Serie TV > Grey's Anatomy
Segui la storia  |       
Autore: Chiccagraph    17/09/2017    0 recensioni
Questa storia era originariamente una one shot, ma ho deciso di trasformarla in una raccolta di one shots incentrate tutte sullo stesso tema.
Dalla terza one shot:
Tu sei fermo, immobile, sulla soglia. Solo la guardi. Continui a fissarla non riuscendo a deciderti. Potresti girarti e tornartene in camera, lasciarla affogare da sola in questo mare di rimpianto e alleggerirti la coscienza con il frigo bar della tua stanza; ma l’idea di doverla lasciare da sola a scrostarsi di dosso le ferite che questa giornata le ha inciso sulla pelle non ti permette di muoverti.
Ora sei dietro di lei e senti che ha un buon profumo. Questo è l’inizio di tutti i tuoi problemi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Alex Karev, Altri, Derek Sheperd, Mark Sloan
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I'll be there for you

I'll be there for you
(When the rain starts to pour)
I'll be there for you
(Like I've been there before)
I'll be there for you
('Cause you're there for me too)



 
«Dottor Burke»
 
«Dottor Shepherd»
 
Derek posò la cartella clinica del suo ultimo paziente sul tavolo della caffetteria, incastrandola tra il piatto di patatine fritte e la coca-cola. «Come sta andando?»
 
«Andando cosa?» chiese Preston, rubando una manciata di patatine dal piatto dell’amico.
 
«Ehi, stai mangiando il mio pranzo» disse, spingendo lontana la mano dell’uomo. «Intendevo con Emily, la bambina con la cardiomiopatia aritmogena al ventricolo destro. Meredith me ne ha parlato ieri sera.»
 
Preston afferrò il bicchiere di coca-cola sul tavolo e lo portò alle labbra. «Voi due siete una di quelle coppie che porta il lavoro anche a casa?» prese un lungo sorso e riposò la bibita al suo posto.
 
«Meredith e io siamo una di quelle coppie a cui piace condividere. Condividere sul lavoro, condividere il letto o la doccia. Ci piace molto condividere la doccia, ma… sai cosa non ci piace condividere?» afferrò le sue cose e le posizionò alla sua destra, il più lontano possibile dall’uomo seduto al suo fianco. «Non ci piace condividere il pranzo.»
 
«Oh!» rispose l’uomo sfregando la mano sul tovagliolo di carta per rimuovere il sale dalla punta dalle dita. «Anch’io e Cristina siamo una di quelle coppie, ma a noi piace condividere anche il pranzo con gli amici.»
 
«Ma noi non siamo amici»
 
«Certo che lo siamo!»
 
Derek lo osservò per un momento con uno guardo scettico. «Non ci chiamiamo neanche per nome… a Seattle è possibile essere amici senza chiamarsi per nome?»
 
«A Seattle sono possibili un sacco di cose.»
 
«Certo.»
 
«Comunque per quanto riguarda Emily le stiamo somministrando dei beta bloccanti, vorrei cercare di ridurre i sintomi legati alle extrasistoli, ma dubito che possa bastare» sganciò il cerca persone dalla cintura dei pantaloni e lo appoggiò sul tavolo. Ruotandolo tra le dita. «Ho chiesto a Richard una sala operatoria, l’unica possibilità per quella ragazza è impiantarle un defibrillatore automatico. Con la malattia in una fase avanzata come la sua non vedo altra soluzione.»
 
«Solo sedici anni e un cuore così malato. Che pena»
 
«È deprimente, lo so» rispose Preston, guardando fuori dalla finestra. La giornata era, ancora una volta, buia e umida. Una debole luce grigiastra filtrava dalle vetrate: presagio di un imminente temporale in arrivo. «Questa città… se solo ci fosse un po’ più di sole, aiuterebbe in giornate come queste.»
 
«Sì, beh almeno lo squallore di questo cielo buio e tempestoso aiuta con il sonno» sospirò Derek, passandosi una mano tra i capelli.
 
«Beh, io preferisco il sole alle nuvole» Preston riportò lo sguardo verso la finestra e scosse la testa. Una leggera pioggerellina era iniziata a scendere, lasciando la scia sul vetro.
 
Derek raccolse le sue cose, fermò la cartella sotto il braccio e si incamminò verso la porta. Poi si fermò a fissare il collega, perso ancora con lo sguardo verso il cielo. Ripercorse a ritroso la poca distanza che li divideva e tornò seduto al tavolino. Questa volta alla sua sinistra. «So che non siamo vicini, insomma che siamo amici ma non ci piacciamo, ma… ho bisogno di parlare con qualcuno. Un uomo, ho bisogno di parlare con un uomo.»
 
