con il precedente abbraccio, a farlo sentire al sicuro, non sarà certo il mio, adesso, ad ottenere la sua serenità.

Vorrei dire qualcosa, qualsiasi cosa che possa suonare un po' giusto, ma non sono io quello bravo con le parole e in realtà mi sento talmente svuotato che, anche se lo fossi, ora non sarei in grado di dirle.

“Koi...” posso solo ripetere, accompagnando il soffio con la mia mano che va a toccargli la guancia.

Le sue labbra tremano, sussulta...

Come sono belli i suoi occhi in questo momento.

“Shu... non farlo...”.

E come è bella la sua voce.

La mia mano ricade: lo so cosa intende, lo capisco. Se adesso ci lasciamo andare a gesti simili, come faremo ad allontanarci?

“Ce la farai, koibito”.

Shin sussulta ancora, tutti mi guardano, seri seri, con un vago stupore: un termine simile non mi era mai sfuggito. Ma è venuto così naturale.

“Ce la faremo tutti” ridacchia Touma, nell'evidente tentativo di stemperare il momentaneo imbarazzo, ma so che le sue parole sono sincere, spera davvero in quel che dice e desidera disperatamente crederci.

Ha ragione, ce l'abbiamo sempre fatta dopotutto; in un mondo che non sa di noi, che non è consapevole di tutti i nostri sacrifici per preservarlo da un'eterna oscurità, noi non possiamo che essere soli. L'esistenza che mostriamo ad una quotidianità alla quale non ci sentiamo di appartenere del tutto non è veritiera, perché nasconde una parte troppo importante del nostro essere, quella che più ci ha plasmati, quella che più ci ha resi quello che siamo, quella che ci ha fatto unire. Il mondo che ci circonda non lo sa, conosce la facciata, non l'essenza: la parte più importante di noi è solo nostra e sarà così per sempre. Basterebbe questo per suggerirci che il nostro legame è indissolubile oltre il tempo e lo spazio, non può essere altrimenti quando si sono condivise certe cose che nessun altro potrebbe capire.

Sarà come le altre volte, mi ripeto, quando ci sentiremo troppo soli, quando tutto ciò che ci circonda nella vita di tutti i giorni ci sembrerà distante, sconosciuto, ci basterà cercarci con la mente e i chilometri che ci separano saranno annullati dal cuore.

Me lo ripeto, sì, ma questa volta è difficile trovare in tale pensiero una consolazione, troppo difficile.

Siamo troppo stanchi.

Non del legame... certo no!

È spaventoso per me anche solo ipotizzare una cosa simile...

Troppo stanchi di ciò che questo legame significa, stanchi... delle yoroi.

Deglutisco guardando stranito, come assente, lo shinkansen che si sta fermando sul binario: sembra un sogno lontano, quasi non ne percepisco il rumore sulle rotaie.

La sensazione di estraneità non svanisce, neanche mentre Shin e Touma salgono sul vagone, tra gli ultimi saluti degli altri.

E io?

Non riesco neanche a muovermi? Non riesco a salutarli un'ultima volta?

In quel momento incrocio fugacemente lo sguardo di Shin e, anche se lui resta silenzioso, io sento il suo grido rivolto a me: aiuto!

Mi precipito in avanti prima che lui sparisca all'interno e gli afferro la mano con una tale foga che, quasi, cade all'indietro.

Mi guarda con gli occhi lucidi, come in attesa.

“Ce la farai!” gli dico semplicemente, con tutta l'enfasi che riesco a infondere nella mia voce.

Le nostre mani si sciolgono lentamente, mentre sfioro anche quelle di Touma con una veloce carezza e una piccola stretta. Kami-sama, non è mai stato così difficile lasciarli andare.

Lo sportello che si chiude dietro di loro, il treno che comincia a muoversi... alle mie percezioni è uno youja malvagio che sta strappando via la parte più preziosa del mio cuore.


 

Noi, noi, noi.

Noi siamo forti, noi!

Abbiamo gli occhi chiari, noi

E un sogno, in più!

Mai, mai, mai,

Non tradiremo, mai,

La verità!


 

Prima notte da solo.

Non dovrei dirlo e neanche pensarlo: nelle stanze accanto dormono i miei fratelli, i miei genitori, sono circondato da così tante persone, da così tanto affetto da quando sono tornato che il senso di colpa mi invade. Sentirmi solo? Perché dovrei?

Perché mi manca qualcosa... qualcuno.

Come potrei dire alla mia famiglia che questo qualcuno mi manca più di quanto mi siano mai mancati loro? Come potrei spiegare che il cuore che batte nel mio petto, in realtà, è solo il frammento di un cuore e che gli altri quattro frammenti sono lontani, sparsi per il Giappone?

