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Autore: sissy    18/06/2009    9 recensioni
Antiche rovine compaiono sull'isola di Hokkaido, e nulla è ciò che sembra. Nemmeno il futuro sembra essere più così sicuro...
Genere: Romantico, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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L

Ve l'avevo detto che sono pazza...

RUINS - Capitolo primo

La gente vive. La gente muore. E' un dato di fatto. E' normale che sia così. Lo sappiamo tutti.

Quando ho preso la decisione di diventare un medico non mi sono mai illuso di poter salvare la vita di ogni paziente. Le persone non sono immortali e ci sono malattie per le quali non sempre si riesce a trovare una cura, ferite per le quali a volte è ormai troppo tardi. Nonostante ciò, io ci metto tutto il mio impegno e la mia passione, faccio l'impossibile, anche quando sembra certo che non ci sia più alcuna speranza. Così sono riuscito a salvare molte vite, anche quando tutto sembrava perduto. Ma purtroppo non sempre.

Erano spesso persone anziane, o malati terminali, una volta anche un ragazzo. Aveva un tumore al fegato. Nessuna cura ha funzionato, nemmeno il trapianto. L'organo non era così compatibile come sembrava.

Era giovane, e probabilmente non meritava di morire così presto. Nessuno merita di morire così presto. Ma era malato. Possiamo incolpare il destino, gli dei, i medici stessi, me stesso se voglio. Ma era malato. So di aver fatto tutto il possibile ed anche l'impossibile. Posso essere triste e deluso di me stesso, ma posso anche capire. Quel giovane era malato.

Lui no.

Questa volta è diverso. Lo sapevo che sarebbe potuto succedere. E alla fine è successo.

Non basta l'acqua fresca con cui mi lavo le mani ed il viso a farmi stare meglio. Sarebbe tutto più facile se anche le preoccupazioni potessero scivolare giù nello scarico del lavandino.

- Mamoru, va tutto bene? - mi chiede il mio collega, Isei, bussando alla porta dello spogliatoio adiacente alla sala operatoria.

Sono rimasto solo io. Tutti gli altri impegnati insieme a me nell'operazione se ne sono già andati da un po', chi a casa, chi nel proprio studio, chi in corsia, compreso Isei. Era stato chiamato d'urgenza per questo intervento, teoricamente oggi è il suo giorno libero. Dovrebbe essere sulla via del ritorno, non qui.

Prima che possa rispondere alla sua domanda o anche solo invitarlo ad entrare, la porta si spalanca e lui fa capolino nella stanza.

- Perchè sei ancora qui dentro?

Il sospiro che faccio è coperto dal rumore dell'acqua che scorre dal rubinetto ancora aperto. Lo chiudo e mi asciugo il viso e le mani con una salvietta, restando in silenzio.

- La gente muore, Mamoru. Non puoi salvare tutti. - la sua voce è dura.

Isei ha senz'altro più esperienza di me. Ha undici anni di lavoro alle spalle ed è un uomo molto rigoroso e pratico. E' in gamba. Ed ha perfettamente ragione. Ma non è questo il punto.

- Lo so. - gli rispondo semplicemente.

Ci scambiamo uno sguardo. I suoi occhi scuri e attenti mi scrutano attraverso le lenti degli occhiali. Ha l'aria scettica. Le labbra sono serrate, tanto da sembrare più sottili di quanto non siano in realtà, e l'intero volto ha un'espressione severa, di rimprovero, che i suoi tratti marcati non fanno altro che accentuare. Ha indosso un paio di pantaloni chiari ed una camicia a mezze maniche. Come immaginavo stava per tornarsene a casa.

- Perchè è ancora qui?

- Ho notato che eri strano. Quando abbiamo perso il pa...

- Va tutto bene. - mi affretto a rispondere - Lo so come vanno queste cose. Non è la prima volta che succede.

- Ma è la prima volta che ti vedo così turbato.