Preston guardò Derek con la coda dell’occhio. «Cosa? Aspetta, se è qualcosa che ha a che fare con…» rimase in silenzio a fissarlo, «allora non sono il tuo uomo.»
 
«No! No, certo che no, è qualcosa che ha a che fare con il mio rapporto con Meredith. Ma non quel genere di cose che hanno a che fare con lei.»
 
Si voltò verso di lui, un braccio poggiato sul tavolo e l’altro lasciato a penzoloni sulla spalliera della sedia. «Cosa?»
 
«Okay, allora vediamo… a Seattle piove, piove per tutto il tempo. Tutti i giorni. E questo è terribile per un sacco di cose, ma assolutamente perfetto per dormire.»
 
«Ma?»
 
«Non riesco a dormire! Preston, uhm, Dottor Burke, non dormo profondamente da giorni, e quando lo faccio mi sento in colpa.»
 
Preston aggrottò la fronte. «Forse dovresti parlarne con un medico competente. Sai io penso…»
 
«No, no. Il problema non sono io. È Meredith» Derek si mosse sulla sedia per trovare una posizione più comoda. Strinse la mano destra in un pugno, scrocchiandosi le articolazioni flessibili facendo pressione con l'altra.
 
«Ehi, sei un chirurgo, che diavolo stai facendo?» lo fermò, puntando lo sguardo sulle sue mani.
 
Derek allentò la presa delle mani e le lasciò riposare sulle ginocchia: «Lei russa» sussurrò.
 
Preston strinse le labbra tra loro, in una linea sottile. In un primo momento rimase immobile, poi scoppiò a ridere fragorosamente, attirando gli sguardi dei vicini.
 
«Non è divertente» sibilò Derek.
 
«Sì che lo è, anzi, questo è ridicolo» disse l’uomo, senza riuscire a trattenere altre risate.
 
«Senti, io… io capisco che tu possa trovare ridicolo tutto ciò, e spero davvero che tu capisca la mia posizione. Ne sto parlando con te perché ho profonda fiducia nella tua discrezione.»
 
«O perché non hai nessun altro con cui parlarne.»
 
«No, non è vero. Io ho moltissimi amici qui in ospedale, sono una persona amichevole. Dotato di giovialità affettuosa.» rispose allo sguardo scettico del collega. «Ecco, quindi… stavo dicendo che io… ho BISOGNO di dormire. Ne ho bisogno. Sono un chirurgo, ho bisogno di riposare e… dannazione, russa come un uomo!»
 
«Perché non ne parli con lei?»
 
«Ne abbiamo parlato, ho provato a farle capire che ho problemi a dormire, ma lei ha “problemi di abbandono”» Derek sospirò sconsolato.
 
«Sembra che tutte le donne intorno a te li abbiano» Derek incrociò le braccia al petto, guardandolo di traverso. «Scusa, è stato un colpo basso»
 
Preston avvicinò la sedia a quella dell’amico, provocando un rumore sordo, metallico, dovuto all’attrito con il pavimento. «Non so cosa dirti. Io non ho mai avuto questo tipo di problema fino ad ora. Credo che non puoi far altro che aspettare e cercare di abituarti. Voglio dire, non potrai mica lasciare che il suo leggero russare possa…»
 
«Leggero? È un trombone da tronco segato!» Derek si interruppe e scoppiò a ridere insieme all’amico. «Sì, va bene, questo è ridicolo. Facciamo finta che tutto questo non sia mai successo, okay?»
 
«Basta riposarti in qualche stanza di chiamata. Prova a dormire qui in ospedale, almeno per ora. Ti abituerai prima o poi.»
 
«Lo spero. Meredith mi ha comprato dei tappi per le orecchie, ma il suo russare rompe il muro del silenzio» Derek si aggiustò il camice con una mano mentre con l’altra riposizionava la sedia sotto il tavolo. «Grazie per la chiacchierata. E per il consiglio.»
 
«Nessun problema. È stato molto divertente in realtà» rispose arricciando il naso e riproducendo il grugnito di un maiale.
 
«Molto divertente. Burke, sarebbe meglio non condividere i dettagli di tutto questo con l’ospedale» rispose, facendo un gesto vago con la mano.
 
«Ovviamente».
 
