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Autore: Supernavy97    18/09/2017    3 recensioni
Amare Amelia è la cosa giusta da fare.
In un mondo consumato dall’odio, dal dolore, dalle menzogne e i tradimenti; in una realtà dove la morte troppo spesso annienta la vita: amare Amelia è la cosa più giusta da fare, ti dici.
Forse non lo pensi davvero.
Probabilmente, a forza di ripetertelo, hai iniziato a crederci.
[Crowen]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amelia Shepherd, Cristina Yang, Meredith Grey, Owen Hunt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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to be silent and to speak up ITA

To be silent and to speak up

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[Amare Amelia è la cosa giusta da fare.
In un mondo consumato dall’odio, dal dolore, dalle menzogne e i tradimenti; in una realtà dove la morte troppo spesso annienta la vita: amare Amelia è la cosa più giusta da fare, ti dici.
Forse non lo pensi davvero.
Probabilmente, a forza di ripetertelo, hai iniziato a crederci.]

 

 

To be silent

1.     Essere una persona. [12x06 – “L’io che nessuno conosce”]

Meredith cammina sotto una pioggia leggera, le gocce d’acqua le pizzicano il viso, sfiorando delicatamente i lembi di pelle lasciati scoperti dalla giacca data in dotazione all’ospedale. Le iniziali dell’edificio alle sue spalle sono cucite sulla stoffa blu, testimoni dei cambiamenti a cui tutti hanno assistito: il Seattle Grace Mercy West (o Mercy Death come erano soliti chiamarlo) è ormai un ricordo lontano, stravolto dal corso degli eventi che ha portato ad un nuovo nome, ad una nuova realtà, imprevedibile ed affascinante, ma reduce di pesanti sconfitte.
Owen è fermo sotto un cielo senza stelle, quella sera, immobile contro l’ambulanza ancora parcheggiata nel cortile. Amelia se ne è appena andata, senza risposte e con la delusione a dipingerle il volto.
Ma non importa. Non è mai importato davvero. Non con lei.
Meredith lo raggiunge in silenzio, si accomoda al suo fianco e assieme fissano il vuoto.
Lei lo sa.
Lei sa dare un nome a quel vuoto che entrambi sentono, sa il motivo di tanta solitudine e di tanto dolore. Sa cosa significhi non avere una persona, una vera persona con cui potersi aprire, a cui poter fare davvero affidamento.
Eppure anche lei non sa. Non del tutto. Perché a lei è rimasto Alex mentre a lui, a lui non è rimasto nessuno.
“Ho promesso a Cristina che, se ti fossi incupito o depresso, sarei stata la tua persona”
Owen sobbalza impercettibilmente, un po’ per i ricordi di Riggs che si fanno sentire ancora, dolenti, come coltelli conficcati nella sua memoria; un po’ per quel nome che non sentiva da così tanto e che ogni volta gli fa fermare il cuore per un secondo.
Meredith non può essere la sua persona,  lo sanno entrambi, eppure oggi è quella più vicino all’esserlo.
Ha bisogno di qualcuno capace di ascoltare, qualcuno che non giudichi, qualcuno con cui non senta il bisogno di giustificarsi. Ha bisogno di qualcuno che lo capisca senza parlare perché parlare, staresa, fa troppo male.
Non glielo dice, Owen, che rivuole la sua persona, lui, che rivuole tutto, che non riesce a respirare senza di lei. Non glielo dice, Owen, che Amelia è un grande chirurgo, divertente e un po’ fuori dalle righe, ma niente in confronto all’uragano che era Cristina: una tenue ombra alle spalle di quel sole che non smetteva mai di brillare.
Per cui lascia cadere il discorso, cosi da non far soffrire più nessuno per la sua mancanza.
“Non ne voglio parlare”
E un po’ lo sa Meredith di cosa sta parlando, un po’ riesce a sentirla quell’alienazione, tutta quella nostalgia di casa. Ma lo rispetta, e così lascia cadere il discorso anche lei, sviandolo sugli avvenimenti del giorno.
“Dimmi solo una cosa, lo odiamo?”
Owen risponde d’impulso, ma crede alle proprie parole che oggi sono in qualche modo  rivolte a tutti.
“Lo odiamo”.

 

