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Autore: Pareidolia    17/09/2017    2 recensioni
Hakkou, rinomato investigastore, si ritrova a dover scoprire cosa si nasconde dietro a una misteriosa serie di omicidi dedicati dagli assassini a un certo Mugen. Fra la follia dei killer e le intricate strade di una gigantesca metropoli, si ritroverà a superare la linea che separa la realtà dai sogni.
Genere: Dark, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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How do you preach the word if you don't know how to read?

They hold your soul once you sign the deed

Would the sun still rise if there's no one 'round?

Would the fox be as quick if he hadn't his hound?

 

The Veils – Jesus for the jugular

 

Il sogno continua ma in un battito di ciglia s'è già concluso.

 

Se si desidera trovare delle informazioni precise e ben nascoste nella metropoli, il luogo adatto è senza dubbio la striscia di asfalto vecchio e palazzi situata ai bordi del muro che circonda la città. Divisa esattamente a metà, quella striscia si trova in parte nella zona Dazai e in parte ad Akutagawa. I palazzi lì erano abitati abusivamente. Normalmente chi ci abitava non ne aveva il permesso ma la polizia e le organizzazioni a capo dell'intera metropoli si interessavano ben poco a ciò. Tutti in entrambe le zone sapevano che lì viveva gente che sapeva badare forse fin troppo bene a se stessa al punto da essere riuscita a sistemare per i fatti propri tutti quei palazzi. Guardandoli, però, si vedeva chiaramente che erano rimasti indietro di parecchi anni rispetto agli altri. Ad ognuno di essi mancavano come minimo dieci piani rispetto agli edifici che li circondavano ma agli abitanti pareva importare ben poco. Si poteva considerare quel luogo totalmente staccato dalla città.

Mi avviai piano verso il civico 15, facendo bene attenzione che nessuno mi stesse seguendo e, raggiunta la porta, composi una precisa serie di numeri al citofono. L'ingresso si aprì, lasciando fuoriuscire un lungo sbuffo di vapore e polvere e accogliendomi nella sala principale del palazzo. Una stanza grande due metri per due, illuminata da una vecchia e intermittente luce rossastra che faceva a malapena intravedere la sottile rampa di scale arrugginite che si estendeva verso i vari piani. I gradini scricchiolarono sotto il peso dei miei passi e mi domandai se non sarebbero crollati prima che raggiungessi l'ultimo piano.

Dalle porte chiuse giungevano voci d'ogni tipo. A volte erano decine, altre una soltanto. Si udivano litigi, mormorii confusi, amplessi rumorosi, pianti di neonati o giovani ragazze. Cosa accadesse oltre gli ingressi di quelle abitazioni misteriose era una questione lasciata in sospeso, affidata alla pura immaginazione ed erano rare le volte in cui si riusciva a immaginare qualcosa di felice e spensierato.

Tentai di ignorare tutti quei suoni, quelle voci, quei legami al mondo da cui continuamente tentavo di fuggire, pervaso dalla disperazione. Avanzai, quindi, verso l'ultimo piano. Quando lo sguardo vagava fuori dalle finestre poste su ogni pianerottolo tra un piano e l'altro non vedevano altro che una città addormentata, immersa nella nebbia e senza luna.

La porta che conduceva al finto appartamento di Kaoru Tezuka era chiusa da più mandate più un tastierino a riconoscimento oculare “per avere più sicurezza”, diceva lui. Una volta suonato al campanello bisognava attendere che l'uomo riconoscesse la persona davanti alla porta tramite una telecamera nascosta e, una volta all'interno, bisognava sapere dove stava il tasto esatto che apriva l'entrata per il vero appartamento. Con circospezione lo premetti, perseguitato dall'ansia e dalla paura di essere inseguito che circondava la vita di Tezuka e che trasmetteva a chiunque venisse lì come fosse una sottile forma di lebbra. Superata una lunga porta segreta bisognava scendere una breve rampa di scalini metallici fino al piano sottostante. Il vero appartamento era stato ricavato dallo spazio in eccesso di un trilocale al penultimo piano del palazzo e lo si poteva considerare un buco. C'era lo spezio solo per il letto, uno strettissimo bagno e una postazione occupata da un enorme computer d'ultima tecnologia. Tezuka stava proprio là, seduto davanti alla griglia di schermi che trasmettevano immagini da tutta la metropoli. Ignorati, i suoi occhi osservavano ogni strada, ogni abitazione, ogni ufficio. Erano ovunque.