 
*
 

 
 
Derek si diresse verso la stanza di guardia al terzo piano, aveva passato allo scandaglio tutte le stanze precedenti senza riuscire a trovare un letto libero. Entrò in quest’ultima con la speranza di trovare un posticino per riposarsi. Meredith gli aveva dato dei tappi per le orecchie e lui aveva provato in tutti i modi a dormire al suo fianco, ma dopo una settimana insonne aveva necessariamente bisogno di riposarsi: preferibilmente in luogo silenzioso. Stropicciandosi gli occhi e trattenendo uno sbadiglio chiuse la porta alle sue spalle. Una volta dentro la piccola stanza, il buio e il silenzio lo avvolsero. Come sottofondo poteva sentire solamente i respiri pesanti degli occupanti delle cuccette.  
 
Dannazione pensò, mentre guardava alla sua destra; entrambe le cuccette erano già occupate. C’era un’infermiera sulla parte superiore e un giovane stagista sul fondo. Derek guardò alla sua sinistra. Anche queste erano entrambe piene.
 
«Addison?» Derek sussurrò a bassa voce, mentre nella penombra della stanza aveva riconosciuto il tumulo di capelli rossi sparsi sul cuscino della cuccetta inferiore. Si avvicinò lentamente al letto e guardandola da più vicino confermò che fosse lei. Stava dormendo profondamente e tutto quello che poteva sentire era il suo respiro lento e costante. I lineamenti del viso erano distesi, le mani posate accanto al suo volto. Una all’altezza del viso e l’altra nascosta sotto il cuscino. Rimase a fissarla imbambolato, ritrovandosi a rivivere anche solo per quell’attimo i tempi in cui aveva dormito profondamente al suo fianco.
 
«Addison» ripeté, odiandosi per doverla svegliare. Non aveva altra scelta, la fatica ormai era insopportabile e tutto quello che voleva era solo una superficie piana su cui stendersi.
 
Lei si mosse leggermente, sprofondando con il viso ancor più nel cuscino. Derek era solo a pochi centimetri di distanza dal suo viso quando aprì gli occhi. La vide trasalire: gli occhi sbarrati e la bocca semi aperta cercando di trattenere un urlo.
 
«Oh mio Dio, Derek»
 
«Ssh! Ssh! Scusami, non volevo spaventarti. Senti… io ho bisogno di dormire»
 
«Beh, vai a dormire» disse, scuotendo la testa e ritirandosi verso la parete per allontanarsi dell’uomo. «Derek… so che stiamo cercando di essere civili, lo so, e sono contenta, davvero. Oggi però non è proprio giornata. Sono stanca, molto stanca. Lasciami stare e ne riparliamo dopo, okay?» si rannicchiò, portando le ginocchia più vicine al petto.
 
«Sono stanco anch’io. Guardati intorno Addie, non ci sono posti letto e sono entrato in ogni singola stanza di questo maledetto ospedale.»
 
Addison chiuse gli occhi, nella speranza di allontanare il suo ex-marito. «Addison!» i suoi occhi si aprirono di colpo.
 
«Cosa diavolo vuoi che faccia?» Lui rimase a fissarla sorridendole. «Scordatelo.»
 
«Avanti Addie, fatti un po’ più in là» disse, posando un ginocchio sul letto. Il materasso affondò leggermente sotto il suo peso e Addison si ritrovò nuovamente spostata sull’altro lato del letto.
 
«Stai scherzando, vero?» di solito, in qualsiasi altra circostanza, Addison, avrebbe accettato volentieri di dormire al suo fianco. Amava sentirsi stretta tra le sue braccia, il respiro caldo sul collo e la sua forma stampata alla sua. Ma questo non era chiaramente il luogo né tanto meno la situazione giusta per condividere il letto con quest’uomo. Con il divorzio avevano demarcato delle linee ben precise e questo sicuramente sorpassava i confini che pochi mesi fa avevano firmato insieme.
Erano divorziati e Derek non aveva perso mai un’occasione per ricordarle di quanto liberatorio fosse per lui il loro nuovo status sociale. Per questo la parvenza di pacifica e cordiale amicizia che avevano da poco contrattualizzato l’aveva sbalordita, e non poco, dopo le recenti discussioni avute con l’uomo. Questa richiesta, però, andava ben oltre l’immaginazione. Che diavolo gli passava per la testa? Si era forse impazzito?
 
«No, non sto scherzando e non è come se stessimo per andare a fare qualsiasi cosa…» disse, guardandola fissa negli occhi «dobbiamo solo dormire, te lo prometto Addie. Siamo amici.»
 