- Non è per quello che è successo in sala operatoria comunque.

C'è un minuto di silenzio durante il quale continuiamo a fissarci. Lui non sembra credere alle mie parole, ed in parte fa bene. Quello che ho detto è vero solo a metà.

- Mamoru, sei un bravo chirurgo. Potresti diventare uno dei migliori. Sarebbe un peccato se ti lasciassi distrarre da queste cose. Non sei un dio.

Un sorriso ironico spunta sulle mie labbra - Non ho mai creduto di esserlo.

- Bene. Allora smettila di autocommiserarti qua dentro per la tua presunta incapacità e torna al lavoro. Non voglio vederti così.

- Ha visto com'è morto. Non è stato... - Isei si è avvicinato a me e mi ha posato una mano sulla spalla, prima che cominciassi ad alzare la voce dalla rabbia.

- Hai fatto un ottimo lavoro, ma era troppo tardi. Vedo che lo sai anche tu, quindi basta.

Costringo i muscoli delle spalle a rilassarsi e scuoto leggermente il capo, nella speranza di dare almeno l'impressione che abbia deciso di seguire il suo consiglio e non pensarci. E' maledettamente difficile. Ma Isei è, se non il primario del reparto, il chirurgo più bravo e rispettato tra tutti. Sono tra le poche persone a cui concede un minimo di confidenza. Per questo non voglio fargli una cattiva impressione. Lui sembra soddisfatto così ed accennando un sorriso mi saluta velocemente e mi lascia nuovamente da solo.

No. Purtroppo non basta. Sapere di aver fatto del mio meglio non è sufficiente per dimenticare. Non ha nulla a che vedere con quello che mi ha veramente turbato.

L'ennesimo sospiro frustrato esce dalle mie labbra mentre recupero il camice bianco dall'appendiabiti e me lo infilo sistemandolo sulle spalle e abbottonandolo lentamente.

Lo so benissimo che le persone prima o poi muoiono, di vecchiaia, per malattia, per un incidente... Ma per mano di un uomo... Morire per mano di un altro uomo... Non lo capisco. Non ha alcun senso.

Quel ragazzo aveva appena vent'anni ed è morto perchè qualcuno gli ha sparato. Un essere umano come lui; forse addirittura un ragazzo come lui! Due colpi, due pallottole, che gli hanno perforato il polmone. Questa è una cosa che non mi era ancora capitata. Mi è successo un paio di volte di trovarmi ad operare persone a cui avevano sparato, ma tutto si è sempre risolto.

Non questa volta.

Un ragazzo è morto, e non perchè fosse malato o vittima di un incidente. E' morto perchè qualcun altro lo ha consapevolmente ucciso.

Non sono un bambino, so perfettamente che eventi del genere accadono ogni giorno infinite volte nel mondo, ma vederlo così è completamente diverso. Non è un filmato di un telegiornale che ti fa venire i brividi per un momento e di cui subito ti dimentichi non appena guardi il sorriso di tua moglie o le mani minuscole di tuo figlio.

Quel ragazzo è morto qui, davanti ai miei occhi, mentre ogni mio sforzo di salvarlo si rivelava inutile. E non esistono scuse, colpe, dei o destino che mi possano spiegare, far capire o anche solo illudere che tutto ciò abbia un senso. Non c'è senso in un essere umano che ne uccide un altro perchè gli ha "rubato" la fidanzata. Non ha senso uccidere per invidia o per soldi. Semplicemente non capisco.

Non posso capire, se ogni istante l'immagine di quel ragazzo insanguinato disteso sul lettino si ripresenta davanti ai miei occhi, e se i guanti che coprono le mie mani sono coperte del suo sangue.

Lo giuro, davvero non capisco. Mi scuote dentro, fin nell'angolo più remoto della mia mente, e dei miei ricordi...

