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Autore: edoardo811    17/09/2017    1 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Good Left Undone

XV

TRADITORE

 

 

 

Amava la notte. Le tenebre emanate dal cielo nero e scarsamente illuminato erano come una coperta per lui. Il buio era la sua casa. Lui non lo temeva, come invece molte altre persone facevano. Non aveva paura dei mostri che esso celava, dell’ignoto e dell’alone di mistero che emanava. Perché il buio non è necessariamente cattivo. Il contrario. Il buio è alleato. Lui ti protegge, ti nasconde. Se ne sei avvolto, i mostri non possono vederti. Ma tu puoi vedere i mostri. 

I fongoid procedevano a passo spedito, illuminando la loro strada con la luce azzurra emanata dalle pietre incastonate nei loro scettri. Continuavano a confabulare a bassa voce, lo scalpiccio dei loro passi risuonava nell’ambiente attorno a loro con ritmo costante, sembrava scandire il tempo come un metronomo.

E Red X li seguiva. Nascosto nell’ombra, nella sua casa. Di tanto in tanto qualcuno di loro sembrava sentirsi osservato, perché si girava e si guardava intorno facendosi luce con lo scettro, ma nessuno aveva visto anche solo di sfuggita il ragazzo. Red X giocava in casa, nessuno di loro lo avrebbe mai potuto scoprire in quel frangente. Quanti colpi aveva messo a segno con il favore delle tenebre, muovendosi silenzioso come un’ombra e letale come un’arma. In quel momento, si sentiva proprio come se stesse mettendo a segno una rapina: non doveva farsi scoprire, o tutto sarebbe andato in fumo.

Erano ormai ore che procedevano a tentoni nella fitta giungla. Capì che il tempo doveva essere trascorso, perché il cielo scuro cominciò a schiarirsi lentamente. Dovevano essere le quattro del mattino, o giù di lì.

Cominciò a porsi decine di quesiti su dove stessero andando, cosa avessero intenzione di fare e, soprattutto, se l’avrebbero tirata ancora per le lunghe. Stava seriamente cominciando a stancarsi. Ormai gli sembrava di camminare da un’eternità. Voleva che quella faccenda finisse in fretta, così da permettergli di tornarsene nel villaggio. Diverse volte gli parve di riconoscere parti di strada che già aveva percorso con i Titans, ma forse era solo una sua impressione. Dopotutto, quella giungla era tutta uguale.

Non appena arrivarono ad uno spiazzale privo di alberi, tuttavia, il ragazzo si ricredette. Era lo spiazzale in cui erano atterrati un mese prima. La nave era ancora lì, ferma immobile, ricoperta di muschi. Sentì diversi versi d’approvazione provenire dai fongoid ed intuì al volo che quel luogo era il loro obiettivo. Il ragazzo inarcò un sopracciglio, domandandosi quali fossero le loro intenzioni.

Avrebbe voluto avvicinarsi ulteriormente per sentire cosa si stessero dicendo, ma non essendoci alberi per coprirlo nello spiazzale ed essendosi il cielo leggermente rischiarito, dovette scartare quell’idea. L’unica cosa che gli rimase fu quella di attendere la loro successiva mossa. Osservò il gruppo muoversi intorno alla nave e scrutarla con attenzione in ogni suo minimo particolare. Si vedeva lontano un chilometro che quei tizi non avevano mai visto una nave da così vicino. Finché Galvor non puntò il suo scettro contro la nave e scaturì un’onda di energia che si infranse contro il boccaporto posteriore. Il ragazzo sgranò gli occhi.

Come diavolo ha fatto?

