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Autore: fra_dreamingoutloud    18/09/2017    6 recensioni
"Jeans e Nike ad una festa galante, curioso." esordì sorprendendo Romeo, il quale rivolse di colpo lo sguardo verso di lei, che era già tornata a contemplare la piccola piazzetta.
"Isolata da tutti su un balcone ad una festa da sballo, curioso." ribatté il giovane sorridendo soddisfatto della sua risposta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 
La Terra e il Mare.


Gregorio e Sansone passeggiavano per le vie della città di Verona, in quel momento velata da una leggera nebbia mattutina. Discutevano animatamente mentre con calma si recavano dal signor Capuleti, loro capo in affari, per riferirgli qualche notizia importante. 
"Se qualcuno mi insulta lo ammazzo." affermava con voce aggressiva Sansone mentre stringeva i pugni al solo pensiero.
"Saresti più maturo se facessi finta di niente e lasciassi tutto com'è, fidati." rispose contrariato Gregorio appoggiandogli la mano sulla spalla.
"Ma scherzi? Immaginati un Montecchi qui, che ti grida che sei un cagasotto. Te ne andresti?" chiese incredulo dell'indifferenza dell'amico innanzi a un argomento che invece faceva infuriare Sansone. "Sei un pappa molle."
Per affascinante coincidenza, i due soci scorsero in lontananza in Piazza Brà due collaboratori dei Montecchi che portavano una cassa molto grande sulle spalle. Camminavano rasentando l'Arena in modo da evitare di essere spintonati dai passanti e rischiare di far cadere la cassa. 
"Sansone, stai calmo, mi raccomando." disse prevenuto Gregorio, consapevole di ciò che stava per accadere. Quando i quattro incrociarono inevitabilmente il proprio cammino, Sansone andò a sbattere con la spalla, quella su cui Gregorio aveva riposto con la sua mano il suo saggio consiglio, contro uno di loro. La cassa traballò e il contenuto tintinnò. Si sentì un verso di rabbia provenire dalla gola di Abramo, il collaboratore colpito dalla spalla di Sansone. La cassa fu appoggiata per terra e la rissa scoppiò coinvolgendo anche Gregorio e Benvolio, nipote del Montecchi, che era venuto, attirato dalle grida, per placare gli animi. 


Il salone della villa pullulava di gente e i suoi muri pulsavano come arterie a ritmo di musica. Le giovani teste si muovevano alternativamente in una danza frenetica che agli occhi di Romeo rammentava l'ondeggiare dolce dei fiori mossi dal vento. A lui piaceva molto osservare e trovare metafore e paragoni per qualsiasi fenomeno, anche del minimo interesse. Stava lì seduto, con i primi bottoni della camicia slacciati a causa del caldo soffocante emanato dai corpi che danzavano davanti a lui. La sua postura era scomposta, tanto come i suoi capelli ricci sudati, e nella mano destra reggeva un bicchiere di vetro riempito per metà di Malibù Cola. In piedi accanto a Romeo vi era il suo migliore amico Mercuzio, il quale non faceva altro che incitarlo ad alzarsi e a darsi al ballo con la speranza di abbordare qualche donzella.
"Insomma, Romeo, alzati." lamentava sbuffando. "Tutta quella fatica per infiltrarci a questa festa e neanche vuoi staccare il tuo culo dalla sedia. Tutto perché pensi ancora a quella Rosalina."
Romeo gli rivolse lo sguardo, alzò il sopracciglio con fare dispregiativo e disse: "Mercuzio, non hai più bisogno di me per provarci con una ragazza, ormai dovresti aver imparato a farlo da solo."