«Derek...»
 
«Ho davvero bisogno di dormire, Addie, sul serio. Ho un intervento tra poco più di due ore e sono esausto.»
 
Si mosse dalla sua posizione stesa, poggiando un gomito sul letto. «Perché non condividi il letto con quello di sopra?» chiese, scuotendo la testa nel tentativo di tenere gli occhi aperti. Si sentiva turbata dalla sua vicinanza, ma era anche molto stanca. Gli eventi dell’ultima settimana le pesavano sulle spalle come due pesanti macigni. Mark continuava a tenerle il muso, determinato nel suo intento di farla sentire in colpa e il suo specializzando continuava a giocare con la sua testa, facendola letteralmente impazzire. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in questo momento era di aggiungere Derek in questo guazzabuglio di sentimenti.
Era stanca e assonnata, non aveva decisamente la forza fisica e mentale per far testa ai capricci del suo ex-marito.
 
Derek scosse la testa inorridito, puntando con il dito alla cuccetta superiore. «No, no… c’è il dottor Larson in quel letto, non ho intenzione di dividere un letto con quell’uomo. Non mi piace condividere un letto con un uomo, lo sai» sibilò.
 
Addison sorrise e annuì, ripensando a tutte le volte in cui aveva dormito tra Derek e Mark, incastrata tra i loro corpi. «D’accordo»
 
«Fiù… per un attimo ho davvero temuto che mi avresti detto di dormire sul pavimento.»
 
«Beh, potresti sempre farlo» gli disse.
 
Derek si piegò completamente sul letto e scavalcò la sua figura stesa sistemandosi sul lato opposto, quello accanto alla parete.
 
«Derek…» Addison protestò debolmente. L’uomo scosse la testa sorridendole, cercando di tranquillizzarla. Era stanco, e anche lei, non sarebbe successo niente di inappropriato, e inoltre era sicuro come l’inferno che non avrebbe mai diviso il letto con William Larson.
 
«Rilassati» le disse, mentre cercava di sistemarsi sul letto. Nel muoversi sentì l’odore del profumo di Addison, e il calore che ancora riscaldava le coperte. Odiava ammetterlo, ma nonostante tutto, gli mancava il suo odore.
 
Addison aggrottò la fronte, chiudendo gli occhi. Derek era disteso al suo fianco, proprio di fronte a lei. Non lo voleva lì, non lo voleva al suo fianco, non lo voleva in nessun posto. Era troppo vicino e lei non riusciva a respirare con il suo profumo che le annebbiava il cervello. Faceva male. Faceva tremendamente male averlo così vicino e al tempo stesso sentire quei pochi millimetri di aria così pesanti, come se ci fosse una voragine a dividerli.
Questo doveva essere sicuramente un sogno. Un incubo.
Finalmente aveva l’unico uomo che voleva al suo fianco, ma non poteva averlo davvero.
Era fermo e immobile, a respirare la stessa aria stantia della stanza.
Era vicino e inafferrabile.
Dormiva al suo fianco, privandola del sonno.
Si voltò a faccia in su e fece un respiro profondo. Avrebbe solo dovuto immaginare di non essere qui, di non trovarsi al suo fianco e di non sentire il calore del suo braccio che delicatamente sfiorava il suo. Avrebbe solo dovuto far finta che questo fosse frutto della sua immaginazione e dire addio al suo sogno ad occhi aperti. Allontanarsi da quel corpo. Allontanarsi da lui che era l’ultima persona a cui avrebbe voluto dire addio.
 
 
*
 

 

Derek poteva finalmente dormire, cullato dagli sbuffi leggeri del sonno dei suoi compagni di stanza e dal calore del corpo steso al suo fianco. Il silenzio voleva dire dormire, dormire voleva dire riprendersi dalla stanchezza accumulata in questi giorni e tutto questo a sua volta significava poter essere al meglio per la craniotomia che lo aspettava quella sera. Tutto questo era incredibile.
Derek rimase immobile assaporando il dolce profumo di Addison, abbracciando il silenzio.
Ma ora un suono, leggero e quasi impercettibile, stava disturbando la sua quiete. Aprì gli occhi lentamente, e una volta messo a fuoco, vide Addison che fissava il letto a castello sopra di loro.
Proveniva da lei quel suono soffocato, stava piangendo. Il suo viso era rosso per lo sforzo di reprimere i singhiozzi e le sue guance erano umide.
 