-Sempre a spiare chi non dovresti, Tezuka?-

L'uomo si voltò appena, lanciandomi un'occhiata indifferente e, con la sigaretta ben stretta fra le labbra, mi indicò una sedia accanto alla sua scrivania.

Mosse rapidamente il mouse del computer e su uno degli schermi apparve una lunga chat anonima e criptata. A velocità disumana digitò qualcosa e inviò un messaggio. A quel punto la schermata tornò sulla stanza di prima, abitata solo da due ragazzine della stessa età, nude e impacciate. Amava farsi i fatti altrui e venderli a chiunque offrisse il prezzo più alto. Lo si poteva considerare il migliore investigatore privato della città proprio per questo, addirittura superiore a quelli della Karma Police,sotto quell'aspetto.

Sapeva sempre, grazie alle sue telecamere, dove qualunque persona si trovasse, a che ora e con chi. Come avesse fatto a riempire la metropoli coi suoi occhi era un mistero. Si vociferava in certi ambienti di alcuni collegamenti parecchio loschi con una società molto famose di apparecchi elettronici per le case ma non c'era mai stata alcuna conferma a riguardo. Fatto sta, comunque, che nonostante tutti quegli occhi sparsi ovunque, viveva da recluso. I soldi guadagnati da quel viscido lavoro non poteva in alcun modo goderseli.

Quella notte indossava un viso diverso. Aveva scelto qualcosa di stranamente esotico per i suoi gusti. Lineamenti finemente europei, capelli rossicci e lunghi, legati in due code e con dei ciuffi che gli carezzavano le guance e la fronte pallida. Gli occhi d'un azzurro innaturale erano persi nelle immagini degli schermi, cercavano qualcosa che potesse essere interessante abbastanza da poter essere venduto nel mercato nero di internet. Informazioni su persone, filmati privati, dati di conti in banca, pornografia o peggio. Nonostante la sua attività fosse illegale i suoi rapporti con la polizia erano dei più rosei. Lui aiutava noi tanto quanto noi aiutavamo lui. Uniti con un criminale nella lotta al crimine, sarebbe stato un ottimo slogan per la divisione.

-Allora, hai trovato qualcosa su di lui?-

Si bloccò per un attimo. Lo sguardo di ghiaccio si perse per qualche secondo nel vuoto fra gli schermi, percorrendo la superficie scura del muro, poi si voltò a guardarmi scuotendo la testa.

-Tu chiedi l'impossibile. Ho cercato ovunque il nome Mugen senza il minimo successo. Davvero credevi bastasse qualche occhiata in giro per la metropoli? L'uomo che cerchi è furbo, ha sicuramente delle ottime difese e soprattutto sa rendersi invisibile facilmente, forse più di me.- Socchiuse gli occhi, concentrandosi su qualche pensiero a me sconosciuto.

-Hai in mente qualche posto in cui potrebbe essere nascosto in questo momento?-

-I casi sono due, amico mio. O si nasconde oltre il muro, oppure ha amici importanti che sanno dove tenere dei segreti lontani da occhi indiscreti come i miei e quelli degli altri.- Quasi mormorò soffiando verso un ciuffo di capelli per spostarlo dagli occhi.

-Lo pensavo anche io. Di questo, invece, cosa sapresti dirmi?- Domandai estraendo dalla tasca destra del cappotto la busta di plastica contenente il piccolo oggetto di legno.

-Legno?- I suoi occhi s'allargarono, tanto fu sbalordito.

