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Autore: Miky30    14/09/2017    3 recensioni
Il risveglio era indubbiamente uno dei momenti peggiori della giornata per il Conte, lo era stato fin da quando aveva memoria. Ma adesso, dopo il container e gli incubi, ogni giorno faceva fatica a svegliarsi e per buona parte della mattinata il suo umore rimaneva decisamente pessimo.
Dedica: ad Aliseia. Niente di tutto questo sarebbe stato possibile se tu non mi avessi preso per mano e accompagnato nel loro mondo.
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a Lisa Jane Smith, Julie Plec, Michael Narducci, Diane Ademou-John, nonché agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Tristan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il risveglio era indubbiamente uno dei momenti peggiori della giornata per il Conte, lo era stato fin da quando aveva memoria. Ma adesso, dopo il container e gli incubi, ogni giorno faceva fatica a svegliarsi e per buona parte della mattinata il suo umore rimaneva decisamente pessimo.

 

Il piccolo Tristan era un bambino minuto, dai grandi occhi color dell’infinito e dai riccioli biondi che gli incorniciavano il viso. Tristan aveva paura a vagare per il castello, specialmente la mattina presto: avrebbe potuto incontrare il padre, ubriaco e arrabbiato, violento. Quella mattina, però, lo svegliò un dolce profumo di madeleines appena sfornate, di quelle che preparava la sua mamma, quelle buone.

Non le assaggiava da non ricordava più quanto tempo. Si tirò seduto sul letto, buttò i piedi nudi sul pavimento e si affacciò alla porta. Decise di correre il rischio di imbattersi nel Conte padre e di ricevere una sonora punizione. Quel profumo era così invitante. Così buono: sapeva d’amore, di protezione, di promesse, di braccia forti che ti stringono nel buio.

Uscì nel corridoio del castello, illuminato soltanto da poche e fioche torce. Camminava piano, il piccolo Tristan, attento a non fare il minimo rumore, diretto alle cucine da dove credeva arrivasse il dolce profumo.

Il corridoio era lungo, lunghissimo, sembrava non finire mai, Tristan coi piedini scalzi continuava a camminare, ma ad ogni passo il cuore accelerava un po’, aveva paura e si sentiva osservato: un paio di occhi neri sembravano fissarlo dal fondo del corridoio.

Non era il Conte, suo padre, lui aveva gli occhi chiari e sempre in tempesta, azzurri, trasparenti e taglienti come il vetro. Crudeli.

Questi, invece, erano neri e caldi, ardenti.

L’uomo dagli occhi neri non si vedeva, ma poteva avvertirne il buon odore, forte, stordente, di foresta, di pioggia appena caduta.

Si era dimenticato anche delle madeleines, voleva scoprire di chi fossero quegli occhi che lo fissavano da lontano, di chi fosse quell’odore che sapeva di buono e di posto sicuro.

Ad un tratto però ricordò le madeleines, la mamma e poi anche il conte. Ebbe paura. Che ci faceva nel corridoio? Doveva subito ritornare a letto o il conte padre l’avrebbe preso. Iniziò a correre, ma non riusciva a muovere un passo.

Si sentì afferrare, ora non poteva più muoversi. “Ecco – pensò – ci siamo, non verrà nessuno ad aiutarmi ora.”

Respirava a fatica, non aveva nemmeno la forza di gridare, ma a che sarebbe servito, poi? Nessuno l’avrebbe sentito né salvato.

Però era strano, ancora quel profumo di madeleines e di foresta. Le mani che lo tenevano non gli facevano male, erano forti ma gentili.

Era sdraiato nel letto.

Il letto era comodo, soffice e caldo.

Poi d’un tratto sentì delle labbra sfiorargli il collo, con gentilezza, la barba che gli faceva il solletico.

Non era più un bambino, ora ricordava, si stava svegliando nel suo, nel loro letto. A Marsiglia.

Caffè nero, stordente, madeleines.

Elijah.

Ora riconosceva tutti i profumi, non aprì gli occhi ma sorrise. Sapeva esattamente dov’era e chi c’era delicatamente seduto sul bordo del letto, chino sul suo volto, mentre tentava, con una gentilezza e una dolcezza che non ti aspetteresti, di svegliarlo.

Non aprì gli occhi, ma sfilò le braccia e le gettò al collo di Elijah attirandolo sopra di sé.

L’Originale, preso alla sprovvista, gli cadde addosso con tutto il peso e per un attimo lo pervase il panico di avergli procurato un nuovo incubo e voleva scostarsi, ma Tristan lo trattenne. Non gli importava di soffocare sotto il peso del suo Sire.

“No, - si corresse – non è più il mio Sire. E’ molto di più. Non è più il sangue a legarci, o forse, ad essere onesti, non lo è mai stato.” Questa piccola confessione fatta a se stesso, gli fece un effetto strano: gli occhi iniziarono a bruciargli e si formarono due grossi lacrimoni, che premevano sulle palpebre per uscire. Non voleva lasciarli sfuggire, ma quelli caddero ugualmente contro la sua volontà. Questa sua piccola tempesta emotiva non sfuggì ad Elijah che, all’oscuro dei pensieri dell’altro, fece l’unica cosa che forse gli sarebbe valsa una litigata: asciugò quelle due lacrime con i baci. Tanti piccoli baci.

Non la smetteva più di baciarlo.

Non baci passionali, come era solito, ma baci teneri da innamorato. Una situazione del tutto inusuale, tanto che si domandava quanto avrebbe impiegato l’altro a ribellarsi con un commento tagliente o una spinta a toglierselo di dosso. Ma non accadde. Sembrava un gattino intento a farsi coccolare e sembrava non avere la benchè minima intenzione di muoversi da lì, come se non avesse aspettato altro da mille anni a questa parte.