2.     L’illusione di un grande amore. [12x24 – “Affari di famiglia”]

Owen litiga con i gemelli di un abito che non gli appartiene, muove le dita e arriccia la fronte, senza però concludere nulla. Di colpo la porta si apre e una Meredith frettolosa fa capolino fasciata da un vestito color porpora che le dona eleganza e un’incredibile bellezza.
Owen si sforza di sorridere mentre lo aiuta a prepararsi.
“Oggi è il gran giorno” afferma senza però alzare lo sguardo.
Sorride impercettibilmente. Vuole farlo parlare, lo sa, è talmente evidente. Eppure lui ci prova con tutte le forze a resistere, a non cadere nella sua trappola perché lo sanno entrambi che a lungo andare dovrebbe smettere di fingere e accettare quella realtà che non fa per lui, quella nuova vita che sotto la superficie nasconde tutti i suoi demoni. A lungo andare sarebbe costretto ad ammettere che Amelia non è che un sogno felice a cui si aggrappa con tutto se stesso, un’illusione effimera nella quale è piacevole annegare, ma che non ha nulla di vero, nulla di reale.
“È un passo importante”.
Molto importante si dice tra sé.
“Davvero importante” ripete lei.
Owen cerca di resistere, sperando che la coscienza di cosa è giusto e cosa è sbagliato non decida di emergere proprio ora. Spera immensamente di riuscire a scappare il più lontano possibile dalle sue responsabilità: non quelle verso il mondo, ma verso se stesso. Quelle responsabilità che gli sussurrano nella notte, che gli ricordano ogni giorno quanto la sua vita non sia che una mera menzogna.
Ma deve resistere, almeno per oggi, perdersi nell’illusione di un futuro soddisfacente con Amelia.
“Meredith, perché per te è un problema se sposo tua sorella?”
“Non lo è” sentenzia, “Ma sono responsabile per voi. Lui l’ha lasciata a me e lei ha lasciato te a me”.
Owen soffoca i brividi che gli percorrono tutto il corpo al pensiero di Cristina. Era quello che voleva evitare: pensare a lei. Pensare e ricordare tutto quello che avevano condiviso in quel matrimonio che non era stato perfetto ma che li aveva uniti e divisi per poi farli incontrare ancora.
“Non sono una cosa di proprietà di Cristina, che può trasferire ad altri perché la custodiscano”.
Pronunciare il suo nome fa male, ma cerca di non farci caso, di andare oltre.
Meredith abbassa lo sguardo, seduta su una poltrona di velluto che ricorda i colori del suo abito. Si incupisce un po’, come ogni volta che la memoria torna indietro di qualche anno, testimone di un affetto così lontano ora.
“Non gliel’ho detto. Lei lo sa?” chiede poi, con gli occhi leggermente velati.
Owen la guarda con gli occhi asciutti e il cuore che trema, invece.
“No”.
“Non credi che dovresti chiamarla e dirglielo prima di farlo?” domanda di conseguenza.
“Perché dovrei farlo?”
Owen si sente un bugiardo in quel momento. E in fondo lo è. Sa esattamente perché dovrebbe farlo ed è l’esatto motivo per cui non l’ha fatto. Chiamare Cristina avrebbe significato confermare i dubbi e le bugie che impregnano la sua relazione con Amelia ed era proprio ciò che voleva evitare. Non ha bisogno di conferme, Owen, sa che non ne troverebbe perché in fondo anche lui lo sa che è sbagliato, nei confronti di entrambi, che è affrettato e insicuro ma è quello di cui ha disperatamente bisogno ora: di un attimo di indisturbata felicità.
E lo sa che non è lei quella con cui sogna di trascorrere il resto della vita, quella a cui vuole lavare i capelli in una mattinata estiva o cucinare la colazione il giorno di Natale. Lo sa maledettamente bene che non è Amelia il suo grande amore, lo sa come sa che la vita non è giusta e che i buoni non sempre vincono, ma si illude nella speranza che da qualche parte esista un lieto fine per loro. Anche se fasullo.
Ed è per questo che le parole di Meredith fanno così male, perché lei lo sa che sta mentendo, lo vede, e gli fa paura questo.
“Era l’amore della tua vita. Se fossi al posto tuo io lo chiamerei Derek. Non so…almeno solo per vedere se si avvicina a quello che avevamo”.

 

 