-Sì, era in casa di Sasaki, l'aggressore della scorsa settimana. Stava in mezzo a un altarino chiuso dentro una stanza.-

-Fa' vedere. Direi che è raro ma non poi così tanto, l'ho già visto in giro, ne sono sicuro. -Fece poi una breve pausa di riflessione. -Ma certo, mi ricordo. Questo è il simbolo di una setta saltata fuori dal nulla come molte altre negli ultimi mesi. Due, forse tre mesi fa ma potrebbero anche essere di più, non ricordo bene. Sai, ce ne sono così tante. Se però non ricordo male il luogo in cui si riuniscono loro si trova a Dazai, nel seminterrato di un grosso complesso di Dazai. E' uno dei pochissimi luoghi in cui non ho potuto piazzare delle telecamere. Peccato perché sarebbe potuto essere davvero divertente.-

-E allora come fai a saperlo?-

-Le telecamere non sono il mio unico mezzo, Hakkou, dovresti saperlo. Le informazioni sono preziose e se si hanno le fonti e le domande giuste si può venire a conoscenza di qualsiasi cosa. Tu, ad esempio, hai appena fatto la domanda giusta all'informatore giusto.-

 

Fu così, quindi, che mi ritrovai davanti al palazzo indicatomi da Tezuka. Un edificio identico agli altri lungo la via, affiancato da lunghe e sudice ramificazioni di vicoli. Cinque omicidi dei quali due senza un assassino confermato e presumibilmente collegati a quel luogo. Era raro che una setta si spingesse così tanto in là con le proprie azioni. Solitamente se ne stavano nascoste negli scantinati di grossi edifici nelle zone più povere, fingendo di non esistere per non essere disturbate. Seguivano la regola “vivi e lascia vivere”, insomma. E, a questo punto, la domanda riguardo chi o cosa fosse Mugen si fece più pressante, più fastidiosa. Un dio? Il capo di quella setta? Un semplice uomo o qualcosa di più?

Ripensai alla scena che mi era apparsa all'appartamento, alla voce del vecchio custode, all'oggetto di legno. Con queste immagini in mente entrai nel complesso.

Non trovai nulla di nuovo rispetto ad altri palazzi della zona nella hall. Scale in procinto di crollare, un vecchio modello di computer a fare da portinaio e una stretta scaletta che scendeva verso lo scantinato. L'aria era viziata, soffocante e il silenzio gelido.

Scesi piano, verso l'oscurità del piano sottostante e scoprii solo dopo almeno una ventina di gradini che quella scala stava andava ben oltre la profondità di un qualunque scantinato della zona di Dazai. Si spingeva parecchio più in là, perdendosi in una cupa tenebra fitta e impenetrabile, raggelante. Lunghi brividi percorsero la mia schiena superando il cappotto e la camicia e, per poter proseguire, fui costretto ad accendere la torcia. Girai la manopola del telecomando nella tasca al massimo, al punto che potevo sentire le voci degli inquilini dell'edificio come flebili sussurri nel vento e premetti un tasto, così da poter vedere e analizzare al meglio ciò che mi circondava.

I gradini erano grigi, leggermente sporchi di polvere e ruggine, le pareti annerite dal tempo, stranamente distorte in una prospettiva irregolare che faceva sembrare il palazzo obliquo.

Le voci degli inquilini scomparvero progressivamente, lasciando spazio ad altre voci, altri suoni indefinibili. La coltre d'oscurità s'era infittita talmente tanto che la torcia era ormai quasi inutile e non raggiungeva nemmeno più i gradini. Camminavo nelle tenebre d'un luogo ignoto, spaesato e scosso dai brividi come mai prima d'ora mi era successo.

Accadde, mentre ancora scendevo quell'infinita rampa di scale, che un barlume di luce da lontano iniziò a farsi sempre più grande.

Il pallido volto sorridente d'un vecchio era debolmente illuminato da una torcia da lavoro che stringeva nella mano sinistra. I suoi occhi mi fissavano da sotto le pesanti palpebre coperte di rughe e macchie marroncine o verdognole.

-E' un'oscura notte questa, vero?- Domandò senza smettere di sorridere. -Un'oscura notte dell'anima, già. Ma è appena iniziata, la luna non è che all'orizzonte. Sta appena sorgendo. Sarà piena, sa? Una luna grossa e bianca, glielo assicuro.- La sua luce si affievolì, illuminando sempre più debolmente il suo volto pallido fin quando, scomparso ogni centimetro di pelle, non rimase che il sorriso, il quale lentamente sfumò nel buio.

