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Autore: Ortensia_    18/09/2017    1 recensioni
[ IN SOSPESO ]
Kageyama Tobio, vent'anni appena compiuti, una retta universitaria da pagare e una madre isterica di cui prendersi cura. La sua monotona esistenza subisce uno scossone dal momento in cui incontra un ragazzino dai capelli arancioni che sostiene di essere uno shinigami.
Inizialmente rifiuta di credergli, ma essendo lui stesso un essere soprannaturale comincia a pensare che possa esserci un fondo di verità nella sua confessione.
Quel che Kageyama non sa è che gli esseri come lui sono molti altri e che anche loro riceveranno presto visite dal regno dei morti.
[ Superheroes!AU; coppie e accenni all'interno; fonti di ispirazione: Marvel!Universe; Death Note; Psycho-Pass (non è necessario essere fan della Marvel o consocere gli anime citati per seguire la fanfiction) ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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XI


Nella tana del lupo


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S h i n j u k u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



Nonostante avesse sentito la porta chiudersi e avesse intravisto l'ombra di una persona stagliarsi sulla scrivania, a fendere lo spazio vuoto accanto a lui, Reon posò la penna soltanto dopo aver scritto l'ultima parola del paragrafo del quale si stava occupando già da una buona decina di minuti – un breve ma piuttosto dettagliato riassunto sulle anomalie rinvenute a Shibata.
«Come mai qui?» era raro che qualcuno al di fuori di Ushijima si recasse al laboratorio, ma trattandosi di Chidori la risposta alla sua domanda era in realtà piuttosto scontata – infatti qualche volta era capitato che si fosse rivolta a lui per reperire ulteriori informazioni sui casi più importanti nei quali era stato supposto il coinvolgimento di almeno un dotato di cromosoma Z.
«Volevo sapere qualcosa in più sulla nevicata di Shibata.»
Reon la guardò e scosse la testa in segno di negazione, le labbra dritte, a tracciare un'espressione seria ma comunque priva di severità.
«Lo sai» rare volte le aveva concesso il lusso di ricevere informazioni supplementari o di venire a conoscenza delle sue teorie, eppure sembrava non essersi ancora rassegnata e ogni tanto si presentava in laboratorio con tali pretese.
«Sei gentile, Ouhira-san, ma davvero troppo intransigente.»
«È il mio lavoro» rispose tranquillamente lui, le labbra piegate in un sorriso a malapena percettibile. «Sono sicuro che anche tu eseguirai al meglio il tuo dovere, perfino senza venire a conoscenza di determinati fatti prima degli altri.»
Chidori ricambiò il sorriso dell'altro, per poi esordire con rinnovato entusiasmo.
«Ah! A proposito, Ouhira-san!»
«Cosa?»
«L'Exterminator aggiornato è davvero incredibile! Come avete fatto a renderlo tanto intelligente e reattivo?» ampliò il sorriso e accennò una risata. «La tecnologia fa passi da giganti, eh?»
Ouhira la guardò senza dire una parola, di nuovo serio. Esitò per qualche istante, per poi tornare a sorriderle discretamente.
«Già, la tecnologia.»
«Però immagino che questa volta non si tratti soltanto di una semplice serie di algoritmi, vero?»
Reon esitò nuovamente, rivolgendo la propria attenzione allo schermo del computer, statico e luminoso.
«Temo di non essere nella condizione di rivelarti a cosa è dovuto un progresso simile.»
«Eh?!» Chidori gonfiò leggermente le guance e batté l'indice sulle labbra, incrinate in una piccola smorfia: voleva fingersi dispiaciuta e, soprattutto, rassegnata.
«Quindi non sapremo mai da cosa è stata determinata un'intelligenza artificiale così elevata? Che peccato!»
Che cos'era quell'anello bianco fra la molla e il processore? Era quello l'elemento che permetteva all'Exterminator di agire in un determinato modo? Oppure era stato aggiunto qualcosa che, al contrario, era passato inosservato ai suoi occhi?
Reon le sorrise, questa volta forzatamente, per poi scuotere il capo in segno di negazione.
«Mi dispiace, Chidori-san.»
Chidori negò con un leggero cenno del capo, tornando a sorridere pochi istanti più tardi.
«No, lo capisco. E poi immagino che questa sia ancora la fase sperimentale per il nuovo Exterminator» ciò che intendeva dire Kazue era che probabilmente il laboratorio avrebbe rilasciato un resoconto delle modifiche apportate di lì a qualche mese, solo dopo aver appurato la mancanza di anomalie nel sistema dell'arma. Pur sapendo che non era quello il caso, Reon annuì con fare compiaciuto, tornando poi a osservare lo schermo del terminale.
«Bene, Chidori-san,» afferrò il mouse e continuò a parlare senza guardarla più «se non ti dispiace avrei del lavoro da sbrigare.»
«Certo,» Kazue si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro, già pronta a incamminarsi verso l'uscita del laboratorio «non ho intenzione di trattenermi ancora. Buon lavoro, allora.»
«Anche a te» quello che normalmente Reon avrebbe pronunciato con un sorriso affabile a piegargli le labbra, fu rivolto allo schermo luminoso del PC in un sibilo roco, che riuscì a malapena a liberarsi dall'infida strettoia di una smorfia a dir poco contrariata.


❋ ❋ ❋


Reon restò immobile, gli occhi puntati sullo schermo luminoso del computer. Attese che Chidori se ne andasse, ma di fatto si mosse soltanto due minuti dopo la chiusura della porta.
Lasciò scivolare indietro la sedia da ufficio, dunque afferrò il cellulare e dopo aver selezionato il contatto desiderato se lo portò all'orecchio.
«Puoi parlare?» domandò appena l'altro gli rispose.
«» dall'altro capo del telefono, la voce di Ushijima risuonò ferma e imperturbabile come al solito.
«Chidori voleva delle informazioni sull'ultimo aggiornamento dell'Exterminator.»
Ushijima restò in silenzio per qualche secondo, poi schioccò la lingua contro il palato, in segno di disappunto.
«Da questo momento in avanti mi assicurerò che non metta più piede in laboratorio.»


❋ ❋ ❋


Moniwa aveva i nervi a fior di pelle: un altro dotato di cromosoma Z – e probabilmente il suo shinigami – stavano soggiornando nel suo stesso albergo. Quante possibilità c'erano perché potesse accadere qualcosa di simile? Considerando la rarità del cromosoma Z e la grandezza di Tokyo, quasi nessuna. Possibile che quei due lo avessero fatto di proposito? Che avessero deciso di seguire lui e Aone? In quelle condizioni era difficile credere a una pura coincidenza.
Pur stringendo con vigore il nodo della cravatta attorno al collo, Moniwa trasse un sospiro di sollievo, come se si fosse appena liberato di un grosso peso: era stanco, ma l'idea di dover trascorrere quasi tutta la giornata nello studio legale lo confortava, anche perché lui e Aone sarebbero tornati a Bunkyou quella sera stessa.
«Sono pronto» annunciò ad Aone, che aprì la porta e uscì prima di lui, così da assicurarsi che fosse tutto a posto: lo avrebbe accompagnato a lavoro e sarebbe rimasto per tutto il tempo a passeggiare nei paraggi; era troppo pericoloso lasciare che Moniwa rientrasse in albergo da solo.
Proprio quando Kaname mise piede fuori dalla stanza, il suo cellulare squillò.
Quando vide che il mittente era il signor Nijima, il suo datore di lavoro a Bunkyou, fu scosso da un brivido: come mai lo stava chiamando? E perché appena venti minuti prima che iniziasse a lavorare?
Moniwa deglutì, rispondendo immediatamente.
«Stai andando a lavorare,» esordì il signor Nijima «ti chiedo scusa, ma ho delle novità.»
Moniwa deglutì ancora, annuendo appena.
«La ascolto...»
«Lo stagista di Tokyo ha dovuto rinviare l'inizio del suo tirocinio, perciò potrai restare a Shinjuku ancora per qualche giorno.»
Moniwa si sentì gelare il sangue. Gli mancò il respiro, perciò boccheggiò per qualche istante, sotto lo sguardo confuso di Aone.
«Veramente io...» trovò la forza di parlare pochi istanti più tardi, ma fu subito interrotto.
«Tranquillo, ho già parlato con i tuoi genitori.»
Rimase completamente senza parole, annichilito, atterrito dalla velocità di azione del suo superiore e dall'ovvia incapacità di sfuggire a un destino ormai evidente.
«Per il proprietario dell'albergo non ci sono problemi, infatti provvederò a pagare il resto del soggiorno entro questa sera.»
Aveva parlato anche con il proprietario dell'albergo? E in più aveva l'impressione che si stesse offrendo di pagare perfino per Aone.
Normalmente una tale opportunità lo avrebbe reso felice, sarebbe stato riconoscente verso cotanta generosità, ma in quel frangente avrebbe voluto soltanto darsi per malato e rinchiudersi nella camera d'albergo o prendere il primo treno per tornare a casa senza doverne dare conto al signor Nijima e al legale di Shinjuku.
Moniwa boccheggiò nuovamente, desideroso di parlare, interrompere il signor Nijima per dirgli che non si sarebbe potuto trattenere oltre, tuttavia questo non gli concesse neppure il tempo di elaborare mentalmente un discorso.
«Adesso devo andare. Continua a darti da fare, sono sicuro che te la stia cavando bene.»
«A-aspet‒» Kaname serrò le labbra con forza, per poi deglutire, la mano destra impegnata a sorreggere il cellulare.
Aone lo stava fissando. Lo vide abbassare la mano con arrendevolezza, mentre osservava la schermata della chiamata terminata con le labbra increspate in una smorfia.
«Abbiamo un problema» disse poi, serrando le labbra in segno di resa.
Aone richiuse la porta.
«Cosa succede?»
«A quanto pare dovremo restare qui ancora per qualche giorno.»
Aone sembrò sorpreso, poi anche le sue labbra si contrassero in una smorfia. Annuì pochi istanti più tardi, per poi rivolgere un'occhiata alla porta chiusa, le dita della mano destra a stringere con forza la maniglia.
«Che facciamo? Anche quei due sono qui, e sono sicuro che non se ne andranno molto presto.»
Aone annuì di nuovo, emettendo un brontolio basso e appena percettibile.
«Stiamo qui» concluse poi.
Moniwa affondò i denti nel labbro inferiore, avvicinandosi al proprio shinigami.
«Devo andare allo studio legale...»
Aone dischiuse le labbra, intenzionato a rispondere, ma notando l'espressione rattristata dell'altro decise di tacere: non voleva dirgli che forse avrebbe dovuto lasciare il master, probabilmente Moniwa se ne sarebbe resto conto da solo di lì a poco tempo.
«Staremo in guardia» Aone aspettò che l'altro annuisse, dunque aprì la porta: per quel momento avrebbe permesso a Moniwa di tenersi stretta la sua vita, limitandosi a proteggerlo.