Gli ricordava tanto un piccolo uccellino che non riusciva a prendere il volo da solo una volta per tutte. Romeo aveva sempre dovuto fargli da spalla nel momento dell'approccio e, spudoratamente, fingere di essere interessato all'amica della ragazza adocchiata da Mercuzio. L'amico sbuffò un'altra volta, lo ringraziò sarcasticamente con un inchino e si fece spazio tra la folla. Romeo scosse la testa e insieme tutti i suoi boccoli castani che prontamente sistemò pettinandoli con le dita affusolate. Non è che non gli piacesse ballare o fosse un guastafeste, il motivo vero per il quale Romeo non voleva alzarsi erano gli occhi infiammati di Tebaldo, un parente dei proprietari della villa che la mattina stessa era stato coinvolto in una rissa con alcuni soci di suo padre. Se ne stava appoggiato sulla ringhiera delle scale a guardare tutti dall'alto, com'era abituato a fare. Romeo lo paragonò mentalmente al dio Zeus, pronto a lanciare fulmini a suo piacimento. Aveva perlustrato ogni singolo capo preservando ad ognuno la fulminazione, fino a quando i suoi occhi non si precipitarono su Romeo, il quale sì, rischiava la folgorazione diretta. Tebaldo aveva intenzione di tenerlo d'occhio tutto il tempo di durata della festa e la ragione risiedeva nel cognome di Romeo, ovvero Montecchi. Per lui quel cognome rappresentava infinito odio e disprezzo poiché apparteneva alla famiglia nemica della propria: i Capuleti. 
Romeo sfidava il suo sguardo, non lo temeva. Sapeva di avere tante persone dalla sua parte quante ne avesse Tebaldo. Sarebbe stata una battaglia alla pari. I suoi occhi neri e minacciosi penetravano quelli cristallini e genuini di Romeo. 
A distrarlo dai suoi pensieri fu Benvolio, suo cugino, che accorse da lui per invitarlo ad andarsene dalla festa.
"Romeo, ci hanno scoperti, dobbiamo andarcene o qui non usciamo vivi. C'è un'altra festa a casa di un amico di Gregorio e ho sentito dire che ci sia pure Rosalina." disse tutto d'un fiato.
"Non la voglio vedere." rispose Romeo. "O meglio, lei non vuole vedere me. Non ho intenzione di starmene lì a guardare come lei ci prova con te, Benvolio. Quindi vai e fattela pure."
Benvolio rimase sconvolto dalle parole del cugino: "Non ho idea di che cosa tu stia dicendo", disse scuotendo la testa con fare innocente. Romeo sbuffò profondamente annoiato da molti pensieri dolorosi che il nome Rosalina gli generava. 
"Vai via." ordinò. Benvolio cercò di controbattere ma Romeo lo bloccò ripetendo: "Vai via."
Così il ragazzo sospirando si arrese e sconsolato raggiunse Gregorio all'ingresso. 
Romeo non aveva accettato la proposta del cugino perché sapeva che andare ad una festa con Rosalina presente sarebbe stato più rischioso che rimanere rinchiusi nella casa dei Capuleti per sempre. Lei non faceva altro che strusciarsi sugli altri ragazzi tutto il tempo e, una volta ubriaca, gettarsi tra le braccia di Romeo implorando perdono per ciò che era accaduto tra di loro.
Il nome di Romeo venne pronunciato da una voce proveniente dall'ammasso di gente e intuì che si trattasse del suo amico Mercuzio. Preoccupato che avesse bisogno di aiuto, finalmente si mise in piedi e, senza appoggiare il bicchiere, iniziò a cercarlo. Si fece difficilmente strada tra i corpi sudati e ingombranti degli invitati e intravide Mercuzio. Stava discorrendo con due ragazze dai seni prorompenti; di sicuro vorrà aiuto, pensò. Scocciato dall'idea di dover fare da spalla per la milionesima volta, si allontanò cercando di nascondersi il più possibile. Camminava velocemente guardandosi i piedi, per la paura di inciampare e di ritrovarsi per terra calpestato da decine di scarpe elegantemente pungenti. Arrivò con successo al balcone, dove una dolce fanciulla si affacciava appoggiandosi con i gomiti sul parapetto. Sospirò mentalmente: Romeo voleva solo essere lasciato in pace con i il suo Malibù Cola e i suoi stessi pensieri. Fu tentato di voltare i tacchi e tornare a sedersi al suo posto originale ma avrebbe dovuto attraversare un'altra volta la sala e tirare gomitate alla gente per farsi spazio. Così si avviò verso il balcone e una leggera brezza estiva gli accarezzò le guance regalandogli un brivido di sollievo. La ragazza non sembrò accorgersi della sua presenza, era assorta nelle sue riflessioni, la leggera ruga tra le sue sopracciglia ne dava la prova. Romeo si avvicinò al parapetto e si appoggiò imitando la posizione della sua compagna silenziosa, la quale si voltò e lo esaminò dal capo alle Nike. 
