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Autore: _Lady di inchiostro_    18/09/2017    3 recensioni
Su Sibun, la vita procede tranquillamente.
Per Oikawa e Iwaizumi, invece, la vita è diventata un po' troppo movimentata, ma con una bambina come Haruka dovevano pur aspettarselo.
Eppure, il loro piccolo sistema è tutto quello di cui hanno bisogno.
~
[Raccolta di One-Shot random] [Basata su Like an Astronaut]
[Perché sono troppo innamorata di questa famiglia ♥]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quaranta anni luce di distanza'
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Delucidazioni iniziali:
Come mai sto mettendo le note a inizio storia? Perché ci sono un paio di cose che vi devo spiegare, e non voglio confondervi troppo le idee.
A te che hai aperto questa storia senza avere la minima idea di cosa sia Sibun o di cosa sia successo ai miei due malcapitati preferiti, sappi che questa raccolta prende spunto dalla storia “Like an Astronaut”.
Detto questo, passiamo alle spiegazioni:
-Durante la storia, si accenna a una tempesta (chiamata Jack, come Jack Frost, MA COME SONO SIMPATICA). Sarà una cosa che tratterò in una prossima storia che, se gli esami me lo permetteranno, dovrebbe arrivare a Natale, altrimenti ve la beccate più tardi. Tutto quello che viene citato in queste poche righe, accadrà in quella storia, ma non voglio farvi troppi spoiler;
-Si accenna a una bambina di nome “Selene”, il cui nome significa Luna, poiché era il nome della dea Luna (STORIA GRECA, IO TI INVOCO);
-Avrei voluto scrivere questa storia per l’altro contest di Fanwriter (questo qui), ma gli esami non me l’hanno permesso… *si spara*
-Sappiate che le storie della raccolta, da adesso in poi, non seguiranno un ordine cronologico preciso, per cui potreste trovare storie in cui Haruka è più grande o più piccola;
-Per il Sci-Fic Fest, ho già in mente una storia con i fiocchi… *ride con fare malvagio*
Che dire, faccio tanti auguri alla mia Ayumu, che oggi compie gli anni: spero che questa cosina insulsa ti piaccia ♥
Prometto che tornerò a dedicarmi più spesso alla mia famiglia spaziale, non mi sono mica dimenticata di loro, eh!
Grazie a tutte le persone che hanno recensito, che continuano a seguire questa serie, o che si limitano semplicemente a leggere e a sclerare con me su Twitter! 
Vi lascio alla lettura,
_Lady di inchiostro_



 



LIKE IN THE BEST FAMILIES
~
FIRST DAY





«Hai preso tutto?»
La bambina davanti a sé, sul momento, non rispose, troppo impegnata a fissare il pavimento bianco sotto le sue scarpette nuove, annuendo in un secondo momento. Il genitore che le aveva posto la domanda non disse niente limitandosi solo a sistemarle la giacchetta a vento e a guardarla da sopra le lenti che indossava.
«C’è qualcosa che non va, Haruka?» chiese poi, e la bambina scosse la testa, tenendo sempre il mento contro lo sterno, gli occhi appena lucidi.
Neanche si accorse delle dita del genitore che si posavano sui suoi fianchi, facendole di conseguenza il solletico. La bambina si mise a ridere, cercando di liberarsi dalla presa del genitore, inutilmente.
«Kawa! Smettila!» disse, ridendo, lo zainetto che aveva sulle spalle che sbatteva contro la schiena. Oikawa smise di muovere le dita, un piccolo sorriso che si formò sulle sue labbra.
Erano già passati quattro anni da quando quella bambina era entrata nella sua vita, ma non si era ancora abituato al suono di quella risata cristallina, a quel sorriso sul suo viso, alla sua voce che lo chiamava in quel modo. Erano delle emozioni che il suo cuore non riusciva a reggere ancora adesso.
«Mi dici perché sei così triste?» disse, notando che il visino della bambina si era rabbuiato di nuovo. Inclinò la testa di lato. «Ieri eri così entusiasta di andare a scuola!»
Già, anche per Haruka era arrivato il momento di cominciare i suoi studi, e proprio come sul pianeta Terra, anche su Sibun c’erano le strutture adatte, con insegnanti specializzati per studenti di ogni età, fino al raggiungimento dei quattordici anni, ovvero il momento in cui i giovani avrebbero scelto che cosa fare della propria vita e avrebbero seguito quella strada. Ma era ancora troppo presto, e se Oikawa ci pensava gli veniva già la pelle d’oca. Non riusciva proprio ad immaginarsi Haruka all’età di quattordici anni.