Allungai una mano davanti a me, vedendola sparire a sua volta nella tenebra ed ebbi un sussulto quando, ritraendola, riapparve. Decisi di continuare a scendere, estraendo dalla fondina la pistola più per sentirmi più sicuro che perché veramente convinto della sua utilità in una simile situazione. A mia volta svanii in quella coltre assoluta di nero che aveva ingoiato ogni cosa.

Davanti a me si estendeva una stanza larga, piena di uomini e donne senza alcun vestito addosso ma ricoperti da un liquido bianco che dai capelli scivolava fino al ventre, raggruppandosi fra le gambe incrociate. Posti in cerchio attorno a un enorme albero, fissavano tutti me, immobili e in silenzio. La stanza sembrava stretta e sconfinata, dalle pareti di un colore ultraterreno che, guardandolo, provocava un forte senso di nausea. L'albero davanti a me, al centro d'ogni cosa, era rigoglioso, colmo di foglie e strani frutti e tagli in alcuni punti che testimoniavano l'utilizzo dei suoi rami per creare quello strano oggetto. Poi, al suo posto, vidi un uomo. Seduto anche lui come gli altri, composto interamente da quel liquido bianco e denso che pareva formare un vero e proprio corpo. Un corpo che mi fissava insieme a tutti quegli uomini e donne.

Era nudo anche lui ma non possedeva alcun attributo umano, ne era solo una rappresentazione perfetta in ogni dettaglio. Lunghi capelli formati dal liquido continuavano a scivolare dalla punta della testa fino al petto, mescolandosi ad esso e un intenso sguardo di vento era fisso nel mio. Mi sentivo inchiodato lì, in piedi.

-Hakkou, emissione. Benvenuto.- Non risposi o, meglio, non riuscii a rispondere.

-E' da un po' che mi insegui. Mi scuso per essermi fatto cercare così tanto. Diciamo che nella metropoli non è così facile comunicare, non credi anche tu?- Accennò un sorriso e piegò leggermente la testa. Solo allora mi accorsi che i suoi lineamenti erano giovani e delicati. Era una creatura effimera.

-Ci troviamo nell'oscura notte dell'anima.- Disse come volesse rispondere a un interrogativo nascosto nel profondo del mio spirito. -Hai paura. Non comprendi. E' naturale, te lo assicuro. Ognuno, qui, si è sentito così, non c'è nulla da temere. C'è chi nel cervello ha un labirinto.- Al suono delle sue parole una donna afferrò le proprie guance delicatamente con la mano destra e si tolse il volto, scoprendo l'interno della testa, nella quale stava un cervello colmo di intricati sentieri grigiastri e viscosi.

-C'è chi desidera avere più occhi.- Lungo il corpo di un uomo si aprirono le palpebre di decine e decine di brillanti bulbi oculari dalle iridi di diversi colori. I loro sguardi viaggiarono ovunque lungo la stanza.

-Ma anche chi non sente di appartenere alla tecnologia.- Dalla bocca di una giovane ragazza sui diciotto anni al massimo fuoriuscirono innumerevoli rami tempestati di fiori di ogni tipo.

Guardandomi attorno, poi, vidi che anche tutti gli altri cambiarono progressivamente. Ad un uomo, quando alzava il mento, si potevano vedere cinque volti identici al suo ma più piccoli che fumavano sottili rami dell'albero che fino a poco prima stava in mezzo alla stanza. Una donna usava la propria lingua come sciarpa e lentamente la tirava sopra la sua testa per coprirsi i capelli. Un ragazzino aveva un buco al posto del cuore e con l'organo, malleabile come creta, stava realizzando una scultura. Un anziano teneva in mano una torcia e sorrideva.

-Se questo è un sogno, ti chiedi. Se invece è la realtà, teorizzi poi. Ma se non fosse nessuna delle due cose? Sei sicuro che tutto ciò, che tutto il mondo debba essere per forza una sola cosa, precisa e distinta? Se invece non si trattasse d'altro che di innumerevoli sfumature? Sogno, realtà, paradiso e inferno, tutto insieme. Non ci sono contorni.- La stanza parve iniziare a muoversi sinuosamente, ad allargarsi e restringersi ancor più di prima mentre il colore delle pareti cambiava da indefinibile a un intricato miscuglio di diverse sfumature senza inizio né fine, indistinguibili fra loro. Apparve l'albero, poi scomparve. Mugen mi osservava, poi non c'era più. Tornò il buio e poi la luce.