"Jeans e Nike ad una festa galante, curioso." esordì sorprendendo Romeo, il quale rivolse di colpo lo sguardo verso di lei, che era già tornata a contemplare la piccola piazzetta. 
"Isolata da tutti su un balcone ad una festa da sballo, curioso." ribatté il giovane sorridendo soddisfatto della sua risposta. 
"Almeno io sono sobria."
"Be', non più." controbatté Romeo porgendole il bicchiere di vetro con un sorriso smagliante. La ragazza lo osservò per qualche secondo e chiese sospetta:
"Cosa ti fa pensare che berrò da quel bicchiere? Magari vuoi solo farmi ubriacare e approfittarti di me nelle stanze ai piani superiori." 
"O magari voglio solo offrirti il mio drink perché non mi va più." rispose alzando le spalle con fare innocente e allora la ragazza afferrò il bicchiere mandando giù il contenuto tutto d'un fiato. Romeo la guardò con ammirazione e lei sorrise compiaciuta. I suoi boccoli color caramello gli ricordavano i nastri arricciati con la lama della forbice per impacchettare i regali di compleanno e i suoi occhi le immense e variopinte praterie del Veneto. Ci avrebbe corso dentro fino a raggiungere la linea dell'orizzonte che separa la Terra dall'universo. Romeo si sorprese che la sua mente stesse producendo pensieri a dir poco romantici, così, dopo essersi reso conto di starla spudoratamente osservando, spostò lo sguardo su una pianta arrampicante che ricopriva gran parte del palazzo parallelo. Il silenzio cominciava a diventare imbarazzante, così infilò una mano nella tasca dei jeans e ne tirò fuori un pacchetto di sigarette.
"Vuoi favorire?" 
La ragazza annuì e allungò la mano per afferrare una sigaretta ma venne interrotta da una voce squillante che rimbombò in tutta la piazzetta su cui si affacciava il balcone:
"Romeo! Eccoti qui!" gridò Mercuzio alzando al cielo vittorioso una bottiglia di birra. Quando si accorse che accanto all'amico vi era una dolce fanciulla aggiunse: "E in buona compagnia." 
Mercuzio li invitò ad unirsi a lui e ad altra gente gù nel giardino della villa. Dopo che accettarono chiese il nome alla ragazza dai lunghi boccoli, la quale rispose: "Giulietta."
Romeo ridacchiò e commentò: "Cos'è, un vezzeggiativo?"
Giulietta sorrise e s'incamminò verso Mercuzio che la prese a braccetto con fare nobile e accompagnò i due nello sconfinato giardino decorato all'italiana. Le siepi prendevano le sembianze umane e animali e costellavano il cortile formando ogni tanto qualche piccolo labirinto o conducendo a delle piccole piazzole riconoscibili da lontano dall'acqua delle fontane. Fu proprio in una di quelle piazzole che Romeo e Giulietta furono portati da Mercuzio, dove un gruppo di ragazzi sedeva sparso immerso in una nebbia di fumo. L'odore era molto intenso e facilmente riconoscibile. Si sederono a gambe incrociate sull'erba fresca e respirarono l'aria tossica. 