❋ ❋ ❋


«Non sappiamo quale sia il suo potere» Semi sorseggiò il tè, osservando Sugawara di sottecchi.
«E per quanto riguarda il suo shinigami?» Sugawara, seduto con una tazza di cioccolata calda fra le mani, sbirciò fuori dalla sala della colazione, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione agli altri.
«Se si tratta di Aone-san, come dice Tendou-san, non dobbiamo sottovalutarli.»
«Lo hai mai incontrato?» Satori si rivolse a Kiyoko, addentando un biscotto.
«Un paio di volte,» rispose lei, gli occhi bassi, fissi sulla bustina di tè che teneva stretta fra le dita «e anche se non l'ho mai visto combattere, mi è sempre sembrato molto forte.»
«Eccoli là» Eita diede un'ultima sorsata al tè, mentre Sugawara fletté leggermente il corpo verso destra, così da poter sbirciare attraverso lo spazio che separava Tendou e Shimizu, seduti di fronte a loro.
«Li seguiamo, allora?» Tendou – così come Shimizu – non si voltò, piuttosto addentò un altro biscotto in attesa di direttive da parte di Eita e Sugawara, la punta del piede destro che batteva con forza sul pavimento, rivelando tutta la sua impazienza.
Dopo essersi assicurato che i due fossero usciti dall'albergo, Eita annuì.


❋ ❋ ❋


«Sono loro» alle parole di Akaashi, Kenma annuì: aveva già individuato Sugawara, e per quanto riguardava gli altri due si fidava delle parole dell'amico, che insieme a Bokuto li aveva visti scontrarsi in un vicolo della città qualche giorno prima.
«Kenma, puoi prendere possesso delle loro menti?»
«Quattro in una sola volta?» Bokuto, sorpreso, si voltò verso Kuroo, che aveva appena posto quella domanda spinosa al suo protetto.
«È impossibile,» tagliò corto Kenma «il mio potere si è sempre limitato a un soggetto alla volta. L'ipnosi collettiva non ha nulla a che vedere con me.»
«Per ora limitiamoci a seguirli» concluse Akaashi.
«Una bella gatta da pelare...» Bokuto borbottò «Shimizu e Tendou sono molto forti.»
«Noi saremo più forti» Kuroo rivolse un sorriso strafottente agli altri tre, scatenando un brivido lungo la schiena di Kenma.
Akaashi, dal canto suo, rivolse una rapida occhiata a Bokuto, nella speranza che questo non desse corda all'amico, ma ovviamente Kotarou ricambiò il sorriso dell'altro shinigami.
«Giusto!» Bokuto sollevò il pugno sinistro, esultando come se avesse appena vinto qualcosa. Akaashi lo colpì fra le scapole, facendolo rantolare per la sorpresa.
«Taci, Bokuto-san, o ci scopriranno per colpa tua» lo rimproverò, colpendolo ancora una volta, scatenando la risata di Kuroo.
Indispettito dall'umiliazione appena subita, Bokuto sfiatò, rivolgendo un'occhiataccia all'altro shinigami, poi increspò le labbra in un broncio, zittendosi completamente.
«Perfetto» Akaashi commentò soddisfatto e vagamente divertito, tornando serio non appena notò l'espressione concentrata di Kenma, che stava ancora osservando Tendou, Shimizu e gli altri due dotati di cromosoma Z.
«Cosa c'è, Kenma? Hai notato qualcosa?» era così attento che sembrava aver appena preso possesso della mente di qualcuno, ma il leggero movimento delle pupille gli suggerì che era ancora completamente cosciente e che, di fatto, stava solo osservando.
«Credo...» Kenma esitò, per poi bagnarsi le labbra con la punta della lingua «che stiano seguendo qualcuno.»


❋ ❋ ❋


«Mi sento molto stupido a inseguire un altro dotato di cromosoma Z e il suo shinigami senza maschera» Sugawara accennò una risata nervosa, per poi guardarsi attorno: c'erano molte persone in giacca e cravatta, che con le loro ventiquattrore camminavano spedite verso il proprio posto di lavoro.
«A me non cambia nulla, visto che mi ha guardato in faccia,» Eita rispose, le labbra increspate in una piccola smorfia «ma comunque ti saresti messo davvero la maschera? Con tutta questa gente?»
«In effetti...»
«Tendou-san» la voce di Shimizu attirò l'attenzione di entrambi i protetti, in quanto il tono di voce della donna fece da subito intendere che qualcosa non stava andando nel verso giusto.
«Cosa c'è, Tendou?» Semi fu sul punto di voltare la testa per guardare il suo shinigami, ma Tendou gli poggiò una mano sulla spalla come per esortarlo a procedere e a non voltarsi.
«Continuate a camminare, non voltatevi» fu Shimizu a parlare prima di Tendou, che tuttavia continuò al posto della donna.
«Altri due shinigami e i loro protetti ci stanno seguendo.»


❋ ❋ ❋


«Un triplo stalking? Ne sei proprio sicuro, Kenma?» Tetsurou sembrò quasi divertito all'idea di star seguendo due coppie di destinati che a loro volta ne stavano spiando un'altra ancora diversa, mentre Bokuto – pur pensandola allo stesso modo dell'amico – continuò a tenere il broncio, camminando dietro ad Akaashi con le braccia incrociate al petto.
«Effettivamente avevo sentito parlare di uno shinigami di corporatura massiccia e con i capelli chiari...»
«Aone Takanobu,» finalmente Bokuto riprese a parlare, seppur a denti stretti «chiamato anche Muro di Ferro.»
«Deve essere molto forte, allora» commentò Akaashi, osservando Kenma con la coda dell'occhio.
«Deve essere molto forte,» ripeté Kenma, per poi guardare proprio Akaashi «ma la forza fisica appartenente a una mente soggiogata non vale niente.»
Keiji sollevò leggermente le sopracciglia, sorpreso dall'affermazione dell'altro, poi accennò un sorriso e posò il proprio sguardo sullo shinigami dai capelli bianchi.
«Ho capito.»
«Dobbiamo fare in modo che riesca a vederlo in viso...» commentò Kenma a fior di labbra, ora attirando a sé anche l'attenzione dei due shinigami.
«Bokuto-san,» Akaashi riprese a parlare «come hai detto che si chiama?»
«Aone Takanobu.»
Keiji annuì, per poi assottigliare leggermente lo sguardo, arrestando i propri passi qualche istante più tardi. Subito dopo, si fermarono anche Kenma e i due shinigami.
«Akaashi?» appena Bokuto lo chiamò, Kenma gli fece segno di restare in silenzio.
Akaashi chiuse gli occhi e portò la mano destra sulle labbra, ritta in verticale così da coprire anche il naso con le dita distese. Inspirò con forza dalle narici, poi abbassò leggermente la parte superiore della mano e soffiò, incurvando le dita verso destra di pochi millimetri. Infine abbassò la mano.
«Guarda bene, Kenma.»
«Sì.»
Aone si voltò pochi secondi più tardi, lasciando senza parole Kuroo e Bokuto.
«Co-co‒» Bokuto boccheggiò.
«Puoi parlare, adesso, Bokuto-san.»
«Cosa hai fatto?!»
Akaashi accennò un sorriso.
«L'ho chiamato» fece una piccola pausa, per poi rivolgere una rapida occhiata a Kozume. «Pronti ad aiutare Kenma? Presto si assenterà completamente.»