La cosa che vide dopo, tuttavia, cancellò dalla sua mente quel quesito. Il boccaporto si aprì, la rampa diagonale si azionò e collegò la nave al terreno. Galvor grugnì soddisfatto, poi fece cenno ai colleghi di seguirlo ed entrò nella nave, seguito uno per uno da tutti gli altri. X si lasciò scappare un verso sorpreso. Se prima era stupito, adesso era quasi meravigliato. Ma si riscosse presto, quando realizzò che tutti i fongoid erano entrati, tranne uno che rimase fuori a fare il palo. La situazione si faceva sempre più strana. Perché stavano entrando? Che diamine stavano tramando?

C’era solo un modo per scoprirlo. Muovendosi furtivamente fra gli alberi, aggirò la nave e l’alieno che faceva la guardia. Una volta sicuro di non essere visto, uscì dal nascondiglio e si avvicinò di soppiatto alla guardia. Non appena gli fu alle spalle, lo assalì avvolgendogli un braccio intorno al collo e stringendo con quanta forza aveva. L’alieno emise un verso strozzato di sorpresa e lo scettro gli scivolò dalle mani. Cercò di lottare e di staccarsi l’arto del ragazzo di dosso, ma l’elemento sorpresa giocò a favore di Red X e il fongoid, che aveva reagito troppo tardi, cedette dopo poco tempo. Roteò gli occhi e si accasciò a peso morto. Il ragazzo lo adagiò al suolo delicatamente, così da non fare rumore, poi accostò l’orecchio al naso dell’alieno per accertarsi delle sue condizioni. Respirava ancora. Meglio, Red X odiava gli amici di Galvor, ma se ne avesse ucciso uno non avrebbe certo fatto una bella figura.

Annuì soddisfatto, poi salì la rampa con passo felpato ed entrò nella nave. Puzzava di chiuso. Era stato all’aria aperta di Quantus per così tanto tempo che non era più abituato agli stretti e soffocanti corridoi di metallo della nave. Avanzò nell’ombra, procedendo a tentoni e cercando di fare il minimo rumore possibile. Man mano che avanzava, le voci dei fongoid e Galvor si facevano sempre più vicine e forti. Provenivano tutte dal fondo del corridoio, ovvero dalla sala comandi.

Il ragazzo sospirò. Quanto gli sarebbe piaciuto decollare con quella nave e tornarsene a casa. E invece era ferma. E probabilmente non sarebbe mai più stato possibile farla ripartire, conciata com’era. Decise di rimuovere quel pensiero dalla sua mente, anche perché non aveva molta voglia di deprimersi in quel momento.

Le voci dei fongoid si fecero sempre più vicine e il ragazzo poté finalmente udire alcuni scorci di conversazioni: «... trovarlo! Tenete bene gli occhi aperti e cercate con attenzione, se lo vedete ditemelo!» Questo era Galvor, senza ombra di dubbio. E stava cercando qualcosa.

Red X affrettò il passo e si avvicinò ulteriormente, fino a quando non udì un’altra voce, che non riconobbe: «Eccolo! Credo sia questo!»

Galvor replicò quasi immediatamente. «Fa un po’ vedere... sì, è questo! Ottimo!»

X inarcò un sopracciglio. Che diamine stavano combinando?

Raggiunse infine l’ingresso della sala, ma non entrò. Rimase acquattato contro la parete, mimetizzato nell’ombra. Da lì, vide alla perfezione il gruppo di fongoid radunati intorno a Galvor. Di fronte ad una consolle. Ognuno di loro gli stava dando le spalle. Il ragazzo aguzzò la vista e cercò di vedere cosa stessero facendo, ma i loro corpi coprivano la visuale. Sbuffò dal naso irritato, ma si costrinse a restarsene fermo. Cercò di affinare ulteriormente l’udito, così da riuscire a vedere almeno con le orecchie, ma l’unico suono che sentì fu quello di un fruscio simile al vento. Il corridoio si illuminò di azzurro all’improvviso e il ragazzo trasalì.

Ma cos...

Qualcosa lo colpì alle spalle, facendogli emettere un urlo di sorpresa misto a dolore. Sentì la schiena andare a fuoco, odore di carne ustionata e della camicia bruciata. Cadde a terra, dentro la sala comandi, grugnendo di dolore. Galvor e i suoi si girarono di scatto e lo videro tutti quanti, dal primo all’ultimo.