La serata passò molto velocemente tra drink, canne e risate isteriche ed esagerate dalla marijuana. Giulietta si sentiva la testa e le braccia pesanti ma allo stesso tempo una voglia improvvisa di ballare attraversò tutto il suo corpo e lo comandò come una marionetta. Si alzò e cominciò ad ondeggiare al ritmo della musica che proveniva dall'interno della casa. La sentiva nei vasi sanguigni, scorrerle nel sangue e farle esplodere il cuore in mille urla di gioia. Romeo contemplò dal basso il vestito color panna che le accarezzava le gambe ogni volta che piroettava. Era come incantato mentre il fumo appannava sempre di più la sua mente e ritardava i suoi riflessi. Una cosa così semplice come un ballo spensierato gli sembrava la cosa più interessante e straordinaria del mondo. Ad unirsi alla danza fu un giovanotto dai capelli rossi che Romeo riconobbe come Paride, uno degli amici di Tebaldo, chiaramente la persona da cui si sentiva più odiato al mondo. Paride prese le mani di Giulietta e la fece girare come il pianeta Terra che ruota attorno al proprio asse, leggermente inclinato e sorretto da qualche forza sconosciuta e misteriosa. Come la Terra lei girava, girava e girava e migliaia di stelle, l'altra gente, la stavano a guardare, incantate. Le mani di Paride si posarono sui suoi fianchi e la portarono più vicina a lui. A questo punto Romeo scattò in piedi d'impulso perdendo l'equilibrio per una buona manciata di secondi. Guardò Giulietta negli occhi senza motivo apparente e in modo abbastanza invasivo, tanto che la ragazza cessò la sua danza e gli sorrise a trentadue denti. Lui la prese per mano e insieme si misero a correre per il giardino mentre le loro risa risuonavano nell'aria fino a quando non inciamparono e caddero sull'erba. Romeo batté la testa ma quasi non percepì il dolore. Rimasero immobili per qualche minuto a guardare le stelle poco visibili a causa dell'inquinamento luminoso della città di Verona. 
"Ti rendi conto che lì..." Giulietta indicò il cielo. "C'è l'infinito?"
Romeo, colpito profondamente dalla domanda retorica della fanciulla, per un attimo si perse con lo sguardo nella notte stellata immaginandosi miliardi di altre galassie incombere unicamente su di lui. Sentì il peso di tutta l'esistenza, di tutta l'imprevedibile armonia che stava alla base dei principi della Natura, tutta concentrata sul suo petto. Si girò verso di lei e, non essendosi preparato, rimase folgorato dal suo sguardo. Gli occhi verdi di Giulietta invasero quelli blu di Romeo, proprio come le placche terrestri incontrano l'oceano e proprio come le loro labbra qualche secondo dopo. La passione li avvolse e rese il bacio più avventato. Romeo la strinse forte contro di sé in una maniera che era sicuramente più sensuale di come aveva fatto in precedenza Paride, pensò. Le guance di Giulietta arrossirono violentemente e un desiderio profondo pervase le sue membra.
"Ho voglia di te." sussurrò il ragazzo. "Adesso", aggiunse scandendo bene la parola. Giulietta gli accarezzò la guancia liscia e si morse il labbro inferiore. Tutto d'un tratto una voce profonda risuonò nelle orecchie dei due ragazzi che si misero immediatamente a sedere.
"Montecchi, ti conviene uscire da questa casa a meno che tu non voglia ritrovarti con il naso rotto." Romeo alzò lo sguardo e si ritrovò la figura di Tebaldo stagliarsi davanti a lui, coprendo le stelle, l'infinito e tutte quelle banalità che fino a un istante prima erano sembrate essenziali. Gulietta sussultò e si alzò in piedi spaventata.
"Sei un Montecchi." affermò sconvolta. Romeo comprese tutto. Ma certo, come aveva fatto a non arrivarci? Giulietta Capuleti, lei era Giulietta Capuleti, la figlia del proprietario della casa e cugina di Tebaldo, il suo peggior nemico. Si portò le mani sul viso e si strofinò gli occhi come per risvegliarsi da quello che sembrava essere un incubo. 
"Non pensavo." riuscì a dire alzando le spalle. Giulietta girò i tacchi e si mise a correre dirigendosi verso la sua abitazione. Romeo si alzò con fatica e, dopo esserci riuscito con successo, si ritrovò di nuovo con la faccia per terra a seguito di un pugno da parte di Tebaldo, dritto sulla tempia. Per un momento vide nero ma poi si rimise in piedi e alla velocità della luce ricambiò l'offesa, precisamente nello stomaco. Tebaldo si piegò in due e vomitò tutto l'alcole il buffet che aveva ingerito.
   
 
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