❋ ❋ ❋


Dovevano svoltare a destra. Aveva già accompagnato Moniwa all'ufficio legale e sapeva perfettamente che avrebbero dovuto procedere dritto ancora per un bel po', ma fu più forte di lui afferrare il braccio del proprio protetto per esortarlo a svoltare a destra.
«A-Aone-san?!» Kaname piantò i piedi a terra, sorpreso e soprattutto terrorizzato all'idea che il suo shinigami lo stesse per condurre in una strada molto meno frequentata della principale.
Qualcuno li stava seguendo? Aone gli aveva comunicato il suo sospetto appena trenta secondi prima, ma mai si sarebbe aspettato che perdesse la calma in quel modo – o forse aveva qualcosa in mente?
Ovviamente non riuscì a opporsi alla forza bruta dell'altro, che lo costrinse a imboccare la stradina e ad avviarsi in direzione di una via piuttosto stretta su cui si affacciavano soltanto il retro di un ristorante italiano e un negozio di antiquariato ancora chiuso.


❋ ❋ ❋


«Hanno appena girato a destra?» Shimizu aggrottò la fronte, sorpresa dall'improvviso cambio di rotta dei loro obbiettivi – considerando soprattutto che era stato proprio Aone a effettuarlo.
«Che vogliano lo scontro diretto?» chiese Sugawara, il tono leggermente preoccupato.
«Che scontro diretto sia, allora» Tendou, al contrario, si sfregò le mani, impaziente di sfidare Aone.


❋ ❋ ❋


«Tendou, Shimizu e i loro protetti andranno a destra, perciò noi cercheremo di arrivare da sinistra, ok?»
«Quindi dovremo fare il giro del palazzo» commentò Kuroo.
Akaashi annuì, riprendendo subito a parlare.
«Con le nostre abilità dovremmo essere più veloci, ma lo stato di Kenma ci rallenta, perciò per ora andremo solo io e Bokuto.»
«Vi raggiungerò appena mi sarà possibile» Kuroo adagiò entrambe le mani sulle spalle di Kenma, come per sorreggerlo pur non essendocene bisogno – avrebbe dovuto trasportarlo, comunque.
Akaashi annuì, per poi voltargli le spalle e allontanarsi in fretta, seguito da Bokuto.
«A fra poco, allora.»