Il ragazzo strinse i denti. «Merda...»

Dopo un attimo di stupore iniziale, Galvor sogghignò. «Ma guarda chi si rivede...»

Red X gemette e cercò di sollevarsi in piedi, ignorando il dolore alla schiena, ma si beccò un calcio in piena faccia, che lo fece ribaltare. Un disgustosissimo crack lasciò bene intendere la fine che il suo naso aveva appena fatto. Tossì, e cercò di sollevarsi ancora, solo per poter vedere la guardia che aveva steso entrare nella sala alle sue spalle, brandendo lo scettro e fissandolo con aria furiosa. «La prossima volta che cerchi di uccidere qualcuno, almeno fallo bene!»

X digrignò i denti, ringhiando di rabbia. Quel tipo si era svegliato in tempo zero e l’aveva colpito alle spalle. Non era riuscito a fargli perdere i sensi come si doveva. Si era fregato da solo. E adesso che l’avevano beccato, non gli restava che una cosa da fare: combattere. Cercò nella sua cintura le proprie lame, ma non appena tastò il vuoto sgranò gli occhi. Non aveva né la cintura, né le lame. Tutte le sue armi erano riposte in una stanza sicura al palazzo, dopo che Alpheus aveva chiesto loro di deporle. Era disarmato contro sei fongoid armati di quegli stupidi scettri, aveva il naso grondante di sangue e la schiena mezza ustionata, che gli arrecava sofferenza ad ogni minimo movimento. La guardia che credeva di aver steso gli arrivò alle spalle e lo sollevò per un braccio, mentre un’altra arrivò da dietro di Galvor e lo sollevò per l’altro. Red X cercò di lottare e di liberarsi, ricevendo fitte di dolore alla schiena per ogni sua minima mossa.

Allontanò i due fongoid che lo avevano cercato di bloccare, ma Galvor lo colpì al volto con l’estremità del bastone, proprio sul naso che già era rotto. Il ragazzo vide le stelle, letteralmente. Fu di nuovo immobilizzato ed abbassò la testa gemendo. Non sentiva più la faccia, la schiena bruciava come se stesse vendendo frustata, ed aveva le braccia bloccato. Cercò di colpire con dei calci Galvor e le altre due guardie, ma un altro pugno lo fece desistere. Tossì, sputò uno schifoso grumo di sangue a terra e ansimò quasi senza fiato. Cercò di sollevare ancora la testa, ma si beccò un altro pugno. E poi un altro. E ancora, e ancora.

Galvor lo usò come sacco da boxe, accentuando il suo odioso sorriso ogni volta che un suo pugno andava a segno. Passarono interi minuti, o forse anche ore, poi, finalmente, il fongoid arrestò il pestaggio e le guardie lasciarono andare il ragazzo, che si accasciò al suolo senza più energie. Gemette diverse volte, suscitando l’ilarità del capo delle guardie. «Non fai più il gradasso ora, vero?»

«B-Bastardo...» rantolò X con quanto odio possedesse in corpo.

Una risata schernitrice uscì dalla gola del fongoid. «Hai ancora le forze per insultarmi, eh?» Il suo tono si fece duro all’improvviso ed ogni traccia di divertimento svanì dal suo timbro vocale. «Sollevatelo!»

Altre mani gli si avvinghiarono nuovamente alle braccia e fu issato in piedi, messo di fronte a Galvor e al suo scettro già illuminato di azzurro. Il fongoid glielo puntò. «Vediamo se adesso hai ancora il coraggio di parlare!»