Non è semplice nostalgia di persone amate, questo lo provo anche quando sono distante dalla mia famiglia. Il senso di mancanza che provo è una percezione di estraneità, di non essere qui nella mia completezza, perché il completo, quando sono separato da quei quattro pezzi di cuore, non esiste più.

C'è un motivo, eccome se c'è e l'abbiamo capito solo dopo esserci incontrati; una parte di questo motivo si è riflessa subito nei nostri occhi, così strani, così diversi...

Diversi da tutto ciò che ci circonda.

Nella mia famiglia nessuno ha gli occhi blu, i miei nakama sono le prime persone con gli occhi chiari che abbia mai incontrato nella mia vita e sono certo che non sia un caso. Neanche le nostre famiglie hanno occhi come i nostri, i nostri occhi si somigliano più di quanto somiglino a quelli dei nostri familiari. Per me questa è una risposta più che ovvia, più che chiara: loro sono me e io sono loro, un completo che si è formato e che non potrà mai più sentirsi tale senza le altre parti. Se questo completo, per qualche motivo, dovesse spezzarsi definitivamente, non ritroveremmo più noi stessi.

Può una verità rivelata essere, al contempo, bellissima e terrorizzante?

È quello che voglio restare unito a loro ma, al tempo stesso, può rivelarsi una condanna per tutti noi?

Anche questo ci ha fatto Kaosu, anche questo ci hanno regalato le yoroi?

Dono o condanna?

È difficile trovare una risposta, tutto quel che so è che li voglio accanto.


 

Tu che sei mio fratello,

La mia donna, il mio dio.

Tu che vivi in silenzio,

Non scordare, il nome mio.

 

Voglio lui accanto...

Mi volto su un fianco, le mie mani annaspano su cuscino e lenzuola, alla ricerca di qualcosa...

Di qualcuno.

È troppo vuota e silenziosa questa notte, perché non è cullata dal suo respiro, dai suoi piccoli mugolii nel sonno.

Perché Shin a volte parla durante la notte, lui non lo sa che io a volte rimango sveglio solo per ascoltare la sua voce, anche nelle paroline incomprensibili pronunciate nel sogno a me basta sentire quelle inflessioni dolci che mi accarezzano il cuore.

È insopportabile il silenzio quando lui non c'è e non mi è facile addormentarmi, sono come un bambino al quale viene sottratto il pupazzo da stringere per conciliarsi il sonno.

Chiudo gli occhi, mi concentro...

Se almeno sentisse che lo cerco, che ho bisogno di lui.

La delusione è grande, perché il legame non lo trova e un senso di oppressione e conferma mi appesantisce il cuore.

Shin, perché non rispondi? Perché questo silenzio?

Quell'ultimo sguardo che ci siamo scambiati non era forse anche una promessa?

Non farlo, pesciolino, non scordarti di me, non desiderare l'oblio di quello che siamo e siamo stati, ti prego, sarebbe la fine per tutti.

Porto le mani agli occhi, ad arginare le lacrime: la paura si concretizza in tutta la sua distruttività.


 

Sono qui quando dormi,

Se hai paura di te,

Quando come un bambino, tremerai!

 

Se Shin non mi sente può esserci solo un motivo: è spaventato e anche lui si sente solo, così solo e smarrito da non avere neanche la forza di mettersi in contatto con noi.

È la confusione che lui prova in questi momenti a tenerlo lontano.

Allora sono io che mi devo sforzare, perché lasciar perdere e abbandonarlo non è contemplato tra le mie possibilità.

Vorrei essergli vicino fisicamente, perché lo so che la notte è per lui il momento peggiore; quando condividiamo la stessa stanza posso vegliare il suo sonno e l'ho sempre fatto da quando lo conosco e ho compreso come lui vive il giungere delle tenebre. Anche ora, se fossi con lui, potrei accucciarmi ai piedi del suo letto, allungare una mano, sfiorare la sua tempia, posare l'altra mano sul suo petto per calmare quel cuore che batte sempre troppo forte. L'ho fatto anche l'ultima notte.

Mi rigiro sulla schiena e sollevo le mani verso l'alto, seguo il loro cammino illuminato dal raggio di luna, lo stesso grazie al quale, l'ultima notte, potevo contemplare le forme morbide del mio Shin. Con queste mani tese immagino fortemente di poterlo toccare, di poter sentire la sua pelle sotto i polpastrelli e di percepire persino i suoi tremiti violenti, provocati da chissà quale dei suoi tanti, soliti incubi. Se solo questo mio tocco potesse raggiungerlo, se solo bastassero la mia volontà e la mia concentrazione!

Non sono mai stato sensitivo come Shin e Seiji, per me è sempre stato più difficile utilizzare le vie della mente e mi è molto più facile mettermi in contatto con gli altri se uno di loro due è con me, tuttavia il legame va oltre le mie capacità, è qualcosa di istintivo, spontaneo, c'è e basta e questo dovrebbe avvantaggiarmi, no?