❋ ❋ ❋


«A-Aone-san, non dovremmo stare qui!» se qualcuno li stava pedinando, allontanarsi dalla strada principale non si poteva considerare di certo la scelta più saggia, eppure il suo shinigami sembrava esserne convinto.
Aone rafforzò la stretta sul braccio del proprio protetto, senza tuttavia fargli male: lo sapeva perfettamente che quello non era il posto giusto, che dovevano andarsene da quel vicolo il prima possibile, eppure non avrebbe mai permesso a Moniwa di allontanarsi. Piantò i piedi a terra, quindi vide nitidamente l'espressione confusa e spaventata di Moniwa, che stava cercando con tutte le sue forze di strattonarlo in avanti, fuori dalla via desolata.
La paura negli occhi del suo protetto, diversamente dal solito e da come sarebbe dovuto avvenire, non gli fece alcun effetto. Non scalfì neppure una piccola parte del suo essere.
«Aone-san!» Kaname strepitò, adesso completamente sopraffatto dall'inquietudine. Ormai era evidente: Aone non aveva un piano in mente, anzi era totalmente assente, come se al posto suo ci fosse un'altra persona.
Lo chiamò ancora una volta, e poi gli si gelò il sangue: il ragazzo del tempo, insieme al suo shinigami e ad altre due persone, avevano appena occupato l'imboccatura del vicolo.
Aone lo lasciò in quel momento, quindi Moniwa si voltò per scoprire che anche l'altra estremità era stata occupata da due ragazzi.
«Aone-san!» tornò a voltarsi verso il proprio shinigami, ma Aone era immobile, come se avesse avuto l'intenzione di restare totalmente fermo e lasciarsi sopraffare.
«Aone-san...» lo chiamò ancora una volta, afferrandogli il braccio per scuoterlo, ma Takanobu non si mosse e neppure lo guardò, provocandogli un fremito di terrore nel petto. Moniwa si sentì improvvisamente abbandonato, già sconfitto.
Strinse i pugni, le lacrime agli occhi. Catturò un rapido movimento alla propria sinistra, da parte del ragazzo con i capelli rossi, e poi uno da parte di quello con i capelli scuri, alla propria destra.
Urlò con forza, buttando fuori tutta l'aria che aveva nei polmoni, quindi sollevò leggermente i pugni.
L'asfalto si crepò all'improvviso, sia a destra che a sinistra, e grossi rovi verdi si innalzarono verso l'alto, una muraglia invalicabile che arrestò la corsa di Tendou e il colpo di aria compressa lanciato da Akaashi.
Ora rinchiuso in una robusta gabbia verde, Moniwa distese le dita delle mani, rivolgendo il proprio sguardo al cielo nuvoloso, una piccola frazione visibile oltre le punte aguzze dei rovi.
Guardò Aone, trovandolo ancora immobile.
Intanto, fuori dalla gabbia di rovi, Tendou si preparò a colpire l'asfalto, ma venne subito fermato da Eita.
«Tendou, aspetta! È la nostra occasione per parlargli senza scatenare un putiferio.»
«È vero, ma dall'altra parte c'erano altre due persone...» Sugawara intervenne, stroncando sul nascere le pacifiche intenzioni di Eita.
«A dire il vero siamo proprio sopra la vostra testa» a quelle parole, alzarono tutti e quattro lo sguardo: come se avesse avuto le ali ai piedi, il ragazzo dai capelli scuri stava fluttuando in aria, perfettamente in equilibrio, un gufo grigio appollaiato sulla spalla sinistra.
«Bokuto e il suo protetto» ringhiò Tendou.
«Li spezzerò» Shimizu distese le dita della mano destra, pronta a richiuderle immediatamente, ma un grosso artigliò d'ombra la colpì in pieno, gettandola a terra.
«Shimizu-san!» Sugawara corse da lei, per assicurarsi che non fosse ferita.
«Ce n'è un altro» Tendou strinse i denti, quindi saltò contro la parete destra, per poi rimbalzare sulla sinistra e lanciarsi in aria, dritto verso Akaashi e Bokuto.
Akaashi distese le mani e con una potente folata di vento rispedì Tendou verso il basso, proprio addosso a Eita, schiacciando entrambi contro l'asfalto.
Che cosa stava succedendo lì fuori? Moniwa si stava mangiando le dita, osservando prima Aone – ancora immobile – e poi le punte dei propri rovi, che stavano cominciando ad appassire, ripiegandosi su se stesse. Presto sarebbero rimasti scoperti, non che la gabbia fosse molto utile alla fine, visto che a quanto pareva uno dei mostri lì fuori era in grado di volare mentre un altro riusciva a controllare le ombre.
A Moniwa non era mai piaciuto usare il proprio potere; lo aveva fatto con gioia solo per la sorella, sfruttandolo per creare fiori variopinti con cui realizzare ghirlande colorate insieme, ecco perché i suoi rovi appassivano così in fretta. Era un potere poco sviluppato, come quello di un neonato.
La sua gabbia era racchiusa a sua volta in una ancora più grande e pericolosa. Presto sarebbe stato spazzato via. Non poteva vincere.
Strinse i denti e trattenne un singhiozzo, quindi afferrò Aone per il colletto del piumino e cominciò a scuoterlo.
«Aone-san, non posso farcela da solo! Aone-san!»
«Sei buono o cattivo?» Aone esordì all'improvviso, pietrificando completamente Moniwa. Lentamente, lasciò il colletto del proprio shinigami, mentre due grosse lacrime gli solcavano le guance: qualcuno gli aveva appena parlato attraverso la voce di Aone.
«Buono o cattivo? La tua risposta potrebbe fermare tutto questo.»
«Tu... tu chi sei?»
«Qualcuno come te.»
Poteri psichici. Qualcuno che si trovava vicino a loro e che aveva preso possesso della mente di Aone.
«Vuoi uccidere gli altri dotati di cromosoma Z per impossessarti del loro potere?» «N-no,» Moniwa negò con un energico cenno del capo «certo che no.»
Aone restò fermo e in silenzio per qualche istante, poi, all'improvviso, sollevò la mano destra e asciugò le lacrime al proprio protetto.
«Eh?» Moniwa lo guardò, ritrovando una confortante scintilla di lucidità nei suoi occhi.
«Aone-san?» sussurrò confuso, non riuscendo a trattenere un sorriso, e altre lacrime di gioia gli colmarono gli occhi.
Aone si guardò intorno, trovando soltanto una serie di rovi alti e robusti.
«Cosa sta succedendo?»
«Ci hanno circondato: quattro alla nostra sinistra e quattro alla nostra destra, credo. Penso che qualcuno abbia preso possesso della tua mente per parlare con me... mi ha chiesto se voglio uccidere gli altri dotati di cromosoma Z.»
Fuori dalla gabbia di rovi, Kenma tornò in sé. Guardò Kuroo attraverso le grosse unghie di ombra, che avevano fatto da scudo al suo corpo inerme per tutto il tempo in cui era rimasto nella mente di Aone.
«Kuroo» appena lo chiamò, le unghie di ombra sembrarono liquefarsi, ritirandosi nel terreno.
«Hai scoperto qualcosa?»
«Mi ha detto che non ha intenzione di uccidere i dotati di cromosoma Z, e personalmente mi ha dato davvero questa impressione» Kozume indicò la parte superiore della gabbia di rovi. «Solo che presto resteranno scoperti, perciò ci converrà difenderli dagli altri quattro.»
Kuroo annuì, per poi chiamare Akaashi.
«Thyphone, Psyche dice che il ragazzo all'interno della gabbia è pulito!»
Akaashi diede una rapida occhiata alla gabbia di rovi e si abbassò di quota, ma proprio in quel momento Shimizu – aiutata da Sugawara – si rialzò.
Keiji si preparò a sollevare un'altra folata di vento, ma Kiyoko fu più veloce: stese le dita di entrambe le mani, richiudendole in fretta e all'unisono.
Lo scricchiolio delle ossa di Akaashi fu sovrastato immediatamente dal suo urlo di dolore, che attirò seduta stante l'attenzione di Kuroo e Kenma.
Keiji perse quota in fretta, le palpebre serrate e i denti affondati nel labbro inferiore, nel tentativo di trattenere un altro urlo di dolore. Il gufo tese le ali e balzò giù dalla spalla di Akaashi, toccando terra non con gli artigli neri, ma con piedi umani, le ginocchia piegate e i polpacci tesi.
Bokuto afferrò Akaashi appena in tempo, evitandogli di cadere, quindi lo fece stendere a terra con attenzione.
«Akaashi...» sussurrò, la fronte leggermente aggrottata, gli occhi puntati sul viso del suo protetto, contratto dal dolore e madido di sudore.
«Cosa sta succedendo?!» la voce di Kuroo giunse forte e chiara dall'altro capo del muro di rovi.
«È Shimizu-san!» alla risposta di Bokuto, l'altro shinigami piegò le labbra in una smorfia.
«Devo vederla» Kenma, poco più indietro del suo shinigami, rivolse una rapida occhiata ai rovi che li separavano dagli altri.
Kuroo si avvicinò all'alto muro verde e diede un pugno proprio al centro di uno dei rovi più grossi.
«Ohi, tu, lì dentro!»
Moniwa si irrigidì. Aone si mise sull'attenti.
«Ritirali» Kuroo si stava riferendo ai rovi, cosa che Moniwa comprese immediatamente, ma nonostante questo restò immobile, volgendo solo una fugace occhiata verso Aone.
Kuroo strinse i denti, tornando subito a strepitare.
«Ritira questi maledetti affari! Ti proteggeremo noi!»
Moniwa guardò di nuovo Aone, trovandolo accigliato e con le labbra increspate in una piccola smorfia – cosa che non lo confortò affatto.
«Che cosa facciamo?» gli tremò la voce.
Takanobu volse un'occhiata verso l'alto, alle punte dei rovi, ormai di un verde sbiadito e ripiegate su se stesse come radici di un albero vecchio e rinsecchito: in ogni caso era ovvio che presto sarebbero rimasti scoperti.
Fuori dalla loro barriera rigogliosa c'erano sicuramente Kuroo, Bokuto e Shimizu, e pur considerando la forza inarrestabile di quest'ultima e la vivacità degli altri due, erano degli shinigami piuttosto ragionevoli. Qualunque piega avessero preso gli eventi, comunque, lui avrebbe fatto in modo di proteggere Moniwa.
Aone posò una mano sulla spalla del proprio protetto, con una delicatezza tale da sorprenderlo.
«Facciamo come vogliono,» trovò un po' di difficoltà ad articolare quelle parole, tanto che la sua voce parve fuoriuscire da un vecchio dispositivo arrugginito «ma stiamo in guardia. Se serve, li attacchiamo.»