«Addie?» chiese, preoccupato per la donna. Addison si asciugò rapidamente gli occhi, passando con forza il palmo sulle guance, fece un respiro profondo e si allontanò da lui dandogli le spalle.
 
«Mi dispiace di averti svegliato» disse, cercando di non far tremare la voce.
 
Derek si appoggiò su un gomito sporgendo il suo corpo in avanti. «Ascolta…» iniziò, alzando un braccio per raggiungere la sua spalla e ruotarla verso di lui. «Se vuoi che me e vada, posso andarmene anche subito. Io non credevo che… non mi rendevo conto…  solo che…»
 
«Non essere dispiaciuto, non è colpa tua. Sai… in ogni caso credo che sia meglio che vada a farmi una passeggiata» iniziò ad alzarsi, ma Derek la fermò afferrandole la mano, costringendola a sedersi nuovamente sul letto.
 
«No, non andartene a causa mia»
 
Addison alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «Derek, non sei il centro del mio mondo. Possibile che pensi che ogni cosa ti riguardi?»
 
Addison si spostò nuovamente slittando con il busto in avanti e poggiando entrambi i piedi sul pavimento. «Ehi, mi dispiace, okay. Non andartene… Addison io voglio essere tuo amico.»
 
Addison chinò il capo fissando le sue mani nel buio. «Perché sta accadendo tutto questo?» sussurrò a sé stessa, come se fosse stata torturata. «Amici Derek? Sul serio?»
 
«Beh, sì, è il minimo che posso offrirti visto che stiamo condividendo un letto.» Addison si voltò e lo guardò aspramente. Lui le sorrise, un sorriso dolce, sincero. Quello che non vedeva sul suo volto da anni.
 
Stava ancora tenendo la sua mano e la strinse con più forza.
Addison si sdraiò nuovamente sul letto, non tanto perché lui l’avesse sollecitata a farlo, ma più perché aveva bisogno di pensare in questo momento.
 
«Perché stai facendo questo?» lei chiese.
 
«Cosa?»
 
«Questo» rispose, alzando in aria le loro mani intrecciate. «Questo urla scandalo, Derek, e credimi ho già troppi problemi da affrontare in questo momento»
 
Derek lasciò la sua mano scivolare verso il basso, a riposare mollemente tra i loro corpi. Addison continuava a fissare la cuccetta superiore cercando di trattenere le lacrime che nuovamente si erano affacciate ai suoi occhi. Lasciando la presa sulle sue dita le si avvicinò, ruotando completamente il suo corpo verso quello della donna. «Addison, dico sul serio. Voglio solo essere tuo amico. Sono preoccupato per te, non mi sembra che tu… che tu stia bene»
 
Addison girò il volto verso quello dell’uomo, incontrando per la prima volta il suo sguardo. «È difficile» sussurrò lei, non sapendo cosa altro dire.
 
«So che tutto questo sia strano, e so di non essermi comportato bene con te. Ti ho detto delle cose terribili. Non voglio ingannarti, ho solo bisogno di un amico e tu sei la mia migliore amica.»
 
«Hai bisogno di un amico?» chiese, studiandolo.
 
«Lo so, strana scelta la mia, non trovi?» disse, sorridendole complice. «Ho provato anche con Preston, ma sembra che non ci sia la stessa sintonia che c’è tra noi».
 
«Potresti provare con gli stagisti, da quello che so ti trovi molto in sintonia con alcuni di loro» rispose sarcastica, riprendendo a fissare il soffitto.
 
«È sempre tutto così difficile e doloroso con te».
 
«Sei tu che lo hai reso tale».
 
«Non voglio che te ne vai»
 
«Non me ne sto andando»
 
«No, non dico ora» sussurrò debolmente, «non voglio che te ne vai da Seattle».
 
Addison ingoiò il groppo che le si era formato in gola, serrò gli occhi lasciando altre lacrime silenziose scivolarle lungo le guance. «Mi sembra di ricordare che mi volessi fuori da questo ospedale. Che volessi solo Meredith e quella maledetta terra dimenticata da Dio».
 
«Sai che non è così»
 
«Non so più nulla».
 