Dovrebbe bastarmi questo mio gesto e il mio desiderio perché lui percepisca il mio abbraccio.


 


 

Ma che cos'hai, fratello!?

Tu non mi senti, più…

Sarà triste il risveglio,

Ora che non ci sei, tu…


 

Non mi sente.

La consapevolezza giunge come una pugnalata che affonda impietosa nel mio petto.

Ne sono certo, il mio desiderio, il mio pensiero, il mio cuore, niente lo sta raggiungendo, non vuole farsi raggiungere...

O forse non riesce, non sa pìù come fare... per sentirmi.

Per lui è sempre stato facile, più che per tutti noi e invece sembra quasi che adesso sia il primo a non essere più in grado di trovare il contatto, il legame che a distanza fa percepire la presenza e il richiamo degli altri.

Fino a questo momento solo questa è stata la nostra consolazione nei momenti in cui la nostalgia si faceva insopportabile e se ci viene a mancare questo, cos'altro ci rimane?

Shin, maledizione! Possibile che tu non te ne renda conto?

Sapere che ci sei, che voi quattro ci siete, da tempo è ciò che più di ogni altra cosa mi dà la forza di alzarmi al mattino, di affrontare ogni aspetto di una giornata in cui voi non siete al mio fianco.

Come potrò fare se non sarà più così?

Dovrei continuare a provare, o forse dovrei cercare gli altri e invece perdo ogni forza, come se il non aver trovato Shin facesse perdere senso a tutto o, più probabilmente, come se avesse cancellato ogni mia possibilità ed ogni mia speranza.


 

Tu te ne vai, fratello…

Ti giuro, vincerò!

Quell'azzurro, del cielo,

Lo vedrai, negli occhi miei!


 

Dovrei rassegnarmi al fatto che se ne sta andando davvero, che si sta allontanando da me… da noi. I sentori ci sono tutti da un po’ di mesi, non è vero? È questione di tempo, forse è sempre stata questione di tempo.

Più lo penso, più cerco di convincermi, e meno ci credo. Shin non è così, non si lega alle persone per poi stufarsi di loro.

Ma che dico, non dovrebbe neanche sfiorarmi una simile ipotesi. Potrei anche accettare questo suo allontanarsi se sapessi che è ciò che desidera davvero, starei male, ne farei una personale malattia, ma almeno potrei sperare nella sua felicità.

Invece so che non vuole, lui fa sempre e solo quello che deve, che sente di dover fare.

Significa che, anche in questo caso, è il senso del dovere che lo muove?

Quando Shin prende una decisione, spesso sente di non avere altra scelta.

Dovere, dovere e solo dovere, la sua spinta primaria, seconda solo all’amore.

Dovere e amore…

Possono queste due ragioni spingerlo lontano da noi? Ma perchè, cosa lo porta a ragionare così? Che cos’ha in quella maledetta testa?

Quella testolina così adorabile e talmente complicata che riesce a farmi infuriare a volte, o mi rende insopportabilmente triste, come adesso, perchè non so come fare a convincerlo che sta sbagliando, non posso convincerlo se non capisco cosa lo porta su certi percorsi mentali.

Se almeno parlasse, se si confidasse anzichè tenersi tutto dentro e farci angosciare tutti per la preoccupazione!

Con la sua ansia di non farci preoccupare per lui, ottiene unicamente l’effetto contrario e lui, di solito così intuitivo e sensibile alle sfumature dell'animo, questa realtà non riesce a vederla.

Diventa cieco quando si tratta di se stesso, non riesce ad essere obiettivo e, senza che lui lo voglia, ovvio, questo si riflette anche su di noi, non riesce a vedere che fa del male a tutti noi, la nostra piccola pozza d’acqua si fa torbida, perde la sua trasparenza perdendo se stessa.

Non riesco a capire come possa pensare che il bene di noi tutti sia quello di non averlo intorno, perché è questo che, incontro dopo incontro, si sta mettendo in testa, l’ho capito ormai ed è troppo da accettare.

Ritiene di non essere abbastanza forte per noi e questo, oltre a farlo sentire inutile, ferisce il suo orgoglio perché, essendo anagraficamente il più grande, si è autoconvinto che dovrebbe essere lui a proteggerci sempre, a sostenerci, a prendersi cura di noi, a renderci tutto più facile. Non capisce che non è giusto che, come tutti noi, ha diritto alle sue fragilità!

Con tutto ciò che ci è accaduto, con ciò che abbiamo dovuto sopportare, come può pensare di non averne il diritto?