Kaname aggrottò la fronte, evidentemente angustiato, ma si limitò ad annuire con un rigido movimento del capo. Allargò le braccia e i rovi cominciarono a ritirarsi.
«Teniamoci pronti» Kuroo si mise in posizione, pronto ad attaccare, e così fece anche Shimizu, dalla parte opposta. Tendou, che aveva aiutato Eita a rialzarsi, afferrò il braccio dell'altra shinigami, strattonandola da parte.
«Mettiti questo» quindi le porse un fazzoletto.
Shimizu esitò: coprirsi gli occhi le precludeva la possibilità di attaccare, ma significava anche non essere visti in viso dai propri avversari – che Tendou sospettasse qualcosa? Un dotato di cromosoma Z con poteri psichici? L'intuito di Tendou era fenomenale, per quanto le seccasse riconoscerlo, perciò si decise a legare il fazzoletto dietro la testa, così da coprirsi gli occhi.
Appena i rovi scomparvero, le mani d'ombra evocate da Kuroo si mossero in direzione di Shimizu, ma Semi le ordinò di spostarsi velocemente a destra, così da permetterle di evitarle.
Tendou, invece, balzò contro Moniwa, il pugno teso a mezz'aria e i denti stretti: con un ringhio strafottente, si stava preparando all'impatto con Aone, che si era già messo in mezzo a lui e al suo obbiettivo.
Aone tese il pugno a sua volta, e il pallore rosato della sua mano venne sostituito da uno strato grigio e lucente come l'acciaio.
Quando i due pugni si scontrarono, dando vita a un rumore secco e rapido, i denti di Tendou affondarono nel labbro inferiore fino a farlo sanguinare, così da reprimere un grido di dolore: la forza incanalata nella sua mano si era direttamente scontrata con una spessa superficie di metallo, che ovviamente ne era uscita totalmente illesa; le sue dita, invece, si erano accartocciate come ramoscelli imputriditi dal ghiaccio implacabile di un rigido inverno.
Anche una forza devastante come quella di Tendou non avrebbe potuto nulla contro il muro di ferro di Aone. Solo la forza di un altro shinigami si sarebbe potuta considerare pari a quella di Takanobu, se non addirittura superiore.
Aone allungò il pugno sinistro in direzione del suo avversario, ma Tendou fu abbastanza veloce da schivarlo, balzando ulteriormente indietro quando un grosso rovo si librò di fronte a lui per poi schiantarsi a terra, cercando di colpirlo.
«Qual è il piano?» Moniwa si rivolse a Kenma e Kuroo, che tornò ad attaccare, questa volta ostacolato direttamente da Tendou.
Kenma non rispose, ma guardò Moniwa per qualche secondo.
“Devo vedere quella ragazza in viso.” Moniwa sobbalzò, mentre un brivido gli attraversava la schiena: questa volta l'altro dotato di cromosoma Z gli aveva parlato direttamente nella testa, dandogli una direttiva ben precisa.
Moniwa strinse i pugni e annuì con decisione, rivolgendo il proprio sguardo in direzione della donna con gli occhi coperti, ora ferma fra il ragazzo che aveva fermato il tempo e un altro di cui ignorava l'abilità.
«Kuroo» appena Kenma pronunciò il nome del proprio shinigami, ancora impegnato a respingere Tendou, grossi artigli d'ombra bucarono il terreno, formando una gabbia nera attorno a lui.
Akaashi, nel frattempo, riuscì a veicolare una vigorosa folata di vento contro la shinigami e gli altri due ragazzi, e quando questi si protessero il viso con una mano, Kuroo cercò di direzionare un artiglio d'ombra verso Shimizu; Tendou, però, lo colpì allo stomaco con un pugno così potente da scaraventarlo a terra, a diversi metri di distanza da lui – le dita della sua mano destra erano fuori uso, ma la sinistra era ancora funzionante, quindi perché non utilizzarla? Non era la sua mano dominante, ma fu comunque in grado di costringere Kuroo a terra e di provocargli uno spasmo di dolore.
Provato dal colpo appena subito, Tetsurou si concentrò a mantenere intatta la barriera che difendeva Kenma, il che si rivelò una decisione piuttosto saggia, perché Moniwa, approfittando della confusione, condusse fino a Shimizu un rovo sottile e appuntito che, colpendo di striscio la guancia della donna, tagliò di netto un lato del fazzoletto.
Il fazzoletto scivolò via, lasciando scoperti gli occhi di Shimizu, e Kenma ne approfittò immediatamente per fare breccia nella mente della donna.
«Shimizu-san!» Sugawara tese la mano destra in direzione del viso di Shimizu, così da nasconderla nuovamente, seppur non ancora sicuro del motivo per cui Tendou le aveva dato quel fazzoletto, ma proprio in quel momento le sue ginocchia si piegarono simultaneamente e lui cadde a terra. Un dolore lancinante gli attraversò le cosce, scuotendolo e nauseandolo, e con gli occhi spalancati si ritrovò a osservare le mani di Shimizu, tese in pugni chiusi.
Fu investito dalla paura, e si ritrovò a boccheggiare incredulo e confuso.
«Shi-Shimizu-san...?»
«Che costa stai facendo?» Eita intervenne immediatamente, e con orrore, Sugawara vide le dita di Shimizu distendersi e chiudersi nuovamente, per poi udire l'urlo di dolore dell'altro: aveva spezzato le gambe a entrambi, come se avesse voluto costringerli a terra.
«Shimizu-san, cosa stai...» per il dolore e la confusione, Sugawara non riuscì più a parlare.
«Quella non è Shimizu!» Tendou diede un pugno alla gabbia d'ombra che circondava Kenma, ora immobile, gli occhi spalancati e fissi. «Questo bastardo la sta controlla–»
Anche Tendou cadde rovinosamente a terra, entrambe le gambe spezzate e i denti nuovamente affondati nel labbro inferiore, in un ringhio di dolore e frustrazione.
Kuroo si rialzò barcollando, la mano sinistra premuta contro lo stomaco dolorante.
«Typhone?» si avvicinò a Bokuto e al suo protetto.
«Comincia a passare,» fu proprio Akaashi a rispondere, la voce leggermente roca «ancora qualche minuto e potrò tornare in piedi.»
Kuroo non disse altro, quindi rivolse una rapida occhiata a Moniwa e Aone, che subito si mise sull'attenti.
«Come vi ha già riferito il mio protetto, non abbiamo intenzione di ammazzarci a vicenda. Forse non vi sembrerà così, adesso, ma siamo un gruppo pacifico.»
Moniwa si sentì sollevato, ma comunque trattenne il fiato per qualche istante, le braccia rigide lungo i fianchi.
«Chi ci assicura che non ci state facendo il lavaggio del cervello?» Eita intervenne, la voce scossa dal dolore e dalla rabbia.
«Il mio protetto può prendere il possesso di una sola mente alla volta, e come vedi si trova ancora nella testa di Shimizu-san.»
Eita e Sugawara rivolsero un'occhiata a Shimizu, in piedi e immobile in mezzo a loro.
«Anche se voi due non ci avete attaccato, con Tendou al vostro fianco non penso siate un gruppo pacifico, o mi sbaglio? Ce ne andremo quanto prima» Tetsurou si rivolse ad Aone. «Tu e il tuo protetto volete unirvi?»
Aone e Moniwa si guardarono, ma ancor prima che uno dei due potesse parlare, Eita tornò subito a farsi valere.
«Non saltare a conclusioni affrettate,» Eita arpionò l'asfalto con le dita, reggendosi sui gomiti «se non fossimo un gruppo pacifico, Tendou vi avrebbe già fatto a pezzi.»
Kuroo strinse i denti in una smorfia contrariata, al contrario di Tendou, che increspò le labbra in un sorriso divertito.
Moniwa deglutì, incapace di capire se quel ragazzo stesse dicendo la verità. Aone, al contrario, sembrava più tranquillo: non avrebbe abbassato la guardia per nulla al mondo, ma non voleva neppure saltare a conclusioni affrettate come aveva fatto Kuroo. Se il dotato di cromosoma Z dai poteri psichici avesse lasciato la mente di Shimizu, forse sarebbero riusciti a parlare con lei e a fidarsi, ma per ora anche a lui pareva più saggio continuare a tenerla sotto controllo; discuterne con Tendou, invece, gli pareva inutile e anche piuttosto azzardato.
«Attualmente siamo alla ricerca di alleati, e se è possibile vorremmo evitare di uccidere i nostri simili.»
Moniwa annuì appena, ma restò in silenzio.
«Non avete desideri che vi spingano a uccidere?» chiese Bokuto, dopo aver esitato per qualche istante.
«No, così come i vostri protetti, a quanto pare» Eita rispose, per poi mordersi il labbro inferiore. «Finché sono qui voglio soltanto aiutare le persone, e lo voglio fare con il potere che mi è stato concesso.»
«Anche io» Sugawara lo sostenne senza alcuna esitazione.
Kuroo rivolse un'occhiataccia a Tendou, ancora steso a terra, le labbra increspate in un mezzo sorriso.
«Per placarti è bastato davvero che il tuo protetto ti dicesse questo, Tendou?» chiese Kuroo, scettico e allo stesso tempo vagamente divertito.
Tendou ampliò leggermente il sorriso, per poi chiudere gli occhi.
«Placare la mia forza? No...» si mise a sedere, gli occhi fissi sulle gambe malamente piegate e le labbra strette in una smorfia di dolore «diciamo solo che come ogni shinigami ho deciso di rispettare il volere del mio protetto, anche se all'inizio è stato abbastanza difficile e avrei preferito me ne avessero assegnato un altro.»
«Gentile» Eita sbottò, intento a insultare il proprio shinigami, ma proprio in quel momento vide Shimizu scuotersi appena, e gli artigli d'ombra che fino a quel momento avevano protetto il ragazzo dotato di poteri psichici liquefarsi.
Shimizu era tornata in sé, e nonostante l'assenza prolungata sembrava sapere esattamente cosa si fossero detti. Guardò Eita e poi Sugawara, coprendosi la bocca con le mani.
«Non preoccuparti, Shimizu-san» Sugawara le sorrise, per poi posare le mani sulle proprie ginocchia. «Non è colpa tua, e anche da parte loro, questa è stata una mossa più che comprensibile.»
Sugawara piegò leggermente le gambe, per poi distenderle nuovamente, così da assicurarsi di ritrovare la sensibilità perduta, dunque si rialzò, aiutato da Shimizu, per poi rivolgersi alle altre coppie con un sorriso affabile a increspargli le labbra.
«Se non vi dispiace, ora provvederò a curare i miei amici.»