Derek raggiunse nuovamente la sua mano e la portò sul suo petto. Allargò le loro dita e le posò insieme all’altezza del cuore. «Io so che ci sei. Come tu sai che ci sono. Nel bene e nel male noi ci saremo sempre l’un per l’altro»
 
Si voltò a guardarlo con gli occhi colmi di lacrime. «Come puoi dirmi che ci sei quando fingi di non vedermi» tirò su con il naso lasciando gli occhi svuotarsi sulla sua pelle arrossata. «Io mi sento sola, Derek. Mi sento come se non avessi più nessuno al mio fianco. Come se non lo avessi mai avuto.»
 
Le afferrò il volto tra le mani asciugandole l’umidità delle lacrime dalle guance. «Guardami» le disse, facendo scorrere i pollici sulla pelle. «Addie, guardami. Non nasconderti, non da me.»
 
Aprì gli occhi, realizzando solo in quel momento della mancanza di spazio tra i loro corpi. «Tu hai tante persone che ti vogliono bene, che ti sono vicine. Hai Miranda, Richard, la dottoressa Torres, la tua equipe medica e… Mark, quel maledetto bastardo. E hai me» le disse, scostandole una ciocca di capelli dal viso. «Come fai a sentirti sola con tutte queste persone al tuo fianco?»
 
«A parte gli stagisti»
 
«Beh, sono stagisti, che ti importa?» Addison lo guardò e sorrise. Si allontanò da lui che istintivamente la tirò contro il suo petto.
 
«Rimarrò per un po’» sussurrò, inclinando la testa verso il basso, per nascondersi ai suoi occhi.
 
«Siamo solo amici» mormorò dietro di lei, cercando di tranquillizzarla e al tempo stesso frenare la folle corsa del suo cuore.
 
Era una strana sensazione. Entrambi avevano quello che volevano, anche se erano ben consapevoli che fosse solo temporaneo. Addison aveva l’uomo di cui era innamorata tra le sue braccia, e Derek la sua miglior amica, nonché unico amore della sua vita, se solo fosse stato sincero con sé stesso.
Nel limbo di quella cuccetta stava scappando dai terribili eventi della settimana, dalle lotte con Mark e dai sensi di colpa che in questi giorni sembravano morderle l’anima; mentre lui stava scappando dalla sua ragazza, dai dubbi e dalle incertezze che in momenti come questi lo attanagliavano, inchiodandolo al suolo.
C’era qualcosa che li teneva insieme, un senso di appartenenza che nessun pezzo di carta avrebbe mai cancellato. Una trazione inerte, che non potevano identificare correttamente, ma che li spingeva l’uno nelle braccia dell’altro.
Le accarezzò la testa, lasciando scorrere le dita nella sua chioma di velluto; inalando ancora una volta il profumo della sua essenza.
 
«Siamo amici» ripeté Derek, dolcemente, poi abbassò la testa e mise un bacio morbido sulla spalla. Si mosse in avanti infilando la testa nella linea delicata del suo collo, baciandole la striscia di pelle ricoperta di piccole lentiggini. La sentì tremare al suo tocco.  
 
Si sdraiò nuovamente al suo fianco, fissando il retro del letto sopra di lui: «C’è qualcosa che posso fare?»
 
«Sì»
 
«Cosa»
 
«Abbracciami» Derek la sentì afferrargli la mano, quella che giaceva mollemente sulla pancia. Strinse le dita tra le sue e la tirò all’indietro contro di lui.  


 




 
NdA:
Sono tooornata!
Dopo un lungo periodo di latitanza eccomi di nuovo qui. Ho deciso di far diventare questa storia una raccolta di one shot incentrate tutte sullo stesso tema: quello dell’amicizia.
Quando ci sono gli Addek di mezzo per me sono tutto fuorché semplici amici, ma qui mi sono impegnata per rimanere fedele al tema. Ho letto una lista di prompt e ho trovato l’ispirazione giusta. Una ragazza aveva scritto di Derek e Addison come due semplici amici che condividevano una cuccetta insieme. Mi piaceva troppo come idea per non farlo anch’io.  
Per chi non lo sapesse è in corso una vera e propria rivoluzione Addek in questi ultimi mesi su FF.net, a forza di leggere storie su questi due polentoni mi sono lasciata trascinare anch’io dall’onda del loro entusiasmo.
Il titolo del capitolo è preso dalla canzone dei The Rembrandts. Questa canzone è stata una vera e propria colonna sonora per questo capitolo, trovo che il testo descriva perfettamente la loro relazione.
 
Spero che questa shot risvegli una scrittrice di mia conoscenza che ultimamente sta facendo la pigra e non si fa più vedere su Efp. Flox vieni fuori!
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Grey's Anatomy / Vai alla pagina dell'autore: Chiccagraph