C’è una cosa, inoltre, che non gli concedo e di cui si deve rendere conto: io non sono piccolo, non lo sono mai stato, sono sempre stato un fratello maggiore, so come esserlo! Come i miei fratelli di sangue, anche i miei nakama sono fratelli, fratelli di cuore, di spirito, fratelli che ho giurato di proteggere e di non abbandonare mai.

Caro il mio Shin, a questo devi rassegnarti, alla mia protezione assoluta dovrai rassegnarti!

Mio piccolo Shin…

Anche ad essere chiamato così dovrai rassegnarti, pesciolino.

È inutile che provi ad andartene da me, perché io non rinuncerò mai a quella promessa che feci a me stesso, già dal giorno del nostro primo incontro: darò la mia vita per proteggerti!

Tu non lo sai, pesciolino, ma quando i nostri occhi si incrociarono, quando dalle nostre parole sembrava snocciolarsi solo una spiccata rivalità, quando sembravo infastidito dalla tua supponenza, che era tutta una maschera per darti un tono, io già avevo capito tutto. Perché in realtà è facile capire la tua vera natura o semplicemente perché da subito ho compreso che…

Che mi piacevi… proprio tanto! E che avrei lottato al tuo fianco con gioia, che ti avrei protetto con gioia!

Forse allora non potevo intuire che avrei dovuto proteggerti anche da te stesso e che, sotto tanti aspetti, sarebbe stato anche più difficile che lottare contro nemici esterni.

Ma anche se fin da allora l’avessi saputo, non mi sarei mai tirato indietro, perché la mia vita, intrecciata alla tua, così come a quella dei nostri nakama, ha acquistato il suo senso profondo e non rimpiango nulla, non potrei mai!

Sfiderò qualunque cosa perché non lo rimpianga neanche tu, se non sarai abbastanza forte per affrontare la tua tristezza la affronterò io per entrambi, perché io sono Shu di Kongo, sarò la terra che ti sostiene, se neanche rispecchiare i tuoi occhi nel mare riesce più a restituirti un po’ di sollievo, io ti porterò l’azzurro dei miei occhi e in essi ritroverai il coraggio di cui abbiamo bisogno entrambi.

“Baka…”.

Sussulto. Un sussurro nella mia mente, un soffio, una parolina appena percepita.

“Scimmietta… baka…”.

Mi viene da ridere e invece i miei occhi si riempiono di lacrime. Nel buio le mie mani si tendono nuovamente alla ricerca di qualcosa e, questa volta, sfiorano una leggera presenza. È solo un tocco, come la punta di cinque dita contro le mie.

È notevole la forza mentale del mio cucciolo, tanto notevole che, grazie alle sue capacità più che alle mie, in questo contatto di spiriti e cuori riusciamo spesso a sfiorarci… appena appena, non possiamo pretendere di più, ma in questo momento, per me, questo semplice sfiorarsi di dita vale quanto un abbraccio.

“Perdonami…”.

Scuoto il capo, non voglio che si senta in colpa.

“Non puoi resistermi, pesciolino”.

“Baka…”.

La parolina affettuosa si incrina un po’.

“E non provare neanche a farlo”.

“Cercami Shu… non smettere mai di cercarmi, perché quando tu ti arrenderai io… io…”.

Vorrei prendere il suo viso tra le mie mani adesso, baciare la punta un po’ all’insù del suo nasino adorabile, leccare via le lacrime che sicuramente stanno solcando le sue guance.

Quando lo sento così è ancor più difficile farsi bastare… la mente.

“Arrendersi e Shu di Kongo non potranno mai essere sinonimi. Non sarei più io se mi arrendessi! “.

Mi sembra di sentire la sua sottile risata, che si fa incredibilmente gentile quando si accompagna alle lacrime.

Una risata che non è felicità, ma una fiducia disperatamente ricercata e voluta, per sentirsi se stesso e per credere in noi.

“Sono qui pesciolino e ci sarò sempre”.

Un attimo di esitazione, poi lo sento ancora.

“Lo so”.

Ho la fugace impressione di una stretta energica alla mia mano, come un disperato aggrapparsi, accompagnato dal sentore di due labbra contro le mie.

Il suo saluto, il suo concedersi a me, il suo affidarsi a me, prima di lasciarmi di nuovo solo nella notte.

Ma adesso va bene, non c'è più quell’angoscia, perché lui è venuto, lui ci crede ancora in me, crede nel mio coraggio, nella mia forza, ha messo la sua preziosa fiducia un’altra volta nelle mie mani e come lui si aggrappa al mio coraggio, io mi aggrappo a questa fiducia e sorrido, consapevole che anche lui, adesso, dormirà più sereno, almeno per qualche ora.

E in futuro… in futuro che importa…

Io sarò lì per lui e lo ritroverò in qualunque abisso lo condurrà la sua disperazione.

 

 


 


 

   
 
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