«Credi... di farmi paura, Palla di Neve?» sibilò ancora X, scrutandolo con il suo sguardo incendiario. In quel momento poteva provare odio, rabbia, dolore, tantissimo dolore, rammarico, ma se c’era una cosa che uno come Galvor non avrebbe mai potuto instillare dentro di lui, quella era la paura. Anche se non aveva più la forza per reggersi in piedi, il dolore alla schiena proseguiva come una morsa agonizzante e aveva puntato addosso un altro di quei bastoni, non aveva paura.

Galvor intanto digrignò i denti, spazientito. «Sarà un vero piacere polverizzarti con il mio Scettro, pulcioso terrestre!»

«Che diavolo avete fatto?»

«Cosa?» La luce della gemma si estinse.

Il ragazzo sputò un altro grumo di sangue, poi ripeté la domanda: «Perché siete qui? Che diavolo avete fatto? Cosa cercavate?» Se proprio doveva rimanerci secco, voleva almeno sapere cosa avesse appena cercato di scoprire.

Galvor lo scrutò diffidente, in silenzio, chiaramente intento a valutare se rispondere o meno. Alla fine, sorrise beffardo e rispose: «Semplice. Abbiamo chiamato dei soccorsi con la vostra nave. Abbiamo detto di far parte di un gruppo formato da sei terrestri e due tamaraniane in difficoltà. Nel giro di pochi giorni, qualcuno verrà a prendervi, così voi vi leverete dalle scatole e tutti quanti saranno più felici.»

Red X sgranò gli occhi. «Voi... cosa?!»

«Hai sentito.»

Lo fissò incredulo. Forse avrebbe dovuto essere felice di ciò. Peccato che la realtà era ben diversa. «Ma sei impazzito?!»

«Qual è il problema?» domandò il fongoid con noncuranza. «Non sei felice che qualcuno venga a prendervi? Non era quello che volevi, dopotutto?»

«Sì, cioè, no! Cioè...» Red X non credeva alle proprie orecchie. Era talmente sorpreso che a fatica riusciva a parlare. Alla fine, si concentrò ed espresse la sua opinione in modo chiaro: «Io e i miei amici siamo ricercati da mezzo universo! Chiamando i soccorsi hai lanciato un SOS che raggiungerà tutte le navi nel raggio di milioni di miglia! Ti rendi conto che nel giro di poco tempo qualunque cacciatore di taglie all’ascolto si presenterà qui?! Non verranno a salvarci, ma a catturarci!» Sapeva tutte quelle cose perché era stato Cyborg a spiegarglielo, perciò non appena aveva udito ciò che il capo delle guardie aveva fatto era rimasto quasi scioccato.

«Lo so benissimo, i tuoi amici lo hanno già detto ad Alpheus che eravate inseguiti da dei pirati» replicò Galvor con tutta calma. «Infatti il mio obiettivo era proprio quello, levarvi dai piedi. Che veniate catturati o salvati, non mi riguarda. L’importante è che spariate dal mio pianeta!»

Red X spalancò la bocca. Come poteva fare una cosa del genere? Anche Corvina era ricercata, e lei era la Salvatrice, era importante per i fongoid! Avrebbero lasciato che catturassero anche lei? Ma soprattutto, se fossero davvero arrivati dei cacciatori di taglie su Quantus, cosa avrebbe impedito loro di fare del male anche ai cittadini innocenti? Non appena arrivò alla verità, sgranò gli occhi. Galvor sapeva tutte quelle cose. Sapeva che tutti quanti correvano dei rischi, e nonostante ciò era così ossessionato dal liberarsi dei terrestri che aveva comunque deciso di fare ciò che aveva fatto. Aveva deciso di correre il rischio. Era disposto a tradire la propria gente per liberarsi di loro. La rabbia si riaccese dentro di lui come un incendio e fissò di nuovo con odio quel pazzo in piedi davanti a lui. «Tu... razza di... di...»