La bambina evitò il suo sguardo. «E se si spaventano…?» mormorò.
Tooru alzò un sopracciglio verso l’alto. «Si spaventano… di cosa, scusa?»
«Di queste!» E nel dirlo premette gli indici sulle sue guance bianche come la neve.
«Perché le tue guance dovrebbero spaventare qualcuno?»
«Non parlo delle guance! Parlo di queste brutte macchie!»
Oikawa le prese il viso tra le mani, passando i pollici sugli zigomi, anch’essi bianchi, e notando che gli occhi verdi di sua figlia si erano fatti ancora più lucidi. Una stilettata al petto lo colse di sorpresa, come se un stalattite di ghiaccio gli avesse perforato il cuore, ricordando quello che era successo soltanto due anni prima, quando credeva di averla persa per sempre. Quando sua figlia era uscita fuori, in mezzo a una tormenta, solo perché i bambini più grandi le avevano detto che quello era l’unico modo per poter giocare con loro, perché lei era solo un mostro e non meritava la loro amicizia.
Era stato il momento più brutto della sua vita, assieme a quello in cui aveva creduto di perdere la persona che amava. Ricordava ancora la pelle fredda di Haruka contro le sue dita. Non l’aveva ancora superata. Nessuno l’aveva superata, sebbene la popolazione di Sibun fosse andata avanti, avesse cominciato ad apprezzare sempre più la presenza dei terrestri, e tutto grazie alle leggi antirazziali che lui stesso aveva fatto in modo di varare.
Non c’era più l’odio che c’era due anni fa, eppure Haruka aveva ancora paura di non essere accettata, e tutto per via della sua malattia.
«Le tue macchie sono bellissime! Io e Iwa-chan non facciamo che dirtelo!»
«Sì, ma voi siete i miei papà…» disse, con uno sbuffo.
«Anche Boku-chan dice sempre che hai delle macchie fighissime!» esclamò.
«Sì… Boku-san è sempre così gentile con me…» sospirò. «Papà, ho paura che nessuno voglia essere mio amico…»
Tooru la fissò per un attimo, serio, prima di posare delicatamente la fronte contro la sua, facendola sobbalzare. «Haruka… Guardami…» La bambina obbedì, e due occhi verdi come un prato in primavera incontrarono i suoi. Erano smarriti, preoccupati, e Oikawa si ritrovò a deglutire per mandare giù il groppo che aveva in gola. «Le tue macchie non hanno niente che non va. Sono perfette così… Tu sei perfetta così. E sono sicuro che ci sarà qualcun altro che te lo dimostrerà meglio di quanto facciamo io e Iwa-chan!»
«Parla per te, Oikawa!» La voce di Iwaizumi arrivò dalle scale, e la bambina si girò indietro, trovando il genitore in piedi sui gradini che le sorrideva.
Haruka strinse un lembo della sua giacchetta, le guance che si erano leggermente gonfiate. «Tu la pensi come Kawa, Zumi?»
Iwaizumi scese gli ultimi gradini che gli erano rimasti, abbassandosi poi al livello della bambina e posandole una mano sul capo, gesto che la fece trasalire. «Sì… Per una volta, sono d’accordo con quell’idiota di tuo padre.»
«Rude, Iwa-chan!» lo sentì bofonchiare da dietro le spalle della bambina, che continuava a tenere la testa china, le punte delle scarpe che sbattevano tra di loro.
«E poi, vuoi sapere una cosa?» continuò, facendo alzare lo sguardo alla figlia. «Sei nella stessa classe con Selene.»
«Davvero?» Non fu soltanto la bambina a esclamare quella frase, con gli occhi che brillavano dalla gioia, ma anche Oikawa, gli occhiali da vista che scivolarono leggermente sul suo naso lucido.
«Che c’è, Tooru, ti dispiace che tua figlia faccia amicizia con la figlia del tuo kohai?» disse Hajime, alzando le sopracciglia verso l’alto.
Il castano incrociò le braccia. «Io? Pff, figurati, non mi importa se Haruka diventa amica con la figlia di un mio acerrimo rivale, che vuoi che sia!»
Selene era la bambina che Kageyama e Hinata avevano adottato esattamente due anni dopo che loro due avevano adottato Haruka. Era partita dalla Terra con la madre, che purtroppo era già malata e non era riuscita a superare il viaggio: da quel momento, Selene si era chiusa in se stessa e non era riuscita a parlare con nessuno, nemmeno con quelle famiglie di Sibun che volevano adottarla, le prime famiglie che avevano superato fin da subito i pregiudizi.