❋ ❋ ❋


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S e n d a i __ p r e f e t t u r a _ d i _ M i y a g i



Kageyama aveva trascorso il viaggio a chiedersi se stesse facendo la cosa giusta, se accettare di entrare nella tana del lupo pur di non discutere al telefono e rischiare di essere intercettati avesse anche qualche lato positivo, tuttavia la noiosissima ora passata in treno non era bastata a dissuaderlo dall'idea iniziale: era un suicidio. Inoltre, in quel momento si stavano svolgendo i corsi universitari, che probabilmente non avrebbe avuto più modo di frequentare – il tutto all'insaputa di sua madre.
La signora Kageyama era consapevole dei poteri del figlio – dopotutto la bruciatura che aveva sul viso gliel'aveva causata lui – ma di certo Tobio non le avrebbe parlato di shinigami e quaderni, premesse che ricordavano in modo assurdamente ridicolo un'opera di fantasia piuttosto famosa.
Quando il treno giunse alla stazione di Sendai gli mancò il respiro, e quella fastidiosa sensazione di soffocamento lo costrinse a fermarsi proprio davanti alla porta di uscita, per permettergli di prendere una boccata d'aria. Seguì Hinata – già sceso – con lo sguardo, finché non venne spintonato fuori da una calca di persone innervosite e sbuffanti.
Quando riuscì finalmente a individuare uno spiraglio nel muro umano formato dalla folla – e a sfruttarlo per uscirne –, trovò Hinata fermo ad aspettarlo, come se questo avesse saputo che sarebbe spuntato proprio in quel punto.
«Stai bene, Kageyama?»
Tobio lo guardò senza parlare, le labbra serrate con forza e contratte in una piccola smorfia: come poteva andare tutto bene? Stava per incontrare Oikawa, e che questo gli avesse telefonato per chiedergli di allearsi lo aveva reso felice, sì, ma pensandoci bene avrebbe potuto trattarsi di una trappola, visto che prima di quella chiamata gli aveva detto che lo avrebbe ucciso.
«Anche io sono un po' agitato,» Hinata protese le labbra in una smorfia, piegandosi in avanti e tenendosi la pancia con le braccia «infatti credo di dover vomitare da quando siamo partiti!»
«O-ohi!»
Al contrario di quanto previsto, però, Hinata sorrise.
«Ma a Iwaizumi-san non piacciono i sotterfugi, perciò sono sicuro che andrà tutto bene.»
«Oikawa-san, però, sembra proprio una di quelle persone a cui i sotterfugi piacciono» Kageyama borbottò, serrando le dita di entrambe le mani.
«Mhhn...» Shouyou batté l'indice sulle proprie labbra, pensieroso, per poi sorridere nuovamente «beh, non credo che Iwaizumi-san si sia lasciato convincere.»
«Forse...» Kageyama diede un'occhiata oltre la folla, sussultando non appena lo vide «ma allora perché...»
Esitò, indicando Oikawa con il dito.
«Perché è da solo?»
Hinata rivolse una rapida occhiata a Oikawa, che – appoggiato a una colonna con le braccia conserte – pareva non averli ancora visti.
Era vero che Iwaizumi non era lì con lui, ma probabilmente si trovava nei paraggi e in ogni caso lui e Kageyama avrebbero evitato di farsi condurre in qualche posto poco frequentato da Oikawa. Deglutì con forza, le mani ferme su entrambi i fianchi, dunque saltellò tra la folla, subito seguito dai passi ingessati di un Kageyama in preda al panico.
Appena li vide, Tooru si scostò dalla colonna e rivolse loro un cenno con la mano.
«Yo‒!» Oikawa forzò un sorriso cordiale che in qualche modo tranquillizzò Kageyama, in quanto fu da subito evidente che anche il più grande non era esattamente a suo agio.
«Seguitemi, cercando però di stare attenti al lupo» Oikawa se li lasciò alle spalle con un lascivo gesto della mano, le labbra increspate in un sorrisetto divertito e decisamente meno forzato di quello di benvenuto.
Inizialmente, Kageyama non capì: a chi si stava riferendo? Non era proprio Oikawa il lupo?
«Non sei tu, il lupo, Oikawa-san?» alla domanda di Hinata, che per altro, a giudicare dall'espressione, sembrava essere stata dettata da pura e innocente curiosità, sia Kageyama che Oikawa sussultarono.
«Hinata!» Kageyama lo rimproverò, ma il suo shinigami ricambiò con un'espressione confusa: avevano pensato la stessa cosa, ma per lo meno lui aveva avuto la decenza di restare zitto – era ovvio che Oikawa non avrebbe gradito.
In effetti, Tooru, poco più avanti degli altri due, tremolò, le labbra strette in una smorfia sghemba e un fastidioso formicolio sulle tempie.
«Veramente stavo parlando dello stronzo che vuole trasformarmi in ghiacciolo,» mostrò i denti in un sorriso nervoso, per poi assottigliare leggermente lo sguardo e indicare Hinata con un movimento sprezzante della mano «e comunque, Gamberetto, vedi di usare il mio pseudonimo! Vale anche per te, kouhai dei miei stivali.»
Kageyama e Hinata si misero sull'attenti, annuendo quasi all'unisono.
«E quale sarebbe il tuo pseudonimo?» domandò Shouyou, incuriosito.
«Anglerfish.»
«Woah!» Hinata gli rivolse uno sguardo ammirato, per poi indirizzare un'occhiataccia a Kageyama, trattenendo una risata.
«Che vuoi?» Kageyama lo incenerì con lo sguardo.
«Jack-O'-Lantern...» sussurrò Hinata, trattenendo ancora la risata.
Oikawa si voltò, le labbra dischiuse in un'espressione confusa e vagamente divertita.
«Jack-O'-Lantern?» Oikawa lo indicò, gonfiando le guance per trattenere una risata «Jack-O'-Lantern!»
«Oik‏‒»
Oikawa, tornato serio all'improvviso, premette l'indice sulle labbra di Kageyama, zittendolo con un'occhiataccia. Dopo qualche istante, allontanò il dito dalle labbra dell'altro, ora pietrificato, le spalle alte e rigide: doveva abituarsi al più presto a utilizzare lo pseudonimo, anche se chiamarlo “Anglerfish” in pubblico avrebbe attirato ugualmente l'attenzione – se non di più.
«Andiamo,» il più grande voltò loro le spalle, il tono di voce serio e fermo «Iwa-chan ci sta aspettando.»