***

Intorno all'altare la cenere del braciere è rovesciata. Un arco di polvere nera ha lasciato il suo segno sul marmo bianco come una cicatrice, mentre il piatto dorato è capovolto poco distante. Anche le piccole fiammelle delle braci finite sul pavimento hanno smesso di bruciare. Di loro non rimane che un tenue bagliore rossastro.

Il sole pomeridiano penetra coi suoi raggi attraverso le sottili e lunghe fessure presenti su ogni lato di quest'ampio spazio circolare ed un fascio di luce illumina il corpo inerme riverso in una pozza di sangue ad un passo dall'altare, come una lama sul suo corpo, il corpo di una ragazzina dai lunghi capelli biondo cenere avvolta in una semplice tunica azzurra.

La guardo sconvolto, senza riuscire a credere ai miei stessi occhi. Una ragazzina che aveva appena quattordici anni giace morta ai piedi di quell'altare per il quale aspirava un giorno di diventare sacerdotessa. Immobile sulla soglia non posso più fare nulla per salvarla. Nonostante la mia folle corsa, non sono riuscito ad arrivare in tempo.

Pochi secondi. Sarebbero bastati solo pochi secondi, ed avrei potuto fermarlo.

Lui è ancora qui, in piedi accanto al corpo della ragazza, con lo sguardo fermo e freddo, la spada che stringe nella mano tenuta bassa lungo il fianco, macchiata di sangue innocente che scorre lungo la lama gocciolando lento sul pavimento.

- Che cosa hai fatto? - la mia voce è poco più che un sussurro a causa del fiato corto. Ho corso come un pazzo, e tutto per niente.

Lui mi guarda con occhi di ghiaccio, ma non risponde. Allora deglutisco e raccolgo tutta la voce in un punto in fondo alla gola. Questa volta quello che esce dalle mie labbra è un urlo di rabbia.

- Che cosa hai fatto, Kunzite?

La sua voce è come se non fosse più la sua.

- Te l'ho detto, Endymion. Versare il suo sangue in cambio di quello versato da te. E' così che dice la legge.

***

Neanche allora quelle parole avevano senso.

Esco dallo spogliatoio richiudendomi la porta alle spalle. Infilo le mani nelle tasche con un sospiro, chiudendo gli occhi. Quando li riapro la mia espressione è divenuta seria, forse anche più del solito. Colpa dei ricordi: troppi e tutti insieme. Senza indugiare oltre sui miei pensieri mi incammino a passo deciso lungo il corridoio diretto in ambulatorio.

***

Buon giorno mattina!

Cosa c'è di più meraviglioso di una giornata di sole da trascorrere con il proprio ragazzo? Nulla!  Nemmeno le frittelle calde della mamma, con tanta marmellata, sciroppo di mirtilli e una tazza di caffè con molto, molto zucchero! E che scendono così bene nella gola fino allo stomaco; dolci e calde e...

Sospiro deliziata, assaporando questo cibo degli dei ad occhi chiusi. Forse ho dato un giudizio affrettato: temo che sarà costretto a fare del suo meglio per competere con tanta dolcezza! Rido da sola nell'immaginare le infinite possibilità per rendere un appuntamento ancora più dolce delle frittelle della mamma.

- Quanta allegria. Esci con mister simpatia?

- Shingo! Potresti smetterla di chiamarlo così, lo sai. - mio fratello è in grado di tirare fuori il peggio di me.

Lo guardo lanciando fiamme dagli occhi e per poco la frittella non mi si sbriciola tra le mani, ma lui non si scompone, non mi guarda neppure! Si siede sulla sedia di fronte a me rivolto però verso la televisione, che accende con il telecomando magicamente comparsogli in mano. Ma quando l'ha preso? Non era  sulla credenza? O forse proprio sulla tv. O accanto...

- A cosa stai pensando così intensamente? Guarda che rischi di fonderti il cervello. - e ride sotto i baffi, facendo zapping.