L’unica persona con cui era riuscita a parlare era stata Hinata. La madre del ragazzo lavorava come infermiera, e Iwaizumi l’aveva intravista spesso quando era ricoverato in ospedale, accompagnata dal figlio, che quando non si allenava le dava una mano. E fu in quel periodo che conobbe Selene. Furono due anni difficili, per lei, sebbene l’allegria di Hinata avesse finito per contagiarla, al punto da farla parlare, e ci volle del tempo prima che riuscisse a sbloccarsi anche con Kageyama, che sulle prime l’aveva terrorizzata a morte.
L’adottarono solo quando fu lei a chiederlo, esplicitamente, perché era stanca di incontrare famiglie sempre nuove, volti sempre diversi e tutti sorridenti, perché lei sapeva che cosa voleva: voleva stare con Hinata e Kageyama. Voleva che fossero loro i suoi genitori.
Hajime alzò gli occhi al cielo, Haruka che si era girata verso il castano, le mani giunte. «Oh, ti prego Kawa, lo so che a te Kageyama-san non sta tanto simpatico, ma ci tengo tantissimo ad essere amica di Selene!» Haruka aveva sempre avuto un’attrazione particolare per quella bambina, quasi come una sorella maggiore con la sorellina più piccola, sebbene avessero la stessa età. Era come se volesse proteggerla. «Lei è molto timida, ma sono sicura che questa volta posso farcela a diventare sua amica!»
Oikawa rimase a fissare la figlia, gli occhi verdi che brillavano, le mani strette a pugno, e si rivide in quel corridoio d’ospedale, quando per la prima volta quella creaturina si era attaccata alle sue gambe, ostinandosi a non mollare la presa. Proprio come allora, aveva rivisto la stessa determinazione negli suoi piccoli occhi, lo stesso medesimo affetto. Era impossibile non volere bene ad Haruka, com’era impossibile che lei provasse odio nei confronti degli altri. A volte pensava di non meritarsi il suo amore.
Sospirò, sistemandosi gli occhiali sul viso. «Va bene, se è per fare felice la mia principessa, allora cercherò di fare buon visto a cattivo gioco…»
Realizzò solo dopo che la bambina era letteralmente saltata addosso a lui, ricambiando poi l’abbraccio. «Grazie! Nessun altro nell’universo ha dei papà tanto bravi e buoni come i miei!» disse, le braccia allacciate attorno al collo di Oikawa.
«Vedi di non fare esaltare troppo tuo padre…» mormorò poi Iwaizumi, passando le dita tra quei capelli scuri e prendendo la giacca dall’attaccapanni.
«Rude, Iwa-chan! Sei sempre così rude!»
Si alzò anche Oikawa, e entrambi gli adulti presero una mano della bambina, stringendola senza troppa forza. «Sei pronta…?» chiese Iwaizumi.
Haruka prese un bel respiro. «Sono pronta!»





Molte cose erano cambiate in quegli anni. Oikawa continuava a correre, anche se il suo ruolo nel Consiglio aveva finito per occupare la maggior parte del suo tempo, per cui era probabile che tra qualche anno avrebbe smesso per questioni di forza maggiore; e poi, voleva godersi sua figlia appieno. Iwaizumi, invece, era stato eletto Mediatore, un nuovo ruolo che era stato approvato assieme alle leggi antirazziali: a quanto pare, quasi tutti i terrestri che erano stati trasferiti sapevano il suo nome e cosa aveva fatto per loro, per questa ragione avevano deciso di eleggerlo. In parole povere, anche lui faceva parte del Consiglio, seppure il suo ruolo non avesse la stessa rilevanza di quello che aveva Oikawa.
Avevano avuto qualche problema con Haruka, quando divenne un po’ più grande, perché aveva cominciato a chiedersi come mai lei non avesse una mamma, ma alla fine le cose si erano risolte per il meglio. Anche se c’era voluta una tempesta di neve e una settimana passata nel palazzo Zima per risolvere un impaccio che, in un’altra famiglia, sarebbe stato risolto diversamente.
Ma loro non erano una famiglia normale, no?
«Dite che il signor Jack tornerà quest’anno…?» disse, riferendosi alla tempesta che si era abbattuta su Sibun due anni prima e che aveva costretto tutti a rifugiarsi al palazzo Zima, costruito su un’isola poco distante dalla costa settentrionale proprio per una tale evenienza. Certo, Haruka aveva finito per rimanere in mezzo alla tormenta perché glielo avevano imposto un paio di ragazzini bigotti e cattivi, costringendo i genitori a cercarla, ma quella era un’altra storia.
«Tranquilla, Haruka, ti ho già detto che è un evento molto raro, non ricapiterà prima di cent’anni, come minimo!» disse Oikawa, la mano ancora stretta a quella della figlia.