❋ ❋ ❋


Sendai pareva ergersi mollemente al di sotto del cielo plumbeo del mattino, sfiorata solo in alcuni tratti da un sole pallido e lontano. Al contrario di ciò che poteva ispirare il paesaggio triste e monotono, la città non era desolata, anzi era perfino difficile riuscire a tracciare il proprio percorso lungo i marciapiedi, colmi di uomini e donne in carriera, giovani studenti e genitori che accompagnavano i figli a scuola.
Avrebbe voluto far nevicare. Se avesse fatto nevicare, molto probabilmente la folla si sarebbe dimezzata.
Tutta quella gente, inoltre, significava non poter uccidere e derubare nessuno, e perciò rimanere con neppure tremila yen in tasca. A quel pensiero schioccò la lingua contro il palato, in segno di disappunto, attirando per qualche istante l'attenzione del proprio shinigami.
Kyoutani lo guardò per pochi secondi, per poi tornare a osservare senza troppo interesse, anzi quasi per inerzia, il continuo susseguirsi di vetrine di negozi di abbigliamento, librerie, ristoranti e fast food.
Da qualche giorno sembravano essere entrati in una fase di stallo, cosa che normalmente lo avrebbe infastidito, tuttavia, considerando il temperamento sanguinario e privo di scrupoli del proprio protetto, forse era meglio così. Kentarou non si era mai considerato buono, né tanto meno tranquillo, anzi era sempre stato piuttosto impulsivo e scontroso, tuttavia la sua moralità non si poteva ritenere completamente assente; ne aveva quel tanto che bastava per impedirgli, innanzitutto, di uccidere e derubare persone innocenti.
Yahaba, che camminava pochi passi davanti a lui, si fermò all'improvviso. Kyoutani gli rivolse un'occhiata veloce, con l'intenzione di capire dove stesse guardando e cosa lo avesse infastidito, ma trovandolo con i denti leggermente scoperti e serrati con forza, le braccia tese e i pugni chiusi, lo fissò per un tempo maggiore di quello inizialmente previsto.
Era come se un'ombra fosse calata sugli occhi del suo protetto, una furia cieca lo aveva investito in pieno e adesso il suo sangue stava ribollendo con violenza. Per un istante, Kyoutani pensò che la temperatura corporea di Yahaba sarebbe potuta arrivare a un valore così alto da farlo scoppiare; era come se qualcuno, per gioco, avesse appena picchiettato la superficie di una bomba inesplosa e dopo aver sentito un rumore all'interno dell'ordigno si fosse inciampato e non potesse più rialzarsi.
Yahaba inspirò con forza, divorando l'aria con un leggero tremore delle narici; arricciò ulteriormente le labbra e strinse maggiormente i pugni, finché le nocche non persero colore e divennero improvvisamente gelide.
Kyoutani riuscì a rivolgere il proprio sguardo altrove solo per qualche istante, un lasso di tempo ragionevole visto che individuò quasi immediatamente la causa del turbamento di Yahaba: Hinata, con i capelli arancioni, fu il primo ad attirare la sua attenzione, e subito dopo vennero Oikawa e Kageyama. Kageyama, la persona che probabilmente Yahaba avrebbe voluto uccidere anche prima di Oikawa.
Camminavano tutti e tre vicini e Hinata stava parlando con Oikawa. Si erano alleati? Kyoutani spalancò gli occhi, per poi rivolgerli nuovamente al protetto.
Yahaba stava guardando ancora Oikawa e Kageyama, gli occhi fissi, del tutto immobili. Non batteva neppure le palpebre.
Uno spesso strato di ghiaccio aveva appena ricoperto i suoi pugni chiusi, e ora si arrampicava rapidamente lungo le braccia tese: la bomba era stata innescata e Kentarou ebbe l'impressione che il conto alla rovescia sarebbe terminato una volta che il ghiaccio avrebbe raggiunto le spalle.
Yahaba era furioso e nella sua collera riusciva a vedere soltanto Oikawa e soprattutto Kageyama: voleva ucciderli, infilzarli nel ghiaccio e utilizzarlo come picca per le loro teste. Avrebbe colpito l'intera città, se fosse stato necessario – dopotutto c'erano solo loro tre.
Kyoutani serrò i denti in una smorfia, per poi afferrare la spalla di Yahaba e stringerla con forza, facendolo sussultare leggermente.
«Che cazzo stai facendo?» Kyoutani sussurrò fra i denti, per poi serrarli nuovamente quando il ghiaccio ricoprì anche la sua mano, incollandola del tutto alla spalla dell'altro.
«Se li colpissi alle spalle... voglio che Oikawa sparisca per sempre, e Kageyama...» Yahaba spalancò gli occhi e mostrò i denti in un ringhio, la voce alterata dalla rabbia, come quella di un bambino capriccioso «Kageyama...»
Kyoutani si soffermò per un istante sul cospicuo numero di persone in transito fra loro e gli altri tre – una bambina che con la cartella in spalla teneva la mano aggrappata a quella di sua madre, strattonandola leggermente nel vederla da troppo tempo ferma di fronte a una vetrina oltre la quale erano esposti alcuni vestiti da sera; due studenti e una studentessa che camminavano vicini, ridendo fra loro; un uomo d'affari che parlava concitatamente al cellulare e tanti altri. Avrebbe ucciso tutta quella gente e poi sarebbe stato quasi sicuramente eliminato dalla polizia.
Senza sapere come, Kyoutani riuscì a muovere le dita della mano nonostante fosse completamente immersa nel ghiaccio, e questa volta strinse la spalla di Yahaba con così tanta forza da riuscire a strapparlo dallo stato di odio e di torpore in cui si era confinato.
«Non è il momento, Yahaba,» il ghiaccio sulle braccia di Shigeru iniziò a diradarsi, con grande sollievo dell'altro, che subito si ritrovò a piegare e distendere le dita per riacquistare la sensibilità «andiamocene.»


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S h i n j u k u __ p r e f e t t u r a _ d i _ T o k y o



Chidori stava pranzando nel suo piccolo appartamento; masticava lentamente, come annoiata, una foglia di zenzero, le bacchette strette fra le dita della mano destra e lo sguardo fisso sull'orologio da parete: sarebbe rientrata alla centrale alle quindici, perciò mancavano ancora due ore. Chiuse gli occhi ed emise un piccolo sospiro: le piaceva stare a casa da sola, trascorrere il tempo intrattenendosi con qualche gioco di grattacapi online, vedere un documentario sulla fauna di qualche paese esotico sorseggiando una tazza di tè o anche più semplicemente cucinarsi il pranzo, meditando in silenzio, ma quando sapeva di dover rientrare alla centrale non riusciva mai a rilassarsi completamente; era impaziente di riprendere un lavoro che magari aveva lasciato a metà, e non perché amasse particolarmente il suo mestiere, ma perché era estremamente curiosa e pretendeva di trovare una spiegazione esaustiva per qualsiasi caso le venisse assegnato.
Quando il cellulare squillò, smise di masticare e guardò nuovamente l'ora, come se prima non avesse effettivamente realizzato che erano le tredici. Le tredici.
Abbassò lo sguardo sul piatto vuoto: sua madre la chiamava spesso a quell'ora e anche per quel giorno non aveva fatto alcuna eccezione.
Kazue afferrò il cellulare e fece per portarselo subito all'orecchio, tuttavia sobbalzò non appena notò che il mittente era sconosciuto.
Strinse il cellulare fra le dita, deglutendo e poi inspirando con forza dalle narici.
«Pronto?» mantenne un tono di voce fermo, pur avendo il battito cardiaco piuttosto accelerato.
«Chidori?»
Spalancò gli occhi e trattenne il respiro.
«Kazue Chidori?» ma l'entusiasmo scemò non appena sentì pronunciare il suo nome per intero: non era Shirabu.
Chidori esitò per qualche istante: con chi stava parlando? E come faceva, questa persona, a sapere il suo nome?
«Chi sei?» non le interessava rispondere a una domanda sollevando un ulteriore quesito, ma da quel momento in avanti aveva deciso che sarebbe stata lei a interrogare il suo interlocutore.
«Mi chiamo Goshiki Tsutomu.»
Chidori rimase sorpresa con la leggerezza con cui l'altro le confessò il suo nome, tuttavia mantenne la propria compostezza.
Prima ancora che potesse fare un'altra domanda, l'altro riprese a parlare.
«Sono amico di Shirabu.»
Kazue si sentì scuotere, schiuse le labbra dalla sorpresa, ritrovandosi a boccheggiare. La sua reazione la fece sentire così stupida che le guance le si imporporarono, cominciando a scottare.
Aspettava quella chiamata da giorni, era divenuta di prioritaria importanza, e ora riusciva a malapena a parlare. Si era convinta che non avrebbe più sentito il nome di Shirabu, ma ora qualcuno le aveva telefonato dicendo di essere un suo amico.
Chidori avrebbe voluto parlare liberamente, tuttavia affondò i denti nel labbro inferiore proprio per stroncare sul nascere tale desiderio, in quanto non aveva idea di cosa sapesse l'altro su Shirabu.
«Shirabu non sembrerebbe intenzionato a chiamarti.»
Chidori affondò ulteriormente i denti nel labbro: dunque le aveva telefonato solo per dirle che Shirabu non l'avrebbe chiamata? Da quando aveva bisogno di farsi difendere? Avrebbe localizzato la chiamata.
«Ma in realtà credo voglia farlo, per cui ci ho pensato io, anche se a sua insaputa.»
Kazue restò nuovamente sorpresa, perciò esitò qualche secondo prima di riprendere la conversazione. «Goshiki, giusto? Tu che cosa sai, di Shirabu?»
Seguì qualche istante di silenzio durante il quale Chidori rafforzò la stretta delle dita attorno al cellulare.
«Quello che sai anche tu.»
Chidori chiuse gli occhi e chinò il viso, inspirando con forza dalle narici. Risollevò le palpebre pochi istanti dopo, l'espressione decisa e imperturbabile.
«Allora di' a Shirabu che ho urgentemente bisogno del suo aiuto.»