Non terminò mai la frase. Un’altra onda di energia uscì dallo scettro del fongoid e lo centrò in pieno, scaraventandolo a terra e facendolo urlare con quanto fiato aveva in corpo. Sentì il proprio corpo come se stesse implodendo su sé stesso, gli parve di scoppiare letteralmente. Crollò al suolo, con il battito cardiaco accelerato e in preda a spasimi e convulsioni. Non sentiva più niente. Non sentiva il sapore del sangue che aveva in bocca, non sentiva l’odore della stessa sostanza vermiglia che colava a fiumi dal naso, faticava perfino a sentire i rumori intorno a sé. Ognuno di essi era offuscato da un interminabile e fastidioso fischio.

Prima di cadere nell’oblio, tuttavia, sentì ancora la voce di Galvor. Le parole risuonarono ovattate, distanti, ma riuscì comunque a captarle: «... e non preoccuparti per la tua fidanzata. Ci prenderemo noi cura di lei.»

Non appena terminò di udire quelle parole, provò ciò che mai credeva avrebbe provato. Provò la paura. La paura che quei porci potessero fare del male ad Amalia, o peggio, la paura di non rivederla mai più.

I successivi istanti furono un mucchio di immagini confuse e sbiadite per lui.

L’ultima cosa che ricordò fu il momento in cui i fongoid lo scaraventarono dentro una pozza formata da un inquietantemente familiare liquido azzurro, brillante e viscoso. Il cielo si era rischiarito sopra di lui, forse era perfino arrivato il mattino.

Poi tutto si spense.

 

***

 

Amalia riaprì gli occhi di scatto. Il ronzio del silenzio fu l’unica cosa che sentì quando la sua mente dapprima assopita si ridestò completamente. Le parve che il peso del mondo stesse gravando su di lei. Le gambe, le braccia, tutto il suo corpo era intorpidito. In un primo momento pensò di aver dormito un’ora scarsa, questo avrebbe spiegato tutta quella stanchezza, invece, non appena vide alcuni spiragli di luce filtrare tra le persiane chiuse, intuì che doveva aver dormito tutta la notte. Sospirò esausta ed esasperata e a fatica si sdraiò sulla schiena, voltandosi verso il soffitto grigio e semi occultato dalla penombra. Si sentiva una pezza stropicciata, nonostante la nottata di sonno. Era come se praticamente non avesse mai dormito. La giornata che stava per arrivare si preannunciava molto più dura di quella dalla quale era reduce.

Un respiro sommesso le fece drizzare le orecchie e voltò appena lo sguardo. Vide Terra sdraiata accanto a lei, con la guancia affondata nel proprio cuscino e un’aria di totale relax dipinta sul volto. Solo in quel momento realizzò che la bionda era rimasta a dormire con lei, quella notte. Sorrise al pensiero di ciò. Ancora di più lo fece quando ricordò che lei era sua amica. L’unica ragazza su cui aveva potuto contare fino a quel momento, negli ultimi due mesi, naturalmente, era Stella. Ma lei era sua sorella.

Nessuno dei Titans era suo amico, a conti fatti. Erano conoscenti, compagni, colleghi, niente di più. C’era Red X, con cui tuttavia aveva avuto i suoi diverbi. Sapere che Terra invece le era vicina, la fece sentire decisamente meglio. Se non ci fosse stata lei, non avrebbe mai avuto modo di poter parlare con qualcuno dei suoi problemi di coppia e nessuno le avrebbe detto di farsi coraggio e non lasciarsi abbattere.

Era quasi riuscita a dimenticarsi del proprio passato e dei suoi sensi di colpa, grazie alle parole di Stella, di Robin e dello stesso Red X. Ma dopo il litigio con quest’ultimo, il suo rammarico era tornato più forte che mai. Se Terra non fosse arrivata, probabilmente non sarebbe più riuscita a liberarsi di lui. Non scherzava affatto quando le aveva detto che le doveva la vita.