“Ti vuoi svegliare, pigrone?” tentò dopo un po’ di tempo. Ma l’altro sembrava non volerne sapere di aprire gli occhi.

Tristan non era certo di riuscire a reggere l’ondata emotiva che quegli odori avevano risvegliato. Si sentiva ancora quel bambino impaurito, si sentiva fragile e indifeso e aprire gli occhi avrebbe significato lasciar cadere anche l’ultimo baluardo di una difesa ormai andata a farsi friggere due lacrime fa.

“Allora Milord?” Nel dire Milord gli baciò la punta del naso, pizzicandolo con la barba e immediatamente dopo mordicchiandolo piano.

Il Conte aprì gli occhi d’istinto, fissandoli in quelli neri dell’Originale: “Bonjour, Mon amour” e sorrise, un po’ imbarazzato, le guance rosse e le orecchie in fiamme, gli occhi così liquidi e azzurri da far male per quanto erano incredibilmente belli.

Elijah non sapeva cosa avesse fatto per meritare quello spettacolo, ma seppe che ogni mattina avrebbe trovato un modo per vedere l’universo in quegli occhi.

Ma non ebbe il tempo di pensare tanto, perché Tristan lo attirò a sé pretendendo baci ancora e ancora.

Iniziarono a rotolarsi nel letto, dimentichi del caffè e delle madeleines che si stavano raffreddando, dimentichi di tutto il resto del mondo, presi com’erano in quella che, ad un occhio esterno, poteva sembrare una zuffa: si rotolavano, baci, carezze, morsi, sempre più sfacciati. Sembravano alimentarsi l’uno dell’altro, spingersi al limite e oltrepassarlo, fino a non poterne più.

Alla fine si ritrovarono abbracciati, Elijah teneva stretto il suo Conte e continuava a dargli piccoli baci, il braccio sinistro che lo avvolgeva, il destro alzato a scostargli un ricciolo ribelle che gli cadeva sulla fronte.

“EliJah?” soffiò.

E c’era da scommettere che avesse qualche richiesta: l’enfasi sulla “J” era direttamente proporzionale al comando che voleva impartire.

“Sì?” Rispose l’Originale.

“Io non ho fatto colazione...”

“Puoi alzarti e mangiare, no?”

“Sì, certo… ma...”

“Ma?”

“Il caffè è freddo e anche le madeleines” si lamentò il piccolo tiranno.

La mano destra di Elijah atterrò con un piccolo “ciaff” sul sedere di Tristan, che non si scompose nemmeno, deciso com’era a volere le sue attenzioni a tutti i costi.

“E allora?” Commentò l’Originale

“E allora non potresti essere così gentile...” ma la frase gli rimase a metà perché la mano di Elijah planò con un altro piccolo “ciaff” sul suo didietro.

Ora Elijah cominciava a stufarsi di quel gioco, lo sguardo era diventato serio, sapeva che col Conte era soltanto questione di tempo prima che gli scappasse la pazienza. Decise che avrebbe posto fine a quel gioco prima di iniziarlo:

“Finiscila!” Disse in tono serio, che non ammetteva repliche.

“Di fare cosa?” Disse l’altro col tono più che angelico che gli riuscì.

Questa volta ci fu un sonoro “ciaff” che lasciò un’impronta scarlatta sulla pelle candida del conte.

“Alzati e vestiti. Ti porto a far colazione.”

Tristan dapprima sgranò gli occhi, senza dire una parola si tirò seduto sul letto, buttò i piedi nudi sul pavimento, si alzò con un piccolo sorriso sulle labbra rosse: aveva vinto lui, come sempre aveva camuffato la sua vittoria con una piccola resa.

*

Stavano per uscire di casa, quando l’Originale lo trattenne stringendogli un polso: “Hey Milord – lo canzonò un pochino – lo sai che non mi piace essere manipolato” ma mentre lo diceva non potè far a meno di sorridere. Tristan gli sorrise di rimando: “Ho fame, puoi lasciare la ramanzina per dopo?”

Si avviarono verso il loro caffè preferito, continuando a battibeccare per tutto il tragitto.

Si sedettero ad un tavolo e ordinarono la colazione. Elijah stava parlando di qualcosa, ma i pensieri di Tristan vagavano per conto loro.

Non si rammentava più quando, prima di allora, si fosse svegliato così di buon umore, così in pace come oggi.

D’un tratto si ricordò, quella memoria era così lontana nel tempo che quasi non rammentava più le sue fattezze: aveva capelli mossi e biondi, come i suoi, gli occhi azzurri di tutte le sfumature del cielo e del mare e una voce d’angelo che lo svegliava ogni mattina.

Era così concentrato sul ricordo di lei che non si accorse che Elijah lo aveva chiamato due volte e che ora lo stava scuotendo piano.

Il Sire, un po’ preoccupato, domandò, quando riuscì a distoglierlo dai suoi pensieri profondi: “A che cosa stai pensando?”

Tristan si riscosse un pochino, lo sguardo perso chissà dove, rispose sottovoce: “Alla mia mamma” e sorrise dolcemente al ricordo di lei.

“Me lo racconterai?” e intendeva anche tutto quello che era successo quella mattina.

“Più tardi”

Sapeva che avrebbe dovuto parlare con Elijah, ma al momento doveva interiorizzare tutti quei ricordi e trovare il modo di riuscire a venirne a capo. Ora voleva solo vivere il presente, col suo uomo, che lo svegliava ogni mattina in un modo diverso, che lo amava nel suo modo un po’ ruvido, ma anche incredibilmente dolce.

 

Si guardò intorno. Mai, in mille anni, Marsiglia gli era sembrata così bella.

   
 
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