❋ ❋ ❋


Appena Chidori posò i bicchieri di plastica sulla scrivania, Ouhira le rivolse un'occhiata confusa. Afferrò quello più vicino, socchiudendo gli occhi e stendendo le labbra in un'espressione rilassata non appena il profumo di cioccolata calda ammantò l'aria.
«A cosa devo tutto ciò? Te l'ho già detto, Chidori-san,» fece una pausa, osservando il riflesso fumoso delle lampade sulla superficie scura della bevanda «non ti darò le informazioni che cerchi.»
Chidori scosse la testa, per poi accennare un sorriso.
«Ho soltanto pensato di venire a trovarti e portarti qualcosa di caldo. Fuori fa molto freddo.»
Se non fosse stata una persona seria ed estremamente tranquilla, Reon avrebbe riso – una nota divertita, in effetti, fu chiaramente percettibile nella sua voce, quando rispose.
«Grazie, ma è come se io vivessi qui, ormai. Sono quasi quarantotto ore che non metto piede fuori dal laboratorio, perciò se stessero piovendo asteroidi non me ne accorgerei.»
Chidori serrò le labbra per qualche istante, per poi piegarle in un sorriso di circostanza, facendo ondeggiare leggermente il proprio bicchiere così da disperdere l'aroma della sua bevanda.
«Caffè?»
«Sì, la cioccolata dei nostri distributori è troppo dolce per me, e poi ho bisogno di caffeina, visto che mancano solo venti minuti all'inizio del mio turno» diede una piccola sorsata al caffè, osservando Ouhira fare lo stesso con la cioccolata calda.
«Pattuglia o ufficio?»
«Pattuglia.»
«Con chi?» Reon adagiò il bicchiere accanto al tappetino del mouse, così da poter digitare una breve risposta a una e-mail appena giunta – probabilmente contenente i ringraziamenti di qualche cittadino.
«Nishinoya e Tanaka» Chidori, invece, restò immobile, emettendo un sospiro rassegnato, il bicchiere di plastica vuoto e ancora leggermente tiepido fra le mani.
«Due belle gatte da pelare» Reon accennò una risata, per poi tornare a sorseggiare la sua cioccolata.
Restarono in silenzio per un po', finché entrambi non ebbero finito di bere. Ouhira posò il bicchiere vuoto sulla scrivania, mentre Chidori gettò il suo, ormai freddo, nel cestino della carta.
Diede un'occhiata all'orologio da polso e sbirciò l'altro, ora fermo, le palpebre che si abbassavano e si rialzavano continuamente, come quelle di un bambino stanco.
«Bene,» Kazue si alzò, dando una pacca sulla spalla del collega, in modo che questo si scuotesse momentaneamente dal torpore che lo aveva assalito «allora vado. Buon lavoro, Ouhira-san.»
«O-oh...» Reon sbatté le palpebre un paio di volte, confuso «buon lavoro, ciao» poi biascicò e serrò nuovamente gli occhi.
Chidori, nel frattempo, si diresse lentamente verso la porta, la aprì e attese che Reon crollasse sulla scrivania, dunque, sapendo di trovarsi in uno dei pochi punti irraggiungibili per le telecamere, inviò l'SMS che aveva preparato già da qualche minuto, ancora prima di entrare nel laboratorio.
Le luci si spensero pochi istanti più tardi: un black out aveva appena investito la centrale nella sua interezza. Chidori accese subito la torcia, quindi si diresse alla scrivania e si impossessò del bicchiere di plastica appena svuotato dal collega per sostituirlo con quello che aveva tenuto in tasca fino a quel momento, in verticale e avvolto da uno sottile strato di carta assorbente. Infilò il bicchiere di Reon nella tasca, dunque afferrò l'altro e dopo averne accostato il bordo alle labbra del ragazzo e aver fatto in modo che le dita di questo ne sfiorassero la superficie, lo sistemò nella stessa posizione del precedente: erano identici, entrambi di plastica, con residui di cioccolata all'interno e le impronte digitali e la saliva di Ouhira all'esterno, con la sola differenza che, qualora avessero richiesto un'analisi, nessuna traccia di sonnifero sarebbe stata rinvenuta all'interno del sostituto.
Dopodiché indossò i guanti di plastica che aveva sistemato nell'altra tasca della giacca, per poi frugare in quelle del collega, lasciando la stanza soltanto quando ebbe trovato le chiavi dell'archivio.
Kazue si ritrovò nel corridoio buio, il mazzo di chiavi appena sottratto alle tasche di Ouhira stretto fra le dita della mano sinistra, la torcia – a illuminare il cammino a pochi centimetri dal suo naso – sorretta dalla destra.
Deglutì, rafforzando la stretta delle dita attorno al metallo ormai caldo delle chiavi.
Percorse il corridoio in fretta, senza preoccuparsi dei passi pesanti e della luce bluastra della torcia: le telecamere erano fuori uso e nessun altro sarebbe venuto laggiù – probabilmente un paio dei suoi colleghi si stavano incamminando verso il generatore, mentre gli altri si destreggiavano con le luci di emergenza.
Dopo pochi secondi, Kazue intravide l'angolo della grossa porta dell'archivio, dunque si fermò, trattenendo il respiro per qualche istante.
Senza alcuna esitazione, tentò di infilare ogni singola chiave nella serratura, fino a che non riuscì a trovare quella giusta.
Doveva ammetterlo: se avesse avuto più tempo a disposizione, si sarebbe fermata per osservare con più attenzione l'ambiente circostante – per quanto il buio lo permettesse – e ovviamente anche per riprendere fiato; sfortunatamente per lei, doveva sbrigarsi, perché dopotutto non sapeva entro quanto tempo i suoi colleghi sarebbero riusciti a ripristinare il flusso elettrico.
Una volta entrata, Chidori si avvicinò alla lunga e alta serie di cassetti, si chinò e con l'ausilio della torcia cominciò a leggere tutte le targhette, finché non individuò la scritta “Exterminator”. Fortunatamente, trattandosi di documenti importanti, sembravano trovarsi tutti nello stesso cassetto, ma quando Chidori vide che l'ultimo plico inserito risaliva al penultimo aggiornamento affondò i denti nel labbro inferiore, gli occhi leggermente assottigliati e la fronte aggrottata, infastidita da quella apparente e immediata sconfitta.
Era certa avessero già archiviato il plico riguardante l'ultimo aggiornamento, dunque perché non si trovava lì? Che vi fosse un altro cassetto? Subito puntò la torcia sugli altri tiretti, ma l'eco di un presentimento provocò un lieve tremolio lungo la sua mano, che subito si abbassò.
Tornò a illuminare l'interno del cassetto dedicato all'Exterminator, quindi prese ogni singolo plico e lo posò ai suoi piedi, infine fece aderire i palmi delle mani al fondo, applicando una leggera pressione, e quando questo si abbassò riuscì a infilare le dita in una fessura: era a doppio fondo.
Spingendo con le dita, fece scivolare il fondo in avanti, scoprendo un plico che si trovava proprio al di sotto di esso. Conteneva la documentazione più recente, quella riguardante l'ultimo aggiornamento.
Trattenendo il respiro, la torcia sorretta dalla mano sinistra, Chidori aprì il plico e cominciò a sfogliarlo, soffermandosi quasi immediatamente sulla terza pagina, dove era presente una foto dello strano anello bianco che aveva visto fra la molla e il percussore dell'arma.
Quando arrivò a metà del paragrafo, fu investita da un conato di vomito e rimase completamente al buio, in quanto il dito, colto da un fremito, era scivolato via dal tasto di accensione della torcia.
Chiuse gli occhi, deglutendo più volte e con fatica, per poi riaccendere la torcia e ricominciare a leggere, la mano destra a chiudere la bocca con una forza soffocante.
«Oh mio Dio... oh mio Dio» la nausea era scomparsa, sovrastata dalla paura: adesso voleva soltanto uscire da quel posto maledetto e far sapere a tutti la verità sull'Exterminator.




L'angolino della piantina autoritaria
(You should read this):

Il mio ritardo è a dir poco vergognoso, lo so e mi dispiace davvero tanto.
Come avrete notato, questo capitolo è molto più lungo dei precedenti (praticamente il doppio delle pagine), motivo che mi ha rallentato ulteriormente nella stesura e soprattutto nella revisione (parlo di “motivo ulteriore” perché al primo posto c'è il lavoro, seguito dalla pratica di patente).
A questo proposito ci tengo a riportare anche qui quello che ho scritto qualche giorno fa sulla mia pagina Facebook: ho deciso che da ora in poi Wonderwall non sarà più pubblicata alla fine di ogni mese. Cercherò di pubblicare un capitolo ogni 30/40 giorni, così da allungare leggermente i tempi senza però farvi aspettare un'eternità.
Spero che la mia decisione non vi rattristi, né alteri la fruizione del prodotto (perché lo so benissimo che ai più dà molto fastidio se i tempi di aggiornamento sono lunghi, ma cercate di capire: ogni capitolo è pari o superiore alle dieci pagine, non sono capitoli di una pagina come la maggior parte delle fanfiction presenti sul sito).
Come avevo promesso, questo capitolo è stato molto più movimentato del solito e ha racchiuso tanti eventi necessari; avevo pensato di spezzarlo a metà, ma penso che tale decisione avrebbe diminuito la tensione che potreste aver percepito una volta arrivati in fondo.
Piccoli appunti sui due pseudonimi apparsi in questo capitolo: Typhone è la combinazione delle parole “typhoon” e “cyclone”, così che si possa leggere “taifon”, Psyche si legge semplicemente “psiche”.
Grazie a chiunque abbia aspettato pazientemente il capitolo. Spero vi sia piaciuto e spero di non farvi aspettare troppo per il prossimo!
   
 
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