Si guardò il ventre nascosto dalla vestaglia e cominciò ad accarezzarlo. Coccolò quel feto al suo interno che probabilmente non si sarebbe accorto di nulla. Ripensò a ciò che aveva detto su suo figlio. Suo figlio, sangue del suo sangue, la vita che custodiva dentro di lei. La paura che nutriva nei suoi confronti, la paura che le stringeva il cuore e che le faceva temere che non sarebbe stata una madre ideale.

Piccolo mio... pensò mentre il suo palmo vellutato strofinava il tessuto morbido della vestaglia.

Un’altra lacrima le rigò una guancia. Tirò su col naso con forza e cercò di calmarsi.

Girò di nuovo la testa verso di Terra. Le labbra le tremarono. Si avvicinò a lei, facendo il più piano possibile per non farsi sentire. «Grazie ancora, Terra. Grazie di cuore» mormorò al suo orecchio, silenziosa come un soffio d’aria.

Non doveva avere paura. Non era sola. Non più. C’erano persone che le volevano bene. C’era un figlio in arrivo. Molte persone l’avrebbero invidiata per la sua situazione. Non era disagiata la sua vita, era lei che l’aveva sempre vista come tale. Un semplice litigio con X non l’avrebbe rovinata. Come Terra aveva detto, litigare fa parte della natura umana. Doveva essere forte e passarci sopra. E come lo stesso Red X aveva detto, non doveva farlo né per lei né per lui, ma per il loro bambino. Aveva bisogno di un padre e di una madre, loro avrebbero ricoperto tale ruolo, nel bene e nel male.

Lo avrebbe cercato e avrebbe parlato con lui. La loro relazione era più forte di un semplice litigio. Non avevano trovato l’anima gemella dopo tanti anni di solitudine e rabbia solo per poi rompere in quel modo. Terra aveva ragione, Amalia amava ancora quel ragazzo e sapeva che se lo avesse perdonato, lui non avrebbe più commesso idiozie. Dopotutto, lei era stata perdonata per azioni ben peggiori, chi era per non dare una seconda chance al suo fidanzato?

Chiuse gli occhi e sospirò di nuovo. Il mattino era giunto, ma non era molto intenzionata ad alzarsi. D’altro canto, Terra dormiva ancora come un ghiro.

La sua presenza le fu di nuovo di conforto. Sorrise. Non era sola.

 

***

 

L’aria era fresca e umida. La rugiada bagnava i fili d’erba dei prati e dei campi. Il sole si stava ancora pigramente sollevando, mentre le ultime stelle si spegnevano. I primi canti degli uccellini cominciarono, sancendo l’inizio di quella nuova giornata.

Una giornata che, BB lo sapeva, si sarebbe rivelata tale e quale alle altre. Si massaggiò le palpebre, infastidito, e sbadigliò. Si era alzato presto, molto più presto degli altri. Non sapeva nemmeno lui perché lo aveva fatto. Forse per cercare di dare un taglio alla monotonia. E anche perché sdraiarsi in mezzo ad un prato fradicio di rugiada e osservare il cielo al mattino presto era la cosa migliore da fare per riuscire a riflettere. Riflettere su colei che gli mandava il cervello in tilt tutte volte che la guardava: Corvina.

Era con molto rammarico che doveva ammettere che la maga sembrava diventare più bella ogni giorno che passava, nonostante la sua aria stanca e trasandata. Era una cosa che gli faceva girare la testa. Lei era bella, ma sembrava che non gliene importasse nulla. Si trascurava, dormiva poco – si vedeva – sembrava quasi che lei stessa volesse apparire più imbruttita davanti agli altri, ottenendo però il risultato opposto. BB stava cominciando seriamente a dubitare di ciò che aveva fatto due mesi prima, quando l’aveva scaricata. L’aveva fatto per il bene di entrambi, continuava a rammendarsi, ma questa giustificazione non era sufficiente a negare ai suoi occhi quanto meravigliosa fosse Corvina.

Come se tutto quello non fosse già sufficiente, perfino Terra gli dava i suoi bei grattacapi. Anche lei era uno schianto, anche lei ogni giorno che passava diveniva più bella.