- Ma brutto... - non mi vengono nemmeno le parole dalla rabbia! - Un po' di rispetto per tua sorella maggiore. Crescendo peggiori invece di migliorare, lo sai?

- Peggiorate entrambi ragazzi, almeno quando vi trovate nella stessa stanza. E provate a... dialogare. - papà accompagna l'ultima parola con un'alzata di sopracciglia, poi si siede anche lui attorno al tavolo,  non prima di essersi versato una tazza di caffè nero.

- Ah, Usagi. - aggiunge poi, indicando le mie mani con un gesto della sua, quella che stringe la tazza - Dovresti lavare via la marmellata da lì. Lo sai che la mamma si arrabbia se trova macchie appiccicose sulle maniglie della cucina.

- Oh, no! - la frittella non si sarà completamente sbriciolata ma le mani sono un disastro.

Da un anno a questa parte Shingo tende a farmi impazzire, molto più di quando era un ragazzino. L'università gli dà alla testa. O forse non è l'università. E con questi pensieri mi avvio abbattuta al lavandino, con il sottofondo del telegiornale nelle orecchie.

"...antiche rovine, rinvenute da un gruppo di speleologi dopo la segnalazione, circa un mese fa, della presenza di una grotta sotterranea nei pressi di Sapporo, nell'isola di Hokkaido. Una spedizione di cinque uomini si è calata all'interno della caverna, e avvolti dal buio sono scesi ininterrottamente per oltre centoventi metri, illuminati solo dal sole che filtrava dall'apertura principale e dalle torce. Ma già prima che toccassero il fondo e cominciassero ad ispezionare la zona ai loro occhi è apparsa una scoperta ancora più sensazionale! VI mostriamo in anteprima assoluta le immagini fornite dagli scienziati."

Poi il cronista che racconta la vicenda cambia; la voce adesso è quella di una donna, e mentre mi giro a guardare anch'io la televisione, per distrarmi e ritrovare la calma, il mio mondo, il mio futuro, crolla: il passato gli dà una spallata feroce e lo fa cadere in ginocchio.

- Usagi, ti senti bene?

Temo di essere sbiancata. Sento la fronte gelida e le gambe che mi tremano.

- Sì... Sì papà. - ripeto con un po' più di convinzione, almeno nella voce - Devo aver mangiato troppa marmellata. Ora torno in camera mia e mi stendo qualche minuto.

E con un sorriso imbarazzato sgattaiolo al piano di sopra, sotto lo sguardo preoccupato di mio padre e quello perplesso di Shingo.

***

L'oscurità della notte mi avvolge con il suo silenzio irreale. Il cielo nero come l'inchiostro è punteggiato di minuscole stelle sconosciute. Un fiume d'argento lo attraversa e lo spacca in due, ma compie un corso diverso da quello che conosco. Tutto sembra meno brillante visto da qui, più cupo. A stento riconosco l'orlo del mio mantello, frusciante sul sentiero di terra battuta che sto percorrendo. Eppure, tutto questo mi affascina. Questo mondo così diverso dal mio, fatto di luci e colori vividi il giorno e di buio ed ombre scure la notte. L'aria sa di polvere e umidità, misto a qualcosa di pungente, un retrogusto salato che arriva dal mare.

Continuo a tenere gli occhi puntati in alto, con la testa reclinata all'indietro, cosicché, piano piano, il cappuccio scivola sulle spalle scoprendomi il capo. Non ho paura d'inciampare. La mano forte del ragazzo al mio fianco stringe la mia, guidandola a passi sicuri verso la meta. Nonostante il buio fondo di questa notte terrestre mi sento al sicuro, addirittura euforica.

Ci fermiamo all'improvviso senza un motivo apparente. Dopo tanto tempo passato a guardare le stelle col naso all'insù mi sento un po' disorientata. Sbatto più volte le palpebre. Siamo fermi ad un incrocio. Alla mia sinistra si staglia un alto muro, un'ombra compatta nella notte. Da quanto tempo il sentiero segue le mura della città?