To speak up

3.     Qualcosa di vero. [13x17 – “Finchè non te lo sento dire”]

È stato un caso difficile quello di quella mattina. Hanno discusso sulle procedure, ma alla fine Amelia ha operato ed è andata bene e ne è contento, Owen, in fondo. È soddisfatto del loro lavoro ed è quasi felice di essersi sbagliato.
“Bel lavoro!” dice, uscendo dall’unità di cura intensiva, ma le sue parole lo colpiscono come proiettili, all’improvviso, inaspettate.
“Non mi interessa cosa pensi” sputa, lei, con rancore.
“Amelia, basta…”
Eppure lei non sembra volersi placare, anzi, ogni risposta la altera sempre di più.
“Tu non hai diritto d’opinione, e di sicuro non hai diritto a maltrattarmi”
Owen è sconvolto, stupito dall’ipocrisia con cui Amelia parla, anche se non così tanto, in fondo.
“Maltrattarti?”
“Non hai il diritto di darmi ultimatum per quanto riguarda tornare a casa e decidere cosa fare”.
Il ricordo del letto vuoto di quella mattina e delle molte che l’hanno preceduta si fa spazio nella sua mente. Sono ingiuste le sue parole e lo sa. È lei quella che è scappata, che l’ha abbandonato al primo ostacolo e lo sa che non è facile il matrimonio, lo sa così dannatamente bene, ma lui ci ha provato, ci sta provando così tanto e fa male combattere da solo, è dura e non sembra valerne la pena.
Eppure persiste, Owen, perché quell’illusione, ormai, è tutto ciò che gli resta.
“Va bene”.
“Nella buona e nella cattiva sorte…hai detto cosi” sentenzia lei e lo ricorda, le ricorda quelle parole. È la cattiva sorte. L’aveva detto anche a Cristina quando era scappata. Ma lei era tornata, quasi subito, consapevole delle proprie responsabilità, conscia che se fosse rimasta, se avesse lottato, sarebbe arrivata anche quella buona di sorte. “Beh indovina, questa è la cattiva sorte. E non hai il diritto di decidere che io non stia bene. Ok? Non puoi fare di me quella che ha torto. Sono stanca di essere quella incasinata, ok? Perché non lo sono. Tu lo sei almeno quanto me”.
E lo è, sicuramente, pieno di demoni. Della guerra. Del passato.
Arido di speranza, ormai, perché quella che ha davanti non coincide più con quell’idea di futuro che si era costruito.
“Sei sparita!”
E poi eccole, quelle parole, così crude, così violente nella loro semplicità. Quelle parole che non aveva il diritto di pronunciare, non dopo tutto quello che le aveva raccontato, non dopo i ricordi che aveva condiviso, aprendosi ad una persona che sperava essere abbastanza matura da non rinfacciargliele contro.
“Mi stai soffocando!”
Owen sente gli occhi inumidirsi.
“Non è giusto”
“Davvero?” domanda poi e Owen sta per rispondere ma lei lo anticipa ed è la gocce che fa traboccare il vaso.
“Vorrei davvero chiedere a Cristina quanto si sentiva soffocata da te. Dai tuoi bisogni, dalla tua idea di figli, da quello che vuoi tu”.
E fa male, fa così male che giura di sentire il cuore stringersi, così forte da dolere tutto il petto. Cristina l’aveva soffocata, davvero. Fisicamente e mentalmente. E lo sapeva. Ma lei l’aveva perdonato, gli aveva detto che non era ancora abbastanza per farla andare via, che poteva sopportarlo e insieme si erano supportati finchè i loro sogni non avevano smesso di combaciare e lei era dovuta andare via. Ma si capivano comunque: lei capiva il suo desiderio di avere figli ed era pronta a rinunciare alla propria felicità, al proprio desiderio di stare insieme, per lui. Così come lui era pronto a rinunciare a quello stesso profondo desiderio e lasciarla andare via a rincorrere quei sogni così vivi in lei.
Amelia, invece, non capiva.
Era scappata e non era tornata, eppure continuava a fingere di essere lei quella nel giusto.
Aveva detto che li voleva, dei figli, avevano sognato insieme un matrimonio in grande e un futuro ancora più immenso con una casa con un giardino, cinque figli e forse un cane. Adesso, invece, urlava al vento che quei sogni che avevano costruito insieme erano solo i suoi e lei ne era soffocata, lei ne era una vittima.
Owen non ce la fa più, e in un attimo di follia smette di fingere, smette di illudersi, smette di credere a quella favola a cui non ha mai realmente creduto. Decide di parlare.
“Lei mi amava.” le urla contro, “Lei è rimasta.” aggiunge, facendo poi una breve pausa. Respira a fondo e poi riprende, guardandola fisso negli occhi scuri: “Prima di andarsene, lei è rimasta. E ci ha provato. Forse hai ragione, forse io l’ho soffocata con i miei bisogni. Forse lei aveva altri bisogni, altre idee sul futuro. Ma tu-“ dice, indicandola “Tu no. Tu avevi i miei stessi bisogni, le mie stesse idee. O almeno hai finto di averle fino a quando giocare con i miei sentimenti ha smesso di essere divertente. Perché questo è quello che hai fatto e questa è la differenza tra di voi: tu hai finto, tu mi hai illuso. Lei è stata sincera così come sincero e onesto e reale è stato quello che abbiamo avuto. E si, anch’io sono incasinato. Dio Amelia, non ne hai idea, ma tu non dovresti rinfacciarmelo come se fosse una gara a chi sia messo peggio. Tu dovresti cercare di capire e supportarmi come io ho supportato te. Dovresti cercare di accettarmi come io ho accettato te. Come lei ha supportato e accettato me. E forse hai ancora ragione, forse Meredith non ti è leale come lo è con Cristina, ma è normale. Cristina è vissuta qua, ha creato questo posto, è parte di questo, è parte di Meredith ed è parte di me. E tu non puoi pretendere di arrivare qui e cancellare tutto, non puoi diventare improvvisamente quella persona. Non puoi prendere il suo posto”.
Fa una breve pausa, fissandola negli occhi scuri e colpevoli, senza importargli più.
“Ma avresti potuto diventare la mia” afferma, “Avresti davvero potuto”.

 

[Amare Amelia è la cosa sbagliata da fare.
In un mondo consumato dall’odio, dal dolore, dalle menzogne e i tradimenti; in una realtà dove la morte troppo spesso annienta la vita: amare Amelia non è che un’illusione, ti dici.
E lo pensi davvero, adesso.
Probabilmente, a forza di scacciare il pensiero, hai iniziato a crederci.]

 

  
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