Erano entrambe incantevoli, due brezze di aria fresca in una giornata afosa. Lui aveva avuto una chance con tutte e due, e le aveva sprecate. Con Terra si era proprio messo il destino di mezzo, a causa di tutto il marasma che era accaduto, tra Slade, eserciti di robot, laghi di lava e così via, e non serviva ripetere cos’era successo con Corvina. Se avesse cercato sul vocabolario la parola "sfigato", sicuramente ci avrebbe trovato sotto la sua foto, pensò con un mezzo sorrisetto stampato in faccia.

Scrutò la volta celeste con attenzione e sospirò flebilmente. Chissà, magari lassù, oltre l’atmosfera, in uno dei milioni di miliardi di pianeti che costituivano la galassia, si trovava una ragazza adatta lui. Una che non avrebbe rischiato di deludere, una che lo avrebbe apprezzato per quello che era.

«Chissà...» borbottò, prima di chiudere gli occhi e sbadigliare sonoramente. Era stata una pessima idea alzarsi presto, riflettendoci meglio. Beh, nulla gli impediva di schiacciare un pisolino lì, in quel prato. Tanto, ormai, si era già bagnato per bene con la rugiada, non aveva più nulla da perdere. Si accomodò come meglio poté in quel giaciglio improvvisato e usò le proprie braccia come cuscino. Sbadigliò una seconda volta e cercò di staccare il cervello una volta per tutte. Tanto, rimuginare sulle ragazze non sarebbe servito a nulla.

Non appena pensò di potersi davvero riappisolare, la terra cominciò a tremare e un baccano assordante minacciò di sfondargli letteralmente i timpani. Quasi urlò per lo spavento, quando riaprì gli occhi di scatto e si mise a sedere. «Ma che diavolo?!»

Il sole era sparito, così come il cielo azzurro. Il prato su cui si trovava, dapprima esposto completamente alla luce del mattino, ora era completamente immerso nell’ombra. A causa delle vibrazioni del terreno, i suoi denti sbattevano talmente forte che temette si potessero rompere. Serrò la mascella e alzò lo sguardo, per capire cosa diavolo avesse oscurato il sole.

Il tremore del terreno cessò all’improvviso, ma il suo cuore cominciò a battere talmente forte che si sentì come se tutto stesse ancora vibrando.

Ben quattro figure erano apparse sopra di lui e nella loro immensa grandezza ricoprivano praticamente tutta la radura in cui il villaggio fongoid era sorto. Non ci mise molto a fare due più due, il baccano e il terremoto erano stati causati dal loro arrivo. Inarcò un sopracciglio, non capendo bene cosa stava succedendo, ed analizzò meglio ciò che si trovava sopra di lui. Quando capì con esattezza con cosa aveva a che fare, senti le gambe diventare burro.

Erano quattro giganteschi velieri neri, ognuno di essi con un drappo nero svolazzante in cima all’albero maestro. Deglutì. Non li aveva mai visti prima, ma i racconti di Cyborg, Robin e gli altri gli furono più che sufficienti per riconoscere quelle navi. Centinaia di quesiti sorsero dentro di lui, mentre il battito cardiaco accelerava e brividi di paura percorrevano tutto il suo corpo. Sentì diverse grida spaventate, e si girò di scatto, verso il villaggio. Qui diversi fongoid, che probabilmente si erano alzati da poco o erano stati attirati dal frastuono di poco prima, erano in strada ed indicavano terrorizzati i quattro mastodontici velivoli. Non ci volle molto tempo prima che la situazione degenerasse e tutti quanti cominciarono a correre come impazziti verso ogni direzione. Il caos che si generò fu qualcosa che raggiunse livelli incalcolabili. Quello fu il momento in cui BB realizzò che doveva levarsi subito dai piedi e tornare al palazzo dai suoi amici.

 

 

 

 

 

   
 
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