- Siamo quasi arrivati.

La voce profonda del ragazzo mi parla sottovoce. Adesso è davanti a me, e mi sistema il cappuccio sul capo. Il tessuto è pesante e caldo. Si chiama velluto. Lo usano per difendersi dal freddo. Il mio mantello, dello stesso colore della notte, serve invece soprattutto a nascondermi. E' un tessuto prezioso qui, ed è chiuso al collo da un fermaglio d'oro che richiama il disco del Sole, contornato da otto piccole punte. Una lady scortata in città dal principe: questo è quello che sembro.

Allungo il braccio verso di lui per proseguire ancora una volta mano nella mano, ma egli mi fa cenno di no con la testa.

- Da qui in poi non possiamo più. Ma restami accanto.

Annuisco semplicemente. Adesso che siamo vicini alla meta ho un po' paura. Un nodo in gola mi impedisce di parlare.

E se sbagliassi qualcosa? Se capiscono chi sono? Se ci scoprono insieme?

Col cuore che batte forte proseguiamo il cammino voltando a sinistra, sulla via principale, dove anche le mura piegano in un'ampia curva. Ad un centinaio di passi da noi una lunga fila di lanterne disposte in alto illumina l'ingresso alla città. Rimango a bocca aperta a fissare l'enorme portone che ci sbarra la via. Non ne ho mai visto uno così grande e austero. Alla luce del fuoco il legno lucido si accende di sfumature arancio ed oro che lo rendono quasi vivo. I due battenti sembrano due blocchi unici, lisci e compatti. Alzo lo sguardo fino alla cima. Proprio sopra l'arco del portone risplende, quasi brillasse di luce propria, lo stemma della famiglia reale: un rombo rovesciato orizzontalmente con al centro incisa la sfera terrestre, tagliata in verticale da una sottile ellisse appuntita. L'impressione è quella di un grande occhio felino che ti guarda dall'alto, serio e vigile.

***

Perché mai i ricordi tornano a tormentarmi proprio adesso?

Chiudo gli occhi e rivedo con la mente le mura diroccate, impolverate, il portone scheggiato in più punti, in altri letteralmente distrutto, e in mezzo alle rovine l'Occhio della Terra, d'oro anche se la terra e la polvere ne nascondono la brillantezza, e soprattutto inconfondibile.

Calmo il respiro e torno a guardare l'album delle fotografie che stringo in grembo. E' incredibile come l'abbia ritrovato al volo, senza fare neanche un po' di confusione tra gli altri volumi della libreria. Ultimo scaffale, quarto libro da sinistra. E ora mi chiedo perché non l'abbia ancora buttato.  Ma infine mi decido ad aprirlo. La pagina giusta la trova da sé, grazie alla rosa secca che tiene il segno là dove serve. Là, sul biglietto da visita sul quale è segnato un numero di telefono che non ho comunque dimenticato. Me l'ha lasciato per le emergenze, nel caso ci fosse stato ancora bisogno di combattere e proteggere la Terra.

Prendo il cartoncino tra due dita e mi sento a disagio. Forse non dovrei essere io a chiamare. In fondo non è successo nulla di grave; sono solo delle rovine. Le suo rovine oltretutto. Se avesse avuto bisogno di me, o se ne avrà, sarà lui a mettersi in contatto per primo, no? E' così che dovrebbe essere.

Sono inquieta. Rimetto a posto il bigliettino. Ormai la decisione è presa! Mi costringo a non guardare la foto, richiudo l'album di scatto e lo lascio sul comodino, decisa a buttarlo non appena torno in cucina.

- Usagi, è arrivato Kaito!

Oddio! Me n'ero dimenticata! Corro giù per le scale come un fulmine, ma l'allegria di poco fa è svanita. Sarà una dura e lunga giornata...

 

 

  
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