«Cento anni? Ma è un sacco di tempo!» disse, gli occhi che quasi brillavano, e a Tooru venne quasi da ridere davanti a quell’espressione così buffa, facendo sorridere anche Iwaizumi.
Arrivarono davanti alla scuola giusto in quel momento, un imponente struttura bianca, circondata da un piccolo praticello verde e decorata con un paio di rampicanti che pendevano dall’enorme terrazzo, come in un qualsiasi altro edificio presente su Sibun. Fecero un paio di passi oltre la bassa recinzione, abbassandosi poi all’altezza della figlia.
«Hai già visto Selene?» chiese Iwaizumi.
Haruka annuì. «È seduta da sola, ora vado a parlarci!» esclamò, facendo poi un sorriso a trentadue denti, cui entrambi i genitori ricambiarono.
«Bene, allora noi ci vediamo più tardi» disse Oikawa, flebilmente, e la bambina annuì ancora, prima di abbracciare entrambi i genitori.
«Vi voglio bene» sussurrò, e i due le stamparono un bacio sulla guancia e sulla tempia.
Haruka sorrise, fece due passi indietro, e poi si voltò, dirigendosi in tutta fretta verso una bambina seduta sul prato, un giocattolo stretto in mano. Aveva i capelli biondi legati in una coda un po’ storta – un pessimo tentativo da parte di Hinata di provare a farla? –, e gli occhietti azzurri si posarono subito su Haruka, la quale le stava porgendo la manina; probabilmente, si era presentata con la sua solita esuberanza e allegria.
I due genitori sorrisero, mentre osservavano come Haruka avesse subito preso in mano la situazione e stesse coinvolgendo Selene in qualche gioco particolare, magari utilizzando il giocattolo che la bambina aveva in mano, questa che la fissava con curiosità e meraviglia.
«Te lo ricordi?» Hajime si girò verso la persona che, due anni prima, aveva avuto la sfortuna – o la fortuna, dipende dai punti di vista – di sposare, un lieve sorriso malinconico che gli incurvava le labbra. «Te lo ricordi la prima volta che l’abbiamo portata a casa nostra?»
Tornò a guardare la figlia, sorridendo a sua volta. «Certo che me lo ricordo… Non dimenticherò mai quella mezz’ora in cui siamo stati a cercarla per tutta la casa senza trovarla, mentre tu urlavi che una bambina non può volatilizzarsi nel nulla!»
Oikawa scoppiò a ridere. «Ancora mi chiedo come diavolo ci sia finita dentro il cestino della biancheria sporca!» 
Avvertì la mano di Iwaizumi che andava a stringere la sua, e sapeva che non c’era bisogno di dire altro, perché stavano pensando entrambi alla stessa cosa: stavano pensando a come Haruka fosse cresciuta in quel lasso di tempo, a come il suo visino fosse cambiato, rimanendo sempre sorridente; pensavano alla prima volta che avevano festeggiato un compleanno assieme, alle volte in cui la facevano dormire nel letto con loro per via di un incubo, al fatto che continuasse ad aspettare che Oikawa finisse di farsi la doccia per parlare con lui. E poi, stavano ripensando a quella terribile esperienza che gli aveva lasciato una brutta cicatrice addosso, simile a una bruciatura causata dal freddo dell’inverno.
Da allora, si erano ripromessi che avrebbero fatto di tutto per far sì che ad Haruka non accadesse più qualcosa di simile: nessuno l’avrebbe più ferita, nessuno le avrebbe mai più fatto del male.
Haruka era come la stella che forniva luce su un sistema, senza quella i pianeti rischiavano di essere aridi e privi di vita.
Le loro dita si allacciarono con più forza, mentre Iwaizumi gli faceva notare che il suo kohai lo stava guardando, dall’altra parte del parco, e il castano sbuffò. «Se ci tiene a salutarmi, può sempre avvicinarsi lui!» disse, ma alla fine il ragazzo riuscì a persuaderlo e si diressero verso un Hinata sorridente e un Kageyama un po’ più accigliato. E non allentarono mai la presa sulle loro dita.




Tornata a casa, Haruka raccontò con estremo entusiasmo il suo primo giorno di scuola, alzandosi più volte sulla sedia per dare enfasi al racconto, mentre stavano cenando. Raccontò di come Selene le avesse sorriso, più di una volta, e di come altri bambini si fossero avvicinati a loro e si fossero divertiti assieme. Raccontò della maestra, dell’ambiente scolastico, il tutto con una luce nello sguardo che fece sospirare di sollievo i due papà.
Nessuno l’aveva giudicata per le sue macchie.
  
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