L'uomo ora mi fissava nuovamente, c'eravamo solo noi due e, alle sue spalle, l'albero più grande rispetto a prima, i rami sconfinati si estendevano in ogni direzione coprendo ogni cosa.

-L'ultimo elemento della natura in questo luogo di metallo e plastica. Invisibile, eppure davanti agli occhi di tutti. Non ne senti la magnificenza?- Non riuscii a rispondere, tentennai. Nella mente avevo un solo pensiero che continuava a ripetersi all'infinito.

-E' per questo che hai fatto uccidere quelle persone?- L'uomo accennò un sorriso calmo, strano.

-Uccidere fa parte degli uomini. Non si può impedire che, prima o poi, in qualche modo accada. Che si tratti di un omicidio fisico, morale o sentimentale, prima o poi tutti uccidono. C'è davvero molta differenza, a tuo parere, tra l'omicidio di una persona e l'omicidio di un sentimento?-

Ogni sua parola gettava veli d'ombra sulla mia mente, rendendomi incapace di formulare pensieri e portandomi a riflettere su u come se ciò che diceva mi guidasse lungo un percorso labirintico senza inizio né fine.

-Allora perché quegli uomini hanno ucciso?-

-Deve davvero esserci un motivo? Deve davvero esserci un ulteriore colpevole? Un assassino è stato arrestato, l'altro è in prigione. Se non hai la certezza di ciò a cui stai assistendo ora, come puoi pensare che ci sia questo dietro quegli omicidi?-

-Stai dicendo che dovrei lasciare perdere?- L'uomo si alzò, facendo gocciolare il liquido di cui era composto ai propri piedi e lasciandosi dietro una lunga scia. Quando fu vicino a me alzò una mano e con l'indice e il medio tesi verso il mio volto mi sfiorò la fronte. Una goccia del liquido mi scivolò lungo il setto nasale.

Mi ritrovai nella stretta stanza di Mizoguchi. Lui stava davanti a me, rannicchiato verso il muro, gli occhi sbarrati dalla follia.

-Devo ucciderli...quei bastardi, devo ucciderli. Il mio lavoro...mi hanno tolto il lavoro...- Qualcuno bussò alla porta.

-E' questo l'appartamento di Mizoguchi? Ho sentito che ha bisogno di una mano, è vero?- Disse una voce anziana dall'altro lato. La riconobbi subito.

Dopo un battito di ciglia mi ritrovai nel quartiere di Abe, le luci erano luminose, quasi accecanti. Vicino a una discoteca stava Sasaki, fermo. Fumava una sigaretta e quando un giovane uscì dall'ingresso iniziò a seguirlo.

In un vicolo afferrò un cacciavite dalla punta rotante e chiamò l'uomo. Quello si voltò e lui usò l'oggetto per sfasciargli ripetutamente la testa.

-Così impari ad andare con mia moglie, stronzo! Lo dedico a Mugen. Questo lo dedico tutto a Mugen.-

Al successivo battito di ciglia, Mugen stava ancora davanti a me, nuovamente circondato da tutti gli adepti.

-Hai capito, ora?-

-Loro...-

-Esatto, sono loro. Tutto il resto, per ora, non ha importanza. Un giorno, forse, ci rivedremo. Quando la nuova notte dell'anima calerà su questo triste luogo e le nostre strade, Hakkou, saranno nuovamente destinate a incrociarsi. Ma fino a quel momento sarà inutile cercarmi. Saranno gli eventi a guidarti all'albero quando sarà il momento.

Chiusi le palpebre di nuovo, involontariamente, e quando le riaprii mi ritrovai davanti a una porta bianca, ammuffita. Alle mie spalle stavano le scale che conducevano alla hall del palazzo. Deglutii e provai a girare la maniglia della porta ma era chiusa a chiave.

Il sogno, la realtà o qualunque cosa fosse stato, era finito ormai.

   
 
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